Appello globale per un capodanno anticarcerario e solidale.

Alcune settimane fa é stato lanciato un appello internazionale a manifestare nel giorno di Capodanno in ogni parte del mondo nei pressi dei centri di detenzione per esprimere solidarietá alle persone rinchiuse in tali luoghi. L’appello sottolinea come non ci si debba solo limitare a manifestazioni rumorose per far sentire la propria presenza e solidarietá alle persone sequestrate dallo Stato, ma si debba trasformare la mobilitazione in un’ occasione per intervenire attivamente contro le strutture detentive e le logiche che producono tali strutture. L’appello é giá stato raccolto da molti/e, diverse manifestazioni per un Capodanno di solidarietá anticarceraria sono previste negli USA (Baltimora, Richmond, Seattle, Portland), in Germania (Berlino, Colonia, Stoccarda, Brema), in Italia (Ancona, Torino, Bergamo, Como…), in Inghilterra (Londra), in Grecia (Atene) ed in diversi altri Paesi.

Leggi l’appello alla mobilitazione internazionale pubblicato sul sito Informa-Azione.

Dai colonnelli ai banchieri.

Articolo di Michele Fabiani dal sito Anarchaos.org:

” Dai colonnelli ai banchieri. Quando al capitalismo la democrazia liberale sta stretta… (di Michele Fabiani)

DAI COLONNELLI AI BANCHIERI

Cosa succede quando al capitalismo la democrazia liberale sta stretta

 IL PREGIUDIZIO SUL CAPITALISMO DEMOCRATICO

Una delle favole moderne vuole che il capitalismo vada sempre d’accordo con la cosiddetta democrazia liberale. La democrazia liberale è quella forma di governo in cui gli scontri di parte presenti in ogni società vengono dominati e incanalati in una forma rappresentativa istituzionale intermedia. La democrazia liberale è in ultima istanza una democrazia rappresentativa, con il parlamento, l’esecutivo e la magistratura. La democrazia liberale non è affatto una bella cosa, anzi come ogni forma di governo anche essa presenta delle contraddizioni. Filosoficamente, prima che politicamente, la neutralità nella realtà concreta non esiste, la delega che viene data alle istituzioni è utilizzata da queste per garantire sempre gli interessi dei potenti. Questi vengono garantiti con delle istituzioni coercitive la cui punta di diamante sono le carceri e i tribunali. Insomma la favola del capitalismo democratico e liberale non è mai una storia a lieto fine.   

Ma non è questo ora che ci interessa. Quello che invece in questa sede occorre sottolineare è il pregiudizio secondo cui il capitalismo sia sempre liberale e democratico. Sappiamo che non è così. L’economia fascista era in ultima istanza un’economia capitalistica. La stessa ideologia del fascismo, se pur con una certa dose di statalismo, è collocabile all’interno del pensiero capitalista. Ma nessuno può certo sostenere che il fascismo era un regime democratico e liberale, nonostante fosse capitalista. Il fascismo non è un’eccezione: il capitalismo ha da sempre utilizzato forme di governo dittatoriali, ha da sempre ordito golpe, ha da sempre scatenato guerre insensate e immotivate per interessi imperiali o anche solo per mero profitto. Anche all’interno delle stesse società liberali, con il loro parlamento e le loro istituzioni, il capitalismo “in casa propria”, nelle aziende, nei consigli di amministrazione, nel sistema della finanza e nella Borsa non si può certo dire che segua norme di tipo democratico e liberale (non conta ad esempio il principio “una testa un voto”).

Il capitalismo è democratico come e quando gli interressa. Ci sono contingenze storiche in cui il capitalismo si esprime in forma democratica, altre invece in cui preferisce altri tipi di regime.

 

LA GRECIA, DAI COLONNELLI AI BANCHIERI

In Grecia, ad esempio, il regime democratico non era certo in grado di contenere le spinte rivoluzionarie di quel paese. Pertanto il capitalismo ha scelto di imporre per anni il cosiddetto “regime dei colonnelli”. Il regime dei colonnelli non è certo stato un affronto al capitalismo mondiale. Non era nemmeno un regime fascista e antiamericano. Il regime dei colonnelli era foraggiato, sponsorizzato e sostenuto dalla più grande potenza capitalista mondiale, gli Stati Uniti.

Quando le spinte rivoluzionare in quel paese erano state ormai sterilizzate, quel regime non è stato più sostenuto. La rivolta, assolutamente legittima e sacrosanta, del popolo greco e in particolare degli studenti, già allora con grande componente anarchica, ha portato al crollo del regime, ma non ha instaurato una società post-capitalista. Il capitalismo ha semplicemente cambiato veste politica. Ne erano consapevoli gli stessi partiti pseudo rivoluzionari, come il KKE, che tradirono presto la rivolta, una volta ottenuta la democrazia liberale. Sono gli stessi che oggi tradiscono la rivolta contro i sacrifici imposti dalla Banca Centrale Europea, schierandosi a difesa del parlamento con mazze e caschi, e che insieme alla polizia picchiano i manifestanti.

Il capitalismo però non è un mostro razionale e invincibile. Le sue contraddizioni hanno portato morte e miseria, hanno saccheggiato la Grecia riducendola alla bancarotta. Oggi la situazione è di nuovo ingestibile per la democrazia liberale. Si impone quindi un nuovo cambio di regime. Non credo che esista una stanza dei bottoni che dietrologicamente comandi il mondo. Credo anzi che “le capocce” del capitalismo mondiale siano in gravi difficoltà. Stanno procedendo a tentoni, stanno sperimentando sulla nostra pelle nuove forme di dominio. Tentativi autoritari si affacciano, ma ancora si cerca di respingerli, come quando sono stati decapitati i vertici delle forze armate per paura di un nuovo colpo di stato. Ma sembra che la nuova forma politica del capitalismo debba essere differente rispetto alle precedenti dittature militari.

In Grecia il governo politico non era più in grado di gestire la protesta, che stava ormai assumendo veri e propri caratteri insurrezionali. E’ stato quindi sostituito dal governo dei banchieri, guidato dall’ex vicepresidente della Banca Centrale Europea. Il governo dei banchieri è un governo diverso dal governo di una democrazia liberale. In una democrazia liberale, almeno all’apparenza, le banche e in generale la grande borghesia sono solo una parte della torta. Ufficialmente la politica deve cercare di rappresentare tutte le componenti della società. Sappiamo ovviamente che non è cosi. Sappiamo che le banche da sempre dominano i governi politici. Fino ad oggi però il loro dominio era nascosto, la loro era una potente lobby che cercava di influenzare la politica. Oggi sono al vertice della politica.

Siamo di fronte ad una nuova frattura fra la democrazia liberale e il capitalismo. Come ai tempi dei colonnelli, oggi il capitalismo non si trova più “a suo agio” sotto la veste politica di una democrazia liberale. Pertanto cerca forme di regime diverse: non più il regime dei colonnelli, ma quello dei banchieri. Il regime dei banchieri è un regime qualitativamente differente da quello liberale. Lo dimostra la vicenda del referendum sui sacrifici imposti dalla BCE: quel referendum è stato cancellato, la democrazia liberale viene ufficialmente sospesa dal regime dei banchieri.

 

L’ITALIA, DA BERLUSCONI AI BANCHIERI

Anche in Italia stiamo assistendo ad un mutamento della veste politica del regime liberale. L’Italia in questo, purtroppo, si è dimostrata all’avanguardia rispetto ad altri paesi. Da quasi venti anni, con la discesa in campo di Berlusconi, abbiamo assistito alla fine del regime democratico inteso in senso classico. Generalmente, in una democrazia liberale, il governo è in mano apparentemente alla politica, mentre la borghesia, nell’ombra, cerca di influenzarlo. Con Berlusconi abbiamo avuto un “pezzo da novanta” della borghesia che in prima persona, con i propri soldi, le proprie televisioni, i propri interessi privati, si fa politica.

In questo senso, se pensiamo che Berlusconi minacciava di gestire l’Italia come se fosse una sua azienda, possiamo ben vedere che il nuovo governo del banchiere Mario Monti è in perfetta continuità. Non facciamoci prendere in giro dalle apparenze, dal bunga-bunga, dalla sobrietà di Monti di fronte alla sfacciataggine di Berlusconi, ecc. La sostanza è che Berlusconi rappresentava una sospensione della democrazia liberale e la discesa in campo di un grande capitalista, e Monti allo stesso modo è un grande cervello del capitalismo europeo che occupa il potere in maniera non democratica. Quindi Monti rappresenta la continuazione della sospensione della democrazia liberale già iniziata con Berlusconi. 

Il nuovo governo Monti supera tutte le fantasie e tutte le dietrologie dei complottisti. Quante volte abbiamo sentito fantasticherie su un governo dei banchieri che dietro ai governi politici da ordini, implementando la volontà di qualche misteriosa plutocrazia? Quelle fantasie oggi sono superate per eccesso dalla realtà stessa: non c’è più un covo di massoni e banchieri che comanda il governo, è il governo stesso che è in mano a banchieri, a massoni, a pezzi grossi del Vaticano.

In Italia, come in Grecia, il regime democratico non è più in grado di governare le contraddizioni sociali: la sua nuova veste politica è il regime dei banchieri.

 

CROLLO DELL’EUROPA LIBERALE E ASCESA DEL REGIME DEI BANCHIERI

Proviamo a generalizzare, ad operare un’induzione a partire dai casi particolari di cui abbiamo parlato. Noi assistiamo ad una profonda crisi del capitalismo europeo. Tale crisi si osserva sia sul piano esterno, come potenza o coordinamento di potenze di natura imperialistica, sia sul piano interno.

Sul piano estero. Le rivoluzioni che stanno infiammando numerose città del mediterraneo denunciano il fallimento totale delle strategie imperialistiche dell’Europa. In Egitto il governo filo-americano e filo-israeliano di Mubarak è stato spazzato via dalla rivoluzione e proprio in questi giorni il potere dei militari che hanno sostituito il vecchio dittatore è di nuovo scosso da durissime rivolte. La rivoluzione tunisina, la più sociale e “socialista” delle rivoluzioni arabe di questo infiammatissimo 2011, è avvenuta nell’impotenza totale della Francia, la vecchia potenza coloniale. Solo in Libia l’imperialismo franco-americano ha tentato di gestire la rivolta a proprio piacimento, riuscendo nel suo intento immediato (far fuori Gheddafi) con molto ritardo e comunque impantanandosi in una situazione di caos difficilmente gestibile.

Sul piano interno la situazione è, se possibile, ancora più complicata. Il tentativo delle lobby europeiste di fare la Nazione Europea è decisamente affondato nei rivoli della crisi. Di fatto assistiamo al governo tedesco di un’Europa ingovernabile. La rivolta in Val Susa è un esempio empirico emblematico del fallimento della Nazione Europea: l’Alta Velocità, un classico progetto imperiale come per i Romani la costruzione delle grandi strade che dovevano unire l’Impero, non riesce ad imporsi sulla testa dei montanari che giustamente non vogliono che la loro Valle venga distrutta dalle lobby dell’acciaio e dalla prepotenza imperiale europea.    

Ma è nella crisi che il capitalismo tenta l’ennesimo cambiamento della forma politica. In questo l’Europa è, nostro malgrado, all’avanguardia persino nei confronti degli Stati Uniti. In America, per lo meno, il capitalismo finanziario ha un “testa” centrale, la Fed, controllata dallo Stato. In Europa assistiamo alla prima banca centrale della storia del capitalismo che non solo non ha uno Stato che la controlla, ma che è essa stessa a dettare agli Stati propri vassalli le linee guida della propria azione economica.

 

LE INSURREZIONI POPOLARI E IL MUTAMENTO DI FORMA DEI MOVIMENTI DI PROTESTA

Ma non è solo il dominio a cambiare la propria forma politica. Anche i movimenti di protesta stanno subendo una speculare trasformazione. Se, da un lato, di fronte alla crisi il capitalismo cambia la propria forma politica da regime democratico e liberale a regime dei banchieri, sul fronte opposto i movimenti democratici si vanno trasformando in movimenti popolari di tipo insurrezionale. Per capire di cosa sto parlando si guardi alla manifestazioni in Grecia. Il 15 Ottobre romano in questo senso è solo un assaggio. Fanno un po’ ridere (e un po’ piangere) Vendola e Bernocchi nelle loro condanne. E’ come se cercassero di fermare il treno della storia a testate.

La mia non è un posizione etica, tanto meno estetica. La mia è un’analisi. Le stesse analisi, con gli stessi risultati, le stanno facendo anche gli organi di polizia. L’analisi prevede che, di fronte al dilagare della crisi, anche le proteste diventeranno ingestibili, in primo luogo dai loro stessi leader. La disperazione sociale a cui ha portato la gestione capitalistica della crisi non può più essere incanalata nel dibattito politico. Paradossalmente è il dominio stesso che sta provocando questa contraddizione: con la sospensione della democrazia liberale e l’avvento dei regime dei banchieri, il movimento di protesta non avrà più sponde politiche istituzionali e non potrà che diventare movimento di rivolta.

Il regime dei banchieri, appena nato, già denuncia le sue contraddizioni: l’incapacità di rappresentare, anche fosse solo in maniera fittizia come nelle democrazie liberali, l’antagonismo popolare.

 

DI FRONTE AD UN REGIME CHE CAMBIA FORMA OCCORRE TROVARE STRUMENTI DI LOTTA DIFFERENTI

Abbiamo detto che il cambio di regime politico (dalla democrazia liberale al regime dei banchieri) provoca un cambio di forma politica anche nei movimenti di protesta, non più democratici ma con tratti sempre più marcatamente insurrezionali. Questo per quanto riguarda l’analisi per così dire “imparziale” e oggettiva degli eventi.

In ogni caso non si capisce perché di fronte ad un regime che cambia veste politica (e in peggio) non dovremmo avere il diritto di cambiare anche noi gli strumenti di opposizione. Non si sono fatti tanti scrupoli etici i padroni del mondo quando hanno sospeso la democrazia liberale, non ce li faremo certo noi nel rispettare i residui di legalità borghese che sono sopravvissuti.

L’opposizione al fascismo era differente dall’opposizione ai regimi democratici. Oggi che i regimi democratici sono stati sostituiti dal regime dei banchieri, anche la nostra opposizione dovrà trovare forme e modalità diverse. Chi oggi, tardivamente, ci propone uscite elettoralistiche dalla crisi o è un infame o non ha capito nulla di cosa sta succedendo.

La legalità democratica è finita. Per tutti.

Michele Fabiani “

Paul Avrich, “The Russian Anarchists”.

 

Paul Avrich, “The Russian Anarchists”, AK Press (ISBN 1-904859-48-8)

In the turmoil of the Russian insurrection of 1905 and civil war of 1917, the anarchists attempted to carry out their program of “direct action”- workers’ control of production, the creation of free rural and urban communes, and partisan warfare against the enemies of a free society. They acted as the gadfly of total rebellion, brooking no compromise with the annihilation of government and private property, refusing refusing to accept anything but the Golden Age of full liberty and equality. In the end, however, a new despotism arose upon the ruins of the old, and the anarchist movement in Russia was stamped out. The few who survived the Communist government’s torture and executions clung to the belief that ultimately their vision of a stateless utopia would triumph.

In addition to examining published material in five languages, Avrich consulted anarchist archives worldwide to present a picture of the philosophers, bomb throwers, paesants, and soldiers who fought and died for the freedom of “Mother Russia”. The influence and ideas of Bakunin and Kropotkin, the armed uprising of Makhno, the activities of Volin, Maximov, and the attempted aid of Alexander Berkman and Emma Goldman are chronicled in this first English language history of the anarchist movement in Russia.” ( Dalla quarta di copertina del libro ).

Un libro imperdibile sulla storia del movimento anarchico in Russia dall’insurrezione del 1905 fino alla definitiva repressione degli anni Venti, passando per le rivoluzioni del 1917: idee, fatti, figure di spicco, il tutto raccontato con uno stile impeccabile da uno dei massimi conoscitori della storia dell’anarchia. Da leggere, insomma, in qualsiasi lingua lo troviate!

Solidarietá ai punk colpiti dalla repressione in Indonesia!

Notizia agghiacciante ma purtroppo vera, tratta dal sito “noncipossocredere“:

“Le creste sono diventate tagli a zero, piercing e catene sono stati fatti sparire, e i giovani “deviati” sono stati costretti a sessioni di preghiera e di purificazione nell’acqua. E’ il destino toccato a 65 punk indonesiani nella provincia di Aceh, dopo una retata effettuata dalla polizia islamica durante un concerto rock che sabato scorso aveva richiamato un centinaio di giovani appassionati nella capitale Banda Aceh, dove vige la sharia.

Gli agenti hanno arrestato gran parte del pubblico, tra cui cinque ragazze, portandoli di forza in una scuola di polizia lontana dalla città. Lì, per 10 giorni avrà luogo la “riabilitazione morale” dei giovani “blasfemi”, descritti dal capo della polizia locale Iskandar Hasan come una specie di anime smarrite da riportare sulla retta via (e dire che il ricavato del concerto andava in beneficenza a degli orfani). “I loro vestiti sono disgustosi. Non si lavano, vivono in strada, non pregano. Gli daremo una lezione”, ha spiegato.

Il trattamento militaresco, che ha spinto alle lacrime alcuni tra gli arrestati, prevede la rimozione di qualsiasi indumento o simbolo di ribellione: via jeans attillati e capelli lunghi, nessun pezzo di metallo al corpo, copertura dei diffusi tatuaggi. E poi ovviamente pulizia e preghiere regolari. Nessuna violazione dei diritti umani, assicura la polizia, convinta della sua missione moralizzatrice; le organizzazioni umanitarie la vedono diversamente.

Il giro di vite conferma la crescita dell’Islam più conservatore nella provincia di Aceh, la più occidentale del Paese, dove dal 2001 è in vigore la legge islamica nell’ambito di una maggiore autonomia concessa dal governo di Jakarta per placare le rivendicazioni separatiste. Recentemente il piccolo ma crescente segmento di “giovani ribelli” della provincia – spazzata dal catastrofico tsunami del dicembre 2004 – aveva già lamentato un progressivo tentativo di repressione da parte delle autorità, che negli ultimi anni hanno punito casi di adulterio e di omosessualità.

Difficile che l’iniziativa abbia però un seguito nel resto del Paese, dove il 90 per cento dei 240 milioni sono musulmani in gran parte di vedute moderate – anche se negli ultimi anni le frange più radicali hanno alzato la voce. Paradossalmente, proprio in Indonesia e nella vicina – e a maggioranza islamica – Malaysia la musica rock è sempre più diffusa, con toni ben più duri rispetto ad altri Paesi del sud-est asiatico dove i giovani tendono a privilegiare l’hip hop o il seguitissimo pop coreano.”

 

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Il compleanno di Babbo Natale.

Il natale é una festa religiosa per origine e tradizione, ma anche una festa consumistica per eccellenza. Nei primi tre filmati,tratti dal piú ampio documentario “Zeitgeist”, troverete la spiegazione della famosa leggenda di Gesú. Alcune informazioni contenute nei video sono tuttavia errate ( ad esempio vi furono storici dell’epoca in questione che testimoniarono l’esistenza di un personaggio riconducibile a Gesú Cristo, ma lo fecero in modo vago e contraddittorio, forse parlavano addirittura di diversi personaggi e non di un unico individuo ), ció non influisce peró in modo particolare sul discorso di fondo:

http://www.youtube.com/watch?v=l5cRcdk80Ok

http://youtu.be/_YvNGJ5XxXE

http://youtu.be/kRvecaETT44

 

Quest’altro video é invece un brevissimo e semplicissimo adbusting, che dovrebbe farvi riflettere sul consumismo indotto e sulle sue conseguenze:

http://youtu.be/85qjOfAm6_E

Con questo non voglio dire che non si debba assolutamente prendere l’occasione di un paio di giorni festivi per divertirsi, semplicemente inviterei a riscoprire il piacere della socializzazione, dello scambio di cultura e di saperi, del donare senza pretendere nulla in cambio. Queste festivitá sono inoltre un’ottima occasione per interrogarsi su diversi temi, a cominciare dall’ ipocrisia e dalla falsitá che spesso permeano i rapporti umani in questa societá, per finire con il problema del consumismo e la possibilitá di rompere il cerchio di sfruttamento che ci opprime, iniziando magari a (ri)scoprire forme di consumo critico che perlomeno riducono il danno creato dal sistema economico capitalista ed eventualmente aprono nuove prospettive per creare reti alternative di scambio, qui e ora, in opposizione alle imposizioni dettate dal totalitarismo di mercato nel quale viviamo.

Bandiera nera, simbolo anarchico.

Nonostante i fascisti si siano appropriati di questo simbolo ( e di molti altri, trafugati da culture, religioni  e idee che nulla hanno a che vedere con l’estremismo di destra ), la bandiera nera é sempre stata e sempre sará un simbolo anarchico. Giá durante la Rivoluzione Russa del 1917 l’esercito popolare libertario di Nestor Makhno ( che si batté sia contro i reazionari zaristi, sia contro i traditori bolscevichi ) in Ucraina usava la bandiera nera, sulla quale era scritto “La terra ai contadini, le fabbriche ai lavoratori”. Il nero é il colore della negazione, ma anche dei lutti e delle miserie che gli sfruttati furono e sono tutt’oggi costretti a subire. Questa bandiera venne spesso associata a quella rossa, simbolo quest’ultima delle radici socialiste degli anarchici. Dopo esser stati cacciati dalla Prima Internazionale dai marxisti, a partire dagli anni ’80 dell’ Ottocento gli anarchici iniziarono a privilegiare il nero rispetto al rosso durante le manifestazioni e le azioni di protesta, basti pensare ai vessilli neri che sventolarono giá durante gli scioperi dei lavoratori a Chicago nel 1884. Il movimento anarchico russo nato nel 1905 si chiamava “Chernoe Znamia”, “striscione nero” ; nel 1925 gli anarchici giapponesi formarono la “Black Youth League, nel 1945 rifondarono la loro federazione e chiamarono il loro giornale “Kurohata”, ovvero “bandiera nera”. Questi sono solo alcuni esempi storici che documentano l’uso di questo simbolo da parte degli anarchici ben prima del 1919, anno di fondazione dei famigerati fasci di combattimento mussoliniani…  La classica bandiera nera anarchica é passata col tempo attraverso diverse trasformazioni e viene associata ad altri colori, soprattutto al rosso: divisa diagonalmente, la bandiera rosso-nera si diffuse durante la Rivoluzione Spagnola, rappresentava inizialmente gli anarco-sindacalisti ma oggi é sventolata orgogliosamente da molti anarchici, siano essi sindacalisti o meno. Anche la bandiera nera e verde é un simbolo sempre piú ricorrente, é retaggio dei “green anarchists” e viene usata anche dagli antispecisti e dai cosiddetti primitivisti. Inoltre esistono ulteriori varianti della bandiera nera associata ad altri colori per indicare correnti specifiche dell’anarchismo.

Vedi anche: Emma Goldman, “Perché la bandiera nera anarchica?”.

Nuovo blog.

Questo blog nasce in sostituzione del vecchio Black Blog su Splinder. La piattaforma Splinder sparirá a partire dal 31 gennaio 2012 insieme a tutti i blog lí ospitati. Risultandomi impossiblie, per motivi tecnici, poter recuperare tutti i contenuti del mio vecchio blog, questo nuovo Black Blog partirá da zero o quasi: riporteró tramite copia-incolla alcuni vecchi post scritti da me, il resto sará “nuovo”. Invito chiunque abbia seguito e/o linkato il vecchio blog a prender nota del nuovo indirizzo. I commenti (possibilmente costruttivi!) saranno come sempre benvenuti. Il materiale qui pubblicato (perlomeno quello scritto: video e foto sono tratti solitamente dal web), salvo diversa indicazione, é opera del sottoscritto e quindi non soggetto a copyright, liberamente riproducibile a patto di citarne l’autore (non é un obbligo ma un fatto di correttezza). Buona lettura!