“Nao vai ter copa!”: i mondiali di calcio in Brasile.

In molti/e non aspettano altro in tutto il mondo, animati da passione più o meno accesa nei confronti dello “sport più bello del mondo” o semplicemente dalla voglia di distrarsi dai problemi quotidiani che li/le affliggono: il 12 giugno inizia in Brasile il campionato mondiale di calcio. Non scrivo “dovrebbe iniziare” anche se sarei tentato: il fatto è che, piaccia o no, la logica del capitalismo che sta dietro i grandi eventi non ammette resistenze di sorta ed in nome del profitto si è disposti a passare anche sui cadaveri- letteralmente. A seguito delle proteste di massa contro il previsto aumento dei prezzi dei trasporti pubblici, la mancanza di investimenti statali nel settore sanitario e scolastico, gli sfratti e le politiche repressive nei confronti di poveri ed emarginati attuate dal governo brasiliano, strettamente connesse al grande evento calcistico, a livello internazionale ormai non è solo la voglia di pallone ad essere cresciuta, quanto la consapevolezza che il mondiale-almeno così come è stato organizzato nel Paese ospitante- vada boicottato. A tale proposito, la posizione maggiormente condivisa (che definirei “morbida” e “riformista”) viene efficacemente riassunta da un video visualizzatissimo sul web:

Difficile negare i fatti riassunti nel video, tutt’al più c’è chi corregge alcune affermazioni dell’autrice, ad esempio che la spesa affrontata è di 30 miliardi di reales e non di dollari- ora sì che mi sento sollevato! I “correttori”, che evidentemente non sono appena stati sfrattati da una baracca situata in una favela o pestati a sangue dai poliziotti impegnati a far pulizia in attesa di danarosi turisti, né stanno crepando di una qualche patologia altrimenti curabile a causa delle carenze del sistema sanitario pubblico, si impegnano nell’evidenziare le potenzialità economiche dell’evento per la popolazione tutta, invitando a lasciar perdere proteste e boicottaggi, fiduciosi che il mondiale cambierà in meglio il Brasile. Se così non dovesse essere, sarà allora per la prossima volta, no? Le olimpiadi in Grecia, il mondiale di calcio in Sudafrica, gli europei di calcio in Ucraina e Polonia- qualcuno si ricorda ancora di Italia ’90?: questi ed altri esempi dovrebbero bastare a chi ancora non avesse capito come funzionano certe cose. Chi abbocca alla balla del benessere diffuso scaturito dai grandi eventi di natura commerciale o è un boccalone, oppure è in mala fede e non ha capito che la passione per il calcio, sport popolare e “proletario” per origini storiche, ha poco a che vedere con gli interessi di multinazionali, grandi investitori e lacchè vari. Tra chi invece ha individuato le radici del problema c’è chi partecipa attivamente alle lotte in corso per le strade delle città brasiliane e chi tenta di appoggiare tali lotte con iniziative controinformative e con il boicottaggio attivo del grande evento sportivo di turno. Per chi fosse interessato/a, esiste in italiano una pagina su Facebook che promuove il boicottaggio attivo del mondiale; a chi cerca ulteriori informazioni sulle proteste e sulle ragioni di chi si oppone a questo mondiale di calcio, sulle politiche repressive e sui costi sociali, consiglio di seguire il sito in lingua italiana “Il Resto del Carlinho (Utopia)” che ritengo tra i migliori che io abbia trovato finora sul web; a tutti/e gli/le altri/e, auguro buona visione dell’ennesimo spettacolo sulla pelle degli sfruttati e dei senza diritti, ma tenete sempre presente che un giorno qualcuno potrebbe godersi un nuovo spettacolo costato la vostra miseria ed il vostro sfruttamento. Sempre che quel giorno non sia già arrivato e voi non ve ne rendiate nemmeno conto.

Campeggio in difesa del territorio a Girona (Spagna).

Fonte: Contra Info.

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CAMPEGGIO DI RESISTENZA ATTIVA IN DIFESA DEL TERRITORIO
CONTRO LA MAT ED IL MONDO CHE LA NECESSITA

CHE COS’È ?

La linea di altissima tensione (MAT) è un’autostrada elettrica che trasporta un carico di minimo 400.000 volt. Si sta costruendo per congiungere tra essi Stati europei ed il continente europeo con quello africano. Serve per commercializzare e distribuire eccedenti di energia prodotta da centrali nucleari e supposte fonti di energie alternative. Allo stesso tempo, è la rete di cui il capitalismo ha bisogno per alimentare altri progetti ed infrastrutture di morte e distruzione, come per esempio il Treno ad Alta Velocità (TAV). I responsabili sono quelli di sempre e, difatti, le imprese costruttrici sono quelle direttamente implicate in altri progetti di distruzione del territorio, imprese tra le quali spiccano Vinci in Europa e Endesa in America del Sud.

PERCHÉ IL CAMPEGGIO?

Affinché non si costruisca l’ultimo tratto decisivo per collegare la Francia  con la Catalogna.  Affinché non passi l’energia di 6 centrali nucleari francesi per questo territorio né da nessun altro. Per considerare la lotta contro la MAT come un punto di partenza per la messa in discussione del nostro modo di vita, per la maggior parte imposta dal dominio del Progresso. Per creare uno spazio di incontro, informazione, agitazione e azione nelle terre colpite.

PERCHÉ QUI ED ORA?

Dopo più di dieci anni di lotta ci troviamo in un momento decisivo. A settembre cominceranno le espropriazioni ai danni dei proprietari che hanno deciso di non firmare la vendita dei terreni necessari per la costruzione delle ultimi torri della MAT in Girona.

È per tutto questo che vi invitiamo a partecipare attivamente al campeggio, per condividere, lottare e resistere in uno spazio autogestito, libero da leader e rappresentanti. Vogliamo creare momenti di scambio e connessione tra differenti lotte, perché la MAT colpisce tutte e tutti e non crediamo che sia una lotta isolata.

CONTRO IL PROGRESSO, LE SUE INFRASTRUTTURE ED I SUOI DIFENSORI:
RIAPPROPIAMOCI DELLE NOSTRE VITE!

CI VEDIAMO IL 23 DI AGOSTO DEL 2013
NELLE TERRE DELLA GIRONA

Porta con te tutto quello di cui avrai bisogno per accampare.
Info ed aggiornamenti: Torres más altas han caído

Sulle rivolte in Bulgaria.

Fonte: Infoaut.

” Rivolta in Bulgaria: la seconda ondata supera i 40 giorni.

Termometro sociale rovente in Bulgaria

bulgaria_3_luglio_2013

Aggiornamento: nella notte in migliaia hanno impedito ai parlamentari di poter andare via dall’edificio, respingendo alcuni tentativi di forzare i blocchi. Anche il bus del premier, scortato da un grosso schieramento di celere è stato bloccato dai manifestanti mentre tentava di imboccare una via secondaria.
Fatti indietreggiare da ripetute cariche della celere, i manifestanti hanno cominciato ad ergere barricate tutto intorno al Parlamento.

Guarda il video dell’inizio dell’assedio al Parlamento.

Le proteste bulgare contro i monopoli energetici e non, sono partite con manifestazioni di massa contro l’aumento delle tariffe di luce e gas, la prima a Blagovevgrad il 28 gennaio. La rivolta si estese a macchia d’olio in 30 città e il governo di Boiko Borisov rassegnò le dimissioni il 20 Febbraio.

Originato dalla rabbia per il dissennato aumento dei costi dell’energia, il movimento popolare di massa ha presto esteso la sua radicalità critica indirizzandola contro il sistema dei partiti. Non sono mancati casi eclatanti di nichilismo, con sette immolazioni pubbliche, ma anche tanta freschezza, e un fortissimo sentimento di ripudio delle lobbies politiche che ha portato anche a numerose forme di protesta inaspettate e totalmente auto-organizzate.

La concatenazione dei meccanismi decennali di svendita delle risorse energetiche a grosse compagnie monopolistiche estere, la vendita a queste delle stesse infrastrutture statali, e lo svuotamento delle Commissioni addette all’Osservazione del comportamento delle multinazionali in questione, si è condensata con tutte le sue profonde ambiguità nel momento in cui l’inflazione ha fatto schizzare i prezzi degli stock energetici, sia per l’uso domestico che per quanto riguardava l’approvvigionamento industriale. In un paese dove il salario medio si trova al di sotto dei 400 euro mensili, e il costo dei beni primari è elevatissimo, proporzionalmente agli altri paesi dell’Unione Europea, la maggior parte dei nuclei familiari si è trovata negli ultimi anni a dilapidare le proprie entrate economiche solamente per coprire le spese essenziali. L’aumento folle di luce e gas è stato dunque il detonatore di una situazione già di per sé difficilmente sostenibile, dove i giochi di corruzione e speculazione della classe politica neoliberista hanno fatto il bello (per loro) e il cattivo tempo (per tutti gli altri). Da questo punto di vista la Bulgaria incarna esemplarmente, a pochi passi dai colossi socialdemocratici europei, la dicotomia sociale 1 vs 99%.

In questo clima, la prima ondata di proteste è stata a dir poco travolgente, portando addirittura i manifestanti a bruciare i propri soldi e ad assaltare varie vetture utilitarie di rappresentanti delle compagnie energetiche. Il 13 febbraio il ministro dell’economia è stato inseguito e bersagliato a palle di neve. Da lì a poco la rivolta si è fatta dilagante, con blocchi congiunti delle principali arterie di comunicazione, scontri nelle vicinanze delle sedi delle principali compagnie energetiche e dei palazzi ministeriali, oggetto di bottigliate e lanci di pietre per diversi giorni. Il 18 e il 19 febbraio sono stati i giorni più intensi, con blindati dalle fiamme, e feriti tra le fila dei manifestanti come tra quelle della Gendarmeria (la polizia bulgara). Un clima di sommossa generalizzata pressoché ingovernabile si è registrato a Varna, la città più popolosa del Mar Nero.

Dopo le dimissioni governative, il movimento ha proseguito il suo processo di radicalizzazione ,con l’espulsione di membri filo-partitici dalle assemblee autoconvocate, e il travalicamento dei confini nazionali con presidi e manifestazioni in consolati e ambasciate di molti paesi europei. Le proteste di massa sono fisiologicamente diminuite, dopo un mese pressoché ininterrotto.

Marzo e Aprile hanno visto un governo provvisorio che si è impegnato a revocare la licenza della principale compagnia monopolistica operante sul territorio, la ceca CEZ; il vento bulgaro ha spirato sino alla non lontana Slovenia, laddove per motivi congiunturalmente simili si è arrivati a far capitolare un governo praticamente negli stessi mesi, e in Estonia, dove alla fine di Febbraio si sono registrate manifestazioni contro il caro-elettricità

bulgaria_4_luglio_2013A Maggio le elezioni hanno realizzato percentuali..bulgare di astensionismo. A giovarne il partito Socialista che è sensibilmente cresciuto in percentuale di votanti e seggi parlamentari. I manifestanti dell’inverno appena alle spalle di certo non si sono aspettati sostanziali cambiamenti dall’alto, tant’è che quasi in concomitanza con la rivolta che infiammava attorno a Piazza Taksim ad Istanbul, il vento della protesta a ripreso a soffiare come e più di prima, giungendo alle oltre cinque settimane odierne, culminate giovedì scorso con la paralisi del traffico al grido di “mafia” e “dimissioni”, e invocando lo scioglimento delle camere e nuove elezioni; la polizia si è schierata a protezione del Parlamento, circondandolo con grosse transenne ferrate e il clima non si è di certo raffreddato in questo fine settimana: in migliaia sotto il Parlamento contro il neo-governo Oresharski, ma più in concreto conto la corruzione endemica a questo esecutivo come a quello precedente di Borisov.

Non a caso il focolaio di rabbia e protesta si è ravvivato il 14 Giugno non appena l’ambiguo magnate mediatico Delyan Peevski è stato nominato capo della Pubblica Sicurezza. La nomina è stata subito revocata, ma le proteste si sono allargate puntando il dito contro la corruzione del Governo in carica da poco più di due mesi.

Un vero e proprio “Qué se vayan todos!” di lunga durata si agita nel piccolo paese dei Balcani orientali. “

Marcia mondiale contro Monsanto-25 Maggio 2013.

Per il prossimo 25 Maggio è stata indetta una giornata di mobilitazione internazionale contro Monsanto, multinazionale leader nel mercato degli organismi geneticamente modificati. L’iniziativa è stata lanciata dal gruppo Occupy Monsanto per richiamare l’attenzione e protestare contro le politiche particolarmente aggressive del colosso degli OGM, mettendo in guardia sulle conseguenze derivate dalla scelta e dalla diffusione di organismi geneticamente modificati. Finora, in particolare negli Stati Uniti d’America, la Monsanto ha avuto il sostegno del governo grazie ad un’intensa attività di lobbing ed ha tentato più volte di far cambiare a suo favore la legislazione europea in materia di OGM trovando sempre una forte opposizione suprattutto tra agricoltori, movimenti dei consumatori ed ecologisti.  Per conoscere meglio la questione OGM, le multinazionali che ne traggono vantaggio, le conseguenze per economia, ambiente e salute umana e le lotte intraprese finora, consiglio la lettura dei tre articoli linkati qui sotto. I tre link successivi rimandano invece alla pagina Facebook dei promotori dell’iniziativa, alla pagna che spiega le motivazioni della protesta e le soluzioni proposte ed infine alla lista di iniziative contro Monsanto che avranno luogo un pò in tutto il mondo il prossimo 25 Maggio.

“L’anno del granoturco”, di Paolo Soldati;
Biopirati: la storia del pizzo legalizzato”, di Earth Riot;
Monsanto semina la morte tra i contadini indiani”, di Vandana Shiva.

Pagina Facebook (english);
Obiettivi e proposte (english);

Lista degli eventi.

 

 

 

“Fermiamo la guerra in Mali”: comunicato della FAI.

Fonte: Anarchaos.

” Fermiamo la guerra in Mali! [Comm. Rel. Internazionali FAI]

http://federazioneanarchica.org/archivio/20130216cri.html

Fermiamo la guerra in Mali!

L’11 gennaio il governo francese ha dato inizio ad un’operazione militare in Mali. Ha dichiarato di intervenire per sostenere le unità maliane contro il terrorismo di matrice islamica che imperversa in quell’area e per difendere la popolazione dalle violenze. Qualche giorno dopo, il 14 e il 17, rispettivamente la Germania e l’Italia, attraverso i loro ministri degli esteri, hanno affermato di appoggiare l’attacco francese in Mali e di essere disponibili a offrire supporto logistico. Passano poche settimane e, all’inizio di febbraio il presidente francese Hollande “atterra” tra le sue truppe a Timbuctu, ripreso dalle telecamere delle TV internazionali, sottolineando che le milizie islamiche/tuareg sono in fuga e il Mali è quasi completamente liberato: “Sosterremo i maliani fino alla fine di questa missione nel nord – ha dichiarato – ma non intendiamo star qui per sempre”.

Una frase che deve essere interpretata in senso esattamente opposto se si allarga lo sguardo alla politica estera dei governi francesi degli ultimi anni.
Infatti, c’è perfetta continuità tra Sarkozy che bombarda la Libia e Hollande che bombarda il Mali.
Sin dal 2007, in Niger, si è sviluppato un movimento tuareg, e dopo quasi cinquantanni di rapporti esclusivi con la Francia,questo paese aveva di recente aperto a compagnie non francesi lo sfruttamento delle risorse minerarie.
Certo, si potrebbero evidenziare le contraddizioni di chi interviene militarmente, ora in difesa della popolazione, ora per togliere di mezzo il dittatore scomodo. Insomma un giorno si spargono i “semi” della democrazia, l’altro si sostengono le forze ribelli con soldi e armi. A volte capita che i nemici di oggi siano stati gli amici di ieri (durante l’attacco alla Libia, Francia e Gran Bretagna hanno fatto ampio uso degli islamisti per combattere le forze armate di Tripoli, poiché i separatisti della Cirenaica non erano interessati a rovesciare Mu‘ammar Gheddafi una volta che Bengasi fosse diventata indipendente).
La campagna di comunicazione massmediatica preferisce mostrare le folle festanti che sventolano la bandiera francese invece delle migliaia di profughi che si sono concentrati in pochi giorni presso i confini maliani. Il ritornello si ripete mostrando i danni che i fondamentalisti hanno provocato al patrimonio culturale, (la biblioteca di Avicenna e i mausolei di Timbouctou) sottolineando il divieto di ascoltare la musica o di vestirsi senza seguire i dogmi religiosi. La distruzione generata dai bombardamenti dell’aviazione, invece, non appare mai.
L’opinione pubblica occidentale si confronta con l’ennesimo conflitto in modo apparentemente indolore: la distanza che ci separa dagli scenari di guerra favorisce, infatti, un certo “distacco”.
Non dobbiamo, però, scordare che gli interventi degli eserciti degli stati alimentano il pericolo “terrorista” (i recenti fatti che hanno interessato l’impianto energetico di In Amenas in Algeria rappresentano un esempio lampante).
Gli effetti di queste politiche neocolonialiste, travestite da missioni umanitarie, si estendono, comunque, anche all’interno dei confini dei paesi europei grazie alle legislazioni speciali antiterrorismo che, in nome della “sicurezza” continuano a erodere gli spazi di libertà e costituiscono uno “strumento repressivo e politico pronto all’uso” per fronteggiare le forme più pericolose e crescenti della protesta sociale.
Esaminando più nel dettaglio l’intervento militare in Mali ci si rende conto dell’infondatezza delle motivazioni ufficiali e delle mille contraddizioni che ne scaturiscono.
L’esercito francese era, da tempo, pronto a intervenire; la richiesta d’aiuto del presidente golpista Dioncounda Traorè è stata solo il pretesto.
È’ impossibile credere che sia stata l’emergenza umanitaria a spingere l’Europa a intraprendere questa nuova guerra. L’Africa è vessata, da decenni, da miriadi di focolai di violenza e nessuna potenza occidentale se ne è mai seriamente interessata. Si dirà che in Mali ad aggravare la situazione c’è l’emergenza “terrorismo islamico”.
Non dimentichiamo, inoltre,il ruolo degli Stati Uniti,in questa guerra,che da decenni contendono alla Francia il controllo della FrancAfrique.
Significativo il fatto che circa tre settimane dopo l’intervento francese in Mali, gli Stati Uniti abbiano siglato un accordo con il governo di Niamey per l’installazione di una base militare statunitense ad Agadez, nel nord del Niger nella zona uranifera del paese.

Dobbiamo considerare questa “nuova” guerra come la prosecuzione naturale della campagna libica e renderci conto che, probabilmente, ci troviamo di fronte a una precisa strategia neo-coloniale di controllo politico del territorio, finalizzato allo sfruttamento delle risorse naturali e inquadrato in un’ottica di contrasto dell’avanzata dei capitali cinesi in Africa. La Cina, infatti, è il primo partner commerciale di Tanzania, Zambia, Congo ed Etiopia (dove il PIL cresce con una media del 5,2% l’anno, cifre impressionanti) e in molte zone vanta l’esclusiva sui diritti di estrazione delle risorse.
Il governo francese ha enormi interessi economici nell’area centro-nord africana e sta cercando, anche con mosse azzardate, di mantenere sotto la propria influenza quelle zone di interesse strategico per l’abbondanza di risorse minerarie ed energetiche.
Il Mali potrà diventare importante nel prossimo futuro, ma il Niger lo è già ora. Non può sfuggire che, poco oltre il confine sud-est del Mali, sono collocate le più importanti miniere d’uranio nigeriane. Il riferimento è alla miniere di Arlit ed Akokan da cui la multinazionale Areva ricava gran parte dello “yellowcake” destinato ad alimentare i 58 reattori nucleari francesi. Nella stessa zona è prevista l’apertura di quella che è destinata a diventare una delle più grandi miniere al mondo per l’estrazione dell’uranio, Imouraren. Non mancano poi l’oro e il petrolio. Quindi, un grande affare che lo Stato francese – “spalla” di multinazionali come Total e Areva (giusto per fare due nomi) non può lasciarsi scappare.
Non si può dimenticare che la politica energetica francese è fondata sull’energia nucleare, una scelta che ha radici nel passato perché direttamente legata alla necessità di rafforzare il proprio ruolo militare nello scenario geopolitico internazionale. Sappiamo bene che non c’è soluzione di continuità tra gli impieghi, cosiddetti, civili dell’energia atomica e quelli finalizzati alla costruzione di ordigni destinati a minacciare l’umanità. Una scelta di sistema che rende, nell’attuale contesto d’instabilità, difficile, per il governo francese, individuare fonti energetiche alternative. La disponibilità dell’uranio rimane, quindi, una questione essenziale almeno in una prospettiva di medio periodo.
Quando l’esercito francese tornerà in patria sarà solo perché il controllo della situazione sarà affidato alle armi amiche delle forze africane alleate con la Francia.
Non è un caso che le forze armate della CEDEAO (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) siano state, velocemente, schierate lungo il confine tra Mali e Niger. La necessità di “proteggere” le aree d’interesse minerario da una possibile espansione della rivolta è stata subito evidente.
La nostra epoca è già contraddistinta da crisi energetiche e difficoltà di approvvigionamento di materie prime e non c’è da stupirsi che il capitalismo mondiale stia cercando di correre al riparo, ancora una volta, per garantirsi, con ogni mezzo, una parte del bottino. Tutti noi sappiamo che la guerra e la finanziarizzazione dell’economia sono mezzi per movimentare repentinamente enormi capitali, per riorganizzare equilibri politici di governi, stati e confini nazionali non più funzionali al profitto di multinazionali e società finanziarie.

Nel vicino Niger, da 40 anni, Areva e le sue consociate estraggono l’uranio senza alcun rispetto per l’ambiente e per i lavoratori, gli abitanti vicini ai siti di Arlit e Akokan hanno pagato e pagano un prezzo altissimo in termini di salute e di morte, come risulta da studi indipendenti (CRIIRAD – ROTAB). I minatori di uranio sfruttati infatti, sono esposti a radiazioni ionizzanti nelle cave, nelle miniere sotterranee, nelle officine di lavorazione del minerale grezzo, ma anche nelle città e nelle loro case. In questa zona 35 milioni di scorie radioattive sono raccolte all’aria aperta sin dall’inizio dell’attività estrattiva. Grazie al vento gas radon e altri derivati considerati cancerogeni si spargono nell’ambiente. Ma l’Areva opera anche sul territorio italiano. Il trasporto di materiale irraggiato passa per il nostro paese verso l’impianto di la Hague dove si estrae plutonio (per le bombe) e produce il mox (un combustibile di riciclo con cui funzionano alcune centrali). In Mali è la guerra di sempre, di stato e capitale, dove sfruttamento e saccheggio ai danni della popolazione non conoscono confini nazionali!

Diffondere l’informazione contro l’ipocrisia del potere, rafforzare la consapevolezza per far crescere la voglia di giustizia sociale sono solo i presupposti per sostenere le lotte che in ogni parte del mondo devono liberare gli oppressi da vecchie e nuove schiavitù, economiche, militari o religiose che siano.
Solo attraverso l’internazionalismo, l’antimilitarismo e la solidarietà di classe possiamo da anarchiche ed anarchici fermare l’orda di questo ennesimo, nuovo e lurido conflitto.

Fermiamo la guerra in Mali!
Solidarietà a tutte le popolazioni colpite dalla guerra!

Commissione Relazioni Internazionali
della Federazione Anarchica Italiana”

Argentina: crisi economica, lotte ed esperienze di autogestione.

Tre documentari sulla crisi economica che colpì l’Argentina alla fine degli anni ’90 del secolo scorso e sulle lotte dei ceti sociali vittime di tale crisi.

Diario del saccheggio, di Fernando E. Solanas, 2005. Narra le vicende della crisi economica in Argentina fino al Dicembre del 2001, data della caduta del governo di De La Rùa. Un vero e proprio atto di accusa nei confronti del genocidio sociale compiuto da politici, banche e multinazionali, supportato da una mole di informazioni rese però accessibili da un montaggio efficace e da una narrazione semplice e diretta. E, a proposito di “diretta”, a molti sembrerà di viverci dentro, a questo film: le analogie con molti aspetti  dell’attuale situazione italiana si sprecano.

La dignità degli ultimi, di Fernando E. Solanas, 2005. La prosecuzione ideale del documentario precedente (stavolta l’arco di tempo è dal 2001 al 2004), incentrato però maggiormente su storie personali di uomini e donne che hanno deciso di unirsi e resistere alla miseria, ai soprusi ed all’ingiustizia del potere. Toccante ma non stucchevole, a tratti poetico: le storie raccolte da Solanas hanno molto da insegnare e ridanno significato pieno a termini troppo spesso abusati e svuotati quali solidarietà, dignità, umanità e coraggio.

The Take- La Presa, di Avi Lewis (sceneggiatura di Naomi Klein), 2004. Il documentario è incentrato sull’occupazione delle fabbriche dismesse compiuta degli/lle ex operai/e rimasti disoccupati in seguito alla crisi economica ed alla fuga dei padroni. Estremamente formativo: quello che gli anarchici vanno ripetendo da sempre viene messo in pratica negli anni della crisi in Argentina da persone spinte dalla necessità e prive di preparazione teorica, che mettono in pratica principi quali autogestione, azione diretta, democrazia di base, mutuo appoggio, nonostante le difficoltà quotidiane e la reazione del capitale e dei suoi sgherri.