Dove va l’Egitto?

La cacciata, poche ore fa, del presidente egiziano Mohammed Morsi, leader del partito dei Fratelli Musulmani eletto un anno fa, è la notizia del momento. Di notizie dettagliate e analisi riguardanti questo evento se ne possono trovare sul web fino alla nausea, ma in concreto nessuno sa cosa avverrà ora. O per meglio dire, molti hanno una loro teoria e propongono analisi sugli eventi iniziati due anni fa che hanno visto milioni di persone invadere le strade di gran parte delle cittá egiziane per chiedere prima le dimissioni del vecchio dittatore Hosni Mubarak ed ora quelle del nuovo presidente democraticamente eletto Morsi. Personalmente, lontano tanto dai facili entusiasmi quanto dalle teorie azzardate, posso fare nel mio piccolo un paio di riflessioni, seppur confuse. Innanzitutto credo che in Egitto sia potenzialmente in atto un grande cambiamento, spinto da masse di milioni di persone che nella maggior parte dei casi hanno “poco” da perdere (se non la propria vita, vista la durezza degli scontri scoppiati due anni fa così come oggi e nel tempo intercorso), un cambiamento che per certi versi mi verrebbe di chiamare rivoluzione. Il fatto è che sono restio ad usare questo termine, perchè di rivoluzioni più nominali che effettive nella Storia ne abbiamo avute fin troppe, sedicenti rivoluzioni che cambiano un giogo con un altro, che lasciano inalterati i rapporti sociali e di produzione, che spargono sangue più di quanto sia strettamente necessario per poi deludere le migliori aspettative emancipatorie in nome di “interessi superiori”, la solita formula per fottere gli sfruttati e gli oppressi. È inevitabile però sperare che le cose possano veramente prendere una piega positiva per le classi sociali subalterne in Egitto, che sono state il motore delle rivolte di piazza e potranno continuare ad esserlo anche in futuro. Un dittatore è stato mandato via, ci sono stati momenti importanti fatti di lotta, autogestione, riorganizzazione, partecipazione decisionale, rivendicazioni, poi le elezioni ed il governo fallimentare dei Fratelli Musulmani ed ora una nuova ondata di proteste che porta alla destituzione di un presidente con numeri nelle piazze decisamente maggiori di quelli che lo avevano portato al potere alle urne. Eppure rimane l’ombra dei militari e degli interessi che si celano dietro essi. L’ultimatum imposto dal popolo egiziano a Morsi non è quello imposto dai militari, che hanno effettuato un vero e proprio colpo di Stato, anche se atipico  visto l’appoggio delle piazze. La repressione sistematica attuata in queste ore dai militari nei confronti del partito dei Fratelli Musulmani va al di là di uno sfogo di rabbia popolare. Ho letto nei giorni scorsi parecchi articoli di “esperti” e opinionisti vari, dei quali posso anche non fidarmi del tutto, ma che lasciano intendere in modo pressochè unanime, al netto di sfumatore d’opinione e considerazioni a margine, che il governo degli Stati Uniti stia muovendo le fila dell’esercito egiziano, indirizzandone a suo piacimento le azioni e le decisioni: un fatto che non può essere ignorato e che risulta essere pericoloso, anche a fronte della conclamata simpatia di vasti strati della popolazione nei confronti delle forze armate (simpatia che la polizia, vista con diffidenza e disprezzo come organo di difesa della passata dittatura, non ha mai riscosso). A prescindere da ciò, pur ammettendo che una “rivoluzione” spesso non segua un percorso lineare, si ha la netta impressione che ora tutto ricominci da metà percorso, come dal momento della cacciata di Mubarak: si tornerà a nuove elezioni, ne  frattempo c’é il governo di transizione di Adly Mansour all’ombra dell’esercito. Nei momenti di euforia è facile dimenticare cosa significò il periodo di transizione trascorso dalla caduta di Mubarak alle elezioni e guidato dalle forze armate, facile dimenticare le decine di morti per mano militare, mano che si trasforma all’occorenza in pugno di ferro, piaccia o meno alle masse. Nell’eterogeneità di movimenti, opinioni e prese di posizione si mescolano le istanze religiose e quelle laiche, l’avanzamento di rivendicazioni sociali e la conservazione/restaurazione dell’ordine vigente e dei privilegi delle classi agiate, i pro e contro Mubarak come i pro e contro l’esercito come i pro e contro Morsi, domani magari ci troveremo di fronte ad altre sfilate di milioni di persone divise tra pro e contro Mansour e poi tra pro e contro nuovo presidente “democraticamente” eletto. Sempre che non si scivoli prima nella guerra civile, come temono alcuni. O nell’apatia, nel disgusto senza sbocchi propositivi e infine nell’indifferenza, il che mi azzardo a dire sarebbe addirittura peggio: uno scacco matto a quella che, nonostante tutto, vorremmo poter chiamare rivoluzione.

Sulle proteste popolari in corso in Brasile.

Fonte: Infoaut.

” Brasile, scontri e proteste si diffondono ovunque!

 

Giovedì 20 Giugno 2013 11:35

brazil_protests_football_19Centinaia di migliaia di brasiliani hanno nuovamente invaso le strade di Rio de Janeiro ieri in continuità con il largo movimento di protesta che ha preso piede dal rigetto degli aumenti delle tariffe dei bus per arrivare rapidamente ad un largo e trasversale “no” alla corruzione dei governanti. Nonostante l’incessante lavorio dei principali mezzi di informazione volti a dissuadere dal creare ulteriori disordini, l’annuncio del rafforzamento di truppe militari nelle zone interessate particolarmente al circuito legato alla Confederation Cup (a proposito, fa scoop in tutto il mondo la dichiarazione del giocatore brasiliano Neymar, che si dice “ispirato dalla protesta”), e il tentativo mal riuscito di dividere in “buoni” e “cattivi” i manifestanti, il volume della protesta non accenna a diminuire.

Continuano i fronteggiamenti in strada tra gruppi radicali e polizia antisommossa, specialmente attorno alla zona dove si teneva l’incontro di calcio tra Brasile e Messico, a Fortaleza. Qui migliaia di persone, con gli studenti nelle prime file, hanno tentato di forzare il dispositivo militare ingegnato a mò di zona rossa attorno allo stadio, ingaggiando ripetuti scontri con tanto di avenues invase da lacrimogeni e pallottole di gomma. Eloquenti i cartelli che apparivano a ridosso della zona “calda”, in gran parte occultati dalle grosse testate presenti per l’evento sportivo: “Sanità, educazione, non Corruzione”, recitavano. Gli scontri sono proseguiti tutto il giorno e durante la notte con barricate diffuse, bus e auto divelti, fronteggiamenti a distanza e continui inseguimenti della polizia militare.

La radicalità della rivolta brasiliana, il maggiore movimento di protesta degli ultimi ventanni almeno nel Paese, sta definendo una nuova geografia interna delle lotte, che ormai non riguardano più solamente Rio, Brasilia e Sao Paulo, ma sta attivando circuiti di contestazione in oltre 70 città minori sparse lungo tutta la grande superficie del Paese; un dato rilevante per chi vede nei fatti di questi giorni una tendenza al radicamento e possibilità di trasformazione dei rapporti di forza sociali al di là della sensazionalità degli eventi odierni.

Ciò alla luce della considerazione che da anni in molti strati poveri o etnicamente marginalizzati del paese, nelle periferie di Rio e Brasilia in primis, lotte radicalissime si sono susseguite principalmente per il diritto all’esistenza e, pur non contagiando altri settori sociali, han rappresentato rappresentano un ulteriore tassello di conflittualità di massa sempre pronta ad esplodere.

Dopo i tafferugli della scorsa notte a San Paolo, e il continuo fermento nelle strade, la Giunta del distretto ha comunicato in fretta e furia la rinuncia al rincaro dei trasporti del servizio pubblico metropolitano, non mancando di condannare le “violenze” come controproducenti all’ascolto delle rivendicazioni popolari.
Ma tale lettura ha visto la smentita netta e inequivocabile da parte di uno dei gruppi promotori maggiormente attivi nelle piazze di questi giorni, il “Free fare Movement”, che appunto allarga il suo orizzonte alla gratuità dei trasporti e afferma che “i governanti dicono che i manifestanti impediscono sia la normalità del fruire dei servizi, sia lo sviluppo di una ragionevole mediazione vantaggiosa per il popolo. Ma la realtà dice che è proprio il popolo a dimostrare coi fatti, in strada, che è disposto a lottare per conquistarsi i propri diritti.”

La disillusione verso l’intero sistema governativo complice della ulteriore verticalizzazione forzata della società in nome di un’ ulteriore ciclo di speculazione, che vede al centro il business dei Mondiali di Calcio 2014, nonché dello sprofondamento rapido di buona parte del ceto medio in via di proletarizzazione, sta portando il focus delle proteste ad affiancare, ad un più moderato rifiuto di ciò che è considerato marcio e corrotto del sistema dei partiti, un complessivo e radicale rifiuto in sé dei partiti; non a caso, altro slogan che prolifera e risuona in massa nei cortei è “No, partiti no”.

Certamente, la portata delle manifestazioni di ieri a Rio, con numeri che oscillano da 500mila ufficiosi a oltre un milione di manifestanti, rappresenta una grossa patata bollente nell’ottica di poter implementare tutta una serie di riforme strutturali dentro le quali il rincaro dei trasporti , la dismissione di scuole e ospedali per i poveri, l’ulteriore gentrificazione/militarizzazione delle zone ad alto interesse speculativo in vista dell’Estate 2014 rappresentano solamente gli aspetti più tangibili per chi guarda dall’esterno i fatti di questi giorni. ”

Per approfondire ulteriormente l’argomento consiglio la lettura di una raccolta di articoli in diverse lingue pubblicati sul sito Anarkismo (cliccare sull’immagine sotto):

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Vedi anche: “Brasile, governo cede sulle tariffe ma la protesta continua”, su Contropiano.

Notizie e approfondimenti sui riots a Stoccolma.

Stockholm riots

Alcuni articoli di controinformazione in diverse lingue sulla recente rivolta scoppiata a Stoccolma a seguito dell’omicidio di un anziano da parte della polizia:

“Stoccolma: seconda notte di Rivolta!”, da Infoaut;

“Svezia, calma apparente a Stoccolma ma i riot si estendono”, da Infoaut;

“Ancora sui riots di Stoccolma”, da Infoaut;

“Sweden, Stockholm, Megafonen statement on Stockholm riots”, da A-Ifos (inglese);

“Megafonen: We don’t start no fires”, da Libcom (inglese);

“Solidarität mit den Rebellierenden in Stockholm, da Contra-Info (tedesco);

“Do not treat us like animals”, documentario sull’ organizzazione Pantrarna e sulle problematiche dei quartieri periferici a Stoccolma (svedese, sottotitoli in inglese);

-“Stoccolma Riot. È la fine del capitalismo dal volto umano”, da Anarchaos.

Sulla condizione della classe lavoratrice in Romania.

 

Fonte: Anarkismo.

"Perdonateci, per favore: non riusciamo a produrre tanto quanto rubate!”
“Perdonateci, per favore: non riusciamo a produrre tanto quanto rubate!”


” La classe lavoratrice rumena: come anatre inermi sotto il fuoco del capitalismo


Ci sono oggi circa 5 milioni di lavoratori in Romania. Altri 3 milioni (un quarto della forza-lavoro locale) lavorano in altri paesi dell’Unione Europea, per lo più in Spagna ed Italia. Il tasso ufficiale dei disoccupati è stimato al 6,7%, ma non è un dato affidabile. Questo dato riguarda solo le persone che sono registrate come disoccupati e non considera il totale di persone che potrebbe lavorare ma viene escluso. Per cui il numero reale dei disoccupati in realtà non è noto (o non viene reso noto dal governo), ma in base a logiche deduzioni, ci sarebbe da contare un ulteriore milione di persone.

Un quarto dei disoccupati ufficiali sono giovani laureati. Il 53% dei disoccupati registrati hanno esaurito il periodo nel quale hanno titolo a ricevere il sussidio (il 75% del loro salario) ed attualmente non hanno alcun reddito. I lavoratori, per dirla in modo gentile, sono in una situazione terribile. Più dei 2/3 dei 5 milioni di lavoratori sono occupati nel settore privato. Non sono sindacalizzati: ci vorrà una grande solidarietà tra i lavoratori unitamente a dure lotte contro la classe dominante (la classe dei padroni, protetta dallo Stato), per spezzare la loro opposizione e consentire che ci siano i sindacati nel settore privato.

Gli unici sindacati esistenti in Romania sono quelli  “gialli” – una sinistra farsa – all’interno di alcuni settori dello Stato (nella polizia, in parte dell’istruzione e della sanità) o all’interno delle aziende di Stato e di quelle aziende ex-statali che sono state privatizzate. Questi sindacati non fanno altro che tradire sistematicamente i loro iscritti. Le uniche lotte efficaci che questi sindacati hanno condotto sono state quelle per ottenere gli avanzamenti di carriera a livello dirigenziale nell’apparato statale per i loro funzionari. Ecco alcuni casi esemplari: un primo ministro della fine degli anni ‘90 era un sindacalista (nel 1999 giunse a licenziare 100.000 minatori in una notte su indicazione del FMI, portando intere regioni alla rovina e ad una indicibile situazione di povertà), poi ex-ministri, diversi membri di partito e legislatori che erano stati dirigenti sindacali, alcuni dei rumeni che compaiono nella classifica Forbes delle 500 persone più ricche sono ex-dirigenti sindacali.

In mancanza di organizzazioni sindacali, il livello di vulnerabilità della classe lavoratrice rumena è il più alto in Europa, e questo comporta tragiche conseguenze sull’intera società, come è clamorosamente emerso nel corso degli ultimi 3 anni di feroce attacco capitalista contro i lavoratori. Nel 2009, lo Stato rumeno fu il primo nell’Unione Europea ad imporre al popolo le ricette dell'”austerity”, appoggiato dal FMI, dalla Commissione Europea e dalla Banca Mondiale. Nel volgere di una notte, il governo raddoppiò intenzionalmente il numero dei disoccupati costringendo alla bancarotta centinaia di migliaia di piccole imprese. Si trattava di piccole imprese, spesso a conduzione familiare, con pochi dipendenti. Di fatto il governo le mise deliberatamente in ginocchio, imponendo loro una tassa che sapeva che non avrebbero potuto pagare. “Le imprese che non possono pagare la tassa di €500 devono chiudere”, disse l’allora ministro delle finanze, Gheorghe Pogea.

Questo ha portato al raddoppio dei disoccupati del settore privato. Fu il primo passo di una chiara guerra capitalista guidata dallo Stato contro i lavoratori. Il secondo atto contro i lavoratori compiuto dallo Stato – il quale pubblicamente ha ammesso di essere dalla parte delle imprese – fu quello di cambiare la legislazione sul lavoro, togliendo ai lavoratori persino quella fragile ed apparente protezione contro il chiaro e totale sfruttamento padronale. Sono stati resi possibili i licenziamenti a volontà, la demolizione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato,  il ripristino dell’apprendistato, con cui si rendono i giovani lavoratori vittime vere  e proprie degli abusi legali da parte dei datori di lavoro. Gli annunci di lavoro ora chiedono apertamente disponibilità al lavoro “volontario” per fare “esperienza” – il che significa schiavitù, lavoro non pagato ed è un fenomeno drammaticamente diffuso. E come se non bastasse, i guru delle imprese vogliono altri cambiamenti nella legislazione del lavoro per rendere i lavoratori ancora più vulnerabili. Le aziende sono libere di militarizzare il lavoro a volontà, rivolgendosi alla polizia e spiando legalmente i dipendenti.

Lo sfruttamento e le misere condizioni di lavoro portano ad un alto numero di incidenti sul lavoro – 4.000 nel 2012, di cui 215 mortali. Anche in questo caso, il numero reale è probabilmente più alto, dal momento che molti di questi incidenti non vengono nemmeno registrati come “incidenti sul lavoro” (poiché il datore di lavoro verrebbe costretto a pagare i danni ai lavoratori o alle loro famiglie). Di nuovo, questo succede perché la classe lavoratrice non è sindacalizzata, succede a causa della spaventosa corruzione e della fraterna combutta tra Stato e classe padronale. (Alcuni media sono riusciti a far emergere come funziona questa fraterna combutta: nel 2010, è venuto fuori che alcuni alti funzionari dell’Ispettorato del Lavoro hanno preso mazzette dalle imprese a nome del partito al governo per coprire degli abusi contro i dipendenti). Il fatto è che il piano di austerità imposto dallo Stato è stato un attacco brutale contro i lavoratori, dal momento che ha artificialmente creato un tasso di disoccupazione che viene usato per spaventare i lavoratori ed indurli a lavorare di più ed ha reso più facili i licenziamenti per garantire più alti profitti, cosa che consente alle imprese di assumere poi altri dipendenti a salari pesino più bassi. Questo artificiale tasso di disoccupazione, creato dallo Stato a beneficio della classe padronale, diventa un potente strumento disciplinare che impedisce ai lavoratori di sindacalizzarsi e mette nella mani dei datori di lavoro i mezzi per tenere i salari al più basso livello possibile.

Lo scopo della “austerity” nel creare un alto tasso di disoccupazione era anche quello di paralizzare ogni possibile resilienza popolare nel momento in cui ci sarebbero stati ulteriori tagli agli stipendi nel settore pubblico ed in quello privato, sui redditi degli insegnanti, dei dottori, degli studenti, dei pensionati, contemporaneamente ad un brutale aumento dell’IVA di 5 punti fino al tetto del 24% su tutti i beni ed i servizi.  Tutti provvedimenti giustificati “in nome della crisi”, tramite una montagna di bugie ed una furiosa propaganda ideologica da parte dei media controllati dal padronato, sebbene ad un certo punto nel marzo 2009, il presidente rumeno, che aveva guidato l’attacco al mondo del lavoro, giunse ad ammettere che il paese aveva bisogno di un grosso prestito (€20 miliardi, cioè un 1/5 del PIL, quasi 4 volte di più di quanto realmente necessario, come riconosciuto da alcuni banchieri) allo scopo  “di dare alle banche ed alle imprese una chance”. Tutte queste misure contro il mondo del lavoro e contro i salari hanno in ultima analisi portato alle stelle il costo della vita, che tradotto significa che oggi metà del paese vive in condizioni di povertà. Le statistiche indicano che 1/5 dei lavoratori dipendenti non riesce più a vivere col proprio salario e vive in assoluta povertà, sebbene la realtà potrebbe essere persino peggiore.

Inoltre, lo Stato ha chiuso d’ufficio almeno 1.300 scuole (su 3.000 chiusure pianificate) ed 1/4 degli ospedali, per creare le condizioni verso una totale privatizzazione dell’istruzione e della sanità. I trasporti pubblici sono quasi tutti privatizzati, lo Stato sta ora cercando di vendere anche le Ferrovie e le Poste. I servizi sono quasi tutti privatizzati, senza che per questo si sia creato nulla di quella promessa di “libera competizione di mercato per abbassarne i prezzi”, invece i prezzi dei servizi sono in costante crescita, visto che lo Stato ha effettivamente creato monopoli privati territorialmente separati. Durante questa povertà pianificata imposta dallo Stato, che viene chiamata “austerity”, i prezzi hanno continuato a crescere in modo insostenibile, specialmente quelli degli alimentari e dei servizi, rendendo il costo della vita insostenibile e costringendo le persone a fare più lavori o a lavorare strenuamente. Il tasso dei suicidi è cresciuto drammaticamente. Nel 2011, uno studio dell’UNICEF su 30 paesi ha rivelato che la Romania ha il più alto tasso di bambini che vivono in povertà.

La propaganda di Stato, per far passare sui lavoratori la povertà pianificata, è stata incentrata un giorno sì ed un giorno no sulla stigmatizzazione dei lavoratori: i politici li hanno accusati senza sosta di essere “pigri”, mentre lor signori si concedono più spesa pubblica per finanziare i loro sponsors nel settore privato e per far sì che gli apparati della polizia antisommossa e dei servizi segreti siano ben retribuiti. L’intera situazione può ben essere illustrata dal tormentone scandito dal popolo che ha protestato nelle strade, per settimane di fila, durante il duro inverno del 2012, contro gli abusi, contro la corruzione diffusa e contro la povertà indotta: “Perdonateci per favore: noi non riusciamo a produrre tanto quanto voi rubate”. La realtà è che la classe lavoratrice rumena è la più sfruttata d’Europa: per il più alto numero di ore lavorate (legalmente dovrebbero essere 8 ore al giorno, ma tutti gli studi parlano di 10-12 ore effettive di lavoro, a volte anche durante la fine settimana), e per i peggiori salari in Europa, mentre il costo della vita è comparabile (se non più alto in certe zone) con quello dell’Europa Occidentale.

La classe lavoratrice non è sindacalizzata, nel settore privato i sindacati non esistono, e quelli nel settore statale sono esclusivamente sindacati “gialli”. I sindacati “gialli” sono altamente responsabili dello stato di disaffezione che si sta diffondendo tra i lavoratori rumeni. Sebbene sia un fattore cruciale, non è questo il fattore più pernicioso nella terribile situazione della classe lavoratrice. Ancora peggio della mancanza di sindacati è la mancanza di coscienza dei lavoratori della loro condizione reale: una condizione di persone costrette a lavorare per un salario, di cui i 2/3 se ne vanno per la mera sopravvivenza. Tuttavia, la maggior parte dei lavoratori si identifica nella condizione di consumatori, nel tentativo di sfuggire alla generale denigrazione della classe lavoratrice, quale risultante da decenni di propaganda statale, politica, mediatica e culturale. Quanto prima le persone prenderanno coscienza della loro condizione di lavoratori, di schiavi salariati, e ne coglieranno le cause, tanto prima dissolveranno la cortina fumogena delle illusioni imposte loro dal capitalismo e meglio riusciranno a cercarsi ed a trovarsi l’un l’altro, ad organizzarsi ed a ribellarsi, nella solidarietà, nella lotta per l’emancipazione. Cosa difficile, perché la propaganda capitalista domina su tutti i media, ma non impossibile. Ci sono i modi per informarsi sulla vera storia della classe lavoratrice e delle sue lotte, per informarsi sugli sviluppi in corso tra le classi lavoratrici di altri paesi, sui modi migliori per sindacalizzarsi ed organizzarsi. Non c’è nessun altro modo per la classe lavoratrice per sollevarsi, organizzarsi e lottare per se stessa.

IASR – Iniziativa Anarco-Sindacalista di Romania

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali

Verwandter Link: http://iasromania.wordpress.com

Catastroika.

“Catastroika- Privatisation Goes Public” è un documentario greco del 2012, realizzato da Aris Chatzistefanou e Katerina Kitidi, che tratta il tema delle privatizzazioni di servizi pubblici. Prodotto con un budget limitato, ha raggiunto milioni di persone grazie anche alla sua distribuzione su internet attraverso canali gratuiti. L’analisi del documentario mette in relazione crisi economica, ideologia neoliberista, autoritarismo e privatizzazioni, spiegando dinamiche e conseguenze di un processo tutt’ora in corso non solo in Grecia. Quella che potrebbe sembrare a prima vista una presa di posizione in favore del monopolio statale su determinati settori dell’economia si rivela essere (specialmente nella parte finale dell’opera) un’invito ad una maggiore democratizzazione dell’economia in chiave partecipatoria, concetto a mio parere valido e interessante, ma poco sviluppato in questa occasione dagli/lle autori/trici del documentario.  Nella versione che ho deciso di pubblicare qui, è possibile attivare i sottotitoli in diverse lingue selezionando quella preferita cliccando sulla prima icona che si trova in basso a destra nella schermata del video. Buona visione e, come sempre, se vi piace diffondete!

(Ancora) sull’astensionismo elettorale: botta e risposta.

Ho deciso di elencare alcune delle obiezioni che vengono rivolte più spesso nei confronti di chi afferma di non voler votare, corredate da quelle che sarebbero le mie risposte se tali obiezioni venissero rivolte a me personalmente- cosa che a volte è avvenuta…

-“Se non voti lasci che altri decidano chi ti deve governare”. Se invece andassi a votare eleggerei persone che in gran parte non rispettano il programma elettorale proposto agli/lle elettori/trici e che comunque non mi consultano prima di prendere decisioni, o meglio prima di ratificare decisioni prese altrove, insomma deciderei proprio che siano gli altri a governarmi senza nemmeno sapere fino in fondo chi sono questi “altri”. Inoltre se votassi non è detto che i delegati da me votati (nel caso vengano eletti!) riuscirebbero a far parte di un governo o perlomeno a influenzare le decisioni prese dal governo del quale non fanno parte. Se poi dovessero veramente formare un governo mostrerebbero il loro vero volto di burocrati aserviti alle esigenze del sistema economico. La democrazia rappresentativa è in teoria, tra le altre cose, una dittatura della maggioranza- nei fatti rappresenta solo un paravento per l’oligarchia che in realtà ci domina e decide per noi.

“Non votare non serve a cambiare le cose, col voto si può almeno provare”. Quante volte abbiamo/avete provato a cambiare le cose col voto? A cosa è servito? Solo a legittimare il potere delle istituzioni e le loro scelte che vanno in direzione opposta ai nostri interessi! Per cambiare qualcosa si deve agire in prima persona, non delegare ad altri il cambiamento. È chiaro che astenersi dal votare senza fare altro non serve, si deve andare oltre agendo in prima persona, proponendo in concreto alternative al sistema vigente e fornendo risposte pratiche alle nostre esigenze, cosa che i politicanti rinchiusi nei palazzi del potere mai hanno fatto né mai faranno.

“I nostri avi/ i partigiani sono morti perchè noi potessimo vivere in un sistema democratico. Votare significa anche onorare il loro sacrificio”. I nostri avi sono morti in tanti modi e per tanti motivi diversi. Molti sono morti sul lavoro, oppure di miseria e stenti o si sono suicidati perchè non avevano speranza nel futuro, altri sono stati uccisi dalla repressione e dalle galere, molti sono morti in guerre volute dai vari governanti degli Stati nei quali vivevano. Usare genericamente i morti per propagandare la scelta del voto mi sembra una cosa miserabile. In quanto ai partigiani, anch’essi erano tra loro diversi ed hanno combattuto per la liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista portando avanti istanze diverse. C’erano repubblicani e monarchici, liberali e democristiani che volevano una (pseudo)democrazia in stile occidentale forzatamente condizionata dagli interessi statunitensi e comunisti che spesso si battevano per un regime su modello di quello sovietico, ma anche opportunisti che non disdegnavano un modello di governo autoritario solo in parte diverso dal fascismo che non avrebbe avuto bisogno nei fatti di conferme elettorali da parte del popolo e che si erano rivoltati contro il fascismo di Mussolini solo quando la guerra aveva preso una brutta piega. I partigiani che rappresentarono valori ai quali io mi sento vicino sono quelli che combatterono contro il nazifascismo ma che non accettarono l’occupazione americana, che sognavano una società libera senza sfruttati né sfruttatori e che non avevano certo rischiato o addirittura perduto le loro vite per una qualsiasi democrazia rappresentativa puramente simbolica con tutte le sue ipocrite costituzioni, istituzioni e autorità.

– “Il voto è servito a ottenere diritti civili e conquiste progressiste… Il diritto di voto stesso è una conquista civile!”. Le conquiste di diritti, per quanto parziali e pur sempre revocabili (revocabili da chi? Ma da governi “democraticamente” eletti!), sono state ottenute con lotte dure nei posti di lavoro, nelle scuole, per le strade, nella cosiddetta società insomma. Il parlamento le ha tutt’al più trasformate in leggi, smorzandone le reali potenzialità emancipatorie. Attraverso il processo di istituzionalizzazione delle rivendicazioni emancipatorie, queste perdono la loro carica rivoluzionaria e vengono integrate in un ambito comodo al sistema, ambito che contempla ovviamente anche il tanto decantato diritto di voto che serve in fondo solo a legittimare i governi nelle loro scelte nefaste ed antipopolari e può far esclamare ai governanti “se sto qui è perchè la maggioranza degli/lle elettori/trici mi ha votato!”.

– “La peggiore delle democrazie è pur sempre meglio della migliore delle dittature”. A ben guardare l’unica differenza è che almeno in una dittatura i sudditi hanno ben chiara la natura del sistema nel quale vivono e non vengono presi in giro dicendogli che godono della libertà di scelta e che il potere è nelle loro mani. Oltretutto non è raro che i confini tra dittature e governi cosiddetti democratici siano piuttosto sfumati e si basino su dettagli di forma. La scelta del meno peggio porta sempre al peggio e ci porta pure ad accettarlo, “non si sa mai, potrebbe andare peggio!”…che tristezza!

– “Se non vai a votare alcuni candidati verranno eletti lo stesso e un governo verrà formato, con o senza il tuo consenso. In più le schede nulle o bianche vengono conteggiate come premio di maggioranza per la coalizione vincitrice, in pratica se non voti regolarmente fai un favore al partito/coalizione che prende più voti”. Questa affermazione mostra implicitamente che il mio voto in pratica non vale una sega. Va da sè che governi vengono comunque formati senza il mio consenso. Per quanto riguarda l’annoso problema del “come astenersi”, devo ammettere di non sapere esattamente quale sia il più efficace. Esistono diatribe infinite sul web tra chi sostiene la tesi dei voti nulli distribuiti come premio di maggioranza e chi dice che ciò non sia vero, c’é chi cita leggi e chi con leggi controbatte, mentre c’é chi informa su come rendere ufficiale la propria astensione rifiutando la scheda presso il seggio- anche qui discussioni infinite sull’efficacia e sulla fattibilità di questo metodo. Personalmente, da quando ho deciso di non votare, non ho proprio messo piede in un seggio elettorale, ma a questo giro m’hanno spedito direttamente a casa il kit del “perfetto cittadino che fa il suo dirittodovere” con annessi certificato elettorale, schede e busta preaffrancata per rispedire il tutto, visto che secondo la legge sarei un cittadino italiano residente all’estero. Non ho ancora deciso se smaltire il tutto nel bidone della spazzatura previo stracciamento o se rispedire al mittente la scheda dopo averci scritto sopra qualcosa di più significativo di tutte le obiezioni all’astensionismo che ho sentito finora. Una frase breve ma molto significativa ce l’ho già in mente: “I MIEI SOGNI NON ENTRERANNO MAI IN UN’ URNA ELETTORALE”.

Grilli parlanti e specchietti per le allodole.

Occuparmi di fatti e misfatti legati ai diversi partiti politici italiani o esteri normalmente non m’interessa, anche se su tali strutture ci sarebbe molto e ben poco di buono da scrivere. Il fatto è che ritengo i partiti appendici del sistema economico, politico e sociale dominante, perciò preferisco criticare direttamente il sistema che li genera e che essi alimentano, così come preferisco, anche se ancora non l’ho fatto in modo approfondito su questo blog (ma mi riprometto di rimediare al più presto), sottolineare il fatto che la democrazia rappresentativa è un ossimoro in quanto democrazia reale non è, pertanto votare significa prendere in giro se stessi, illudersi e fare il gioco di chi ci domina non solo con la violenza nuda e cruda, ma anche e soprattutto con forme di condizionamento che mirano a mantenerci schiavi servili ed anestetizzati che non capiscono quanto sia indispensabile agire in prima persona senza deleghe per lottare contro ogni forma di dominio e sfruttamento. Mi rendo conto che è difficile per la maggior parte delle persone realizzare tutto ciò, mentre è infinitamente più semplice riporre fiducia in chi promette di risolvere i problemi che ci affliggono in cambio della delega ad agire in nostro nome, dicendoci magari che anche noi parteciperemo alla gestione della cosa pubblica una volta vinte le elezioni- una balla vecchia come il mondo, ma a quanto pare ancora efficace, specialmente se enunciata da personaggi carismatici, buoni oratori capaci di puntare il dito su categorie ritenute “colpevoli” dei problemi del Paese da una parte sostanziosa della popolazione proponendo, anche se in modo confuso, soluzioni che appaiono realistiche suonando al tempo stesso innovative. Ma tra tutti questi personaggi perchè ho deciso in questo post di parlare proprio di Beppe Grillo, fondatore del “MoVimento 5 Stelle”? Proprio perchè in lui e nel suo movimento molte persone sfiduciate dalla classe politica, nauseate dalla corruzione e dal malaffare e stufe che le proprie esigenze vengano ignorate hanno deciso ingenuamente di riporre la propria fiducia. Grillo è stato abile nel raccogliere consensi in pratica sparando sulla croce rossa, come si usa dire, cioè attaccando innanzitutto la “casta” dei politici, ma dimenticando che di “caste” ce ne sono tante altre, ben più importanti, dimenticando ad esempio che chi governa in parlamento lo fa per conto di chi detiene il potere economico; ha giustamente criticato la corruzione ed il malaffare, senza però dire che questi fenomeni sono intimamente legati al concetto stesso di potere, che di per sé è un abuso da parte di chi lo esercita nei confronti di chi lo subisce; ha fatto del giustizialismo e della legalità uno dei suoi cavalli di battaglia piuttosto che interrogarsi seriamente sulle origini del malessere sociale dal quale nascono comportamenti devianti, ma anche sui concetti stessi di comportamento deviante, legge, punizione; ha gridato allo scandalo di fronte ai numerosi casi saliti agli onori mediatici di cittadini morti nelle mani della polizia ma non ha saputo trattenersi dal fare battute che rivelano la sua vera natura forcaiola.

In tempo di crisi e non solo, sono spesso gli immigrati ad esser visti come causa di tutti i problemi: poteva esimersi il comico genovese dal cavalcare anche questa tigre? Certo che no, infatti non risparmia prese di posizione nei confronti dei tanto detestati rom, né fa sconti a quello che lui definisce “buonismo” nei confronti degli immigrati scatenando feroci polemiche all’interno del suo stesso movimento, ignorando che le vere cause dei fenomeni migratori di massa sono solitamente legate alla predazione di molti Paesi del “terzo mondo” da parte dei potentati economici dei Paesi “ricchi”: va di moda voler negare la libertà di circolazione degli individui in un’epoca di libera circolazione delle merci, specialmente se si tratta di individui che potrebbero minare alla radice il nostro stile di vita ancor più che la nostra cultura, non importa se il nostro stile di vita si basa sulla loro miseria. Le dichiarazioni inquietanti di esponenti del M5S su immigrazione e cittadinanza agli immigrati si uniscono ad altri atteggiamenti per nulla democratici all’interno del movimento stesso e a prese di posizione difensive nei confronti di movimenti di estrema destra, ma ciò a mio parere non basta di certo a paragonare il M5S al partito neonazista greco Alba Dorata. Rimane però l’impressione di un movimento animato da istanze in molti casi contrapposte, con un programma vago ed una volontá di controllo assoluto, il che ricorda in qualche modo -fermo restando le differenze- un certo movimento nato in Italia nel 1919, il cui fondatore affermava di potersi permettere, secondo le circostanze, d’essere repubblicano o monarchico, anticlericale o clericale, e via dicendo… Accusare di populismo chi ha simili atteggiamenti non mi pare una calunnia, anche se ormai l’accusa di populismo è abusata e viene rivolta praticamente a chiunque presti orecchio a quella che genericamente viene definita “volontà popolare”. Si deve comunque prendere atto che le dichiarazioni e prese di posizione delle quali ho parlato sopra meriterebbero un’attenta riflessione da parte di chi, con precoce entusiasmo, saluta la nascita di partiti o movimenti apparentemente innovatori, portatori magari di istanze in parte valide (si pensi anche alla presa di posizione di Grillo contro TAV, termovalorizzatori, a favore delle energie rinnovabili…), ignorando però ogni critica per quanto costruttiva alle proprie idee ed al proprio operato e dimenticando che, alla fin fine, la contraddizione più grande è proprio quella di chi a parole attacca una “casta” ma ambisce, presentandosi alle elezioni, a farne in qualche modo parte, grazie anche al seguito di ingenui che non hanno ancora imparato a rifiutare qualsiasi condottiero e capo smettendola finalmente di comportarsi come una lunga fila di zeri in trepidante allesa dell’uno che si porrà alla loro guida.

– Conterò poco, è vero:
– diceva l’Uno ar Zero –
ma tu che vali? Gnente: propio gnente.
Sia ne l’azzione come ner pensiero
rimani un coso voto e inconcrudente.
lo, invece, se me metto a capofila
de cinque zeri tale e quale a te,
lo sai quanto divento? Centomila.
È questione de nummeri. A un dipresso
è quello che succede ar dittatore
che cresce de potenza e de valore
più so’ li zeri che je vanno appresso.”

(Nummeri, poesia di Trilussa- 1944).

Sulla rivolta sociale in corso in Slovenia.

Fonte: Anarkismo, pubblicato il 18/12/2012.

 

” Rivolta di massa in Slovenia

La scintilla ha acceso la rivolta contro l’elite politico-economica e contro l’intero sistema capitalistico

La Slovenia è scossa dalla prima rivolta di massa degli ultimi 20 anni e dalla prima rivolta in assoluto contro il sistema politico, contro le politiche di austerity, tanto che in alcune città sta assumendo un carattere anti-capitalista.

In meno di tre settimane ci sono state 35 manifestazioni in 18 città, dove più di 70.000 persone sono scese in piazza insieme. Le manifestazioni si sono spesso trasformate in scontri con la polizia che cerca di reprimerle violentemente. 284 persone sono state arrestate, alcune sono state rilasciate, altre no. Molti sono i feriti.

Tutto è iniziato a metà di novembre con le persone che protestavano contro il corrotto sindaco della seconda città della Slovenia, Maribor (già dimessosi). Lo slogan che scandivano era Gotof je (sei finito) che è stato poi utilizzato contro quasi tutti i politici sloveni. In pochi giorni le proteste si sono diffuse in tutto il paese. Stanno diventando sempre più il canale tramite cui le persone esprimono la rabbia verso le condizioni generali in cui versa la società: niente lavoro, nessuna sicurezza, nessun diritto, nessun futuro.

Le manifestazioni sono decentrate, antiautoritarie e non gerarchiche. Ci sono persone che non hanno mai preso parte ad una manifestazione prima d’ora. Ci sono manifestazioni in villaggi e città in cui non si era mai vista una sola protesta fino ad oggi. Le persone stanno creando nuove alleanze, diventano compagni di lotta e sono determinate ad andare avanti fino a che serve. Non sappiamo per quanto riusciranno a restare nelle strade. Ma una cosa è sicura. Le persone stanno sperimentando il processo di emancipazione e stanno acquistando quella voce che gli era stata sempre strappata con la violenza nel passsato. E questo è qualcosa che nessuno gli può più togliere. Qui sotto il comunicato dei gruppi della Federation for Anarchist Organizing (FAO).


 

Nessuna discriminazione, sono tutti finiti!

Negli ultimi giorni la storia ci è caduta addosso con tutta la sua forza. La rivolta a Maribor ha dato inizio a ciò che solo pochissimi immaginavano fosse possibile: il popolo auto-organizzato che mette lo sceriffo locale all’angolo, quindi lo costringe a fuggire in disgrazia. Questa è stata la scintilla che ha acceso una rivolta ancora più grande contro l’elite politico-economica e contro l’intero sistema capitalistico. Noi non abbiamo la sfera di cristallo per sapere cosa succederà, ma ciò di cui siamo certi è che non possiamo aspettarci nulla da romanticherie e atteggiamenti naif, ma possiamo attenderci molto dall’organizzazione e dal coraggio.

Dal basso verso l’alto e dalla periferia verso il centro

Mentre le proteste si diffondevano in tutto il paese, si trasformavano in crescente rivolta contro l’elite al potere e contro l’ordine esistente. Persone di ogni regione stanno usando creativamente i loro dialetti per esprimere lo stesso messaggio ai politici: voi siete tutti finiti. Il carattere decentralizzato della rivolta è uno degli aspetti chiave degli eventi succedutisi. Un altro aspetto è il fatto che l’intero processo fin qui sviluppatosi è del tutto dal basso; non ci sono dirigenti dal momento che le persone non sono rappresentate da nessuno. Al fine di difendere questa solidarietà tra le persone ed al fine di impedire che la rivolta venga recuperata dalla classe politica, è esattamente il decentramento che dobbiamo difendere, promuovere e rafforzare!

Polizia ovunque, giustizia da nessuna parte

Che la polizia si mostri brutale verso le proteste è cosa che non dovrebbe sorprendere. Ciò che sorprende sono le illusioni di guadagnarsi l’appoggio della polizia. E’ vero che la polizia non è l’obiettivo primario di questa rivolta e che lo scontro tra la polizia ed manifestanti non ne costituisce l’unico e definitivo orizzonte. Il bersaglio del popolo in questo conflitto è la classe politica e capitalista ed il sistema nella sua globalità. Tuttavia è anche assolutamente vero che la polizia non è nostro alleato ed in ragione del ruolo che essa svolge all’interno del sistema non potrà mai ed in nessun modo essere alleata di questa rivolta. Non ce lo dimentichiamo: la polizia fa parte dell’apparato repressivo dello Stato. La sua funzione strutturale è quella di difendere l’ordine esistente e gli interessi della classe dominante. Non ha importanza quanto possano essere sfruttati gli individui in uniforme! Finché eseguono gli ordini dei loro superiori essi restano poliziotti e poliziotte. Solo quando si sottraggono a questi ordini, potranno diventare parte della rivolta.

Nutrire qualsiasi illusione sul fatto che la polizia possa stare dalla nostra parte è dunque essere naif fino all’estremo. L’intervento della polizia su queste manifestazioni degli ultimi giorni è stato davvero così non problematico come qualcuno lo dipinge e davvero a favore del popolo in strada? Abbiamo già dimenticato la brutale repressione delle proteste a Maribor e le minacce di Gorenak (ministro degli interni) di dare la caccia a tutti gli organizzatori delle proteste “illegali”?

Non siamo sorpresi nemmeno dal moralismo che si fa sui “rivoltosi” e sulla “violenza”, che si è sviluppato sui social network. il Governo ed i media ci hanno lanciato l’osso e qualcuno c’è subito cascato. Ma cosa sono alcune decine di vetrine rotte, una porta del municipio abbattuta ed i sanpietrini divelti da una strada in confronto alla violenza strutturale dello Stato? Una gioventù senza futuro, la disoccupazione, la precarietà, la riduzione della scolarità, la riduzione dei pasti nelle scuole pubbliche, il decremento di assistenza negli asili, i tagli alla sanità, i tagli ai fondi per la formazione e la ricerca, l’allungamento forzato dell’età pensionabile, il taglio di salari e pensioni, la riduzione delle ferie, il taglio all’edilizia popolare, gioventù forzata a vivere in appartamenti in affitto o con i genitori fino ad età adulta, negazione di ogni diritto agli omosessuali, ai migranti, alle donne ed alle persone la cui origine sociale non rientra tra le religioni e le etnie maggioritarie e molto altro ancora. Per non parlare della corruzione, del nepotismo, del clientelismo e della criminalità della classe dominante. Ci costringono a lavorare di più, ma i frutti del nostro lavoro finiscono sempre nelle mani della classe capitalista. Questo sfruttamento è ciò che costituisce il cuore di questo sistema. Diteci ora, chi commette violenza contro chi? Come osare condannare persone a cui è stato rubato ogni futuro? La gioventù è arrabbiata e non ha niente da perdere. Basta col condannarli; dobbiamo insieme rimettere a fuoco i problemi reali.

Ancora più pericolosi sono i vari appelli per l’auto-repressione e per la cooperazione con la polizia. Non dobbiamo già fare i conti con inaccettabili livelli di sorveglianza, con l’uso delle telecamere e con la repressione? Ci vengono a proporre costoro di aiutare la polizia nella caccia ai “rivoltosi”, consegnarli alla polizia e quindi escludere tanti giovani dalla rivolta a cui hanno contribuito in modo significativo? Cooperare con la polizia significa spararci sui piedi e condannare i giovani che esprimono le loro posizioni in modo più diretto significa divenire strumentali al blocco di ulteriori sviluppi del potenziale di questa rivolta.

Oggi infrangere una vetrina è un atto che viene definito violento dalle autorità. Ma deve essere chiaro che lo stesso metro può essere ben presto applicato a tutte le forme di protesta che non saranno approvate o permesse dalle stesse autorità, che non saranno abbastanza passive e perciò non saranno completamente benevoli. Che sia chiaro agli occhi di questo sistema che ci umilia, che ci deruba e ci reprime anno dopo anno, che siamo tutti rivoltosi. Ancora una volta ribadiamo la nostra piena solidarietà a tutti gli arrestati, chiediamo il loro immediato rilascio, chiediamo di mettere fine alla persecuzione giudiziaria e mediatica nei loro confronti e che vengano resi nulli i provvedimenti amministrativi e le sanzioni emesse a carico delle persone che hanno partecipato alle proteste.

Potere al popolo, non ai partiti politici

Dopo l’iniziale esplosione della rivolta, quando la creatività delle masse si è pienamente manifestata, si è aperto anche un nuovo spazio per la riflessione strategica. Se vogliamo che la rivolta si sviluppi in direzione di un movimento sociale con concrete rivendicazioni, scopi e prospettive, dobbiamo trovare modalità per articolare queste stesse rivendicazioni, che sono già espresse nella rivolta, e pervenire alla forma organizzativa che possa rendere possibile questo processo. Altrimenti la rivolta entrerà rapidamente in agonia e le cose resteranno come sempre.

Per quanto riguarda le rivendicazioni dobbiamo precedere passo dopo passo ed iniziare coll’assumere quelle che sono già state espresse dalla rivolta. Sicuramente dobbiamo preservare quelle strutture del welfare come la sanità e l’istruzione. Dobbiamo anche preservare gli esistenti diritti dei lavoratori. Detto questo dobbiamo altrettanto chiaramente dichiarare che non stiamo lottando per la preservazione del vecchio sistema. Se non possiamo permettere che ci vengano tolti i diritti che abbiamo conquistato con le lotte del passato, dobbiamo altresì mantenere una prospettiva strategica di fondo. Finché esisteranno il capitale e lo Stato, resteranno anche i progetti di sfruttamento e di oppressione nel sistema scolastico, nella sanità ed in tutto il sistema del welfare. Ecco perché dobbiamo auto-organizzarci in queste strutture e non solo negoziare per le briciole. I diritti non sono garantiti per sempre, bisogna conquistarseli con la lotta!

Un segmento della corrotta elite politica si accorgerà forse che nei fatti sono tutti finiti ed abbandoneranno lo scenario politico. Ma ben presto verranno sostituiti da nuovi politici che nuovamente, senza ottenere alcuna legittimazione popolare, prenderanno delle decisioni in nostro nome. I loro interessi non sono i nostri, e ce lo dimostrano ogni giorno i numerosi esempi di nepotismo, di corruzione e di riforme anti-crisi che ci stanno spingendo sempre di più ai margini della società ed oltre.

Ecco perché se ne devono andare via tutti, dal primo all’ultimo. Sarebbe molto ingenuo e naif credere che da qualche parte ci sono politici puri e non corrotti, politici che hanno nel loro cuore nient’altro che il nostro interesse, politici che ci porterebbero fuori dalla crisi e che attendono solo che noi li si voti alle prossime elezioni. E’ il sistema politico ed economico con le sue caratteristiche autoritarie e gerarchiche che rende impossibile poter vivere in modo non alienato e secondo i nostri desideri ed i nostri bisogni. Finché ci sarà il capitalismo, finché una minoranza governa sulla maggioranza e ci spinge ai margini della vita sociale ed economica, le nostre non saranno che vite vuote. Se non resistiamo e se non lottiamo per l’alternativa, ci sarà sempre qualcuno che governerà per noi; i patriarchi nelle famiglie, i decani e la burocrazia studentesca nelle università, i padroni sul lavoro ed i politici al governo. La falsa democrazia che ci offrono in forma di elezioni non è l’unica forma possibile di organizzare la nostra vita sociale.

Organizziamoci lì dove viviamo, dove lavoriamo e dove studiamo

Se vogliamo che questa rivolta e le sue rivendicazioni producano un vero potere sociale, dobbiamo auto-organizzarci. Quando parliamo di organizzazione della rivolta, pensiamo necessariamente a forme che sono diverse dalle modalità di organizzazione socio-politica a cui siamo adusi. Dobbiamo organizzarci dal basso, senza gerarchie e dirigenti; ovunque siamo sfruttati ed oppressi: nei nostri quartieri, nei posti di lavoro, nelle istituzioni della formazione. I contadini dovrebbero unirsi in cooperative; le cooperative dovrebbero connettersi con l’ambiente urbano. L’auto-organizzazione dovrebbe essere spontanea e creativa; dovrebbe sviluppare libere relazioni e stabilire strutture che favoriscano la piena emancipazione degli individui. Dovrebbe seguire i principi della democrazia diretta, della mutua solidarietà, dell’anti-autoritarismo e dell’anti-fascismo.

Quale metodo iniziale per organizzarci suggeriamo l’istituzione di assemblee a democrazia diretta che sono state la prassi dei movimenti insorgenti in tutto il mondo negli ultimi due anni. Possiamo organizzarci localmente in piccoli gruppi ed insieme dare forma al futuro riconoscendo i nostri bisogni e quindi i bisogni delle città e dei villaggi. Insieme possiamo avanzare proposte e scoprire le nostre potenzialità, tanto da accorgerci che siamo noi stessi capaci di realizzare più o meno tutto della nostra vita. Questo è come costruiremo un’unità fatta di fratellanza e sorellanza, in cui ci sia abbondanza per tutti, ma nulla per coloro che vorrebbero governarci.

Il passo successivo potrebbe essere il coordinamento mutualistico di questi gruppi e la stabilizzazione di nuove forme di organizzazione di questa rivolta dispersa ed in evoluzione. Suggeriamo che, sulla base dei nostri principi comuni, ci si unisca in un fronte di gruppi, di organizzazioni e di individualità. Questo fronte dovrebbe essere ideologicamente aperto, inclusivo e basato su rivendicazioni comuni. Dovrebbe essere un fronte organizzato orizzontalmente, senza organismi centrali e senza burocrati; e basato sull’autonomia degli individui e su un processo decisionale fondato sulla democrazia diretta.

Invitiamo tutti i gruppi, le organizzazioni e le individualità che si ritrovano con queste proposte ad organizzarsi nelle loro comunità locali in assemblee aperte, che possano più tardi connettersi l’un l’altra. Riprendiamoci le nostre vite tutti insieme!
Dalle strade e dalle piazze, 6 dicembre 2012

Federation for Anarchist Organizing (FAO), Slovenia

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.

http://a-federacija.org inter@a-federacija.org

 

Cronologia della rivolta

(Città, data, numero di partecipanti, numero di arresti, numero di feriti):Maribor (Marburgo), mercoledì, 21 novembre, 1.500 persone
Maribor, lunedì, 26 novembre, 10.000 persone, 31 arresti (tutti rilasciati il giorno seguente)
Lubiana, martedì, 27 novembre, 1.000 persone
Jesenice, mercoledì, 28 novembre, 200 persone
Kranj (Cragno), giovedì, 29 novembre, 1.000 persone, 2 arresti
Lubiana, venerdì, 30 novembre, 10.000 persone, 33 arresti, 17 feriti
Koper (Capodistria), venerdì, 30 novembre, 300 persone
Nova Gorica (Nuova Gorizia), venerdì 30 novembre, 800 persone
Novo Mesto (Nova Urbe), venerdì 30 novembre, 300 persone
Velenje, venerdì 30 novembre, 500 persone
Ajdovščina (Aidussina), venerdì 30 novembre, 200 persone
Trbovlje, venerdì 30 novembre, 300 persone
Krško, sabato, 1 dicembre, 300 persone
Maribor, lunedì, 3 dicembre, 20.000 persone, 160 arresti, 38 feriti
Lubiana, lunedì, 3 dicembre, 6.000 persone
Celje (Cilli), lunedì, 3 dicembre, 3.000 persone, 15 arresti
Ptuj (Poetovio), lunedì, 3 dicembre, 600 persone
Ravne na Koroškem, lunedì, 3 dicembre, 500 persone
Trbovlje, lunedì, 3 dicembre, 400 persone
Jesenice, martedì, 4 dicembre, 300 persone, 41 arresti
Brežice, martedì, 4 dicembre, 250 persone
Lubiana, mercoledì, 5 dicembre, protesta degli studenti davanti alla Facoltà di Arti, 500 persone
Lubiana, giovedì, 6 dicembre, protesta degli studenti davanti al parlamento, 4.000 persone
Koper, giovedì, 6 dicembre, 1.000 persone, 2 arresti
Kranj, giovedì, 6 dicembre, 500 persone
Izola (Isola d’Istria), giovedì, 6 dicembre, 50 persone
Murska Sobota, venerdì, 7 dicembre, 3.000 persone
Bohinjska Bistrica, venerdì, 7 dicembre, 50 persone
Ajdovščina, venerdì, 7 dicembre, 150 persone
Lubiana, venerdì, 7 dicembre 3.000 persone
Nova Gorica, sabato, 8 dicembre, 300 persone
Brežice, domenica, 9 dicembre 200 persone
Lubiana, lunedì, 10 dicembre, 100 persone
Maribor, lunedì, 10 dicembre, 200 persone (protesta di solidarietà per i fermati)
Ptuj, lunedì, 10 dicembre, 200 persone

ANNUNCIATE:

Lubiana, giovedì, 13 dicembre
Maribor, venerdì, 14 dicembre
SLOVENIA (in ogni città), 21 dicembre

La polizia fa parte dell'apparato repressivo dello Stato. La sua funzione strutturale è quella di difendere l'ordine esistente e gli interessi della classe dominante.

Quale metodo iniziale per tale organizzazione suggeriamo l'istituzione di assemblee a democrazia diretta che sono state la prassi dei movimenti insorgenti in tutto il mondo negli ultimi due anni.

Vedi anche:

-Radio Blackout, “Rivolta sociale in Slovenia”, con intervista a due compagni di Maribor.

La vera natura della crisi economica.

Qual’è la vera natura della crisi economica attraversata attualmente dal sistema capitalista? Di sicuro molti di voi avranno sentito innumerevoli spiegazioni a riguardo, tesi diverse e spesso contrastanti a seconda di chi le propone, in buona fede o meno. È colpa della natura umana, dell’egoismo e dell’istinto predatorio? Oppure le istituzioni preposte al controllo ed alla regolamentazione del mercato e della finanza non hanno agito come avrebbero dovuto ed ora occorre riformarle per evitare nuovi disastri? Hanno ragione gli economisti keynesiani-trattino-socialdemocratici, quando dicono che lo Stato dovrebbe avere più controllo sull’economia, o i loro avversari neoliberisti, che sostengono che le cause della crisi siano da ricercare nell’intromissione degli Stati in quello che dovrebbe essere un mercato veramente libero e deregolamentato basato interamente sull’iniziativa dei privati? Le radici della crisi risiedono nella cultura e nella mentalitá di questo o quell’altro Paese? A mio parere nessuna di queste spiegazioni può ritenersi soddisfacente, anche se ognuna di esse potrebbe contenere un fondo di veritá. Quello che sfugge ai piú, o che non si vuole ammettere perché significherebbe ammettere il fallimento dell’attuale sistema economico nel suo insieme, è che non solo questa crisi, ma LE crisi economiche sono un fattore ciclico del sistema capitalista. Riscoprire Marx? In effetti l’analisi che l’economista tedesco fece a suo tempo del sistema capitalista è tutt’ora in gran parte valida ed è difficile negare, onestamente, che egli abbia avuto ragione su molte cose- così come, a mio modesto parere, ha avuto torto su altre. Ed è proprio basandosi su un’analisi di tipo marxista che il sociologo britannico esperto di geopolitica David Harvey tenta di spiegare la crisi, come si può vedere nel video animato che trovate qui sotto in italiano. Un’analisi su basi piú solide non l’ho trovata- ma esiste? Intanto capire l’attuale situazione di crisi é anche e soprattutto la condizione essenziale per poter elaborare e proporre soluzioni e risposte ad essa ed al sistema che l’ha generata, rifiutando di subire passivamente un corso degli eventi devastante ed annichilente.

Scuola, strumento del sistema.

Le manifestazioni studentesche tenutesi a livello nazionale in Italia lo scorso 5 Ottobre sembrano un film già visto, da un lato motivate dal reale decadimento e dalla progressiva aziendalizzazione del sistema formativo pubblico, ma d’altra parte episodiche e sempre piú simili ad uno stanco rituale che si ripete ad ogni inizio d’anno scolastico senza trovare ulteriori sbocchi propositivi nella teoria e nelle pratiche di lotta al sistema. Alcuni studenti e studentesse, però, dotati/e di sufficiente senso critico, sembrano aver capito quale sia la reale natura e funzione del sistema educativo e quale possa essere, almeno in termini generici, una valida alternativa ad esso. Questo è quanto scrivono gli/le studenti/esse del Collettivo Anarchico Libertario di Livorno in un volantino da loro distribuito in cittá durante la manifestazione studentesca:

“NON È PIÙ TEMPO DI LAMENTARSI…

La libertà, le condizioni di vita e di lavoro della maggior parte della popolazione sono quotidianamente sotto attacco.
Il governo cerca di far accettare misure di macelleria sociale sempre più pesanti, utilizzando la favola dei “sacrifici” ed il ricatto di una crisi che sta in realtà creando sempre più profitti per capitalisti e banchieri.
Tagli devastanti al sociale ed ai servizi, riduzione di salari e diritti, aumento delle tasse, della disoccupazione e della precarietà.
In questa situazione la scuola subisce più che mai i colpi del governo, sulla scia dei tagli e delle riforme degli ultimi vent’anni.
Ancora pesanti tagli, classi pollaio, un’istruzione sempre più scadente ed allineata con il potere, edifici scolastici fatiscenti, totale aziendalizzazione della scuola con l’ingerenza sempre più ingombrante di privati e affaristi. Intanto in nome del “merito” il ministro dell’istruzione Profumo vuole trasformare la scuola in una specie di “talent show” in cui si premia il più bravo ad imparare la lezione a memoria, lasciando nell’ignoranza tutti coloro su cui non conviene investire.
Ora più che mai è chiaro il ruolo della scuola nella società.
Le politiche dei governi ci mostrano come l’istituzione scolastica non abbia minimamente lo scopo di creare cittadini capaci di utilizzare criticamente le proprie conoscenze.

LA SCUOLA È SFRUTTAMENTO E PRECARIETÀ

La scuola prepara ad accettare lo sfruttamento sul lavoro. L’aziendalizzazione e l’ingerenza dei privati nella scuola lega ancora di più l’apprendimento al profitto economico e alle competenze richieste dalle aziende. Mentre con l’alternanza scuola lavoro, gli stages, i tirocini gli studenti imparano ad essere sfruttati lavorando senza essere pagati. Ma la scuola fa molto di più insegna ad accettare e giustificare le diseguaglianze sociali.

LA SCUOLA È AUTORITARISMO

L’istituzione scolastica è organizzata in modo fortemente gerarchico. Gli studenti imparano ad obbedire a regole assurde, ad essere puniti, ad accettare le imposizioni dell’autorità.
La scuola prepara dunque ad accettare la società autoritaria, prepara ad essere oppressi.
La scuola è anche strumento di propaganda nazionalista e religiosa: alcuni vorrebbero che gli studenti cantassero l’inno nazionale come soldatini, mentre l’ora di religione cattolica è una realtà e la questione del crocifisso nelle aule si presenta periodicamente.
La scuola impone il modello politico istituzionale insegnando agli studenti a non impegnarsi in prima persona per difendere i propri interessi, ma a delegare le proprie idee e le proprie azioni votando un rappresentante.
L’imposizione di nozioni da imparare è uno dei modi in cui si manifesta l’organizzazione autoritaria dell’apprendimento, che non permette un libero sviluppo delle coscienze.

LA SCUOLA È REPRESSIONE E CONTROLLO

Gli studenti sono abituati ad essere continuamente controllati e giudicati.
L’autoritarismo nella scuola si manifesta anche nella repressione e nel controllo degli studenti e delle loro attività. Il voto di condotta ne è uno degli esempi più evidenti. La repressione ed il controllo si concretizzano in rapporti, brutti voti e sospensioni per aver partecipato ad occupazioni, autogestioni o assemblee non autorizzate, nel bollare come “assenza collettiva” la partecipazione di massa alle manifestazioni, nel divieto di distribuire volantini a scuola.

La scuola ha questo ruolo perché la società è basata sull’oppressione e sullo sfruttamento. Lo sviluppo libero delle capacità di ciascuno la formazione di coscienze libere non è possibile nella scuola, ma solo all’interno di una pratica liberata di educazione, in una società libera.
Proprio per questo è importante che gli studenti rilancino la lotta.

Senza avere fiducia nei partiti, è fondamentale praticare l’azione diretta, organizzandosi dal basso a partire dalle scuole, dai collettivi, unendosi alle lotte dei precari, dei lavoratori, dei disoccupati e a tutti coloro che stanno alzando la testa contro le politiche di austerità. Rilanciare la lotta per una società libera, non solo contro il governo Monti ma contro ogni governo, per un mondo di liberi ed eguali.

…È L’ORA DI ORGANIZZARSI!

Collettivo Anarchico Libertario
http://collettivoanarchico.noblogs.org
collettivoanarchico@hotmail.it