The beautiful game and the horrible gain.

Mancano ormai pochi giorni all’inizio del campionato europeo di calcio in Francia, un Paese che nelle ultime settimane ha fatto notizia più che altro per la dura battaglia contro la riforma della legge sul lavoro portata avanti da movimenti di lotta, sindacati e svariate categorie sociali e individualità che vedono nella loi travail l’ennesimo attacco ai diritti lavorativi e l’avanzamento del neoliberismo. Basta poco però per trovare un nesso tra quel sistema economico messo in discussione nelle piazze francesi e il prossimo grande evento sportivo, perché quello che un tempo era il gioco della classe lavoratrice, the beautiful game, da tempo ormai è occasione per pochi per far profitti da capogiro senza curarsi delle ricadute sociali negative. Propagandati come occasioni di sviluppo, investimenti e lavoro dai massmedia acritici, i grandi eventi sportivi internazionali in realtà portano con sé sfruttamento della manodopera a basso costo ancora più brutale del solito, corruzione e spreco di denaro pubblico, emarginazione, censura e riduzione della libertà di espressione, militarizzazione e violenza nei confronti di poveri, emarginati, dissidenti e di chiunque si senta penalizzato/a e abbia intenzione di farlo pubblicamente presente… il tutto per la gioia di grandi imprese, investitori e pochi burocrati collocati ai piani alti della piramide capitalista, che si accordano tra loro come meglio gli conviene senza aver bisogno di chiedere il permesso, dal momento in cui a dare permessi sono loro. La memoria di molti è breve e la distrazione grande nel pensare ad un pallone che rotola, quindi sarà meglio ricordare un paio di cose tra tante:

…e Francia, Duemilasedici. Stavolta forse non basterà il richiamo al patriottismo da due soldi o alla grande occasione per l’economia per distrarre chi lotta, come non bastò in Brasile due anni fa. Quella volta il potere si fece largo, nel nome dell’orribile guadagno, a suon di ruspe, bastonate, lacrimogeni e pallottole e l’attenzione mediatica si spostò altrove dopo la fine del mondiale. In Francia è più probabile che si faccia leva sull’aspetto securitario a fronte dei recenti attentati di matrice fondamentalista islamica per spaventare ma soprattutto reprimere con la forza qualsiasi forma di dissenso e lotta durante lo svolgimento del teatrino calcistico. È solo una possibilitá, un timore: il futuro comunque è ancora tutto da scrivere.

“Nao vai ter copa!”: i mondiali di calcio in Brasile.

In molti/e non aspettano altro in tutto il mondo, animati da passione più o meno accesa nei confronti dello “sport più bello del mondo” o semplicemente dalla voglia di distrarsi dai problemi quotidiani che li/le affliggono: il 12 giugno inizia in Brasile il campionato mondiale di calcio. Non scrivo “dovrebbe iniziare” anche se sarei tentato: il fatto è che, piaccia o no, la logica del capitalismo che sta dietro i grandi eventi non ammette resistenze di sorta ed in nome del profitto si è disposti a passare anche sui cadaveri- letteralmente. A seguito delle proteste di massa contro il previsto aumento dei prezzi dei trasporti pubblici, la mancanza di investimenti statali nel settore sanitario e scolastico, gli sfratti e le politiche repressive nei confronti di poveri ed emarginati attuate dal governo brasiliano, strettamente connesse al grande evento calcistico, a livello internazionale ormai non è solo la voglia di pallone ad essere cresciuta, quanto la consapevolezza che il mondiale-almeno così come è stato organizzato nel Paese ospitante- vada boicottato. A tale proposito, la posizione maggiormente condivisa (che definirei “morbida” e “riformista”) viene efficacemente riassunta da un video visualizzatissimo sul web:

Difficile negare i fatti riassunti nel video, tutt’al più c’è chi corregge alcune affermazioni dell’autrice, ad esempio che la spesa affrontata è di 30 miliardi di reales e non di dollari- ora sì che mi sento sollevato! I “correttori”, che evidentemente non sono appena stati sfrattati da una baracca situata in una favela o pestati a sangue dai poliziotti impegnati a far pulizia in attesa di danarosi turisti, né stanno crepando di una qualche patologia altrimenti curabile a causa delle carenze del sistema sanitario pubblico, si impegnano nell’evidenziare le potenzialità economiche dell’evento per la popolazione tutta, invitando a lasciar perdere proteste e boicottaggi, fiduciosi che il mondiale cambierà in meglio il Brasile. Se così non dovesse essere, sarà allora per la prossima volta, no? Le olimpiadi in Grecia, il mondiale di calcio in Sudafrica, gli europei di calcio in Ucraina e Polonia- qualcuno si ricorda ancora di Italia ’90?: questi ed altri esempi dovrebbero bastare a chi ancora non avesse capito come funzionano certe cose. Chi abbocca alla balla del benessere diffuso scaturito dai grandi eventi di natura commerciale o è un boccalone, oppure è in mala fede e non ha capito che la passione per il calcio, sport popolare e “proletario” per origini storiche, ha poco a che vedere con gli interessi di multinazionali, grandi investitori e lacchè vari. Tra chi invece ha individuato le radici del problema c’è chi partecipa attivamente alle lotte in corso per le strade delle città brasiliane e chi tenta di appoggiare tali lotte con iniziative controinformative e con il boicottaggio attivo del grande evento sportivo di turno. Per chi fosse interessato/a, esiste in italiano una pagina su Facebook che promuove il boicottaggio attivo del mondiale; a chi cerca ulteriori informazioni sulle proteste e sulle ragioni di chi si oppone a questo mondiale di calcio, sulle politiche repressive e sui costi sociali, consiglio di seguire il sito in lingua italiana “Il Resto del Carlinho (Utopia)” che ritengo tra i migliori che io abbia trovato finora sul web; a tutti/e gli/le altri/e, auguro buona visione dell’ennesimo spettacolo sulla pelle degli sfruttati e dei senza diritti, ma tenete sempre presente che un giorno qualcuno potrebbe godersi un nuovo spettacolo costato la vostra miseria ed il vostro sfruttamento. Sempre che quel giorno non sia già arrivato e voi non ve ne rendiate nemmeno conto.

Sulle proteste popolari in corso in Brasile.

Fonte: Infoaut.

” Brasile, scontri e proteste si diffondono ovunque!

 

Giovedì 20 Giugno 2013 11:35

brazil_protests_football_19Centinaia di migliaia di brasiliani hanno nuovamente invaso le strade di Rio de Janeiro ieri in continuità con il largo movimento di protesta che ha preso piede dal rigetto degli aumenti delle tariffe dei bus per arrivare rapidamente ad un largo e trasversale “no” alla corruzione dei governanti. Nonostante l’incessante lavorio dei principali mezzi di informazione volti a dissuadere dal creare ulteriori disordini, l’annuncio del rafforzamento di truppe militari nelle zone interessate particolarmente al circuito legato alla Confederation Cup (a proposito, fa scoop in tutto il mondo la dichiarazione del giocatore brasiliano Neymar, che si dice “ispirato dalla protesta”), e il tentativo mal riuscito di dividere in “buoni” e “cattivi” i manifestanti, il volume della protesta non accenna a diminuire.

Continuano i fronteggiamenti in strada tra gruppi radicali e polizia antisommossa, specialmente attorno alla zona dove si teneva l’incontro di calcio tra Brasile e Messico, a Fortaleza. Qui migliaia di persone, con gli studenti nelle prime file, hanno tentato di forzare il dispositivo militare ingegnato a mò di zona rossa attorno allo stadio, ingaggiando ripetuti scontri con tanto di avenues invase da lacrimogeni e pallottole di gomma. Eloquenti i cartelli che apparivano a ridosso della zona “calda”, in gran parte occultati dalle grosse testate presenti per l’evento sportivo: “Sanità, educazione, non Corruzione”, recitavano. Gli scontri sono proseguiti tutto il giorno e durante la notte con barricate diffuse, bus e auto divelti, fronteggiamenti a distanza e continui inseguimenti della polizia militare.

La radicalità della rivolta brasiliana, il maggiore movimento di protesta degli ultimi ventanni almeno nel Paese, sta definendo una nuova geografia interna delle lotte, che ormai non riguardano più solamente Rio, Brasilia e Sao Paulo, ma sta attivando circuiti di contestazione in oltre 70 città minori sparse lungo tutta la grande superficie del Paese; un dato rilevante per chi vede nei fatti di questi giorni una tendenza al radicamento e possibilità di trasformazione dei rapporti di forza sociali al di là della sensazionalità degli eventi odierni.

Ciò alla luce della considerazione che da anni in molti strati poveri o etnicamente marginalizzati del paese, nelle periferie di Rio e Brasilia in primis, lotte radicalissime si sono susseguite principalmente per il diritto all’esistenza e, pur non contagiando altri settori sociali, han rappresentato rappresentano un ulteriore tassello di conflittualità di massa sempre pronta ad esplodere.

Dopo i tafferugli della scorsa notte a San Paolo, e il continuo fermento nelle strade, la Giunta del distretto ha comunicato in fretta e furia la rinuncia al rincaro dei trasporti del servizio pubblico metropolitano, non mancando di condannare le “violenze” come controproducenti all’ascolto delle rivendicazioni popolari.
Ma tale lettura ha visto la smentita netta e inequivocabile da parte di uno dei gruppi promotori maggiormente attivi nelle piazze di questi giorni, il “Free fare Movement”, che appunto allarga il suo orizzonte alla gratuità dei trasporti e afferma che “i governanti dicono che i manifestanti impediscono sia la normalità del fruire dei servizi, sia lo sviluppo di una ragionevole mediazione vantaggiosa per il popolo. Ma la realtà dice che è proprio il popolo a dimostrare coi fatti, in strada, che è disposto a lottare per conquistarsi i propri diritti.”

La disillusione verso l’intero sistema governativo complice della ulteriore verticalizzazione forzata della società in nome di un’ ulteriore ciclo di speculazione, che vede al centro il business dei Mondiali di Calcio 2014, nonché dello sprofondamento rapido di buona parte del ceto medio in via di proletarizzazione, sta portando il focus delle proteste ad affiancare, ad un più moderato rifiuto di ciò che è considerato marcio e corrotto del sistema dei partiti, un complessivo e radicale rifiuto in sé dei partiti; non a caso, altro slogan che prolifera e risuona in massa nei cortei è “No, partiti no”.

Certamente, la portata delle manifestazioni di ieri a Rio, con numeri che oscillano da 500mila ufficiosi a oltre un milione di manifestanti, rappresenta una grossa patata bollente nell’ottica di poter implementare tutta una serie di riforme strutturali dentro le quali il rincaro dei trasporti , la dismissione di scuole e ospedali per i poveri, l’ulteriore gentrificazione/militarizzazione delle zone ad alto interesse speculativo in vista dell’Estate 2014 rappresentano solamente gli aspetti più tangibili per chi guarda dall’esterno i fatti di questi giorni. ”

Per approfondire ulteriormente l’argomento consiglio la lettura di una raccolta di articoli in diverse lingue pubblicati sul sito Anarkismo (cliccare sull’immagine sotto):

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Vedi anche: “Brasile, governo cede sulle tariffe ma la protesta continua”, su Contropiano.

Azioni di protesta in Polonia durante l’apertura di EURO 2012.

“L’8 Giugno si é aperto a Varsavia il campionato europeo di calcio. La città era piena di polizia, militari e tifosi. Il sindacato anarchico polacco ZSP-IAA e il comitato di difesa degli/lle inquilini/e hanno organizzato proteste contro la politica dell’evento. L’azione ha avuto luogo nei pressi dello stadio, in modo che migliaia di persone potessero prenderne atto. Abbiamo parlato del denaro speso per gli europei di calcio e del fatto che dell’evento profittano solo la UEFA (che é stata esentata dal pagamento delle tasse) e un pugno di inprenditori. Circa 26 miliardi di Euro sono stati spesi dallo Stato per l’evento – denaro che proviene dalle tasche dei lavoratori e delle lavoratrici. Mentre la Polonia spende somme impressionanti per i giochi, i bambini soffrono la fame, le caffetterie delle scuole vengono privatizzate, i servizi sociali decurtati e i prezzi delle merci aumentati.

Un nostro compagno della ZSP ha anche ricordato nel suo intervento che un’impresa che ha costruito lo Stadio Nazionale di Varsavia ha dichiarato bancarotta a inizio settimana a causa del mancato ricevimento di pagamenti. Ciò significa che una quantità di ditte subappaltatrici e di dipendenti non hanno ricevuto le loro paghe. Questi hanno minacciato di bloccare il campionato europeo, ma non l’hanno fatto. I lavoratori e le lavoratrici impiegati nello stadio sono stati anch’essi truffati, poichè riceveranno paghe inferiori a quelle promesse. Anche loro hanno minacciato uno sciopero, senza però attuarlo. Questa situazione, nella quale le masse lavoratrici disorganizzate vengono sconfitte dal disfattismo in un Paese dove i sindacati sono concilianti con i nemici della classe lavoratrice, crea sempre più numerosi problemi sociali. I manifestanti invitano all’autoorganizzazione per potersi difendere contro questi abusi.

Una ghigliottina (Finta!,ndt) é stata esposta dai dimostranti, che hanno spiegato che, se la classe politica continuerà a tagliare la spesa sociale, saranno le teste dei politici a dover essere tagliate. Dopo la manifestazione alcuni compagni si sono recati nei pressi della stazione di polizia per protestare contro l’arresto di attiviste di Femen che avevano inscenato altre azioni di protesta allo stadio.”

Qui l’ articolo originale in inglese e qui la versione in tedesco. Traduzione in italiano mia (blackblogger).

Gabriel Kuhn, “Soccer vs. The State”.

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Gabriel Kuhn, “Soccer vs. The State. Tackling football and radical politics”, PM Press. ISBN 978-1-60486-053-5

“Soccer vs. The State. Tackling football and radical politics” è l’ultimo libro (per il momento non ancora tradotto in italiano) scritto da Gabriel Kuhn, attivista anarchico ed ex calciatore semiprofessionista di origine austriaca. L’opera tratta il legame tra “il gioco più bello del mondo” e l’attivismo politico, le idee emancipatorie, il cambiamento sociale. Il calcio è al giorno d’oggi uno sport pienamente inserito nel contesto capitalista, una miniera d’oro per multinazionali e altre grandi aziende, fonte di reddito eccessivo per i pochi professionisti che lo praticano; tra le tifoserie, sugli spalti degli stadi, sembrano abbondare gli episodi di razzismo, sessismo, omofobia e violenza… Eppure questo sport é nato come gioco della classe lavoratrice, un gioco capace di unire le persone al di là di confini nazionali, etnici, di genere, creando nuove esperienze di condivisione, collaborazione reciproca e socialità non commercializzata. È il calcio nella sua forma moderna a rappresentare un distacco dalle radici popolari, ma molti/e tifosi/e, allo stesso tempo attivisti/e politici/che, si oppongono attivamente sia alla strumentalizzazione del calcio come veicolo di idee reazionarie, discriminatorie ed antiemancipatorie, sia alla sua sempre più smaccata commercializzazione che esclude dal pubblico proprio quelle fasce popolari che furono in passato all’origine della sua nascita. Gli esempi di pratiche emancipatorie veicolate dal gioco del calcio e di tifoserie che portano avanti discorsi e pratiche contro razzismo, omofobia, sessismo, violenza di Stato, commercializzazione e politiche autoritarie abbondano nel libro di Kuhn, corredato da interviste, immagini, aneddoti, testi tratti da volantini e pubblicazioni varie, che nonostante non manchi di evidenziare i lati oscuri nel mondo del calcio, fornisce allo stesso tempo informazioni e spunti per sviluppare pratiche e lotte emancipatorie al suo interno. Per chiunque voglia  continuare a prendere a calci un pallone mentre sogna un mondo migliore e si impegna a costruirlo insieme agli/e altri/e.

Jeff Monson, uno di noi.

 Jeff Monson ( 17 Gennaio 1971 ) é un campione statunitense di MMA ( mixed martial arts ), ritenuto uno dei migliori combattenti al mondo nella sua disciplina e conosciuto a livello mondiale per i suoi successi sportivi. Ma é anche un anarchico dichiarato, iscritto alla IWW ,sponsorizzato nelle sue attivitá sportive dalla cooperativa editrice AK Press, non ha mai nascosto le sue idee politiche ed ha preso parte a numerose azioni di solidarietá e manifestazioni pubbliche. Il 26 Maggio 2006 Monson prese parte al blocco del porto di Olympia, sua cittá d’origine, per protestare contro la guerra in Iraq: fu uno degli unici due attivisti a non venire arrestato né allontanato dalla polizia, avendo affermato chiaramente “se provate ad arrestarmi opporró resistenza”. Nel Gennaio 2009 Monson venne condannato al pagamento di una grossa multa per aver tracciato sui muri del Washington State Capitol simboli anarchici ed antimilitaristi e le scritte “No War” e “No Poverty”.

Monson ha dichiarato tra le altre cose che “la Costituzione é solo un pezzo di carta” e “voglio l’abolizione delle gerarchie sociali e di tutte le istituzioni che promuovono ineguaglianza e sfruttamento” e ” la nostra economia si basa solo sul consumo, vogliamo sempre piú prodotti a prezzi sempre piú bassi, non ci rendiamo conto che stiamo rapinando ed impoverendo altri Paesi”.