Hambacher Forst: resistenza contro la centrale elettrica a carbone.

http://hambacherforst.blogsport.de/images/Rheinisches_Braunkohlerevier_mit_Camp2_01.jpg

Hambacher Forst è un’antichissima foresta (12mila anni!) che originariamente comprendeva 5500 ettari di terreno (oggi ne restano solo 1100), situata nella regione tedesca della Renania Settentrionale-Westfalia. Già dal XVI Secolo esisteva una rigida regolamentazione a salvaguardia della foresta, ma nell’epoca contemporanea, specialmente dal 1978 in poi, l’industria mineraria del carbone ha portato alla parziale distruzione dell’aera boschiva. Quel che rimane di Hambacher Forst, con i suoi alberi secolari ed alcune specie animali e vegetali in pericolo d’estinzione, è oggi minacciato dal progetto di costruzione di una centrale elettrica a carbone ad opera dell’azienda RWE, il più grosso produttore di CO2 su scala europea. Mentre in Germania si parla tanto di svolta a favore di energie “pulite” e rinnovabili prevedendo l’addio definitivo, almeno teoricamente, a fonti di energia inquinanti e pericolose, esistono ancora colossi del settore energetico che mettono in pericolo l’ambiente e la salute umana in nome del profitto. La distruzione della foresta per far posto ad una centrale elettrica a carbone è legale: le leggi tedesche dicono che si può fare, in barba alle specie animali e vegetali che popolano Hambacher Forst, alla faccia della salute degli/lle abitanti delle città che sorgono in prossimità della futura miniera, nonostante anche i costi economici dell’inquinamento non ricadano su chi lo produce. È illegale invece resistere contro un simile progetto, chi lo fa rischia di scontrarsi con la violenza della polizia e di beccarsi denunce, processi, sanzioni economiche e carcere. La differenza tra ciò che è legale e ciò che è giusto è sotto gli occhi di tutti, chi decide di opporsi a simili progetti di devastazione ambientale compie una scelta in base alla propria coscienza, a ciò che ritiene legittimo e necessario- anche per il bene della comunità e dell’ambiente.

È per questo che la resistenza alla distruzione di Hambacher Forst non manca, nonostante chi la porta avanti sappia quali siano i rischi ai quali va incontro. Ispirati da movimenti contro la distruzione di foreste e contro la produzione di energia carbonifera, diverse persone hanno dato vita ad una serie di azioni e progetti per salvare l’area boschiva, prima fra tutte la sua occupazione nell’Aprile 2012 e, dopo il violento sgombero da parte della polizia nel Novembre successivo (durante il quale un singolo attivista riuscì a tenere in scacco per quattro giorni le forze dell’ordine rintanandosi in un cunicolo sotterraneo appositamente scavato prima di essere tirato fuori), la rioccupazione di alcuni prati ai margini della foresta. Tra le altre azioni messe in campo dagli/lle attivisti vi sono l’adozione di alberi dell’ Hambacher Forst, la partecipazione a camping ecologisti, l’organizzazione di tour in bicicletta, manifestazioni e presidi informativi in diverse città tedesche. Le attività intraprese per salvare quella che ormai può essere definita l’ultima foresta millenaria d’Europa continuano, per evitare l’ennesimo scempio ambientale i cui costi in materia di inquinamento, danni alla salute e impoverimento della biodiversità ricadranno inevitabilmente su tutti, soprattutto sulle future generazioni.

4449820.jpg

Per altre informazioni (in tedesco e inglese) su Hambacher Forst e sulle lotte passate, presenti e future di chi la difende: http://hambacherforst.blogsport.de/

Per sostenere gli/le attivisti/e con offerte (in denaro e non):http://hambacherforst.blogsport.de/kontakt/was-wird-benoetigt/

Sulle proteste popolari in corso in Brasile.

Fonte: Infoaut.

” Brasile, scontri e proteste si diffondono ovunque!

 

Giovedì 20 Giugno 2013 11:35

brazil_protests_football_19Centinaia di migliaia di brasiliani hanno nuovamente invaso le strade di Rio de Janeiro ieri in continuità con il largo movimento di protesta che ha preso piede dal rigetto degli aumenti delle tariffe dei bus per arrivare rapidamente ad un largo e trasversale “no” alla corruzione dei governanti. Nonostante l’incessante lavorio dei principali mezzi di informazione volti a dissuadere dal creare ulteriori disordini, l’annuncio del rafforzamento di truppe militari nelle zone interessate particolarmente al circuito legato alla Confederation Cup (a proposito, fa scoop in tutto il mondo la dichiarazione del giocatore brasiliano Neymar, che si dice “ispirato dalla protesta”), e il tentativo mal riuscito di dividere in “buoni” e “cattivi” i manifestanti, il volume della protesta non accenna a diminuire.

Continuano i fronteggiamenti in strada tra gruppi radicali e polizia antisommossa, specialmente attorno alla zona dove si teneva l’incontro di calcio tra Brasile e Messico, a Fortaleza. Qui migliaia di persone, con gli studenti nelle prime file, hanno tentato di forzare il dispositivo militare ingegnato a mò di zona rossa attorno allo stadio, ingaggiando ripetuti scontri con tanto di avenues invase da lacrimogeni e pallottole di gomma. Eloquenti i cartelli che apparivano a ridosso della zona “calda”, in gran parte occultati dalle grosse testate presenti per l’evento sportivo: “Sanità, educazione, non Corruzione”, recitavano. Gli scontri sono proseguiti tutto il giorno e durante la notte con barricate diffuse, bus e auto divelti, fronteggiamenti a distanza e continui inseguimenti della polizia militare.

La radicalità della rivolta brasiliana, il maggiore movimento di protesta degli ultimi ventanni almeno nel Paese, sta definendo una nuova geografia interna delle lotte, che ormai non riguardano più solamente Rio, Brasilia e Sao Paulo, ma sta attivando circuiti di contestazione in oltre 70 città minori sparse lungo tutta la grande superficie del Paese; un dato rilevante per chi vede nei fatti di questi giorni una tendenza al radicamento e possibilità di trasformazione dei rapporti di forza sociali al di là della sensazionalità degli eventi odierni.

Ciò alla luce della considerazione che da anni in molti strati poveri o etnicamente marginalizzati del paese, nelle periferie di Rio e Brasilia in primis, lotte radicalissime si sono susseguite principalmente per il diritto all’esistenza e, pur non contagiando altri settori sociali, han rappresentato rappresentano un ulteriore tassello di conflittualità di massa sempre pronta ad esplodere.

Dopo i tafferugli della scorsa notte a San Paolo, e il continuo fermento nelle strade, la Giunta del distretto ha comunicato in fretta e furia la rinuncia al rincaro dei trasporti del servizio pubblico metropolitano, non mancando di condannare le “violenze” come controproducenti all’ascolto delle rivendicazioni popolari.
Ma tale lettura ha visto la smentita netta e inequivocabile da parte di uno dei gruppi promotori maggiormente attivi nelle piazze di questi giorni, il “Free fare Movement”, che appunto allarga il suo orizzonte alla gratuità dei trasporti e afferma che “i governanti dicono che i manifestanti impediscono sia la normalità del fruire dei servizi, sia lo sviluppo di una ragionevole mediazione vantaggiosa per il popolo. Ma la realtà dice che è proprio il popolo a dimostrare coi fatti, in strada, che è disposto a lottare per conquistarsi i propri diritti.”

La disillusione verso l’intero sistema governativo complice della ulteriore verticalizzazione forzata della società in nome di un’ ulteriore ciclo di speculazione, che vede al centro il business dei Mondiali di Calcio 2014, nonché dello sprofondamento rapido di buona parte del ceto medio in via di proletarizzazione, sta portando il focus delle proteste ad affiancare, ad un più moderato rifiuto di ciò che è considerato marcio e corrotto del sistema dei partiti, un complessivo e radicale rifiuto in sé dei partiti; non a caso, altro slogan che prolifera e risuona in massa nei cortei è “No, partiti no”.

Certamente, la portata delle manifestazioni di ieri a Rio, con numeri che oscillano da 500mila ufficiosi a oltre un milione di manifestanti, rappresenta una grossa patata bollente nell’ottica di poter implementare tutta una serie di riforme strutturali dentro le quali il rincaro dei trasporti , la dismissione di scuole e ospedali per i poveri, l’ulteriore gentrificazione/militarizzazione delle zone ad alto interesse speculativo in vista dell’Estate 2014 rappresentano solamente gli aspetti più tangibili per chi guarda dall’esterno i fatti di questi giorni. ”

Per approfondire ulteriormente l’argomento consiglio la lettura di una raccolta di articoli in diverse lingue pubblicati sul sito Anarkismo (cliccare sull’immagine sotto):

featured image

Vedi anche: “Brasile, governo cede sulle tariffe ma la protesta continua”, su Contropiano.

Svendita totale.

Tre notizie risalenti ai giorni scorsi che non sarebbero dovute passare inosservate: in Polonia viene formalmente abolita la giornata lavorativa di 8 ore, in Italia i sindacati confederali e Confindustria siglano un accordo contro il diritto di sciopero, in Grecia il governo chiude la radiotelevisione pubblica disoccupando in blocco 2500 dipendenti. Reazioni? A parte quelle in Grecia, in Polonia solo qualche debole protesta di circostanza da parte dei sindacati asserviti, mentre in Italia nemmeno quelle: sono i sindacati asserviti ad aver sottoscritto l’ennesimo accordo-scempio coi padroni. Mi chiedo solo cosa pensino della faccenda i lavoratori e le lavoratrici iscritti a CGIL, CISL e UIL…

Come distruggere Venezia.

Venezia, antica e bellissima città, muore oggi di ciò di cui vive: turismo. Soprattutto di un certo tipo di turismo. Come se non bastassero il fenomeno dell’acqua alta e l’inquinamento provocato dal polo industriale di Porto Marghera, ora ci si mettono pure le Grandi Navi che attraversano numerose la laguna nella quale sorge la città più fragile d’Europa, provocando danni alle infrastrutture ed agli edifici ma soprattutto forte inquinamento, con tutte le conseguenti ricadute per la salute umana. Contro l’attraversamento della laguna veneziana da parte di queste enormi imbarcazioni turistiche è nato un comitato di base di cittadini che organizza da anni iniziative per richiamare l’attenzione sulle conseguenze che ricadono sulla città e i/le suoi/e abitanti. L’ultima iniziativa, una tre giorni di lotta dal 7 al 9 Giugno di quest’anno, ha visto la partecipatione di attivisti/e con delegazioni da tutta Italia e anche dall’estero, ed è culminata con una manifestazione sulla terraferma alla quale ne è seguita una in mare con dozzine di piccole imbarcazioni che hanno bloccato il traffico nella laguna.

La lotta contro le Grandi Navi a Venezia è una lotta per la difesa dell’ambiente, del patrimonio artistico e culturale, della salute umana e più in generale contro tutte le grandi opere inutili e dannose che pongono il profitto economico al di sopra di qualsiasi altra cosa.

Rivolta in Turchia: notizie, aggiornamenti e solidarietà internazionale.

Alcuni link contenenti informazioni ed aggiornamenti in diverse lingue sulla rivolta in corso ad Istanbul e in altre zone della Turchia:

http://gezipark.nadir.org/

http://occupygezipics.tumblr.com/

https://twitter.com/search?q=%23occupygezi

http://gazetegezipostasi.blogspot.de/

Intanto anche la solidarietà internazionale anarchica si fa sentire. Oltre agli appelli di sostegno ed alle dichiarazioni di solidarietà nei confronti dei rivoltosi in Turchia, in numerose città estere hanno avuto luogo azioni solidali. Nelle foto sotto alcuni piccoli esempi: Striscione esposto a Tessalonicco, Grecia; Striscione esposto a Patrasso, Grecia; Striscione esposto a Kaunas, Lutuania; Manifestazione spontanea a Dortmund, Germania, alla quale hanno partecipato circa 80 persone.

salonica

Parigi, migliaia in strada per Clément e contro il fascismo.

Fonte: Infoaut.

alt“Dopo le prime mobilitazioni lanciate a poche ore dalla morte di Clement, il giovane antifascista francese assassinato da un gruppo di neofascisti mercoledì sera, ieri pomeriggio una nuova grande manifestazione ha riempito le strade di Parigi per omaggiare Clement e denunciare la violenza fascista portata avanti dai gruppuscoli di estrema destra che infestano la Francia.

La manifestazione, lanciata da Action Antifasciste Paris-banlieu al termine del presidio di giovedì, è partita nel primo pomeriggio da Bréguet-Sabin, nella zona della Bastiglia, e si è snodata fino a place Gambetta, nel nord della città. Migliaia le persone che sono scese in piazza a formare un lungo corteo, dal quale si levavano cori carichi di rabbia per l’accaduto, uno su tutti ‘Non dimentichiamo, non perdoniamo’.

Prima della manifestazione gli antifascisti/e parigini avevano ribadito di non volere alcun simbolo di partito all’interno del corteo, dal momento che l’uccisione di Clement è stata da subito oggetto di strumentalizzazioni e polemiche all’interno dell’arco parlamentare.

Il corteo ha anche puntato il dito contro la gestione mediatica dell’omicidio che da più parti è stata fatta, con ricostruzioni morbose ed epurate dei contenuti politici della vicenda che hanno riempito le testate nei primissimi giorni per poi lasciare in breve spazio al silenzio sulle manifestazioni svoltesi nella capitale. Anche per questo il corteo di ieri ha ribadito con forza che Clement è stato ucciso perché militante antifascista attivo quotidianamente nella propria battaglia e che quindi l’impegno di tutti/e debba essere ora quello di portare avanti la sua lotta con ancora più determinazione.

Il corteo è terminato intorno alle 17 con un minuto di silenzio in cui tutti i manifestanti si sono fermati con il pugno levato per rendere un utimo omaggio a Clement e la giornata è poi proseguita con un concerto antifascista che i compagni del giovane militante hanno deciso di tenere perché proprio Clement ne era stato tra gli organizzatori.

Anche nelle altre città della Francia sono state molte le manifestazioni svoltesi in contemporanea a quella della capitale, mentre da tutto il mondo continuano ad arrivare le immagini di solidarietà a Clement.

Nel frattempo la vicenda ha risollevato anche a livello istituzionale la polemica sulla presenza di organizzazioni di estrema destra (alle quali l’omicidio è stato ormai ricondotto con certezza) e nei giorni scorsi il governo ha attivato la procedura per la dissoluzione della JNR (i ‘giovani nazionalisti rivoluzionari’).

L’autopsia ha invece confermato che Clement è morto per i colpi ricevuti alla testa dal gruppo di neofascisti che lo ha aggredito con dei tirapugni e non per aver sbattuto la testa cadendo a terra, come qualcuno aveva tentato di dimostrare subito dopo l’omicidio per cercare di attenuare le responsabilità del branco di aggressori. Delle 8 persone fermate nei giorni scorsi per aver preso parte all’assassinio (tutte riconducibili alla JNR o al movimento ‘Terza via’), alcune sono state rilasciate, mentre tre si trovano sotto sorveglianza e una, uno skinhead di vent’anni accusato di aver causato la morte di Clement, è in stato di dentenzione provvisoria ma il magistrato incaricato dell’inchiesta sta insistendo perché a suo carico venga esclusa l’accusa di omicidio volontario.”

Nessuno stupore, solo disgusto.

Fonte: Anarchaos.

” Terni – dure cariche degli sbirri contro gli operai

Botte da orbi a Terni. Gli sbirri impazziscono e bastonano pesantemente gli operai. Teste rotte e scontri duri sui binari.

Questa mattina a Terni si è svolto un enorme corteo degli operai delle Acciaierie. La situazione alla Thissen Kroup si è fatta pesante dopo che i padroni – gli assassini della strage di Torino – hanno annunciato la decisione di vendere.

Migliaia di persone si sono messe in marcia da Viale Brin, dove si trova l’ingresso principale dello stabilimento, attraversando il centro cittadino fino alla Prefettura. Ma lì non si sono fermati e si sono diretti verso la stazione, con lo scopo di bloccare i binari.

La polizia a quel punto ha tirato fuori l’armatura e in assetto antisommossa ha fatto cordone per evitare l’ingresso al piazzale davanti alla stazione,

Nonostante la rabbia, gli operai si sono limitati a spingere con forza sugli scudi, la catena di celerini che sotto la spinta di tutto il corteo ha dovuto spezzarsi.

Conquistato il piazzale davanti alla stazione il corteo ha puntato dritto sui binari. E’ stato lì che la polizia, velocemente ricompattatasi davanti all’ingresso della stazione, ha manganelato con una ferocia che raramente si era vista in Umbria. 

La mattanza però non ha fermato la rabbia dei manifestanti, che hanno reagito con la giusta durezza e sono riusciti, comunque, a conquistare i binari. 

Uno sfregio per i tutori dell’ordine, una sconfitta inaudita – che andava vendicata.

E così di punto in bianco, quando la situazione ormai era tornata tranquilla, la nuova carica contro migliaia di persone che si trovavano sui binari.

Teste rotte, gente che inciampa sui sassi, tafferugli pesantissimi. Una carica cieca, tanto che un celerino ha rotto la testa persino al sindaco di Terni. Il quale in questo momento è in ospedale con diversi punti di sutura. Le legnata deve aver rimesso qualche rotella a posto nella capoccia del primo cittadino, il quale, ancora insangunato come un vitello, mentre lo portavano al pronto soccorso, ha espresso commenti di improbabile durezza per uomini come lui: “la classe operaia” – ha detto proprio così! – “ha già difeso la fabbrica dai tedeschi, rischiando di rimanere sotto le bombe, e la difenderà dagli attacchi della polizia”.

 

Che la sbirraglia questa volta abbia pisciato fuori dal vaso lo si nota dalla sterminata colonna di commenti di condanna da parte di personaggi che di solito non perdono occasione per leccare gli scarponi deli robocop. Questa volta invece, onorevoli e senatori piddini, i sindacalisti, persino il tg3 locale, che ha mandato le immagini evidenti dell’aggressione sbirresca, hanno espresso unanima condanna verso il comportamento della polizia.

Dalla corrispondenza di un compagno presente ”

Nota  a margine: ovviamente le forze dell’ordine non solo presentano un’altra versione dei fatti, come al solito ridicola, ma la rafforzano col potere a loro concesso da parte dello Stato che detiene il monopolio della violenza. Prima pestano, a volte ammazzano, poi trovano un capro espiatorio. Sta a vedere che è sempre colpa delle vittime, alle quali a conti fatti non rimane nemmeno l’illusione di una giustizia concessa da quello Stato che, come ormai dovrebbe essere ben chiaro, di regola non condanna i suoi servi e meno che mai se stesso.

Un parco, sfumature e prospettive.

No, non ho deciso di scrivere un pezzo sulla pittura impressionista, come si potrebbe pensare leggendo il titolo qui sopra. Sto pensando a ciò che accade in Turchia da cinque giorni a questa parte: è scoppiata una rivolta estesa e pertecipata nata dall’esigenza di difendere il parco di Gezi a Istanbul, minacciato di distruzione per far posto ad un centro commerciale e ad una moschea. La polizia è “diventata” violenta e i manifestanti non sono rimasti a guardare, cosicchè al quinto giorno di proteste si contano tre morti e 2500 feriti (dato fornito dall’associazione dei medici turchi) tra i manifestanti, mentre il governo, per bocca del vicepresidente Bulent Arinc, lamenta il ferimento di 244 poliziotti a fronte di “soli” 64 manifestanti feriti. Potrebbe stupire il fatto che decine di migliaia di persone siano scese in piazza pronte a tutto per difendere un parco, ma ho come la netta impressione, leggendo alcuni approfondimenti sulla vicenda, che il tentativo di imporre  questa ennesima decisione contro l’interesse di gran parte della popolazione abbia rappresentato la classica goccia che fa traboccare il vaso: la speculazione edilizia, la marginalità, la precarietà, lo sfruttamento e la risposta violenta delle autoritá per nulla inclini al dialogo sono gli elementi principali che hanno creato l’esplosione alla quale ora assistiamo. Il fatto che il governo turco continui a minimizzare la violenza delle forze dell’ordine tentando allo stesso tempo di dividere i manifestanti in moderati ambientalisti ed estremisti violenti e destabilizzatori ( da rintracciare soprattutto, sempre a detta del vicepremier, nei partiti d’opposizione) non è nulla di nuovo. A me fa ridere (amaramente) il fatto che i telegiornali tedeschi parlino di abusi di polizia e sostengano che i manifestanti siano dalla parte della democrazia, quando ch vive in Germania dovrebbe sapere benissimo che le forze dell’ordine il 30 Settembre 2010 a Stoccarda, per sgomberare un parco difeso pacificamente anche da studenti minorenni e pensionati ha fatto ricorso a manganellate, spray al pepe ed idranti (questi ultimi anche contro persone arrampicate a diversi metri d’altezza sugli alberi, il che significa potenzialmente un tentato omicidio) provocando più di trecento feriti, uno dei quali ha perso la vista. Chi difendeva quel parco a Stoccarda lo faceva contro il progetto ferroviario “Stuttgart 21”, messo fortemente in discussione da numerosi cittadini per motivi ambientali, paesaggistici ed economici, ma anche perchè si trattava di un progetto deciso dall’alto a vantaggio degli interessi economici di alcune grosse imprese ed istituzioni senza consultare la cittadinanza. Da che parte stava in quel caso la democrazia? Non erano evidenti gli abusi di potere (che, non mi stancherò mai di ripeterlo, è già di per sè un abuso) e l’uso indiscriminato della violenza da parte degli apparati statali? I bei discorsi valgono solo se certi episodi accadono lontani da casa nostra e i “cattivi” sono i governi degli “altri”? Allo stesso modo mi chiedo cosa ne pensi il ministro degli Affari Esteri Emma Bonino, che giudica eccessiva l’azione delle forze dell’ordine in Turchia, della strategia usata dalle forze dell’ordine in Italia contro gli/le attivisti/e che da anni lottano per difendere le loro terra dal mostruoso progetto del TAV. Magari sarebbe opportuno rinfrescare la memoria a ministri e giornalisti, in Italia, Germania e ovunque, su cosa sia la violenza di Stato a prescindere dal Paese nel quale viene esercitata e su come la risposta popolare possa essere tenace e, perchè no, vittoriosa.