Verità e giustizia per Santiago Maldonado!

Fonte: anarresinfo.noblogs.org

“Il 18 di Ottobre nel rio Chabut è stato ripescato il corpo di Santiago Maldonado.
Era scomparso il 1 Agosto.
Desaparecido. Scomparso. Questa parola viene usata solo in spagnolo, perché solo in questa lingua assume il significato che hanno saputo imprimerle i regimi autoritari che negli anni Settanta hanno insanguinato l’America Latina.
Durante la dittatura di Videla sparirono circa 30.000 persone. Sequestrate, torturate per settimane, mesi, infine gettate in mare ancora vive da aerei militari.
I figli delle prigioniere incinta nacquero in galere segrete come l’ESMA, vennero presi dagli aguzzini dei loro genitori che li spacciarono per propri.
Pochi sanno che nei decenni trascorsi dalla fine della dittatura ci sono stati 310 desaparecidos. Desaparecidos della democrazia. Di loro non si sa più nulla.
Anche Santiago Maldonado sarebbe entrato a far parte della lunga lista di desaparecidos se centinaia di migliaia di persone non fossero scese in piazza in Argentina e nel mondo per chiedere di rivederlo e di rivederlo vivo.
Santiago partecipava alla lotta dei Mapuche della Patagonia argentina e cilena contro la multinazionale italiana Benetton.
Oltre 960.000 ettari di terre mapuche, sfruttate in passato da compagnie inglesi, dal 1990 sono di proprietà di Benetton, che le ha trasformate in enormi pascoli per pecore da lana, bovini e cavalli a loro volta sfruttati intensivamente.
Uno dei tanti casi di land grabbing, furto legale di enormi porzioni di territorio, sottratte alle popolazioni che ci vivevano. La forma “moderna” del colonialismo.
Contro Benetton e lo Stato argentino ampi settori della comunità mapuche conducono una dura e lunga lotta. In questi anni si sono moltiplicate le occupazioni, i piccoli sabotaggi, le azioni di blocco.
Santiago è stato inghiottito da un potere che non guarda in faccia nessuno, pur di continuare a fare affari.
Il primo agosto si trovava a Pu lof en Resistencia a Cushamen, quando un centinaio di poliziotti in assetto antisommossa hanno fatto irruzione, sparando proiettili di gomma e di piombo.
La gente è fuggita attraversando il fiume per ripararsi dalle pallottole. Santiago non è riuscito a guadagnare l’altra sponda e si è nascosto dietro ad un albero. Qui i suoi compagni hanno sentito i poliziotti gridare che ne avevano preso uno. Poi lo hanno gettato su un mezzo della polizia. La polizia ha negato di averlo arrestato ed ha cominciato le “indagini” solo a metà Agosto.
Soraya Maicoño quel giorno si trovava per strada ed è stata fermata e trattenuta per sei ore sulla ruta 40, mentre la Gendarmeria reprimeva la comunità Pu Lof en Resistencia di Cushamen. Ha visto Pablo Noceti, capo di Gabinetto del Ministero di Sicurezza della Nazione, passare più volte di lì.
Ha anche notato che tra i pick-up che si dirigevano a Pu Lof c’erano anche quelli della tenuta Leleque di Benetton. Entravano nel commissariato, tornavano a Leleque, andavano a Pu Lof. Anche loro davano ordini, indicazioni. Erano al corrente di quello che succedeva. Era già successo il 10 gennaio, quando Ronald McDonald, amministratore generale delle tenute di Benetton, prestò il camion del ranch per trasportare i cavalli che avevano sequestrato ai mapuche.
Prima di entrare nel governo di Mauricio Macrì, Pablo Noceti era stato l’avvocato dei militari accusati di aver partecipato alle torture e alle sparizioni degli oppositori politici e sociali argentini durante la dittatura. Noceti aveva messo in dubbio le prove giudiziarie definendole “una vendetta politica” e mettendo in discussione l’impossibilità della prescrizione per tali crimini.
L’uomo giusto al posto giusto, pronto ad accusare di terrorismo le organizzazioni mapuche, mentre Santiago Maldonado era vittima del terrorismo di Stato. In vesti democratiche.
Il giorno prima del sequestro di Santiago, il 31 luglio, membri delle comunità mapuche protestavano davanti al tribunale federale di Bariloche per l’arresto arbitrario di Facundo Jones Huala: sono stati colpiti dalla Gendarmeria Nazionale e dal reparto di Assalto Tattico della polizia aeroportuale di sicurezza, con proiettili di gomma sparati ad altezza d’uomo. Nove persone sono state arrestate e molte altre sono state ferite.
Il primo settembre centocinquantamila persone hanno attraversato il centro di Buenos Aires, mostrando cartelli e gridando a gran voce “Donde esta Santiago Maldonado?”, “Dov’è Santiago Maldonado?” “Lo abbiamo salutato vivo, vogliamo rivederlo vivo.” Le piazze si sono nuovamente riempite il primo ottobre.
A metà settembre fonti anonime della polizia federale avevano fatto filtrare la notizia che Santiago era morto per le torture subite durante la detenzione.
Un mese dopo il suo corpo viene fatto trovare nel fiume Chabut. Trecento metri più a monte del luogo dove erano passati i mapuche in fuga dalle pallottole della polizia. Come ha fatto a risalire la corrente?
Secondo il quotidiano La Nacion ci sarebbe persino un testimone, anonimo e pagato per la sua testimonianza, che avrebbe dichiarato di aver visto Santiago nel fiume. Una testimonianza costruita per screditare i compagni di Santiago, che hanno assistito alla sua cattura. Un modo per assolvere lo Stato.
Nessuno crede a questa storia confezionata per sottrarre alle proprie responsabilità il governo argentino e la la multinazionale Benetton.
Vi ricordate il Rana Plaza?
Il Rana Plaza era uno stabilimento in cui si produceva per diversi marchi internazionali, tra cui Benetton. Siamo in Bangladesh dove “diritti umani”, “tutela dei lavoratori” sono lussi che i padroni non concedono ai loro dipendenti, sfruttati ferocemente per paghe da fame. Ne morirono mille nel crollo di quella fabbrica fatta di carta e sputi. Vuoti a perdere. Come i mapuche. Ma qualcuno dice no, alza la testa, sceglie di lottare per la propria vita e per la propria dignità.
Nella lunga storia della lotta Mapuche per la propria terra, chiare sono le responsabilità dei governi che si sono succeduti.
Altrettanto chiare le responsabilità del gruppo Benetton. Dietro alla facciata antirazzista, gay friendly, ci sono i feroci colonialisti del nuovo millennio.
Le maglie colorate di Benetton si sono macchiate del sangue di tanta gente che lottava. Come Santiago Maldonado.”

Andrés Ruggeri, “Le fabbriche recuperate”.

Cover

Andrés Ruggeri, “Le fabbriche recuperate. Dalla Zanon alla RiMaflow. Un’esperienza concreta contro la crisi”, edizioni Alegre, 2014, ISBN 978-88-98841-07-3

Andrés Ruggeri, antropologo presso la facoltà di Lettere e filosofia di Buenos Aires, analizza in questo libro il fenomeno delle imprese recuperate dai/lle lavoratori/trici in Argentina, principalmente a partire dalla crisi economica del 2001 fino ad un paio di anni fa. Abbandonate dai padroni, occupate e rimesse in funzione dai/lle lavoratori/trici in un contesto spesso difficilissimo, le cosiddette fabbriche recuperate in Argentina sono più di 300 e consentono di lavorare a più di 15mila persone: una goccia nel mare dell’economia nazionale, forse, ma secondo l’autore di questo libro un esempio concreto e funzionante di come democrazia di base, mutuo appoggio, autogestione e soddisfacimento dei propri bisogni possano affermarsi anche nei momenti più difficili, in controtendenza rispetto al paradigma capitalista fondato su accumulo del capitale, massimizzazione dei profitti, sfruttamento, precarizzazione, predazione delle risorse e autoritarismo. Ne “Le fabbriche recuperate” vengono analizzati diversi elementi fondamentali, utili a comprendere il fenomeno in questione. Viene illustrato il contesto socio-economico nel quale nascono queste imprese, la loro tipologia, il loro sviluppo negli anni, il ruolo dei sindacati e dei diversi movimenti di lotta ma anche il rapporto spesso difficile o addirittura conflittuale con le istituzioni locali e nazionali, le strategie dei/lle lavoratori/trici e i loro obiettivi, la struttura e l’economia interna delle aziende recuperate ed il loro rapporto con il mercato, il ruolo delle tecnologie. Il tutto senza imbellettare la realtà e senza risparmiare critiche, parlando chiaramente di limiti ed errori, ma sempre sottolineando la genuinità, l’importanza e le potenzialità insite nell’autogestione operaia. Chi peró fosse interessato/a a conoscere meglio le esperienze di autogestione lavorativa in altri Paesi, ad esempio in Italia, dovrà procurarsi altri testi: nel titolo italiano del libro si cita infatti la fabbrica recuperata milanese RiMaflow, ma il libro in questione si concentra quasi esclusivamente sulla realtà argentina. Il che, secondo me, non è un limite e serve anche ad evitare che i contenuti risultino troppo dispersivi, mentre l’analisi di Ruggeri si presenta centrata e sintetica pur offrendo al tempo stesso un quadro generale di solide basi sulle imprese recuperate nel suo Paese e sul movimento, le idee e le forze che hanno permesso che un’aspirazione collettiva divenisse realtà tangibile.

“Nao vai ter copa!”: i mondiali di calcio in Brasile.

In molti/e non aspettano altro in tutto il mondo, animati da passione più o meno accesa nei confronti dello “sport più bello del mondo” o semplicemente dalla voglia di distrarsi dai problemi quotidiani che li/le affliggono: il 12 giugno inizia in Brasile il campionato mondiale di calcio. Non scrivo “dovrebbe iniziare” anche se sarei tentato: il fatto è che, piaccia o no, la logica del capitalismo che sta dietro i grandi eventi non ammette resistenze di sorta ed in nome del profitto si è disposti a passare anche sui cadaveri- letteralmente. A seguito delle proteste di massa contro il previsto aumento dei prezzi dei trasporti pubblici, la mancanza di investimenti statali nel settore sanitario e scolastico, gli sfratti e le politiche repressive nei confronti di poveri ed emarginati attuate dal governo brasiliano, strettamente connesse al grande evento calcistico, a livello internazionale ormai non è solo la voglia di pallone ad essere cresciuta, quanto la consapevolezza che il mondiale-almeno così come è stato organizzato nel Paese ospitante- vada boicottato. A tale proposito, la posizione maggiormente condivisa (che definirei “morbida” e “riformista”) viene efficacemente riassunta da un video visualizzatissimo sul web:

Difficile negare i fatti riassunti nel video, tutt’al più c’è chi corregge alcune affermazioni dell’autrice, ad esempio che la spesa affrontata è di 30 miliardi di reales e non di dollari- ora sì che mi sento sollevato! I “correttori”, che evidentemente non sono appena stati sfrattati da una baracca situata in una favela o pestati a sangue dai poliziotti impegnati a far pulizia in attesa di danarosi turisti, né stanno crepando di una qualche patologia altrimenti curabile a causa delle carenze del sistema sanitario pubblico, si impegnano nell’evidenziare le potenzialità economiche dell’evento per la popolazione tutta, invitando a lasciar perdere proteste e boicottaggi, fiduciosi che il mondiale cambierà in meglio il Brasile. Se così non dovesse essere, sarà allora per la prossima volta, no? Le olimpiadi in Grecia, il mondiale di calcio in Sudafrica, gli europei di calcio in Ucraina e Polonia- qualcuno si ricorda ancora di Italia ’90?: questi ed altri esempi dovrebbero bastare a chi ancora non avesse capito come funzionano certe cose. Chi abbocca alla balla del benessere diffuso scaturito dai grandi eventi di natura commerciale o è un boccalone, oppure è in mala fede e non ha capito che la passione per il calcio, sport popolare e “proletario” per origini storiche, ha poco a che vedere con gli interessi di multinazionali, grandi investitori e lacchè vari. Tra chi invece ha individuato le radici del problema c’è chi partecipa attivamente alle lotte in corso per le strade delle città brasiliane e chi tenta di appoggiare tali lotte con iniziative controinformative e con il boicottaggio attivo del grande evento sportivo di turno. Per chi fosse interessato/a, esiste in italiano una pagina su Facebook che promuove il boicottaggio attivo del mondiale; a chi cerca ulteriori informazioni sulle proteste e sulle ragioni di chi si oppone a questo mondiale di calcio, sulle politiche repressive e sui costi sociali, consiglio di seguire il sito in lingua italiana “Il Resto del Carlinho (Utopia)” che ritengo tra i migliori che io abbia trovato finora sul web; a tutti/e gli/le altri/e, auguro buona visione dell’ennesimo spettacolo sulla pelle degli sfruttati e dei senza diritti, ma tenete sempre presente che un giorno qualcuno potrebbe godersi un nuovo spettacolo costato la vostra miseria ed il vostro sfruttamento. Sempre che quel giorno non sia già arrivato e voi non ve ne rendiate nemmeno conto.

Sullo sciopero agrario in Colombia.

Fonte: Infoaut, pubblicato in data 21/08/2013.

“Colombia, sciopero agrario. In migliaia bloccano le strade

altPer due giorni consecutivi, migliaia di colombiani che lavorano nel settore agrario sono scesi in strada in occasione dello sciopero nazionale del settore. La mobilitazione è stata indetta dopo che il governo colombiano ha approvato nuove misure di espropriazione delle terre dei contadini  al fine di consegnare le risorse naturali alle multinazionali. Nonostante i numerosi giorni di mobilitazione durante i quali i contadini si sono opposti alla politica di sfruttamento della terra colombiana, il governo ha continuato a sradicare forzatamente le terre che per tanti anni hanno coltivato i contadini della zona di Catatumbo.

Nella giornata di ieri, l’oceanica partecipazione allo sciopero ha portato a scontri tra i contadini e la polizia colombiana. Numerose sono state infatti le strade bloccate in più di 20 dipartimenti della Colombia. A Bogotà, centinaia di persone sono scese in strada a protestare in cinque diversi punti della città, comunicando il loro rifiuto verso le politiche economiche del Governo e ai Trattati di Libero Commercio che mettono la parola fine alle terre coltivate, alle miniere e ad atri settori analoghi.

Nei due giorni di sciopero, circa 16mila poliziotti sono stati dispiegati per reprimere la protesta che ha raggiunto il suo apice nella giornata di ieri. L’atteggiamento aggressivo della polizia ha portato a numerosi feriti e circa 50 persone arrestate, tra di loro, alcuni giornalisti. Almeno un manifestante risulta ferito da un colpo di arma da fuoco.

Nella Valle del Cauca, circa 600 persone che si trovavano a manifestare davanti al municipio, sono state circondate per diverse ore dalla polizia, che aveva a suo tempo ricevuto l’ordine di sgomberare le piazze e le strade per rendere inefficace lo sciopero. Tra le istanze dei lavoratori del settore agrario e minerario, l’incremento di misure che aiutino la produzione agraria locale, la partecipazione delle comunità e dei piccoli e tradizionali minatori nella regolazione della politica mineraria, misure e garanzie reali per l’esercizio dei diritti politici della popolazione rurale e agevolazioni per la popolazione rurale e urbana nell’ambito dell’educazione, salute, casa, servizi pubblici e trasporti.

Nel frattempo, ancora oggi, migliaia di colombiani continuano a raggiungere diversi punti in tutto il Paese, per proseguire la mobilitazione. Lo sciopero agrario e popolare quindi, continua ad oltranza. Le mobilitazioni stanno ricevendo sempre più una connotazione popolare e di massa, dopo che si sono uniti alle proteste anche camionisti, studenti, operai, medici, insegnanti e organizzazioni sociali.”

Per capire meglio i retroscena e le motivazioni dello sciopero in corso in Colombia consiglio la lettura di un’articolo in lingua spagnola pubblicato su Anarkismo, approfondito e ben documentato, arricchito da notizie attuali pubblicate nello spazio dedicato ai commenti: [Colombia] 19 de Agosto, paro agrario y popular, ¿un nuevo punto de inflexión en la lucha de clases?

Rivolte in Brasile: ancora qualche articolo di controinformazione ed approfondimento.

Giusto ieri, durante l’intervallo della finale di calcio della Confederation Cup trasmessa in Germania dalla rete ZDF, un giornalista in diretta dalle vicinanze dello stadio riportava la notizia di una manifestazione, inizialmente pacifica, dalla quale sarebbe partita un’aggressione da parte di una decina di facinorosi ai danni della polizia, che avrebbe reagito con decisione disperdendo tutti i manifestanti. Il copione “maggioranza di manifestanti pacifici che per colpa di pochi violenti scatenano la repressione delle forze dell’ordine che fanno solo il loro lavoro per l’interesse della comunità” ci viene proposto dai massmedia in Italia ed altrove ad ogni occasione, salvo situazioni di comodo comunque raccontate in modo menzognero (vedi la rivolta turca di Gezi Park e Piazza Taksim), come dimostra quanto ho osservato su un canale “a caso” della tv tedesca, ma la realtà è diversa. Sul sito Contra-Info ho appena trovato un ottimo report (in inglese) sulla rivolta brasiliana, contenente osservazioni interessanti e numerosi video che parlano da se, smentendo le sciocchezze della propaganda massmediatica dalla quale siamo quotidianamente bombardati. Un’analisi efficace, pubblicata anche in italiano su Anarkismo, illustra cause ed obiettivi della rivolta, le conquiste seppur parziali finora ottenute, la strumentalizzazione delle destre, l’incapacità delle organizzazioni di sinistra e la prospettiva della lotta da un punto di vista anarchico: quello che le televisioni non mostrano o mostrano in modo distorto.

Sulle proteste popolari in corso in Brasile.

Fonte: Infoaut.

” Brasile, scontri e proteste si diffondono ovunque!

 

Giovedì 20 Giugno 2013 11:35

brazil_protests_football_19Centinaia di migliaia di brasiliani hanno nuovamente invaso le strade di Rio de Janeiro ieri in continuità con il largo movimento di protesta che ha preso piede dal rigetto degli aumenti delle tariffe dei bus per arrivare rapidamente ad un largo e trasversale “no” alla corruzione dei governanti. Nonostante l’incessante lavorio dei principali mezzi di informazione volti a dissuadere dal creare ulteriori disordini, l’annuncio del rafforzamento di truppe militari nelle zone interessate particolarmente al circuito legato alla Confederation Cup (a proposito, fa scoop in tutto il mondo la dichiarazione del giocatore brasiliano Neymar, che si dice “ispirato dalla protesta”), e il tentativo mal riuscito di dividere in “buoni” e “cattivi” i manifestanti, il volume della protesta non accenna a diminuire.

Continuano i fronteggiamenti in strada tra gruppi radicali e polizia antisommossa, specialmente attorno alla zona dove si teneva l’incontro di calcio tra Brasile e Messico, a Fortaleza. Qui migliaia di persone, con gli studenti nelle prime file, hanno tentato di forzare il dispositivo militare ingegnato a mò di zona rossa attorno allo stadio, ingaggiando ripetuti scontri con tanto di avenues invase da lacrimogeni e pallottole di gomma. Eloquenti i cartelli che apparivano a ridosso della zona “calda”, in gran parte occultati dalle grosse testate presenti per l’evento sportivo: “Sanità, educazione, non Corruzione”, recitavano. Gli scontri sono proseguiti tutto il giorno e durante la notte con barricate diffuse, bus e auto divelti, fronteggiamenti a distanza e continui inseguimenti della polizia militare.

La radicalità della rivolta brasiliana, il maggiore movimento di protesta degli ultimi ventanni almeno nel Paese, sta definendo una nuova geografia interna delle lotte, che ormai non riguardano più solamente Rio, Brasilia e Sao Paulo, ma sta attivando circuiti di contestazione in oltre 70 città minori sparse lungo tutta la grande superficie del Paese; un dato rilevante per chi vede nei fatti di questi giorni una tendenza al radicamento e possibilità di trasformazione dei rapporti di forza sociali al di là della sensazionalità degli eventi odierni.

Ciò alla luce della considerazione che da anni in molti strati poveri o etnicamente marginalizzati del paese, nelle periferie di Rio e Brasilia in primis, lotte radicalissime si sono susseguite principalmente per il diritto all’esistenza e, pur non contagiando altri settori sociali, han rappresentato rappresentano un ulteriore tassello di conflittualità di massa sempre pronta ad esplodere.

Dopo i tafferugli della scorsa notte a San Paolo, e il continuo fermento nelle strade, la Giunta del distretto ha comunicato in fretta e furia la rinuncia al rincaro dei trasporti del servizio pubblico metropolitano, non mancando di condannare le “violenze” come controproducenti all’ascolto delle rivendicazioni popolari.
Ma tale lettura ha visto la smentita netta e inequivocabile da parte di uno dei gruppi promotori maggiormente attivi nelle piazze di questi giorni, il “Free fare Movement”, che appunto allarga il suo orizzonte alla gratuità dei trasporti e afferma che “i governanti dicono che i manifestanti impediscono sia la normalità del fruire dei servizi, sia lo sviluppo di una ragionevole mediazione vantaggiosa per il popolo. Ma la realtà dice che è proprio il popolo a dimostrare coi fatti, in strada, che è disposto a lottare per conquistarsi i propri diritti.”

La disillusione verso l’intero sistema governativo complice della ulteriore verticalizzazione forzata della società in nome di un’ ulteriore ciclo di speculazione, che vede al centro il business dei Mondiali di Calcio 2014, nonché dello sprofondamento rapido di buona parte del ceto medio in via di proletarizzazione, sta portando il focus delle proteste ad affiancare, ad un più moderato rifiuto di ciò che è considerato marcio e corrotto del sistema dei partiti, un complessivo e radicale rifiuto in sé dei partiti; non a caso, altro slogan che prolifera e risuona in massa nei cortei è “No, partiti no”.

Certamente, la portata delle manifestazioni di ieri a Rio, con numeri che oscillano da 500mila ufficiosi a oltre un milione di manifestanti, rappresenta una grossa patata bollente nell’ottica di poter implementare tutta una serie di riforme strutturali dentro le quali il rincaro dei trasporti , la dismissione di scuole e ospedali per i poveri, l’ulteriore gentrificazione/militarizzazione delle zone ad alto interesse speculativo in vista dell’Estate 2014 rappresentano solamente gli aspetti più tangibili per chi guarda dall’esterno i fatti di questi giorni. ”

Per approfondire ulteriormente l’argomento consiglio la lettura di una raccolta di articoli in diverse lingue pubblicati sul sito Anarkismo (cliccare sull’immagine sotto):

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Vedi anche: “Brasile, governo cede sulle tariffe ma la protesta continua”, su Contropiano.

Habemus la solita merda.

Questi sono alcuni tra gli alti prelati riunitisi per scegliere il nuovo pontefice della chiesa cattolica romana:

…E questo è il nuovo pontefice (se la foto non vi dice nulla cliccate qui per avere delucidazioni):

Infine, visto che pareri autorevolissimi di calciatori, politicanti, ballerine e soubrette ne abbiamo sentiti abbastanza, ecco il mio parere (e quello di parecchi/e altri/e non intervistati in tivvù) sull’organizazione dalla quale provengono i personaggi di cui sopra:

http://argentina.indymedia.org/uploads/2007/09/iglesia_basura.jpg

Argentina: crisi economica, lotte ed esperienze di autogestione.

Tre documentari sulla crisi economica che colpì l’Argentina alla fine degli anni ’90 del secolo scorso e sulle lotte dei ceti sociali vittime di tale crisi.

Diario del saccheggio, di Fernando E. Solanas, 2005. Narra le vicende della crisi economica in Argentina fino al Dicembre del 2001, data della caduta del governo di De La Rùa. Un vero e proprio atto di accusa nei confronti del genocidio sociale compiuto da politici, banche e multinazionali, supportato da una mole di informazioni rese però accessibili da un montaggio efficace e da una narrazione semplice e diretta. E, a proposito di “diretta”, a molti sembrerà di viverci dentro, a questo film: le analogie con molti aspetti  dell’attuale situazione italiana si sprecano.

La dignità degli ultimi, di Fernando E. Solanas, 2005. La prosecuzione ideale del documentario precedente (stavolta l’arco di tempo è dal 2001 al 2004), incentrato però maggiormente su storie personali di uomini e donne che hanno deciso di unirsi e resistere alla miseria, ai soprusi ed all’ingiustizia del potere. Toccante ma non stucchevole, a tratti poetico: le storie raccolte da Solanas hanno molto da insegnare e ridanno significato pieno a termini troppo spesso abusati e svuotati quali solidarietà, dignità, umanità e coraggio.

The Take- La Presa, di Avi Lewis (sceneggiatura di Naomi Klein), 2004. Il documentario è incentrato sull’occupazione delle fabbriche dismesse compiuta degli/lle ex operai/e rimasti disoccupati in seguito alla crisi economica ed alla fuga dei padroni. Estremamente formativo: quello che gli anarchici vanno ripetendo da sempre viene messo in pratica negli anni della crisi in Argentina da persone spinte dalla necessità e prive di preparazione teorica, che mettono in pratica principi quali autogestione, azione diretta, democrazia di base, mutuo appoggio, nonostante le difficoltà quotidiane e la reazione del capitale e dei suoi sgherri.

Dietro il mito di Che Guevara.

Ernesto Guevara De La Serna, piú noto come Ernesto Che Guevara, é uno dei tanti miti del ‘900 che ancora affascina molti, giovani e non, in cerca di punti di riferimento e personaggi da elevare a icone, un mito sbandierato dalla sinistra politica, rivoluzionaria o riformista che sia, di norma criticato ferocemente solo da persone che nella maggior parte dei casi non difendono posizioni (e metodi) certo migliori di quelle che il “Che” sostenne durante la sua vita votata alla rivoluzione. Ma quale rivoluzione, con quali mezzi, ma soprattutto con quali fini? E cosa potrebbe pensare un anarchico di un personaggio simile? Le risposte, a mio parere pertinenti, ben documentate ed accompagnate da riflessioni condivisibili, nell’articolo che linko di seguito. Buona lettura e buona riflessione! 

 

 

 

 

 

Santo Che-Martire guerrigliero (tratto dal sito Finimondo, originariamente pubblicato su Machete, n.1, Gennaio 2008).