Ci sono molti modi di uccidere una persona…

“Ci sono molti modi di uccidere una persona: si può infilare a qualcuno un coltello nel ventre, toglierli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra. Solo pochi di questi modi sono proibiti nel nostro Stato.”

L’aforisma di Bertolt Brecht qui sopra mi torna in mente troppo spesso, ogni volta in cui sento parlare di morti sul lavoro, ossimoriche “missioni di pace” o “interventi umanitari”, privatizzazione della sanità, emarginazione, catastrofi evitabili ma non evitate, sfruttamento, alienazione, respingimenti in mare di migranti, repressione poliziesca ed altro ancora. È anche il primo pensiero che m’è venuto in mente leggendo le motivazioni della sentenza del processo per la morte di Stefano Cucchi: non che mi aspettassi una spiegazione sincera, motivata e priva di palesi contaddizioni per quella che è stata una sentenza che conferma quanto diceva Brecht anni orsono, solo che la certezza, confermata ripetutamente nel tempo, che la giustizia non passa per i tribunali e che pertanto abbiamo ben ragione noi anarchici/che a non credere a quel tipo di “giustizia”, non è di conforto. Il proibizionismo in tema di droghe, l’emarginazione, il pregiudizio, la mala informazione, il sistema di sorveglianza-controllo-punizione e gli attori che fanno in modo che questo sistema continui ad assolvere la funzione di tritacarne per il quale è stato concepito non solo non sono proibiti nel “nostro” Stato, ma ne sono parte integrante. Non è la morte che uccide, essa è solo la conseguenza di una serie di azioni atte a provocarla.

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Per chi volesse farsi un’idea di come si sia svolta la vicenda di Stefano Cucchi consiglio la lettura di un libro doloroso ma necessario, che potere trovare anche qui: http://www.globalproject.info/it/produzioni/non-mi-uccise-la-morte-download-gratuito/5378