“Otto Marzo sciopero internazionale delle donne”.

Fonte: Anarkismo.

OTTO MARZO SCIOPERO INTERNAZIONALE DELLE DONNE

Alternativa Libertaria/FdCA condivide la piattaforma di Non una di meno

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OTTO MARZO SCIOPERO INTERNAZIONALE DELLE DONNE

La storia dell’8 marzo nel Novecento è quella di manifestazioni e scioperi. Anche dopo la sua consacrazione istituzionale questo giorno rimane quello della lotta femminista internazionale per una società in cui vivere libere da oppressioni patriarcali e capitaliste.

Dallo sciopero femminista USA 1961 contro la guerra, a quello del 1970 “per la pace e l’Uguaglianza”, sino a quello generale del 1975 in Islanda per il riconoscimento del lavoro delle donne, e poi la grande manifestazione in Usa del 1986 “pro Choice”, …
dalle vaste e trasversali manifestazioni italiane per il divorzio e la libertà femminile nel 1972 e nel 1974, a quelle spontanee per la difesa della Legge 194 nel 1981 (vittoria dei No ai referendum abrogativi) e nel 2008, alla manifestazione contro le disparità sul lavoro, e per inciso contro il governo Berlusconi, indetta da ‘Se non ora Quando’ nel febbraio 2011…
…sino alla grande manifestazione delle donne in Polonia per l’aborto legale, il “Black Monday” di Varsavia del 3 ottobre 2016 ed al “Mercoledì Nero” di Buenos Aires del 19 ottobre 2016 che le donne sudamericane, riunite in “Ni una menos”, hanno lanciato con un grido di rabbia per dire Basta alla violenza machista riproponendo il “paro”, lo sciopero, per l’otto marzo,
…alla manifestazione “Non una di meno” a Roma dello scorso 26 novembre che ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di donne…
…La manifestazione contro l’elezione di D. Trump, sabato 21 gennaio 2017, ha espresso la protesta contro il sessismo del nuovo presidente, e fatto scendere in strada tante altre voci per un totale di oltre 500mila persone nella sola Washington e oltre tre milioni nell’intero Paese….
Le donne in questi decenni sono scese nelle piazze per reclamare ed esigere la fine dei sistemi di violenza, sia contro il militarismo che contro la violenza domestica e il sessismo…
e la protesta è arrivata con la sua ondata anche in Italia proprio nel momento in cui cresceva il dissenso verso il nuovo “Piano strategico contro la violenza” sulle donne, contestato per i suoi contenuti politici e per gli stanziamenti inadeguati, oltre che per la metodica di approvazione, in primo luogo dalle donne che da decenni lavorano nelle Case rifugio e nei Centri antiviolenza (77 centri riuniti nella associazione DiRE).

Un movimento trasversale di donne formato dalla manifestazione “Non una di meno” dello scorso 26 novembre 2016 a Roma per rivendicare la centralità dell’autonoma voce delle donne nei confronti dei piani governativi promossi al fine di contrastare la violenza maschile contro le donne e la violenza di genere. Questo movimento si è riunito nuovamente in assemblea a Bologna a febbraio: la piattaforma che è scaturita indica i punti da cui partire per un programma politico femminista ad ampio spettro, inclusivo e radicale, sfociato nella richiesta, plaudita o controversa, alle forze di sindacali di indire per l’otto marzo 2017 uno sciopero di 24 ore.

I punti della piattaforma di NON UNA DI MENO sono:

La risposta alla violenza è l’autonomia delle donne

Senza effettività dei diritti non c’è giustizia né libertà per le donne

Sui nostri corpi, sulla nostra salute e sul nostro piacere decidiamo noi

Vogliamo rivendicare un reddito di autodeterminazione, per uscire da relazioni violente, per resistere al ricatto della precarietà

Contro ogni frontiera: permesso, asilo, diritti, cittadinanza e ius soli

Scioperiamo affinché l’educazione alle differenze sia praticata dall’asilo nido all’università, per rendere la scuola pubblica un nodo cruciale per prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne e tutte le forme di violenza di genere

La violenza ed il sessismo sono elementi strutturali della società che non risparmiano neanche i nostri spazi e collettività

Contro l’immaginario mediatico misogino, sessista, razzista, che discrimina lesbiche, gay e trans

Alternativa Libertaria/FdCA condivide la piattaforma di Non una di meno, partecipa alle mobilitazioni per la sua piena attuazione e con le sue e i suoi militanti contribuisce a costruire momenti di crescita e di affermazione di libertà, giustizia e laicità per tutt* “.

Como: quando la solidarietà coi migranti è “socialmente pericolosa”.

Ho ricevuto pochi giorni fa una lettera con la richiesta di diffonderla. Si tratta del racconto di un compagno colpito da un provvedimento repressivo comminatogli dalle autorità a causa della sua attività a favore dei migranti concentrati a Como a seguito della chiusura della frontiera con la Svizzera:

Lettera aperta dal confino

FABIO ACHAB·VENERDÌ 14 OTTOBRE 2016

Buongiorno a tutti,

Sono Fabio Gabaglio, ieri mattina mi è stato notificato un “foglio di via” da Como della durata di un anno. In questo atto mi si accusa di avere preso parte ad una manifestazione non autorizzata in cui si denunciava la complicità della ditta di trasporti Rampinini nella deportazione dei migranti, di essere una persona socialmente pericolosa e di frequentare la città di Como col solo scopo di compiere reati. Con questa lettera aperta, per chi avrà la pazienza di leggerla, io intendo spiegare il mio punto di vista, rivendicare pubblicamente il mio operato, la mia identità e produrre quella difesa politica che in altre sedi non mi è consentito di dare. La doverosa premessa è quella che fa dei lettori a cui mi rivolgo, dei “giudici impectori”, il cui giudizio è quello che maggiormente m’importa, supponendo che anch’essi, come me, si pongano propositi di cambiamento radicale della società, interpretando il presente come profondamente ingiusto. Dal luglio scorso, quando la città di Como si è trovata al centro di quella che è stata definita “emergenza migranti”, ho iniziato ad interessarmi a quanto stava accadendo tra il confine Italo-Svizzero e la stazione di Como san Giovanni. Una sorte ironica fece che tutto il mio tempo libero, ferie incluse, lo trascorsi in quello che è anche un mio luogo di lavoro, in quanto di mestiere sono Macchinista Ferroviere. La storia è nota, ma non è mai superfluo ripeterla: L’autorità doganale svizzera chiude quasi completamente le dogane ai numerosi profughi che tentano di attraversarla e ai richiedenti asilo che vi si vorrebbero insediare, e a Como si crea quindi un ingorgo e l’accampamento che tutti abbiamo conosciuto. Chi cerca di passare il confine viene respinto a piedi sul suolo italiano nel migliore dei casi, altrimenti viene deportato nei centri di smistamento del sud Italia, Taranto quasi sempre. Con alcuni sodali decido esprimermi e spendermi sulla questione dando un apporto politico all’enorme e meritorio sforzo civile che la città, la parte migliore della città, ha profuso per dare ai “Ragazzi” un’ accoglienza dignitosa, un trattamento umano e un sostegno materiale. Il mio proposito aggiuntivo è quello di animare il dibattito generale sulla questione migratoria, ponendo degli interrogativi politici sugli interessi che influenzano la gestione dei flussi ed evidenziando le innumerevoli contraddizioni che ne emergono. Iniziai cosi, implementando il lavoro quotidiano di centinaia di volontari, a produrre una critica che spingesse ad andare oltre il livello della necessaria accoglienza che da più attori viene messa in campo, per costruire una solidarietà diretta, capace di mettere in relazione la condizione dei migranti, vittime estreme del sistema economico in cui viviamo, e la nostra, di indigeni, esposti agli effetti della crisi e della conseguente precarizzazione totale delle nostre vite. Per farlo in modo organico, occorreva però toccare con mano le questioni, conoscerle a fondo, e mediante l’inchiesta, guadagnarsi la libertà di parola, il titolo di potersi esprimere a ragione veduta. La prima iniziativa per cui mi spesi in prima persona fu il 7 agosto, una giornata di giochi, sport e socialità. Bastarono quattro palloni, un paio di canestri da basket, e una merenda collettiva per scoprire che quello che ne sarebbe seguito sarebbe stato molto di più della semplice inchiesta politica, ma sarebbe diventato anche una relazione di profonda amicizia, di empatia, di auto-riconoscimento. Senza quasi rendersene conto il rapporto si strinse molto, il “noi” ed il “loro” si fusero, i nomi impronunciabili e forestieri divennero familiari, e quelli che rifiutammo di considerare “utenti-destinatari” della nostra elemosina divennero compagni delle nostre infinite giornate campali, narratori delle storie più incredibili, portatori della più legittima delle volontà. E noi ne diventammo complici. Si sperimentò un percorso di autogestione da cui nacque l’infopoint: un gazebo in cui si cercava di dare le principali informazioni pratiche e una primissima accoglienza materiale (cibo e vestiti) a chi arrivava al “campo informale”, si organizzarono corsi di italiano ed inglese, e ogni sera si tenevano riunioni interetniche tradotte in inglese, arabo, francese, tigrino, amarico, oromo… Fu in questo contesto di confronto virtuoso che si decisero le molte e diverse iniziative messe in campo, tra le quali la lettera aperta che i migranti scrissero alla città, il presidio tenuto a Pontechiasso, dove decine di migranti reclamarono il loro diritto di superare il confine e di non essere trattati da animali, e il corteo del 15 settembre, forse il più bello che nei miei trent’anni (molti dei quali vissuti da militante politico) possa ricordare, e per il quale personalmente chiesi l’autorizzazione alla questura. Quel corteo per me fu una scommessa: 500 persone dalle più diverse sensibilità ed esperienze, migranti in testa, veicolavano il messaggio lanciato dall’appello, “Il campo non è una soluzione, aprite il confine!”. Rimandate al al mittente le provocazioni dei fascisti che minacciarono costantemente la coda del corteo, disattese le aspettative allarmiste di chi paventava la calata dei barbari in città, dissolta la coltre di terrore imposta dallo sproporzionato spiegamento di militari, il corteo, fortemente comunicativo, sfilò per la città senza intoppi. La scommessa fu vinta. Il clima tuttavia cambiò repentinamente quando aprì il campo governativo, la non-soluzione sulla quale sollevammo tanti dubbi e contro la quale gli stessi migranti si sono sempre espressi. Nei giorni immediatamente precedenti alla sua apertura la solidarietà iniziò ad essere sempre più criminalizzata, cucinare o portare cibo divennero pretesti per far intervenire la polizia, le docce e la mensa vennero chiuse, e i migranti, in un paio di giorni, furono costretti a lasciare i loro ripari di fortuna per entrare nel campo governativo. I dubbi diventarono certezza quando la natura del campo governativo si manifestò in tutta la sua burocratica freddezza. Le garanzie date dal prefetto sul funzionamento del campo furono prontamente disattese, le richieste di modelli alternativi di accoglienza non furono accolte, le tutele specifiche per minori non vennero attuate, il regolamento interno non fu pubblicato, i volontari furono estromessi, e chi riponeva speranze nel “circuito legale dell’accoglienza” rimase amaramente deluso. Lo stato così ha ripreso il controllo della situazione anche fuori dal campo, tutto quello che prima era socialmente accettato e tollerato, ora è proibito. Distribuire cibo, incontrare, parlare con chi ha l’aspetto di un rifugiato, porta ad essere identificati, intimiditi, segnalati. Trovare un riparo di fortuna per chi non ha accesso al campo governativo è reso quasi impossibile dalle decine di pattuglie che ogni notte perlustrano ogni angolo di Como, ogni anfratto, con l’ordine di sgomberarlo, di rendere inospitale la città, cercando in questo modo di arrestare il flusso in arrivo. E su Como, la città bella e solidale che riscoprimmo quest’estate, cala un invernale clima di apartheid. Ora al sottoscritto, come ad altri attivisti, viene presentato il conto per il ruolo attivo tenuto in tutto questo. Il foglio di via, nella fattispecie, è una misura preventiva di natura fascista, in cui il questore, senza una vera e propria indagine, senza un processo e senza la possibilità di difesa, intima arbitrariamente al destinatario di non fare ritorno su un determinato territorio, riconoscendo in lui una presunta pericolosità sociale. La reale intenzione di chi emette questa misura non è tuttavia punire qualcuno per un reato specifico commesso, ma semplicemente colpirlo ed allontanarlo per le proprie idee e per le pratiche che potenzialmente ne derivano, isolandolo dai suoi percorsi di lotta e dal contesto sociale in cui è inserito. Nel mio caso, accade che ieri, 13 ottobre, mentre presenziavo in qualità di uditore alla conferenza stampa tenuta dalla rete di “Como senza frontiere” di fronte al campo governativo vengo avvicinato da alcuni funzionari di polizia che mi intimano di presentarmi in questura per notificarmi un foglio di via obbligatorio che mi inibisce dal fare ritorno nel comune di Como per un anno. Mi si contesta nello specifico di aver manifestato contro la ditta di trasporti Rampinini, che dal luglio scorso si occupa anche di deportare i migranti, che respinti in Italia dal confine elvetico, vengono caricati su dei pullman e, scortati da un ingente pattuglia di polizia, sono spediti nell’hotspot di Taranto, contro la loro volontà, senza avere contezza del loro status giuridico, interrompendo, mortificando e umiliando in maniera violenta il loro progetto migratorio, che per queste persone, rappresenta l’umana e innata pulsione a migliorare la propria condizione materiale. Per rimettere questa azienda davanti alla sua palese responsabilità di collaborazionista il 12 settembre si è tenuto un presidio simbolico davanti alla sua sede di via Napoleona, in cui si diffondeva un volantino e si esponeva uno striscione: Rampini complice delle deportazioni. Lo scrivevamo allora, lo ribadisco ora, assumendomi la responsabilità di quanto fatto. Se esprimere questo, senza chiedere il permesso a chi quelle stesse deportazioni le dispone e le realizza sia più vergognoso dello stesso compierle, lo lascio decidere a voi. Questo foglio di via mi descrive inoltre con l’infamante appellativo di “persona socialmente pericolosa”, che usa frequentare Como “col solo scopo di commettere reati” e di accompagnarmi a persone già oggetto di “segnalazioni all’autorità giudiziaria.” Io credo, che se vi sia una minaccia reale per la società, essa stia proprio nel fatto che certe dittatoriali limitazioni della libertà personale possano essere comminate a chi invece è parte integrante della società, a chi ne anima i moti di cambiamento, a chi ha la pretesa attiva di renderla più giusta, includente e civile. Essere riconosciuto come frequentatore abituale del campo informale della stazione è una cosa di cui non mi vergogno affatto. Farlo in concorso con altri solidali non ritengo sia un aggravante. Essermi riunito innumerevoli volte con dei migranti, averci discusso, essermi organizzato con loro per dare voce alle comuni istanze è una cosa di cui non sono in alcun modo pentito. Sfidare il clima di piombo che si respira in città per continuare a mantenere il rapporto con i migranti incontrati fino ad oggi, o per costruirlo ex novo con chi tuttora continua ad arrivare, non credo faccia di me un pericolo sociale. Ebbene, con questo foglio di via, la questura, l’apparato immunitario dell’ingiusto sistema politico-legale che abbiamo di fronte, pone nella mia vita un ostacolo giuridico che si frappone tra me ed i miei propositi che lascio a voi giudicare. La città di Como inoltre, come è normale che sia, per me, rappresenta anche un luogo fisico in cui si intrecciano interessi personali, abitudini, relazioni sociali ed affettive dalle quali ora con questo provvedimento si cerca di isolarmi in un assurdo accanimento. É lì che abitualmente trascorro il mio tempo libero, è lì che sono solito incontrarmi con amici e amiche, è lì che talvolta mi trovo a esercitare la mia professione, ed è lì che voglio liberamente poter tornare. Lungi dal voler elemosinare la pietà di alcuno, io credo che il mio dovere, a fronte di quello che mi è toccato, sia in primis mettere in guardia ognuno di voi: quello che oggi si abbatte su di me, domani potrebbe succedere ad altri. Quando il divario tra legalità e giustizia si fa così sfacciatamente evidente tutti sono chiamati a prendere una posizione. Ed è quello che io ora vi chiedo. Grazie della vostra attenzione. La parte più bella di questa città rifiuta il razzismo e l’indifferenza, e io sono (ancora) lì. Fabio Gabaglio ”

Il sito Informa-Azione riporta un comunicato di persone colpite dallo stesso provvedimento, nello stesso contesto, che annunciano resistenza contro le misure restrittive imposte dalla Questura.

Sull’incendio al capannone della Geomont in Valsusa.

Il seguente comunicato è tratto dal sito Informa-Azione. Per correttezza e completezza pubblco in calce il link all’articolo al quale si fa riferimento nel comunicato. Ps: a proposito di No TAV… solidarietà a Erri De Luca, libertà per tutti/e gli/le arrestati/e e indagati/e!

“riceviamo e diffondiamo:

Un bel tacer non fu mai scritto
Sull’incendio dei mezzi della Geomont in Valsusa il 30 agosto

E se qualcuno avesse deciso di attaccare la Geomont per la sua partecipazione alla devastazione della Valsusa?
Di certo sarà rimasto attonito e nauseato dal comunicato “ricevuto e pubblicato” sul sito notav.info all’indomani dell’incendio nel capannone della ditta di Bussoleno. Anche perché tra le suggestive ipotesi elencate come possibili verità di quel fatto, danneggiamento volontario del proprietario e attacco mafioso, manca proprio quella che qualcuno abbia in piena coscienza e volontà deciso di attaccare uno dei tanti che ha partecipato allo scempio della Valle.
Negli anni, purtroppo, è spesso successo che atti individuali e di piccoli gruppi in appoggio alla lotta contro il TAV venissero stigmatizzati, anche attraverso notav.info, come provocazioni o, peggio ancora, come gesti di chi “non è della valle né del movimento notav”.
È strano dopo tanti anni di lotta dover ancora tirare fuori queste questioni.
Il movimento notav è enorme e complesso. È la gente della Valsusa. Sono tutte le migliaia di persone che da anni attraversano per brevi e lunghi periodi il territorio donando le proprie energie, il proprio tempo e spesso la propria libertà. È la gente che in Italia e nel mondo appoggia e dà forza alla lotta con atti di solidarietà e complicità.
E quindi chi decide, all’interno di una realtà così variegata chi ha o non ha il diritto di mettere il proprio mattone per costruire la strada verso la liberazione della Valle?
Ma qui forse si affronta un discorso già superato. Non è forse vero che da un po’ il sabotaggio, pratica adottata da sempre nelle lotte popolari, è stato accolto e assunto in Valsusa e che da qualche tempo nessuno si permette più di censurare o condannare quei gesti che colpiscono i responsabili materiali della costruzione del famigerato tunnel? Forse non è un varco facile da attraversare, e molti tra quelli che vivono e che guardano questa lotta ci stanno ancora facendo i conti. Ma se dimentichiamo questo storico passaggio, e permettiamo dei passi indietro lungo la crescita collettiva del movimento notav, lasciamo spazio alla repressione e alla paura. Il sabotaggio come mezzo di lotta, la distanza tra giusto e legale,  la necessità della difesa e dell’attacco, la differenza tra una vita presa a morsi e la sopravvivenza passiva. Tutte cose che molti di noi hanno imparato lottando. E che vanno difese come le montagne.
Come è possibile accogliere su uno dei siti più letti come voce notav un comunicato che scrive “sappiamo che il movimento notav non ha appiccato il fuoco”? Forse chi lo ha stilato conosce tutti i notav del mondo, le loro pulsioni e azioni, le loro priorità e obiettivi? E se anche si prova una ineludibile ed epica tensione democratica (del tipo non sono d’accordo con quello che dici ma morirò per fartelo dire) come è possibile lasciare che scritti come questo cadano in un indifferente ed assordante silenzio?
Le ipotesi proposte dal comunicato sono quelle che si potrebbero fare sempre dopo un attacco incendiario. Anche se la ditta non è in fallimento, potrebbe voler rinnovare i macchinari o cose simili. Anche le ritorsioni di stampo mafioso, specie in questi ambiti, sono sempre dietro l’angolo. Oltre che provare un sano disprezzo per la dietrologia e il complottismo e tenerli lontani dalle nostre bocche e dai nostri cuori, non dovrebbe venirci più naturale trovare il posto per questo episodio tra tutti gli altri simili che da qualche mese illuminano le notti della Valsusa? Anziché rischiare di sminuire il gesto di qualche coraggioso notav, difendiamo pubblicamente dalla repressione i nostri compagni di lotta nell’unico modo dignitoso possibile. Rivendicando qualunque gesto compiuto contro l’avanzare del mostro TAV come patrimonio di tutti noi.”

L’articolo di riferimento pubblicato sul sito notav.info: “E se l’incendio al capannone te lo paga l’assicurazione?“.

Provaci ancora, fascio!

I fascisti della Fiamma Tricolore tentano di farsi spazio nel movimento NO MUOS e proclamano una manifestazione per fine Agosto in Sicilia contro il progetto delle antenne militari. Non è la prima volta che estremisti di destra provano a immischiarsi in lotte che non gli appartengono, tentando di strumentalizzarle per raccogliere nuovi consensi: era già accaduto con le lotte contro globalizzazione, guerre imperialiste, TAV e al fianco del popolo palestinese, ma in tutte queste occasioni la risposta di movimenti e individui era stata sostanzialmente di netto rifiuto nei confronti di qualsiasi strumentalizzazione. I neofascisti, incapaci di brillare di luce propria e accortisi che la stantia riproposizione di artefatte storielle e vecchi cimeli del Ventennio non risulta abbastanza appetibile per le nuove generazioni, fanno leva oltre che sul solito ribellismo senza arte né parte, anche su slogan, tendenze e rivendicazioni appartenenti ai loro avversari politici di sempre. Lungi dall’interessarsi realmente alle lotte popolari e partecipate contro scempi ambientali, massacri fraticidi, politiche discriminatorie e di sfruttamento, questi sordidi personaggi e le loro organizzazioni parassitano battaglie altrui nella speranza di poter sdoganare le loro vere idee, per le quali non vi è posto nella società per chi non rientra nei canoni di normalità previsti dalle loro menti ristrette. Per i neofascisti quel che conta non è ad esempio che non venga realizzato un progetto dannoso come quello del MUOS, il problema per loro, da bravi militaristi sempre pronti a “credere-obbedire-combattere” è che a volerlo realizzare siano le forze armate statunitensi piuttosto che quelle italiane. Lo stesso discorso vale per il TAV: quelli che antepongono a qualsiasi altra cosa l'”interesse nazionale”, ovvero l’interesse autoritario e predace di chi all’interno di uno Stato-Nazione detiene il potere politico ed economico, non possono coerentemente far parte di una lotta come quella dei NO TAV.

In risposta al tentativo di strumentalizzazione neofascista della lotta contro il MUOS, il presidio NO MUOS di Niscemi indice un campeggio antifascista di due giorni in Contrada Ulmo e diffonde il seguente proclama ( tratto dal sito  www.nomuos.info):

” L’antifascismo vive in contrada Ulmo.

 

Da venerdì 30 Agosto il presidio No Muos di Niscemi indice una due giorni di campeggio Antifascista.

 

L’antifascismo non è soltanto una parola, ma è un valore quindi una pratica che deve essere seguita ogni giorno; una due giorni di campeggio che serva a radicare nelle coscienze politiche degli attivisti di tutta la Sicilia,  l’idea che i fascisti non sono scomparsi, ma agiscono tra le maglie delle amministrazioni e delle strutture borghesi e ancora a distanza di decenni dettano leggi atte a regolamentare e a imbrigliare la spontaneità dei compagni e delle compagne.

 

Con questa due giorni il presidio e le sue individualità chiedono alla rete antifascista siciliana e italiana di riunirsi in contrada Ulmo a Niscemi, dove si terrà un concerto antifascista e a seguire un corteo fino alla base militare U.S. Navy.

 

La formazione politica della fiamma tricolore di chiaro stampo fascista ha richiesto l’autorizzazione per una manifestazione contro l’istallazione del Muos. Il movimento  No Muos, come dichiarato nella carta d’intenti-  è antifascista e non può permettere che un corteo della destra estrema possa ostentare i loro slogan e appropriarsi dei nostri simboli e delle nostre bandiere. Il movimento non può permettere che i fascisti cavalchino i successi ottenuti dai  cittadini e dagli attivisti con anni di sacrifici, denunce e repressione. La lotta No muos è propria dei cittadini, è antipartitica, antipatriarcale e orizzontale quindi del tutto slegata dalle abitudini politiche della destra fascista italiana.

 

Il Movimento No Muos è e sarà sempre antifascista e non concederà un solo centimetro di contrada Ulmo alle schiere fasciste né concederà loro un minimo spiraglio di dialogo.

 

Dalla Val Susa ad Atene l’intera Europa è sottoposta a una capillare azione di repressione e a un rinvigorimento dei sistemi di controllo violenti e repressivi. Il movimento No Muos è convinto del fatto che permettere una manifestazione della fiamma tricolore sia rendersi complice del revisionismo storico e della fascistizzazione che stanno infestando le nostre realtà. Il movimento non è complice, il movimento non è inerte , il movimento è antagonista e dichiara in maniera ferma e irreversibile che il fascismo troverà a Niscemi e al presidio No Muos di contrada Ulmo una ferma opposizione;  tutti e tutte siamo e saremo fisicamente un blocco fermo e intenzionato a non permettere che le loro bandiere e i loro infamanti slogan possano essere ostentati.

Comitato di base di Niscemi”

Sulla rivolta sociale in corso in Slovenia.

Fonte: Anarkismo, pubblicato il 18/12/2012.

 

” Rivolta di massa in Slovenia

La scintilla ha acceso la rivolta contro l’elite politico-economica e contro l’intero sistema capitalistico

La Slovenia è scossa dalla prima rivolta di massa degli ultimi 20 anni e dalla prima rivolta in assoluto contro il sistema politico, contro le politiche di austerity, tanto che in alcune città sta assumendo un carattere anti-capitalista.

In meno di tre settimane ci sono state 35 manifestazioni in 18 città, dove più di 70.000 persone sono scese in piazza insieme. Le manifestazioni si sono spesso trasformate in scontri con la polizia che cerca di reprimerle violentemente. 284 persone sono state arrestate, alcune sono state rilasciate, altre no. Molti sono i feriti.

Tutto è iniziato a metà di novembre con le persone che protestavano contro il corrotto sindaco della seconda città della Slovenia, Maribor (già dimessosi). Lo slogan che scandivano era Gotof je (sei finito) che è stato poi utilizzato contro quasi tutti i politici sloveni. In pochi giorni le proteste si sono diffuse in tutto il paese. Stanno diventando sempre più il canale tramite cui le persone esprimono la rabbia verso le condizioni generali in cui versa la società: niente lavoro, nessuna sicurezza, nessun diritto, nessun futuro.

Le manifestazioni sono decentrate, antiautoritarie e non gerarchiche. Ci sono persone che non hanno mai preso parte ad una manifestazione prima d’ora. Ci sono manifestazioni in villaggi e città in cui non si era mai vista una sola protesta fino ad oggi. Le persone stanno creando nuove alleanze, diventano compagni di lotta e sono determinate ad andare avanti fino a che serve. Non sappiamo per quanto riusciranno a restare nelle strade. Ma una cosa è sicura. Le persone stanno sperimentando il processo di emancipazione e stanno acquistando quella voce che gli era stata sempre strappata con la violenza nel passsato. E questo è qualcosa che nessuno gli può più togliere. Qui sotto il comunicato dei gruppi della Federation for Anarchist Organizing (FAO).


 

Nessuna discriminazione, sono tutti finiti!

Negli ultimi giorni la storia ci è caduta addosso con tutta la sua forza. La rivolta a Maribor ha dato inizio a ciò che solo pochissimi immaginavano fosse possibile: il popolo auto-organizzato che mette lo sceriffo locale all’angolo, quindi lo costringe a fuggire in disgrazia. Questa è stata la scintilla che ha acceso una rivolta ancora più grande contro l’elite politico-economica e contro l’intero sistema capitalistico. Noi non abbiamo la sfera di cristallo per sapere cosa succederà, ma ciò di cui siamo certi è che non possiamo aspettarci nulla da romanticherie e atteggiamenti naif, ma possiamo attenderci molto dall’organizzazione e dal coraggio.

Dal basso verso l’alto e dalla periferia verso il centro

Mentre le proteste si diffondevano in tutto il paese, si trasformavano in crescente rivolta contro l’elite al potere e contro l’ordine esistente. Persone di ogni regione stanno usando creativamente i loro dialetti per esprimere lo stesso messaggio ai politici: voi siete tutti finiti. Il carattere decentralizzato della rivolta è uno degli aspetti chiave degli eventi succedutisi. Un altro aspetto è il fatto che l’intero processo fin qui sviluppatosi è del tutto dal basso; non ci sono dirigenti dal momento che le persone non sono rappresentate da nessuno. Al fine di difendere questa solidarietà tra le persone ed al fine di impedire che la rivolta venga recuperata dalla classe politica, è esattamente il decentramento che dobbiamo difendere, promuovere e rafforzare!

Polizia ovunque, giustizia da nessuna parte

Che la polizia si mostri brutale verso le proteste è cosa che non dovrebbe sorprendere. Ciò che sorprende sono le illusioni di guadagnarsi l’appoggio della polizia. E’ vero che la polizia non è l’obiettivo primario di questa rivolta e che lo scontro tra la polizia ed manifestanti non ne costituisce l’unico e definitivo orizzonte. Il bersaglio del popolo in questo conflitto è la classe politica e capitalista ed il sistema nella sua globalità. Tuttavia è anche assolutamente vero che la polizia non è nostro alleato ed in ragione del ruolo che essa svolge all’interno del sistema non potrà mai ed in nessun modo essere alleata di questa rivolta. Non ce lo dimentichiamo: la polizia fa parte dell’apparato repressivo dello Stato. La sua funzione strutturale è quella di difendere l’ordine esistente e gli interessi della classe dominante. Non ha importanza quanto possano essere sfruttati gli individui in uniforme! Finché eseguono gli ordini dei loro superiori essi restano poliziotti e poliziotte. Solo quando si sottraggono a questi ordini, potranno diventare parte della rivolta.

Nutrire qualsiasi illusione sul fatto che la polizia possa stare dalla nostra parte è dunque essere naif fino all’estremo. L’intervento della polizia su queste manifestazioni degli ultimi giorni è stato davvero così non problematico come qualcuno lo dipinge e davvero a favore del popolo in strada? Abbiamo già dimenticato la brutale repressione delle proteste a Maribor e le minacce di Gorenak (ministro degli interni) di dare la caccia a tutti gli organizzatori delle proteste “illegali”?

Non siamo sorpresi nemmeno dal moralismo che si fa sui “rivoltosi” e sulla “violenza”, che si è sviluppato sui social network. il Governo ed i media ci hanno lanciato l’osso e qualcuno c’è subito cascato. Ma cosa sono alcune decine di vetrine rotte, una porta del municipio abbattuta ed i sanpietrini divelti da una strada in confronto alla violenza strutturale dello Stato? Una gioventù senza futuro, la disoccupazione, la precarietà, la riduzione della scolarità, la riduzione dei pasti nelle scuole pubbliche, il decremento di assistenza negli asili, i tagli alla sanità, i tagli ai fondi per la formazione e la ricerca, l’allungamento forzato dell’età pensionabile, il taglio di salari e pensioni, la riduzione delle ferie, il taglio all’edilizia popolare, gioventù forzata a vivere in appartamenti in affitto o con i genitori fino ad età adulta, negazione di ogni diritto agli omosessuali, ai migranti, alle donne ed alle persone la cui origine sociale non rientra tra le religioni e le etnie maggioritarie e molto altro ancora. Per non parlare della corruzione, del nepotismo, del clientelismo e della criminalità della classe dominante. Ci costringono a lavorare di più, ma i frutti del nostro lavoro finiscono sempre nelle mani della classe capitalista. Questo sfruttamento è ciò che costituisce il cuore di questo sistema. Diteci ora, chi commette violenza contro chi? Come osare condannare persone a cui è stato rubato ogni futuro? La gioventù è arrabbiata e non ha niente da perdere. Basta col condannarli; dobbiamo insieme rimettere a fuoco i problemi reali.

Ancora più pericolosi sono i vari appelli per l’auto-repressione e per la cooperazione con la polizia. Non dobbiamo già fare i conti con inaccettabili livelli di sorveglianza, con l’uso delle telecamere e con la repressione? Ci vengono a proporre costoro di aiutare la polizia nella caccia ai “rivoltosi”, consegnarli alla polizia e quindi escludere tanti giovani dalla rivolta a cui hanno contribuito in modo significativo? Cooperare con la polizia significa spararci sui piedi e condannare i giovani che esprimono le loro posizioni in modo più diretto significa divenire strumentali al blocco di ulteriori sviluppi del potenziale di questa rivolta.

Oggi infrangere una vetrina è un atto che viene definito violento dalle autorità. Ma deve essere chiaro che lo stesso metro può essere ben presto applicato a tutte le forme di protesta che non saranno approvate o permesse dalle stesse autorità, che non saranno abbastanza passive e perciò non saranno completamente benevoli. Che sia chiaro agli occhi di questo sistema che ci umilia, che ci deruba e ci reprime anno dopo anno, che siamo tutti rivoltosi. Ancora una volta ribadiamo la nostra piena solidarietà a tutti gli arrestati, chiediamo il loro immediato rilascio, chiediamo di mettere fine alla persecuzione giudiziaria e mediatica nei loro confronti e che vengano resi nulli i provvedimenti amministrativi e le sanzioni emesse a carico delle persone che hanno partecipato alle proteste.

Potere al popolo, non ai partiti politici

Dopo l’iniziale esplosione della rivolta, quando la creatività delle masse si è pienamente manifestata, si è aperto anche un nuovo spazio per la riflessione strategica. Se vogliamo che la rivolta si sviluppi in direzione di un movimento sociale con concrete rivendicazioni, scopi e prospettive, dobbiamo trovare modalità per articolare queste stesse rivendicazioni, che sono già espresse nella rivolta, e pervenire alla forma organizzativa che possa rendere possibile questo processo. Altrimenti la rivolta entrerà rapidamente in agonia e le cose resteranno come sempre.

Per quanto riguarda le rivendicazioni dobbiamo precedere passo dopo passo ed iniziare coll’assumere quelle che sono già state espresse dalla rivolta. Sicuramente dobbiamo preservare quelle strutture del welfare come la sanità e l’istruzione. Dobbiamo anche preservare gli esistenti diritti dei lavoratori. Detto questo dobbiamo altrettanto chiaramente dichiarare che non stiamo lottando per la preservazione del vecchio sistema. Se non possiamo permettere che ci vengano tolti i diritti che abbiamo conquistato con le lotte del passato, dobbiamo altresì mantenere una prospettiva strategica di fondo. Finché esisteranno il capitale e lo Stato, resteranno anche i progetti di sfruttamento e di oppressione nel sistema scolastico, nella sanità ed in tutto il sistema del welfare. Ecco perché dobbiamo auto-organizzarci in queste strutture e non solo negoziare per le briciole. I diritti non sono garantiti per sempre, bisogna conquistarseli con la lotta!

Un segmento della corrotta elite politica si accorgerà forse che nei fatti sono tutti finiti ed abbandoneranno lo scenario politico. Ma ben presto verranno sostituiti da nuovi politici che nuovamente, senza ottenere alcuna legittimazione popolare, prenderanno delle decisioni in nostro nome. I loro interessi non sono i nostri, e ce lo dimostrano ogni giorno i numerosi esempi di nepotismo, di corruzione e di riforme anti-crisi che ci stanno spingendo sempre di più ai margini della società ed oltre.

Ecco perché se ne devono andare via tutti, dal primo all’ultimo. Sarebbe molto ingenuo e naif credere che da qualche parte ci sono politici puri e non corrotti, politici che hanno nel loro cuore nient’altro che il nostro interesse, politici che ci porterebbero fuori dalla crisi e che attendono solo che noi li si voti alle prossime elezioni. E’ il sistema politico ed economico con le sue caratteristiche autoritarie e gerarchiche che rende impossibile poter vivere in modo non alienato e secondo i nostri desideri ed i nostri bisogni. Finché ci sarà il capitalismo, finché una minoranza governa sulla maggioranza e ci spinge ai margini della vita sociale ed economica, le nostre non saranno che vite vuote. Se non resistiamo e se non lottiamo per l’alternativa, ci sarà sempre qualcuno che governerà per noi; i patriarchi nelle famiglie, i decani e la burocrazia studentesca nelle università, i padroni sul lavoro ed i politici al governo. La falsa democrazia che ci offrono in forma di elezioni non è l’unica forma possibile di organizzare la nostra vita sociale.

Organizziamoci lì dove viviamo, dove lavoriamo e dove studiamo

Se vogliamo che questa rivolta e le sue rivendicazioni producano un vero potere sociale, dobbiamo auto-organizzarci. Quando parliamo di organizzazione della rivolta, pensiamo necessariamente a forme che sono diverse dalle modalità di organizzazione socio-politica a cui siamo adusi. Dobbiamo organizzarci dal basso, senza gerarchie e dirigenti; ovunque siamo sfruttati ed oppressi: nei nostri quartieri, nei posti di lavoro, nelle istituzioni della formazione. I contadini dovrebbero unirsi in cooperative; le cooperative dovrebbero connettersi con l’ambiente urbano. L’auto-organizzazione dovrebbe essere spontanea e creativa; dovrebbe sviluppare libere relazioni e stabilire strutture che favoriscano la piena emancipazione degli individui. Dovrebbe seguire i principi della democrazia diretta, della mutua solidarietà, dell’anti-autoritarismo e dell’anti-fascismo.

Quale metodo iniziale per organizzarci suggeriamo l’istituzione di assemblee a democrazia diretta che sono state la prassi dei movimenti insorgenti in tutto il mondo negli ultimi due anni. Possiamo organizzarci localmente in piccoli gruppi ed insieme dare forma al futuro riconoscendo i nostri bisogni e quindi i bisogni delle città e dei villaggi. Insieme possiamo avanzare proposte e scoprire le nostre potenzialità, tanto da accorgerci che siamo noi stessi capaci di realizzare più o meno tutto della nostra vita. Questo è come costruiremo un’unità fatta di fratellanza e sorellanza, in cui ci sia abbondanza per tutti, ma nulla per coloro che vorrebbero governarci.

Il passo successivo potrebbe essere il coordinamento mutualistico di questi gruppi e la stabilizzazione di nuove forme di organizzazione di questa rivolta dispersa ed in evoluzione. Suggeriamo che, sulla base dei nostri principi comuni, ci si unisca in un fronte di gruppi, di organizzazioni e di individualità. Questo fronte dovrebbe essere ideologicamente aperto, inclusivo e basato su rivendicazioni comuni. Dovrebbe essere un fronte organizzato orizzontalmente, senza organismi centrali e senza burocrati; e basato sull’autonomia degli individui e su un processo decisionale fondato sulla democrazia diretta.

Invitiamo tutti i gruppi, le organizzazioni e le individualità che si ritrovano con queste proposte ad organizzarsi nelle loro comunità locali in assemblee aperte, che possano più tardi connettersi l’un l’altra. Riprendiamoci le nostre vite tutti insieme!
Dalle strade e dalle piazze, 6 dicembre 2012

Federation for Anarchist Organizing (FAO), Slovenia

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.

http://a-federacija.org inter@a-federacija.org

 

Cronologia della rivolta

(Città, data, numero di partecipanti, numero di arresti, numero di feriti):Maribor (Marburgo), mercoledì, 21 novembre, 1.500 persone
Maribor, lunedì, 26 novembre, 10.000 persone, 31 arresti (tutti rilasciati il giorno seguente)
Lubiana, martedì, 27 novembre, 1.000 persone
Jesenice, mercoledì, 28 novembre, 200 persone
Kranj (Cragno), giovedì, 29 novembre, 1.000 persone, 2 arresti
Lubiana, venerdì, 30 novembre, 10.000 persone, 33 arresti, 17 feriti
Koper (Capodistria), venerdì, 30 novembre, 300 persone
Nova Gorica (Nuova Gorizia), venerdì 30 novembre, 800 persone
Novo Mesto (Nova Urbe), venerdì 30 novembre, 300 persone
Velenje, venerdì 30 novembre, 500 persone
Ajdovščina (Aidussina), venerdì 30 novembre, 200 persone
Trbovlje, venerdì 30 novembre, 300 persone
Krško, sabato, 1 dicembre, 300 persone
Maribor, lunedì, 3 dicembre, 20.000 persone, 160 arresti, 38 feriti
Lubiana, lunedì, 3 dicembre, 6.000 persone
Celje (Cilli), lunedì, 3 dicembre, 3.000 persone, 15 arresti
Ptuj (Poetovio), lunedì, 3 dicembre, 600 persone
Ravne na Koroškem, lunedì, 3 dicembre, 500 persone
Trbovlje, lunedì, 3 dicembre, 400 persone
Jesenice, martedì, 4 dicembre, 300 persone, 41 arresti
Brežice, martedì, 4 dicembre, 250 persone
Lubiana, mercoledì, 5 dicembre, protesta degli studenti davanti alla Facoltà di Arti, 500 persone
Lubiana, giovedì, 6 dicembre, protesta degli studenti davanti al parlamento, 4.000 persone
Koper, giovedì, 6 dicembre, 1.000 persone, 2 arresti
Kranj, giovedì, 6 dicembre, 500 persone
Izola (Isola d’Istria), giovedì, 6 dicembre, 50 persone
Murska Sobota, venerdì, 7 dicembre, 3.000 persone
Bohinjska Bistrica, venerdì, 7 dicembre, 50 persone
Ajdovščina, venerdì, 7 dicembre, 150 persone
Lubiana, venerdì, 7 dicembre 3.000 persone
Nova Gorica, sabato, 8 dicembre, 300 persone
Brežice, domenica, 9 dicembre 200 persone
Lubiana, lunedì, 10 dicembre, 100 persone
Maribor, lunedì, 10 dicembre, 200 persone (protesta di solidarietà per i fermati)
Ptuj, lunedì, 10 dicembre, 200 persone

ANNUNCIATE:

Lubiana, giovedì, 13 dicembre
Maribor, venerdì, 14 dicembre
SLOVENIA (in ogni città), 21 dicembre

La polizia fa parte dell'apparato repressivo dello Stato. La sua funzione strutturale è quella di difendere l'ordine esistente e gli interessi della classe dominante.

Quale metodo iniziale per tale organizzazione suggeriamo l'istituzione di assemblee a democrazia diretta che sono state la prassi dei movimenti insorgenti in tutto il mondo negli ultimi due anni.

Vedi anche:

-Radio Blackout, “Rivolta sociale in Slovenia”, con intervista a due compagni di Maribor.

Spagna: giornate di lotta dal 29 Maggio al 15 Giugno.

Fonte: Anarkismo.

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“CGT, CNT e SO convocano le giornate di mobilitazione dal 29 maggio al 15 giugno


Questo maggio segna un anno di movimenti popolari che si sono presi le strade per dimostrare la loro indignazione in molteplici località del pianeta, dalla “primavera araba” passando per la porta del Sol fino ad arrivare ad Occupy Wall Street. L’esplosione di indignazione popolare del 15 maggio 2012 si è concretizzata in diverse assemblee di città e di quartiere, gruppi di lavoro ed un’estesa rete di comunicazione, di mobilitazione e di azione comune, che unisce tutte le lotte che collegano l’intera popolazione e che permette ad essa di affrontare le lotte in maniera organica e collettiva. Questo ci rende consapevoli che non siamo soli e che l’azione unita può cambiare le cose.

La CGT, la CNT e Solidaritat Obrera hanno sostenuto tutti i nostri militanti nelle mobilitazioni globali convocate dal 12 al 15 maggio, ed hanno invitato tutta la classe lavoratrice a scendere nelle piazze e nelle strade per partecipare alle azioni previste in quelle giornate. Come organizzazioni sindacali abbiamo fatto nostre le parole d’ordine espresse da questo movimento: “Non un euro per salvare le banche; istruzione e sanità pubbliche e di qualità; No alla precarietà; no alla Riforma del lavoro; Per una casa decente”.

Per continuare a lottare per i nostri diritti, convochiamo diverse giornate di mobilitazione a partire dal 29 maggio fino al 15 di giugno.

Le organizzazioni sindacali CGT, CNT e SO, dopo l’esito favorevole dello sciopero generale del 29 marzo e di fronte all’atteggiamento dei governi regionali per cui nulla è mutato rispetto alla Riforma del Lavoro, ai tagli ed al Patto Sociale, considerano assolutamente necessario per la classe lavoratrice, e specialmente per i poveri, continuare subito con le manifestazioni necessarie per mettere fine alla carneficina di diritti a cui viene sottoposta l’intera società.

Durante le giornate dal 29 maggio al 15 giugno faremo comizi, manifestazioni, presidi, scioperi dei consumatori, giornate di lotta e tutte quelle azioni che ci portino a denunciare l’attacco che stiamo subendo, per incamminarci verso un altro sciopero generale per la fine dei tagli brutali, per l’abrogazione della Riforma del Lavoro e per la restituzione di tutti i nostri diritti.

Sappiamo che per fare tutto ciò, bisogna unirsi e lavorare con quelle organizzazioni sindacali e sociali che stanno soffrendo questa situazione di ingiustizie, che si schierano contro il Patto Sociale e per la mobilitazione. Le invitiamo dunque a partecipare alle prossime iniziative.

CNT – Confederació Nacional del Treball
CGT – Confederació General del Treball
SO – Solidaritat Obrera

Traduzione dal catalano a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.