Riaperto il processo per i risarcimenti ai familiari delle vittime del massacro di Kunduz.

Il 4 Settembre del 2009 a Kunduz, Afghanistan, due aerei militari statunitensi bombardavano due camion cisterna di carburante (destinati a rifornire strutture delgli eserciti di occupazione) precedentemente sequestrati da guerriglieri afghani, nelle immediate vicinanze dei quali si trovavano numerosi civili intenti a prelevare benzina. Il bilancio del bombardamento, secondo fonti NATO, è stato di 142 tra morti e feriti, tra i quali numerosi bambini. L’ “uomo” che diede l’ordine di bombardare, mentendo in parte ai piloti stessi che compirono l’azione, era un ufficiale tedesco, Georg Klein.
Klein non solo non è stato mai condannato per il massacro (al contrario dei due piloti che ricevettero in seguito al bombardamento da loro compiuto sanzioni disciplinari, nonostante avessero ripetutamente messo in discussione l’ordine ricevuto prima di eseguirlo), ma è stato addirittura promosso generale. La Germania ha offerto ai familiari delle vittime del massacro 5000 Dollari ciascuna; lo stipendio di un generale di brigata dell’esercito federale tedesco è di 11000 Euro mensili. Ora, dopo che diverse indagini a suo carico sono state sospese, Klein si trova di nuovo a dover fare i conti con un processo. Alcuni familiari delle vittime del massacro di Kunduz chiedono risarcimenti più alti e sono riusciti, anche grazie al reperimento di nuove prove, ad ottenere un nuovo processo, iniziato ieri 17 Aprile presso il tribunale superiore (Oberste Landgericht) di Bonn. Di fronte al tribunale, ridecorato per l’occasione da ignoti, hanno protestato 30/40 antimilitaristi/e, per ricordare che quanto avvenuto a Kunduz il 4 Settembre del 2009 è stato un massacro a danno di civili e che dagli eserciti non ci si può aspettare nulla di diverso.
(Sui muri del tribunale imbrattati con vernice rossa si possono leggere le scritte “COLONNELLO KLEIN=ASSASSINO” e “KUNDUZ=MASSACRO [ad opera]DELL’ESERCITO TEDESCO”).

Incendio in una fabbrica tessile del Bangladesh provoca più di 100 morti.

Fonte: Campagna Abiti Puliti.

Nuovo incendio in Bangladesh. Oltre 100 morti

tazreenLa Clean Clothes Campaign, insieme ai sindacati e alle organizzazioni impegnate per i diritti dei lavoratori in Bangladesh e in tutto il mondo, chiede un intervento immediato da parte dei marchi internazionali a seguito dell’incendio divampato in Dhaka – Bangladesh nei giorni scorsi, in cui hanno perso la vita più di 100 operai tessili.

I lavoratori morti e feriti stavano producendo indumenti per brand internazionali del tessile quando la loro fabbrica, la Tazreen Fashions, è andata a fuoco. Secondo il loro sito internet, la Tazreen produceva per una moltitudine di ben noti marchi, tra cui C&A, Carrefour, KIK e Walmart. La Clean Clothes Campaign è convinta che questi soggetti abbiano dimostrato negligenza per non aver preso contromisure efficaci ai problemi di sicurezza evidenziati da incendi precedenti, divenendo responsabili per l’ennesima tragica perdita di vite umane.

Molti dei lavoratori hanno trovato la morte mentre cercavano di scappare dal palazzo a sei piani; altri, non potendo scappare, sono arsi vivi. Il bilancio delle vittime continua a salire mentre i soccorritori cercano di farsi largo tra le macerie della fabbrica devastata. Un vigile del fuoco presente sulla scena ha riferito che non c’era nessuna uscita antincendio all’esterno dell’edificio. Le prime analisi suggeriscono che il fuoco sia partito da un corto circuito elettrico. La causa dell’80% di tutti gli incendi industriali in Bangladesh è dovuto a cablaggi difettosi.

“Molti brand sanno da anni che molte delle fabbriche in cui scelgono di produrre sono delle trappole mortali. Il loro fallimento nell’adottare misure adeguate è una negligenza criminosa” ha detto Ineke Zeldenrust della Clean Clothes Campaign.

Insieme ai partner bengalesi, la CCC chiede un’inchiesta indipendente e trasparente sulle cause dell’incendio, per una piena e giusta compensazione da pagare alle vittime e ai loro familiari e per individuare le azioni necessarie a prevenire simili tragedie in futuro.

“L’ennesima perdita di vite umane, sacrificate sull’altare di un modello industriale che produce profitti per i grandi gruppi internazionali a discapito dei lavoratori impiegati senza diritti nelle fabbriche per l’export, fortifica la nostra convinzione che occorrono cambiamenti strutturali, concreti e rapidi per rimuovere la cause alla base di tragedie come queste” continua Deborah Lucchetti di Abiti Puliti, la CCC italiana.

La CCC, insieme ai sindacati e alle organizzazioni per i diritti dei lavoratori, ha messo a punto un piano d’azione specifico che include un programma di ispezioni indipendenti e trasparenti, una rivalutazione obbligatoria degli edifici in cui si riforniscono i marchi internazionali, una ricognizione di tutte le leggi e le norme di sicurezza esistenti, un impegno a pagare prezzi adeguati a coprire i costi e il coinvolgimento diretto dei sindacati in corsi di formazione per i lavoratori su salute e sicurezza. La CCC invita nuovamente i marchi a sottoscrivere immediatamente questo piano d’azione.

I datori di lavoro e il governo bengalese devono assumersi la loro parte di responsabilità. Il governo deve effettuare un’indagine immediata sulle cause dell’incendio e perseguire coloro la cui negligenza ha causato la morte di queste donne e uomini. Inoltre, deve investire in un programma di ispezioni in tutto il Paese per accertare che gli edifici attualmente in uso siano adatti allo scopo cui sono destinati e rispettino gli standard di sicurezza. Tutti gli imprenditori in Bangladesh devono immediatamente rivedere le procedure di sicurezza in vigore nelle loro fabbriche, effettuare controlli alle strutture e agli impianti elettrici e, soprattutto, impegnarsi a collaborare con i sindacati per formare i loro operai sulle procedure di sicurezza e recepire le loro istanze.

La CCC continuerà a lavorare con i partner sul campo per accertare la dinamica esatta dei fatti e pretendere giustizia per le vittime di questa ennesima tragedia. Nel frattempo chiede a tutti coloro che operano nel settore dell’abbigliamento in Bangladesh di passare ai fatti attraverso un’azione significativa e concreta per evitare che un’altra terribile perdita di vite si ripeta in futuro.”

Vedi anche: “Bangladesh: Mehr als 100 Arbeiterinnen bei C&A-Zulieferfirma verbrannt” articolo in tedesco pubblicato sul sito della FAU.

Il vertice NATO di Chicago.

Fonte: Radio Blackout.

Il vertice NATO di Chicago

“Si è appena concluso il vertice NATO di Chicago. I ministri della guerra dei paesi dell’Alleanza hanno discusso dell’agenda dell’Alleanza Atlantica, sempre più candidata al ruolo di gendarme mondiale, con o senza l’egida delle Nazioni Unite. In questa prospettiva la NATO si dà una forma flessibile, multipolare, elastica, a rete, per intervenire mobilitando anche gli eserciti di Paesi che all’Alleanza strettamente intesa non hanno mai aderito, dall’Asia Centrale al Nord Africa, passando per l’Europa dell’Est.
Sempre meno un’alleanza che rappresenta un blocco di nazioni, sempre più la tutrice dell’ordine globale nel 21esimo secolo.
Un’alleanza che sembra corrispondere totalmente alle esigenze della Casa Bianca: condividere costi e responsabilità, ottimizzando i benefici.
Si lancia così la parola d’ordine di “smart defense” con oltre 20 progetti multinazionali.
Su questo ombrello “smart” e multipolare, veglierà lo scudo anti missilistico che – si apprende da Chicago – entro il 2015 sarà in grado di difendere i Paesi e le popolazioni dei 28 alleati dalla minaccia crescente di testate di vicini considerati ostili.
In epoca di crisi a Chicago hanno discusso di come fare la guerra spendendo meno, anche se l’ammiraglio Di Paola, il “tecnico” preposto alla Difesa nel governo Monti ha chiarito senza mezzi termini che prima vengono le esigenze della “sicurezza” poi si può parlare di spesa.
Per quanto riguarda il nostro paese la novità più importante riguarda la base di Sigonella, dove verranno collocati cinque droni e altri 600 militari.
A Chigaco hanno discusso anche di Afganistan, confermando il ritiro delle truppe per il 2012, un ritiro che sancisce la sconfitta degli Stati Uniti e dei loro alleati nel paese asiatico, nonostante 11 anni di guerra e occupazione militare feroce, tra torture, detenzioni extragiudiziali, terrorismo sistematico tra la popolazione.

Mentre era in corso il vertice migliaia di attivisti hanno manifestato a Chicago. Al termine della manifestazione la polizia ha caricato gli attivisti che rifiutavano di allontanarsi. Numerosi i feriti, 47 gli arresti.

Del vertice NATO, della guerra in Afganistan, delle nuove strategie di difesa abbiamo parlato con Stefano del Comitato contro Aviano 2000.”

Ascolta l’intervista direttamente sul sito di Radio Blackout.

100 milioni di lavoratori/trici in sciopero in India.

Circa 100 milioni di lavoratori e lavoratrici hanno partecipato il 28 Febbraio in India a quello che può essere definito uno degli scioperi più grandi della storia. Oltre una dozzina di grosse federazioni sindacali e circa 5000 sindacati hanno aderito alle agitazioni, che hanno coinvolto principalmente lavoratori/trici di banche pubbliche, ferrovie, trasporti stradali, assicurazioni, porti, aereoporti, minatori carboniferi e settore energetico, ma hanno visto la partecipazione massiccia di altri settori tra i quali quello degli/lle insegnanti. Tra le richieste principali avanzate dai/lle lavoratori/trici in lotta e dalle diverse organizzazioni e federazioni sindacali vi sono: salario minimo garantito a livello nazionale, parità di diritti fra lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori con contratto a tempo determinato e assunzione definitiva dei lavoratori a tempo determinato, creazione di un fondo assicurativo nazionale, difesa dei diritti sindacali, adeguamento degli stipendi al costo della vita e blocco dell’aumento dei prezzi, lotta alla corruzione, aumento delle pensioni,  blocco della privatizzazione/svendita di settori pubblici. Il governo indiano ha bollato lo sciopero come un’errore e la camera associata del commercio e dell’industria indiana (Assocham) ha definito ingiustificabile l’astensione lavorativa, calcolando una perdita per l’economia nazionale pari a circa 20 milioni di dollari. A livello locale le autorità hanno preso contromisure per far sì che non venisse interrotto il “businnes as usual”, ad esempio nel Bengala occidentale sono stati messi in circolazione 1000 autobus statali, mentre a Kolkata il capo della polizia ha dispiegato 10mila agenti; a livello nazionale vi sono stati un centinaio di arresti a danno di attivisti che bloccavano il traffico stradale e ferroviario, oltre a diverse migliaia di altri arresti in diverse parti del Paese a danno di scioperanti . Lo sciopero è comunque stato un grande successo, almeno questa è l’impressione che si ha leggendo i commenti dei rappresentanti di alcune organizzazioni sindacali coinvolte: a Mumbai, capitale finanziaria dell’India, le banche sarrebbero rimaste tutte chiuse, a Nuova Delhi difficile trovare mezzi di trasporto pubblici in circolazione, così come a Karnataka, dove gran parte delle attività commerciali sono rimaste chiuse, mentre a Nagpur ,oltre a banche e trasporti, per la prima volta in tempi recenti hanno scioperato anche gli/le operai/e della fabbrica di armamenti pesanti “Ordnance Factory” di Ambhajhari.

Per approfondire vedi l’articolo in lingua inglese “India strike: A preliminary report- To Break their Haughty Power“.

PS: i massmedia del vostro Paese hanno dato il giusto risalto a questa notizia? Se la risposta è “no” dovreste riflettere sul perchè!

Solidarietá ai punk colpiti dalla repressione in Indonesia!

Notizia agghiacciante ma purtroppo vera, tratta dal sito “noncipossocredere“:

“Le creste sono diventate tagli a zero, piercing e catene sono stati fatti sparire, e i giovani “deviati” sono stati costretti a sessioni di preghiera e di purificazione nell’acqua. E’ il destino toccato a 65 punk indonesiani nella provincia di Aceh, dopo una retata effettuata dalla polizia islamica durante un concerto rock che sabato scorso aveva richiamato un centinaio di giovani appassionati nella capitale Banda Aceh, dove vige la sharia.

Gli agenti hanno arrestato gran parte del pubblico, tra cui cinque ragazze, portandoli di forza in una scuola di polizia lontana dalla città. Lì, per 10 giorni avrà luogo la “riabilitazione morale” dei giovani “blasfemi”, descritti dal capo della polizia locale Iskandar Hasan come una specie di anime smarrite da riportare sulla retta via (e dire che il ricavato del concerto andava in beneficenza a degli orfani). “I loro vestiti sono disgustosi. Non si lavano, vivono in strada, non pregano. Gli daremo una lezione”, ha spiegato.

Il trattamento militaresco, che ha spinto alle lacrime alcuni tra gli arrestati, prevede la rimozione di qualsiasi indumento o simbolo di ribellione: via jeans attillati e capelli lunghi, nessun pezzo di metallo al corpo, copertura dei diffusi tatuaggi. E poi ovviamente pulizia e preghiere regolari. Nessuna violazione dei diritti umani, assicura la polizia, convinta della sua missione moralizzatrice; le organizzazioni umanitarie la vedono diversamente.

Il giro di vite conferma la crescita dell’Islam più conservatore nella provincia di Aceh, la più occidentale del Paese, dove dal 2001 è in vigore la legge islamica nell’ambito di una maggiore autonomia concessa dal governo di Jakarta per placare le rivendicazioni separatiste. Recentemente il piccolo ma crescente segmento di “giovani ribelli” della provincia – spazzata dal catastrofico tsunami del dicembre 2004 – aveva già lamentato un progressivo tentativo di repressione da parte delle autorità, che negli ultimi anni hanno punito casi di adulterio e di omosessualità.

Difficile che l’iniziativa abbia però un seguito nel resto del Paese, dove il 90 per cento dei 240 milioni sono musulmani in gran parte di vedute moderate – anche se negli ultimi anni le frange più radicali hanno alzato la voce. Paradossalmente, proprio in Indonesia e nella vicina – e a maggioranza islamica – Malaysia la musica rock è sempre più diffusa, con toni ben più duri rispetto ad altri Paesi del sud-est asiatico dove i giovani tendono a privilegiare l’hip hop o il seguitissimo pop coreano.”

 

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