Dove c’è Balilla c’è Casa (Pound?).

Al Signor Barilla, quello della pasta e dei biscotti, piace la famiglia tradizionale, pertanto nelle sue pubblicità ci saranno solo, come sempre, famiglie composte da mamma e papà sorridenti, anziani sani e di bella presenza, bambini belli puliti e ordinati, il tutto condito da paesaggi idilliaci e armoniosi. Non sia mai che la realtà faccia capolino negli stereotipi falsati voluti da certi spot commerciali! Niente anziani invalidi e bisognosi di cure, distrutti da una vita di duro lavoro e da amare delusioni; niente coppie separate con figli nati da diversi matrimoni, niente ragazze madri o ragazzi padri; nessun marito che, incapace di risolvere i propri problemi e frustrazioni lottando contro ciò che lo fa soffrire, si accanisce usando violenza contro moglie e figli. Nella visione distorta proposta da spot in stile Mulino Bianco non c’é posto per una realtà fatta di disagio, problemi lavorativi e abitativi, difficoltà economiche, diversità: viva la famiglia tradizionale, quindi, anzi viva l’immagine ideale di ciò che la famiglia tradizionale non è mai stata. Non a caso le notizie di cronaca intervallate da suddette idilliache pubblicità ci parlano ogni giorno di padri di famiglia che “impazziscono” e ammazzano consorte e prole, di abusi sessuali nei confronti di minori compiuti da parenti prossimi, di separazioni e divorzi a colpi di denunce, veleni e rancori di ogni sorta tra ex-coniugi che non risparmiano il coinvolgimento dei figli. Che bella quindi la famiglia partiarcale, quella nella quale per la donna c’é sempre un posto sicuro come figura centrale coronata dallo slogan “Kinder, Küche, Kirche”, un pò come la vergine madre di Gesù, disposta a soffrire ed a sacrificarsi mettendo da parte le proprie necessità in nome del destino e del volere superiore, brava a sfornare torte e figli, abile nelle faccende di casa, sempre lì a pulire e spadellare mentre il marito, dopo una dura giornata di lavoro, si ubriaca al bar con gli amici o la cornifica con qualcuna sbrigativamente definita “poco di buono” e “rovinafamiglie” (solo lei, l’uomo no, non sia mai!). Di fronte all’immagine dello scontro frontale tra le cazzate della famiglia perfetta usata per vendere pasta e biscotti e la realtà dello sfacelo della famiglia tradizionale crollata sotto il peso delle proprie contraddizioni, dei mutamenti sociali e delle esigenze del capitalismo, preferisco un mondo nel quale le persone si amino liberamente e consapevolmente in modo sincero, rispettandosi a vicenda, senza ipocriti conformismi dettati dalla pseudomorale vigente. Preferisco accettare la diversità in nome della felicità del singolo e dell’arricchimento collettivo, in una società nella quale ognuno/a scelga la propria identità ed i propri ruoli senza forzature né coercizioni, ricercando la soddisfazione dei propri bisogni insieme agli altri e non a scapito degli altri.

Mi rendo conto, rileggendo quanto ho appena scritto, di non aver parlato espressamente di omosessuali. Questo dimostra che l’attaccamento di certi tradizionalisti alla famiglia patriarcale ha risvolti ben più ampi di quelli riguardanti solo le coppie formate da persone dello stesso sesso. Ciò dovrebbe far doppiamente riflettere, è una questione che ci riguarda tutti/e.

Atene: rapper antifascista ucciso da neonazista di Alba Dorata.

Nelle prime ore di Mercoledì 18 Settembre un neonazista appartenente al famigerato partito Alba Dorata ha accoltellato ed ucciso ad Atene il rapper antifascista Pavlos Fissas, noto col nome d’arte di Killah P. Il fatto è avvenuto alle prime luci dell’alba, ma la dinamica viene riportata in modo differente a seconda delle fonti: secondo il racconto del padre dell’ucciso, Pavlos si sarebbe trovato in un bar a guardare una partita di calcio con alcuni amici, che tra di loro avrebbero pronunciato frasi di disprezzo nei confronti dei neonazisti di Alba Dorata; un’avventore seduto ad un tavolo vicino, sentendoli, avrebbe telefonato ad alcuni neonazisti per informarli dell’ “affronto” ed essi, giunti sul posto, avrebbero aggredito Pavlos ed i suoi amici: uno avrebbe estratto un coltello e pugnalato a morte il rapper antifascista. Secondo altre versioni, la vittima al momento dell’agguato mortale passeggiava con la fidanzata e altri due amici nel quartiere ateniese di Keratsini, quando sarebbe stato inseguito da un gruppo di neonazisti, al quale se ne sarebbero uniti altri poco dopo; da un’auto fermatasi nei pressi degli aggrediti sarebbe sceso un uomo che avrebbe pugnalato Fissas. Sembrerebbe anche che un gruppo di agenti di polizia dell’unità motorizzata DIAS fossero presenti sul luogo dell’aggressione e non siano intervenuti. Solo in un secondo momento l’assassino è stato fermato e identificato: si tratta di Giorgos Roupakias, 45 anni, residente a Nikaia. I rapresentanti di Alba Dorata hanno cercato di negare i legami tra il loro partito e l’omicida, ma questi ha confessato sia il gesto che la sua affiliazione politica. Nella foto sotto si vede Roupakias durante un’iniziativa di Alba Dorata (accanto al parlamentare di Alba Dorata Barbarousis):

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In risposta all’omicidio del rapper sono state organizzate manifestazioni antifasciste in tutta la Grecia, durante alcune di esse vi sono stati momenti di tensione e scontri con numerosi feriti tra i manifestanti. La polizia ha fatto largo uso di gas lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo (a causa di ciò un manifestante ha perso un’occhio), in alcuni casi ha sparato pallottole di gomma. La rabbia per il vile assassinio di Pavlos Fissas non si placa, non ci sarà pace finchè i neonazisti continueranno a scorrazzare liberi di ammazzare chi vogliono con la copertura di polizia, capitalisti e istituzioni compiacenti alle quali fa comodo che i teppisti di estrema destra facciano per loro il lavoro di sporca manovalanza contro chi si oppone alle attuali condizioni sociali ed economiche lottando per una società migliore e radicalmente diversa da quella attuale.

Per continui aggiornamenti sulla vicenda di Pavlos Fissas consiglio di seguire il sito in lingua inglese Occupied London, che riporta aggiornamenti continui sulla vicenda e sulla risposta antifascista a seguito dell’ennesimo omicidio per mano dei neonazisti in Grecia.

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Polonia: proteste contro politiche neoliberiste e tagli al welfare.

Fonte: Infoaut.

“Polonia: tre giorni di protesta contro Tusk

4h_50997852 Dall’11 al 14 settembre tutta la Polonia è stata attraversata da scioperi, picchetti, sit-in e cortei. Venerdì, 11 settembre, con lo slogan “O l’esecutivo cede o lanceremo scioperi in tutto il paese” è iniziata la tre giorni di protesta contro le misure d’austerity imposte dall’esecutivo di Tusk. Donald Franciszek Tusk alle elezioni del 2007 ha sconfitto Jaroslaw Kaczynski, nazional-conservatore ed euroscettico, portando avanti una campagna basata sull’europeismo e sul liberalismo sfrenato. Se durante i primi anni del suo mandato la Polonia è andata incontro a una crescita economica, ora l’eurocrisi si fa sentire anche lì. Uno scenario già tristemente noto si è sviluppato in tempi brevi: sotto il diktat della BCE, Tusk ha adottato misure di lacrime e sangue, soprattutto per il settore del mercato del lavoro. L’agenda governativa prevede l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni (prima 65 per gli uomini e 60 per le donne), riforme restrittive dei diritti di lavoro, aumento dei contratti a tempo determinato e maggiore flessibilità per l’orario lavorativo, tagli all’educazione pubblica e alla sanità.

La popolazione, determinata a resistere e opporsi alle direttive di austerity e all’erosione del welfare, è scesa in piazza, organizzando per la giornata di venerdì picchetti davanti ai ministeri della Salute, dei Trasporti, dell’Educazione, degli Interni, del Tesoro, del Lavoro e delle Politiche Sociali. In seguito, davanti al parlamento sono state montate delle tende per ospitare i momenti assembleari e di dibattito pubblico con temi come l’educazione, la sanità e le riforme del mercato di lavoro.

Le proteste sono culminate sabato con una manifestazione che ha visto più di 120 mila persone riversarsi in piazza e attraversare la città, denunciando le politiche economiche, le inesistenti misure per combattere la disoccupazione che ha febbraio ha sfiorato il 15 percento e i tagli ai servizi pubblici. I manifestanti hanno lanciato un ultimatum a Tusk: o l’esecutivo ritira il suo programma governativo o la Polonia si prepara a uno sciopero generale esteso in tutto il paese.”

Ci sono molti modi di uccidere una persona…

“Ci sono molti modi di uccidere una persona: si può infilare a qualcuno un coltello nel ventre, toglierli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra. Solo pochi di questi modi sono proibiti nel nostro Stato.”

L’aforisma di Bertolt Brecht qui sopra mi torna in mente troppo spesso, ogni volta in cui sento parlare di morti sul lavoro, ossimoriche “missioni di pace” o “interventi umanitari”, privatizzazione della sanità, emarginazione, catastrofi evitabili ma non evitate, sfruttamento, alienazione, respingimenti in mare di migranti, repressione poliziesca ed altro ancora. È anche il primo pensiero che m’è venuto in mente leggendo le motivazioni della sentenza del processo per la morte di Stefano Cucchi: non che mi aspettassi una spiegazione sincera, motivata e priva di palesi contaddizioni per quella che è stata una sentenza che conferma quanto diceva Brecht anni orsono, solo che la certezza, confermata ripetutamente nel tempo, che la giustizia non passa per i tribunali e che pertanto abbiamo ben ragione noi anarchici/che a non credere a quel tipo di “giustizia”, non è di conforto. Il proibizionismo in tema di droghe, l’emarginazione, il pregiudizio, la mala informazione, il sistema di sorveglianza-controllo-punizione e gli attori che fanno in modo che questo sistema continui ad assolvere la funzione di tritacarne per il quale è stato concepito non solo non sono proibiti nel “nostro” Stato, ma ne sono parte integrante. Non è la morte che uccide, essa è solo la conseguenza di una serie di azioni atte a provocarla.

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Per chi volesse farsi un’idea di come si sia svolta la vicenda di Stefano Cucchi consiglio la lettura di un libro doloroso ma necessario, che potere trovare anche qui: http://www.globalproject.info/it/produzioni/non-mi-uccise-la-morte-download-gratuito/5378

Sull’incendio al capannone della Geomont in Valsusa.

Il seguente comunicato è tratto dal sito Informa-Azione. Per correttezza e completezza pubblco in calce il link all’articolo al quale si fa riferimento nel comunicato. Ps: a proposito di No TAV… solidarietà a Erri De Luca, libertà per tutti/e gli/le arrestati/e e indagati/e!

“riceviamo e diffondiamo:

Un bel tacer non fu mai scritto
Sull’incendio dei mezzi della Geomont in Valsusa il 30 agosto

E se qualcuno avesse deciso di attaccare la Geomont per la sua partecipazione alla devastazione della Valsusa?
Di certo sarà rimasto attonito e nauseato dal comunicato “ricevuto e pubblicato” sul sito notav.info all’indomani dell’incendio nel capannone della ditta di Bussoleno. Anche perché tra le suggestive ipotesi elencate come possibili verità di quel fatto, danneggiamento volontario del proprietario e attacco mafioso, manca proprio quella che qualcuno abbia in piena coscienza e volontà deciso di attaccare uno dei tanti che ha partecipato allo scempio della Valle.
Negli anni, purtroppo, è spesso successo che atti individuali e di piccoli gruppi in appoggio alla lotta contro il TAV venissero stigmatizzati, anche attraverso notav.info, come provocazioni o, peggio ancora, come gesti di chi “non è della valle né del movimento notav”.
È strano dopo tanti anni di lotta dover ancora tirare fuori queste questioni.
Il movimento notav è enorme e complesso. È la gente della Valsusa. Sono tutte le migliaia di persone che da anni attraversano per brevi e lunghi periodi il territorio donando le proprie energie, il proprio tempo e spesso la propria libertà. È la gente che in Italia e nel mondo appoggia e dà forza alla lotta con atti di solidarietà e complicità.
E quindi chi decide, all’interno di una realtà così variegata chi ha o non ha il diritto di mettere il proprio mattone per costruire la strada verso la liberazione della Valle?
Ma qui forse si affronta un discorso già superato. Non è forse vero che da un po’ il sabotaggio, pratica adottata da sempre nelle lotte popolari, è stato accolto e assunto in Valsusa e che da qualche tempo nessuno si permette più di censurare o condannare quei gesti che colpiscono i responsabili materiali della costruzione del famigerato tunnel? Forse non è un varco facile da attraversare, e molti tra quelli che vivono e che guardano questa lotta ci stanno ancora facendo i conti. Ma se dimentichiamo questo storico passaggio, e permettiamo dei passi indietro lungo la crescita collettiva del movimento notav, lasciamo spazio alla repressione e alla paura. Il sabotaggio come mezzo di lotta, la distanza tra giusto e legale,  la necessità della difesa e dell’attacco, la differenza tra una vita presa a morsi e la sopravvivenza passiva. Tutte cose che molti di noi hanno imparato lottando. E che vanno difese come le montagne.
Come è possibile accogliere su uno dei siti più letti come voce notav un comunicato che scrive “sappiamo che il movimento notav non ha appiccato il fuoco”? Forse chi lo ha stilato conosce tutti i notav del mondo, le loro pulsioni e azioni, le loro priorità e obiettivi? E se anche si prova una ineludibile ed epica tensione democratica (del tipo non sono d’accordo con quello che dici ma morirò per fartelo dire) come è possibile lasciare che scritti come questo cadano in un indifferente ed assordante silenzio?
Le ipotesi proposte dal comunicato sono quelle che si potrebbero fare sempre dopo un attacco incendiario. Anche se la ditta non è in fallimento, potrebbe voler rinnovare i macchinari o cose simili. Anche le ritorsioni di stampo mafioso, specie in questi ambiti, sono sempre dietro l’angolo. Oltre che provare un sano disprezzo per la dietrologia e il complottismo e tenerli lontani dalle nostre bocche e dai nostri cuori, non dovrebbe venirci più naturale trovare il posto per questo episodio tra tutti gli altri simili che da qualche mese illuminano le notti della Valsusa? Anziché rischiare di sminuire il gesto di qualche coraggioso notav, difendiamo pubblicamente dalla repressione i nostri compagni di lotta nell’unico modo dignitoso possibile. Rivendicando qualunque gesto compiuto contro l’avanzare del mostro TAV come patrimonio di tutti noi.”

L’articolo di riferimento pubblicato sul sito notav.info: “E se l’incendio al capannone te lo paga l’assicurazione?“.

La Siria, i “buoni” e i “cattivi”.

Finora ho evitato di trattare su questo blog l’argomento del conflitto in corso in Siria. Ho infatti cercato col trascorrere de tempo di farmi un’idea precisa di ciò che stava accadendo in quel Paese, confrontando la mole di informazioni che ci vengono riversate addosso quotidianamente dai massmedia e sul web, anche da fonti di cosiddetta controinformazione, prima di esprimere un qualsivoglia giudizio. Ora che si parla apertamente di intervento militare da parte degli USA e dei suoi alleati mi sento di esporre brevemente le conclusioni alle quali sono giunto finora.

Nel Dicembre del 2012 ho ricevuto per posta un opuscolo informativo dell’associazione “Adopt a Revolution”, che mi invitava a sostenere economicamente i comitati rivoluzionari siriani. Tali comitati sono nati dal movimento di protesta contro l’attuale governo di Bashar al-Assad, con l’intento di rovesciarlo in modo nonviolento per favorire una rivoluzione democratica -questo il sunto delle informazioni contenute nell’opuscolo, nel quale si parla anche di repressione nei confronti degli/lle attivisti, di escalazione del conflitto e dell’impossibilità di proseguire le lotte antigovernative a viso aperto e senza l’uso delle armi. Si parla anche di un codice di comportamento per il “libero esercito siriano” (nel volantino, in tedesco, “Freie Syrischen Armee”), che numerosi gruppi dell’esercito ribelle si sono impegnati a rispettare per evitare saccheggi ed esecuzioni sommarie, escludendo dal discorso i gruppi combattenti formati da fondamentalisti islamici: nelle intenzioni, questo codice di comportamento servirebbe anche a porre le forze combattenti che lo sottoscrivono sotto controllo civile. A queste informazioni si aggiungono quelle delle quali ero venuto a conoscenza mesi prima, tra cui un comunicato unitario di anarchici russi e siriani  ed un’altro comunicato di un anarchico siriano, entrambi schierati nettamente dalla parte delle forze antigovernative. Ora, il fatto che esistano ribellioni in atto contro un qualsiasi governo (a mio parere meno spazi di libertà e dialogo lascia un governo, più la ribellione è urgente), spinte dalla genuina volontà della popolazione nel voler porre fine a forme di autoritarismo ed oppressione politica e sociale può solo incontrare la mia simpatia ed approvazione. Il problema è che nel caso della Siria la situazione è molto più complessa di quanto si possa pensare.

Innanzitutto la posizione geografica del Paese è fondamentale sullo scacchiere internazionale per gli equilibri del Medio Oriente- e non solo. Conseguenza di ciò, come faceva notare il docente universitario Massimo Ragnedda in un suo vecchio articolo online, è anche una vera e propria guerra psicologica di (dis)informazione: gli Stati che vedrebbero di buon occhio la rimozione dell’attuale governo siriano (USA, Unione Europea, Israele, Turchia, Arabia Saudita) non hanno fatto altro che diffondere informazioni manipolate e di parte sul conflitto in corso, attribuendo i peggiori crimini alle forze governative, presentando i guerriglieri come martiri democratici e la popolazione civile vittima di terrorismo da parte delle forze armate di Assad, raccontandoci di attacchi chimici contro civili, città distrutte e rifugiati. Guarda caso, anche la carta della paura nei confronti di nuove ondate migratorie alle porte della fortezza Europa nel bacino del Mediterraneo è stata giocata senza scrupoli di sorta dai massmedia “occidentali”. D’altro canto, dagli Stati in buoni rapporti con Assad (Russia, Cina, Iran) provengono notizie ben diverse sul conflitto in corso, che mettono ad esempio in dubbio l’uso di armi chimiche da parte delle forze armate governative, attribuendolo piuttosto alle forze ribelli indicate come un coacervo di Alquaedisti che, per destabilizzare la regione e spodestare il governo laico e moderato di Assad, commettono ogni sorta di nefandezza anche contro i civili che non sostengono la loro lotta. Quel che è certo è che l’attuale regime siriano, il cui partito Ba’ath è in carica dal 1963, si regge sul potere dell’esercito e di 14 diversi servizi segreti spesso in concorrenza tra loro, ha una natura nazionalista e militarista e difende sostanzialmente gli interessi e i privilegi della minoranza religiosa degli alawiti (sciiti). È altrettanto chiaro che tra i ribelli, foraggiati opportunisticamente anche da potenze straniere, vi sono milizie armate salafite e wahhabite, ovvero composte da elementi islamici fondamentalisti e reazionari, che non si mettono problemi nel liquidare gli alawiti (e non solo!) nel più brutale dei modi. È questa la triste realtá dei fatti con la quale si deve fare i conti prima di esprimere opinioni affrettate e prendere posizione per l’uno o l’altro fronte. Eppure, tra le forze politiche della cosiddetta sinistra radicale (sic!) c’è chi sembra avere le idee chiare: i partiti stalinisti siriani e quelli europei (almeno in Francia e Belgio) stanno dalla parte del regime di Assad, considerato antiimperialista; i trotzkisti dal canto loro si schierano con i ribelli e vedono i fondamentalisti islamici come possibili alleati. Al di fuori di questo pattume, gli anarchici non sembrano avere idee precise, perchè se da un lato ancora non ne ho sentito uno che supporti in qualche modo il governo siriano, dall’altro non tutti sostengono il fronte antigovernativo, inquinato da interessi esterni e composto da forze troppo eterogenee che spesso hanno nulla a che fare con ideali di libertà, emancipazione e uguaglianza.
Si deve anche prendere atto di un’altra evidenza: il conflitto siriano è un conflitto ancora locare, ma la posta in gioco è a livello mondiale. I diritti umani non valgono una sega per le potenze interessate alla soluzione del conflitto a favore o contro il governo di Assad, queste nel sangue dei poveracci ci intingono il pane da tempi ormai immemori. Ogni mezzo è buono per portare acqua al proprio mulino, ai propri interessi geostrategici. A farne le spese sono coloro i quali in questa guerra crepano come mosche, uccisi dalle armi, siano chimiche o meno, delle truppe governative, o dalle rappresaglie di guerriglieri ben poco interessati a concetti quali democrazia o emancipazione, o quelli che -più fortunati?- si trovano a dover fuggire dal Paese dopo aver perso tutti i loro averi per finire in condizioni disastrose in qualche campo profughi. Il settarismo religioso ed etnico, alimentato soprattutto dagli Stati stranieri interessati a favorire l’una o l’altra fazione (creando divisioni soprattutto all’interno del fronte antigovernativo), precipita il conflitto in una dimensione che non lascia spazio a nessuno spiraglio per gli ideali tanto cari a noi anarchici. Un bel puttanaio, insomma, per dirla in modo tanto brutale quanto chiaro. Un intervento militare (che sembra ormai scontato, proprio quando gli ispettori ONU sono appena arrivati in Siria!) non farebbe altro che porre la parola fine non tanto alla violenza del regime di Assad, che verrebbe sostituita da altra violenza (basti pensare nell’immediato, visto che si parla “solo” di un possibile attacco aereo, al fatto che le bombe intelligenti sganciate dai deficienti non guardano in faccia nessuno, se qualcuno ricorda i bombardamenti NATO ai tempi del conflitto tra Serbia e Kosovo, tanto per fare un esempio, saprà a cosa mi riferisco), quanto a qualsiasi speranza residua di una rivoluzione in Siria. Al suo posto, solo un nuovo Stato devastato, colonizzato e privato della sua sovranità…e non sarebbe l’unico. Ma non finirebbe così, ne sono convinto, perchè l’obiettivo finale delle potenze occidentali e dei loro alleati in Medioriente è l’Iran. E se Russia e Cina assumono per ora un ruolo tutto sommato passivo nella vicenda siriana, non credo che farebbero lo stesso in caso di aggressione al loro alleato chiave mediorientale…