Sembra passato un giorno dal 1915…

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La foto qui sopra, diffusa nelle ore scorse sui cosiddetti social networks e in seguito ripresa dai massmedia, mostra uno dei due appartenenti all’organizzazione marxista-leninista turca DHKP-C che tiene in ostaggio, puntandogli una pistola alla tempia, il procuratore Mehmet Selim Kiraz nel suo ufficio all’interno del palazzo di giustizia ad Istanbul, dove i due giovani armati hanno fatto stamane irruzione. Kiraz era l’incaricato che indaga sull’uccisione da parte della polizia del 14enne Berik Elvan, colpito nel Giugno 2013 da un candelotto lacrimogeno durante le proteste di Gezi Park. Berik non era coinvolto nelle proteste, a quanto sembra stava andando a comprare il pane e si era trovato per caso nel mezzo degli scontri; entrato in coma, il ragazzo morì dopo oltre nove mesi e il suo omicidio rimane tuttora impunito visto che la “giustizia” non è riuscita ad appurare l’identità del poliziotto che lo ha ucciso. Quello che però la “giustizia”, il governo di Erdogan e la polizia sono riusciti a fare è stato reprimere duramente le proteste popolari scoppiate a seguito della morte di Berik, che si sono riaccese nuovamente l’11 Marzo di quest’anno in diverse città turche (Ankara, Istanbul, Eskişehir, İzmir, Tekirdağ…), durante le quali un’altra giovanissima ragazza è rimasta gravemente ferita da un candelotto lacrimogeno e giace anche lei in coma.

“Chiedono chi stia dando ordini alla polizia. Li ho dati io stesso”, disse Erdogan, all’epoca primo ministro (oggi presidente) turco, riferendosi alla morte di Berkin Elvan, da lui definito in seguito un “terrorista”. Una frase che mi riporta alla mente, per immediata associazione di idee, le parole del famigerato discorso pronunciato da Benito Mussolini dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti. Responsabilità morale. Come quella di Erdogan, dei suoi scagnozzi e dei suoi sostenitori, non solo di fronte alla morte di Berik Ervan e al ferimento di un’altra ragazzina che forse mai si risveglierà dal coma e alle decine di recenti arresti durante le proteste, ma anche di fronte alla morte di quasi 300 minatori nel Maggio 2014 e alla repressione della rabbia di chi scese per strada chiedendo le dimissioni del governo. Solo pochi giorni fa è stata approvata in Turchia una legge che prevede che la polizia possa sparare addosso ai manifestanti irrequieti, mentre la legge sulla censura dei massmedia per motivi di sicurezza nazionale è stata applicata, secondo il quotidiano turco Hurryet, 150 volte negli ultimi 4 anni, inoltre gli scioperi vengono sospesi o proibiti facendo ricorso a strumenti nati durante la dittatura militare, com’è accaduto con lo sciopero dei metalmeccanici proclamato lo scorso fine Gennaio dal sindacato di ispirazione socialdemocratica BMI. Se a tutto ciò si aggiungono le politiche razziste e di pulizia etnica perpetrate da decenni nei confronti dei curdi, la chiusura delle frontiere per i rifugiati e perseguitati dall’ISIS e l’appoggio solo in parte velato fornito a tale organizzazione, non sembrano passati esattamente 100 anni da quando la Turchia iniziò lo sterminio degli armeni, un genocidio conclusosi con almeno 1 milione di morti. Cambiano gli attori sul palcoscenico, le circostanze storiche, ma oggi come allora siamo di fronte alla barbarie. E di fronte all’evidenza dei fatti ci si può solo chiedere ancora una volta chi siano i veri terroristi: i due ragazzi morti poche ore fa dopo un bliz delle forze speciali nel palazzo di “giustizia” di Istanbul assieme al giudice da loro tenuto in ostaggio, o quelli che sono disposti ad affastellare cadaveri su cadaveri e produrre miseria, violenza e abruttimento pur di mantenere il potere e portare avanti i loro allucinanti progetti nazionalisti ed autoritari? Qual’è il vero terrorismo, un gesto disperato compiuto nel tentativo di ottenere “giustizia” o le cause di tale gesto e di tutta la rabbia che è finora scoppiata e ancora scoppierà in Turchia?

Polonia: proteste contro politiche neoliberiste e tagli al welfare.

Fonte: Infoaut.

“Polonia: tre giorni di protesta contro Tusk

4h_50997852 Dall’11 al 14 settembre tutta la Polonia è stata attraversata da scioperi, picchetti, sit-in e cortei. Venerdì, 11 settembre, con lo slogan “O l’esecutivo cede o lanceremo scioperi in tutto il paese” è iniziata la tre giorni di protesta contro le misure d’austerity imposte dall’esecutivo di Tusk. Donald Franciszek Tusk alle elezioni del 2007 ha sconfitto Jaroslaw Kaczynski, nazional-conservatore ed euroscettico, portando avanti una campagna basata sull’europeismo e sul liberalismo sfrenato. Se durante i primi anni del suo mandato la Polonia è andata incontro a una crescita economica, ora l’eurocrisi si fa sentire anche lì. Uno scenario già tristemente noto si è sviluppato in tempi brevi: sotto il diktat della BCE, Tusk ha adottato misure di lacrime e sangue, soprattutto per il settore del mercato del lavoro. L’agenda governativa prevede l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni (prima 65 per gli uomini e 60 per le donne), riforme restrittive dei diritti di lavoro, aumento dei contratti a tempo determinato e maggiore flessibilità per l’orario lavorativo, tagli all’educazione pubblica e alla sanità.

La popolazione, determinata a resistere e opporsi alle direttive di austerity e all’erosione del welfare, è scesa in piazza, organizzando per la giornata di venerdì picchetti davanti ai ministeri della Salute, dei Trasporti, dell’Educazione, degli Interni, del Tesoro, del Lavoro e delle Politiche Sociali. In seguito, davanti al parlamento sono state montate delle tende per ospitare i momenti assembleari e di dibattito pubblico con temi come l’educazione, la sanità e le riforme del mercato di lavoro.

Le proteste sono culminate sabato con una manifestazione che ha visto più di 120 mila persone riversarsi in piazza e attraversare la città, denunciando le politiche economiche, le inesistenti misure per combattere la disoccupazione che ha febbraio ha sfiorato il 15 percento e i tagli ai servizi pubblici. I manifestanti hanno lanciato un ultimatum a Tusk: o l’esecutivo ritira il suo programma governativo o la Polonia si prepara a uno sciopero generale esteso in tutto il paese.”

Sulle rivolte in Bulgaria.

Fonte: Infoaut.

” Rivolta in Bulgaria: la seconda ondata supera i 40 giorni.

Termometro sociale rovente in Bulgaria

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Aggiornamento: nella notte in migliaia hanno impedito ai parlamentari di poter andare via dall’edificio, respingendo alcuni tentativi di forzare i blocchi. Anche il bus del premier, scortato da un grosso schieramento di celere è stato bloccato dai manifestanti mentre tentava di imboccare una via secondaria.
Fatti indietreggiare da ripetute cariche della celere, i manifestanti hanno cominciato ad ergere barricate tutto intorno al Parlamento.

Guarda il video dell’inizio dell’assedio al Parlamento.

Le proteste bulgare contro i monopoli energetici e non, sono partite con manifestazioni di massa contro l’aumento delle tariffe di luce e gas, la prima a Blagovevgrad il 28 gennaio. La rivolta si estese a macchia d’olio in 30 città e il governo di Boiko Borisov rassegnò le dimissioni il 20 Febbraio.

Originato dalla rabbia per il dissennato aumento dei costi dell’energia, il movimento popolare di massa ha presto esteso la sua radicalità critica indirizzandola contro il sistema dei partiti. Non sono mancati casi eclatanti di nichilismo, con sette immolazioni pubbliche, ma anche tanta freschezza, e un fortissimo sentimento di ripudio delle lobbies politiche che ha portato anche a numerose forme di protesta inaspettate e totalmente auto-organizzate.

La concatenazione dei meccanismi decennali di svendita delle risorse energetiche a grosse compagnie monopolistiche estere, la vendita a queste delle stesse infrastrutture statali, e lo svuotamento delle Commissioni addette all’Osservazione del comportamento delle multinazionali in questione, si è condensata con tutte le sue profonde ambiguità nel momento in cui l’inflazione ha fatto schizzare i prezzi degli stock energetici, sia per l’uso domestico che per quanto riguardava l’approvvigionamento industriale. In un paese dove il salario medio si trova al di sotto dei 400 euro mensili, e il costo dei beni primari è elevatissimo, proporzionalmente agli altri paesi dell’Unione Europea, la maggior parte dei nuclei familiari si è trovata negli ultimi anni a dilapidare le proprie entrate economiche solamente per coprire le spese essenziali. L’aumento folle di luce e gas è stato dunque il detonatore di una situazione già di per sé difficilmente sostenibile, dove i giochi di corruzione e speculazione della classe politica neoliberista hanno fatto il bello (per loro) e il cattivo tempo (per tutti gli altri). Da questo punto di vista la Bulgaria incarna esemplarmente, a pochi passi dai colossi socialdemocratici europei, la dicotomia sociale 1 vs 99%.

In questo clima, la prima ondata di proteste è stata a dir poco travolgente, portando addirittura i manifestanti a bruciare i propri soldi e ad assaltare varie vetture utilitarie di rappresentanti delle compagnie energetiche. Il 13 febbraio il ministro dell’economia è stato inseguito e bersagliato a palle di neve. Da lì a poco la rivolta si è fatta dilagante, con blocchi congiunti delle principali arterie di comunicazione, scontri nelle vicinanze delle sedi delle principali compagnie energetiche e dei palazzi ministeriali, oggetto di bottigliate e lanci di pietre per diversi giorni. Il 18 e il 19 febbraio sono stati i giorni più intensi, con blindati dalle fiamme, e feriti tra le fila dei manifestanti come tra quelle della Gendarmeria (la polizia bulgara). Un clima di sommossa generalizzata pressoché ingovernabile si è registrato a Varna, la città più popolosa del Mar Nero.

Dopo le dimissioni governative, il movimento ha proseguito il suo processo di radicalizzazione ,con l’espulsione di membri filo-partitici dalle assemblee autoconvocate, e il travalicamento dei confini nazionali con presidi e manifestazioni in consolati e ambasciate di molti paesi europei. Le proteste di massa sono fisiologicamente diminuite, dopo un mese pressoché ininterrotto.

Marzo e Aprile hanno visto un governo provvisorio che si è impegnato a revocare la licenza della principale compagnia monopolistica operante sul territorio, la ceca CEZ; il vento bulgaro ha spirato sino alla non lontana Slovenia, laddove per motivi congiunturalmente simili si è arrivati a far capitolare un governo praticamente negli stessi mesi, e in Estonia, dove alla fine di Febbraio si sono registrate manifestazioni contro il caro-elettricità

bulgaria_4_luglio_2013A Maggio le elezioni hanno realizzato percentuali..bulgare di astensionismo. A giovarne il partito Socialista che è sensibilmente cresciuto in percentuale di votanti e seggi parlamentari. I manifestanti dell’inverno appena alle spalle di certo non si sono aspettati sostanziali cambiamenti dall’alto, tant’è che quasi in concomitanza con la rivolta che infiammava attorno a Piazza Taksim ad Istanbul, il vento della protesta a ripreso a soffiare come e più di prima, giungendo alle oltre cinque settimane odierne, culminate giovedì scorso con la paralisi del traffico al grido di “mafia” e “dimissioni”, e invocando lo scioglimento delle camere e nuove elezioni; la polizia si è schierata a protezione del Parlamento, circondandolo con grosse transenne ferrate e il clima non si è di certo raffreddato in questo fine settimana: in migliaia sotto il Parlamento contro il neo-governo Oresharski, ma più in concreto conto la corruzione endemica a questo esecutivo come a quello precedente di Borisov.

Non a caso il focolaio di rabbia e protesta si è ravvivato il 14 Giugno non appena l’ambiguo magnate mediatico Delyan Peevski è stato nominato capo della Pubblica Sicurezza. La nomina è stata subito revocata, ma le proteste si sono allargate puntando il dito contro la corruzione del Governo in carica da poco più di due mesi.

Un vero e proprio “Qué se vayan todos!” di lunga durata si agita nel piccolo paese dei Balcani orientali. “

Movimento anarchico e rivolta sociale in Egitto.

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Non sono spuntati dal nulla i giovani col volto coperto e vestiti di nero che hanno fronteggiato le forze di sicurezza e attaccato i simboli del potere in Egitto durante il secondo anniversario della cosiddetta rivoluzione che riuscì a rovesciare il dittatore Hosni Mubarak. Già durante le lotte di due anni fa gli anarchici, pur rappresentando solo una piccola parte degli oppositori al regime, erano in prima linea negli scontri contro polizia, servizi segreti e picchiatori prezzolati dal governo, usando la tecnica di azione diretta tipica del black bloc. Al contrario di quanto pensano i male informati, il black bloc non è un’organizzazione politica, ma piuttosto una strategia di azione diretta. Ispirandosi agli autonomi italiani e tedeschi degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, gruppi di manifestanti vestiti di nero e col volto coperto (per dare l’impressione di un gruppo compatto e per sfuggire all’identificazione da parte delle forze repressive dello Stato) si organizzano in piccoli gruppi solitamente con l’obiettivo di compiere azioni dirette contro obiettivi simbolici che rappresentano l’oppressione e lo sfruttamento del capitale e dello Stato. La violenza (se di violenza si può parlare) viene indirizzata contro la proprietà, contro oggetti, raramente contro le persone – a volte vi sono scontri con le forze dell’ordine o con estremisti di destra. Salita alla ribalta della cronaca durante le proteste di Seattle contro il vertice del WTO nel 1999 e fortemente influenzata da princìpi anarchici (ma al tempo stesso non condivisa né praticata da tutti/e gli/le anarchici/che), la strategia del black bloc si è diffusa rapidamente in molti Paesi. Anche in Egitto.

È inevitabile che, di fronte all’estrema violenza della repressione governativa esercitata già ai tempi di Mubarak contro qualsiasi forma di opposizione o lotta sociale anche solo pacifica e/o riformista, prima o poi i più audaci e determinati oppositori a qualsiasi forma di oppressione e sfruttamento avrebbero adottato strategie di lotta adatte alle circostanze. Gli anarchici lottarono al fianco dei lavoratori del settore tessile in sciopero a El-Mahalla El-Kubra già nel 2008, poi durante la successiva rivolta del 2011 contro Mubarak. Oggi, di fronte ad un governo che ricorda quello da poco rovesciato a furor di popolo, incapace di risolvere le contraddizioni ed i problemi sociali del Paese, forte di una costituzione approvata con pochi voti e tesa a rafforzare il potere presidenziale, i giovani senza prospettive lavorative, gli ultras delle tifoserie calcistiche già abituati a scontrarsi con le forze di sicurezza, gli sfiduciati e i delusi da qualsiasi governante che vivono sulla propria pelle una situazione intollerabile hanno scelto lo scontro diretto con gli oppressori.

A seguito delle manifestazioni avvenute tra il 20 e il 28 Gennaio in ricordo della rivoluzione iniziata due anni prima e che hanno assunto carattere antigovernativo e in parte confrontativo con le forze repressive, con cortei molto partecipati nelle principali città egiziane,  il governo dei Fratelli Musulmani presieduto da Mohammed Morsi ha dichiarato il giorno 28 lo stato di emergenza in tre città (Port Said, Ismailía e Suez) ed ha promesso di schiacciare con la forza qualsiasi forma di opposizione radicale al suo governo, in particolare chi si organizza nel black bloc. Dal canto loro alcuni rivoluzionari organizzati nel black bloc hanno attaccato e danneggiato sedi del partito di governo nella capitale. Ma non è tanto la forma della protesta quanto le idee di chi protesta ad essere il problema per il potere costituito, come dimostra il recente arresto ad Alessandria di 31 persone (tra cui 5 anarchici del Movimento Socialista Libertario) che presidiavano pacificamente il tribunale durante l’udienza di un processo a carico di agenti di polizia accusati di aver ucciso dei manifestanti durante le rivolte del Gennaio 2011.

Egipto Anarquistas

( Nelle foto: 1-manifestanti organizzati nel black bloc durante le proteste per il secondo anniversario della rivoluzione egiziana; 2- una bandiera anarchica sventola all’interno di una sede del partito Fratelli Musulmani assaltata dai manifestanti).

Per approfondire:

“Repression und Todesdrohungen gegen black bloc- Mursi kürzt Europareise Programm”, pubblicato su Anarchistischer Funke (in tedesco);

“Egipto, un pueblo sediento de libertad. Declarado Estado de Emergencia”, pubblicato su A Las Barricadas (in castigliano);

“Sui rinvii a giudizio di Alessandria”, pubblicato su Anarkismo (in italiano e in altre lingue);

Revolution Black Bloc (pagina facebook del black bloc di Il Cairo);

– Black Blocairo (nuova pagina del Black BloCairo);

– Black Bloc Egypt.

L’altra Israele.

Nel momento in cui scrivo vige finalmente la tregua, ma le vittime dell’aggressione israeliana nella striscia di Gaza, giunta al suo settimo giorno, sono salite a 164: persone con nomi e cognomi, con le loro vite alle quali è stata posta fine per mano del governo e delle strutture militari di uno Stato che non vuol sentire ragioni e va avanti nel tempo con la sua politica fatta di massacri, razzismo, prepotenza, una politica che nuoce in primo luogo ai palestinesi ma anche, collateralmente, agli stessi cittadini israeliani. Questi ultimi si trovano a dover vivere sotto la costante minaccia di attentati compiuti da persone disperate, alle quali i governi israeliani succedutisi negli anni hanno tolto sempre piú la speranza di una vita dignitosa e di una soluzione equa e pacifica del conflitto. Il terrorismo dello Stato d’Israele non viene perciò appoggiato da tutti/e gli/le israeliani/e: chi si rifiuta di obbedire all’autoritá e di partecipare ai soprusi, alla negazione di diritti elementari ed ai massacri nei confronti della popolazione di Gaza fa parte per ora di una minoranza di persone consapevoli e coraggiose che si spera diventi col tempo sempre più numerosa. Quelle che seguono sono solo alcune tra le tante storie di cittadini/e israeliani/e che hanno voltato le spalle al nazionalismo, al militarismo, al lavaggio del cervello imposto dai dogmi religiosi, all’obbedienza cieca, in nome di altri valori.

Natan Blanc, diciannovenne di Haifa, preferisce la prigione all’arruolamento nell’esercito;

Manifestazione di attivisti/e israeliani nel centro di Tel-Aviv contro l’attacco a Gaza, 15 Novembre;

Sbirri impediscono manifestazione di attivisti/e israeliani a Gerusalemme contro l’attacco a Gaza, 15 Novembre;

Obiettori/trici di coscienza israeliani;

Noam Gur and Alon Gurman refuses to serve in the Israeli military;

Refuseniks and Israeli Soldiers speaks out;

La storia di Jonathan Ben Artzi;

Lettera di un obiettore di coscienza israeliano;

Anarchici contro il muro.

Bergamo: contestazioni contro Mario Monti.

Fonte: Informa-Azione.

“Sabato 26 Maggio Bergamo ha visto la presenza del presidente del consiglio Mario Monti, convenuto in città a presenziare ed “onorare” il giuramento dei cadetti de l’accademia della guardia di finanza, vero e proprio braccio armato di un esecutivo “tecnico” di banchieri e finanzieri asserviti a capitalisti e bce che, col pretesto della crisi, cerca di far passare riforme di restrutturazione “lacrime e sangue” e rilancia un sistema che ci opprime con guerre egemoniche, devastazioni ambientali, dominio delle merci, controllo sociale/classista e razzismo di stato .
In vista di questa visita di cortesia si sono susseguite diverse azioni informative e di protesta delle varie anime del movimento bergamasco.
Dagli attacchinaggi alle accampate in piazza, dalle scritte e stencil al sabotaggio di una ventina di parchimetri e di qualche obliteratrice sui pulman cittadini, sotto lo slogan “oggi paga monti”.
Il giorno della visita, in una Bergamo blindata come poche altre volte, un corteo determinato e comunicativo di circa 500 persone ha percorso le vie cittadine a ridosso della zona rossa istituita dalla questura a protezione della celebrazione, fino ad arrivare in largo Porta Nuova, da dove si è attuata una contestazione “sonora” di disturbo al discorso di Monti in corso.
Infine, da segnalare la pochezza della contestazione attuata della lega nord. L’unico gesto concreto che è riuscito a mettere in campo in una terra che negli anni passati ne ha rappresentato un grosso bacino di voti, è stato sventolare uno striscione trainato da un piccolo aereo monomotore, simbolo del declino e della debolezza che sta attraversando il partito.
Rendiamo questa crisi irreversibile, facciamola finita con questa società diseguale e razzista! Questo è il momento!”

“Fair elections do not happen”: manifestazione antigovernativa a Mosca.

Alcune immagini del blocco anarchico alla manifestazione contro il governo Putin svoltasi a Mosca il 4 Febbraio. Nonostante la temperatura di 19 gradi sotto lo zero e le solite provocazioni poliziesche, un totale di circa 100 000 persone hanno partecipato al corteo, alla faccia di chi ritiene che i russi non vogliano piú sentir parlare di attivismo politico.