Logistica in Italia: trovare il tempo per lottare.

Bildergebnis für lavoro logistica magazzini

Lavoro in affitto e subaffitto, stress psicologico e fatica fisica, controllo costante e opprimente, paghe da miseria. Tutto questo ed altro ancora fa parte della quotidianità dei/lle lavoratori/trici del settore della logistica, un mercato in espansione anche in Italia. In questi giorni prefestivi si spediscono e ricevono pacchi e pacchetti più che mai, ma non si conosce o non si riflette su quella che è la dura condizione lavorativa di chi fatica per rendere possibili spedizioni e consegne. Lavoratori e lavoratrici impiegati nei magazzini Amazon, ad esempio, non hanno nemmeno il tempo per andare in bagno. Chi diceva che le tecnologie avrebbero ridotto i tempi di lavoro e reso le mansioni meno faticose, offrendo agli/lle impiegati/e più tempo libero, non teneva conto del fatto che quelle tecnologie, nelle mani sbagliate -quelle dei capitalisti- avrebbero solo aumentato lo sfruttamento, il controllo, la reperibilità dei dipendenti in orario extralavorativo, l’alienazione, lo stress e la ricattabilità. La dinamica dello sfruttamento e delle lotte lavorative nel settore della logistica è quasi simbolica, deve far riflettere. Le cooperative, pensate alle origini come forma produttiva-associativa dei/lle lavoratori/trici, sono spesso uno strumento che moltiplica lo sfruttamento. I sindacati confederali, storicamente affermati e numericamente forti, che dovrebbero rappresentare gli interessi di chi lavora, fanno invece il gioco dei padroni, mentre è il sindacalismo autonomo, di base, la forma organizzativa che consente agli/lle sfruttati di strappare concessioni agli/lle sfruttatori/trici. I/le dipendenti di origine straniera e con situazioni più precarie sono i/le più svantaggiati/e, al tempo stesso conducono le lotte in maniera più determinata e mostrano maggior solidarietà reciproca.

Le lotte, appunto, non solo lo sfruttamento senza reazione da parte di chi viene sfruttato. Quelle della logistica, in questi anni, sono state tenaci e numerose, come racconta un reportage di Marina Forti e Leonardo Mento, originariamente pubblicato su www.internazionale.it, a dimostrazione che la lotta paga. E che se i nostri nemici sono organizzati e agguerriti dobbiamo esserlo anche noi, nei modi e nelle forme più efficaci. Senza dimenticare che, come afferma un lavoratore di origine eritrea alla fine dell’articolo, “…abbiamo scioperato e abbiamo vinto. E quello che abbiamo vinto è per tutti, anche per loro“, dove per “loro” si intendono quelli che di lottare e organizzarsi autonomamente non ne vogliono sapere.

Bildergebnis für organize!

Campagna straordinaria di sottoscrizione per Umanità Nova.

 Bild in Originalgröße anzeigen  Umanità Nova è il giornale anarchico più vecchio d’Italia, fondato nel 1920 da Errico Malatesta e passato attraverso numerose vicissitudini, dal grande successo iniziale come quotidiano stampato in oltre 50.000 copie alla repressione a mano armata da parte delle camicie nere fasciste appoggiate dai regi sbirri, dall’illegalità durante la dittatura mussoliniana e la stampa in esilio in diversi Paesi alla rinascita durante la Resistenza… Oggi Umanità Nova esce con periodicità settimanale, tra grandi difficoltà. La crisi dei periodici cartacei è un fatto risaputo e le vittime celebri sono noti quotidiani e settimanali che hanno dovuto forzatamente cessare le pubblicazioni. Umanità Nova sopravvive e resiste, ma ha urgente bisogno di aiuto. Perciò è stata organizzata una campagna straordinaria di sottoscrizione per il settimanale con l’obiettivo di raccogliere 10.000 Euro, come si può leggere nell’appello pubblicato dal giornale, che invita ad organizzare eventi pubblici, presentazioni e diffusioni del giornale. Ma anche semplicemente abbonarsi può essere un contributo importante, non solo per continuare un percorso editoriale iniziato quasi 97 anni fa, ma anche per confrontarsi con opinioni che non trovano spazio nella stampa che oggi va per la maggiore. Umanità Nova non è solo l’organo della Federazione Anarchica Italiana, ma anche la voce e lo spazio di espressione di movimenti di lotta e protesta sociale, sindacalismo, realtà culturali e sociali, una fonte di informazione al di fuori di ciò che propone l’appiattimento mediatico quotidiano al quale troppi sono abituati. Per chi fosse interessato/a ad abbonarsi, questo link contiene tutte le informazioni necessarie. Per altri cent’anni di libere idee!

Michel Onfray, “Pensare l’Islam”.

https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/41aExuIN1aL.jpg

Michel Onfray, “Pensare l’Islam” , Ponte alle Grazie, 2016, ISBN 9788868335038.

Michel Onfray, filosofo ateo e “libero pensatore”, espone nel libro “Pensare l’Islam” le sue idee riguardanti la religione musulmana in rapporto alla società francese e, in generale, occidentale, anche alla luce degli interventi militari in Iraq, Afghanistan, Libia, Mali e Siria susseguitisi nel corso degli ultimi decenni fino ad oggi e della risposta terroristica da parte di gruppi fondamentalisti islamici concretizzatasi anche con gli attentati del Gennaio e del Novembre 2015 a Parigi. Onfray illustra nella lunga intervista rilasciata alla giornalista algerina Asma Kouar -intervista che rappresenta la parte centrale del libro- la sua opinione sull’Islam, tanto religione di pace quanto di guerra a seconda di quali sure del Corano o passaggi della biografia di Maometto vengano presi in considerazione. Per Onfray è auspicabile cercare il dialogo con l’Islam che sceglie di far propri i valori compatibili con quelli della Repubblica francese e della sua storia forgiata dalla Rivoluzione e dall’Illuminismo, mentre le cause della reazione terroristica dei fondamentalisti islamici, appunto una reazione, va cercata nelle politiche neocoloniali delle potenze occidentali. Onfray attacca senza mezzi termini la politica francese, i massmedia e chi costruisce l’opinione nel mondo della cultura in Francia, scagliandosi contro l’omologazione delle reazioni susseguitesi agli attentati di Parigi, costruite ad arte sull’onda emotiva e sulla mancata volontà o capacità di riflettere razionalmente e sinceramente su quei tragici fatti; prende di mira la sinistra istituzionale moderata, quella dei Mitterrand e degli Hollande, sempre più simile alla destra, divenuta liberista almeno dal 1983, accusata di aver rafforzato e usato il Front National come strumento per spaccare la destra repubblicana e per ottenere quindi consensi elettorali, ma non risparmia nemmeno parte della sinistra “radicale” e “anticapitalista”, rea di correr dietro all’islam con l’intento di usarlo come ariete per sfondare, in chiave antiimperialista, laddove le masse “ignoranti” risultino impermeabili al verbo marxista e al contempo più inclini a recepire un messaggio di tipo religioso; condanna l’Europa unita dominata da interessi economici, priva di etica e morale, omologatrice, regno della mediocrità e del non-pensiero.

Nei dibattiti pubblici e sui media francesi Michel Onfray è stato accusato di tutto: di islamofobia e di complicità con lo Stato Islamico, di “sputare sui morti del Bataclan” e di fare il gioco di Marine Le Pen, il tutto a uso e consumo dello spettacolo mediatico e di chi si spartisce il potere politico. Ma se il pensiero di Onfray è quello esposto in “Pensare l’Islam”, queste accuse secondo me risultano infondate: Onfray non è una specie di Oriana Fallaci, non ragiona in modo viscerale, non è uno xenofobo, né un islamofobo. È un intellettuale ateo che critica razionalmente la religione musulmana, affermando che una religione può essere interpretata in diversi modi da ciascun credente, che deve decidere se recepire i messaggi di amore, fratellanza, pace e solidarietà contenuti nelle sacre scritture e nelle diverse tradizioni, oppure quelli spesso prevalenti che incitano a guerra e violenza, discriminazioni e conquista, oppressione e terrore. Per quanto io mi possa trovare in disaccordo con alcune sue osservazioni (una a caso, la confusione fra antisemitismo e antisionismo dei quali egli accusa parte della sinistra francese: quella sinistra potrà pur essere entrambe le cose, ma le due cose sono tra loro molto diverse) o considerarne altre di portata limitata (una volta per tutte: per me tutto ciò che non mette in discussione concetti e prassi legati al dominio è di portata limitata), apprezzo le critiche alla società del profitto, alle guerre di aggressione neocoloniale (e imperialista, aggiungo io), al pensiero unico dominante promosso da massmedia e pseudoesperti legati a interessi personali e di casta, ai politicanti di mestiere a caccia di voti e disposti a tutto pur di ottenerli. E a quel clima di omologazione al discorso retorico preconfezionato e utile al potere di turno che impedisce dibattiti sulle idee, privilegiando invece lo spettacolo, uno spettacolo al quale il filosofo francese dichiara di volersi sottrarre e dal quale non intende farsi strumentalizzare.

No al congresso dei neonazisti europei a Bruxelles!

pegg3

Un’alleanza europea di partiti neo-nazifascisti, APF (Alleanza per la Pace e la Libertà), ha recentemente aperto una sede a Bruxelles, all’indirizzo 22 Square de Meeûs, Ixelles. A comporre quest’alleanza, che con i termini “pace” e “libertà” non ha realmente nulla a che vedere, sono le  organizzazioni NPD (Partito Nazionaldemocratico Tedesco, Germania), Forza nuova (Italia), DN (Democracia Nacional, Spagna), Chrysi Avgi (Alba Dorata, Grecia), Nation (Belgio) e altre ancora, distintesi nel corso degli anni per propaganda e azioni razziste, sessiste, omofobe, autoritarie e, in generale, indirizzate contro chiunque non rientri nei loro schemi ideologici e si opponga ai loro progetti. Membri di Nation hanno aggredito e picchiato immigrati e senzatetto in Piazza Luxembourg a Bruxelles, mentre Alba Dorata è responsabile di centinaia di aggressioni a strutture autogestite, lavoratori/trici in sciopero, oppositori/trici politici/che e immigrati, i suoi membri hanno ucciso almeno una dozzina di immigrati e, nel 2013, il rapper antifascista Pavlos Fissas- solo per citare alcuni esempi.

È grazie alla donazione di 600 000 € da parte del Parlamento Europeo che Alba Dorata e i suoi alleati hanno potuto aprire un ufficio nella capitale belga. Le attività pubbliche dell’ APF sembrano non disturbare né chi ha affittato loro i locali nei quali svolgono le loro funzioni ufficiali, né le autorità comunali.

È ovvio che l’estrema destra non ha il monopolio di razzismo, sessismo e autoritarismo nelle nostre società europee. In ogni caso, l’influenza dell’estrema destra nell’attuale dibattito politico è innegabile. Altri partiti, non solo della destra conservatrice, giocano al sorpasso e avanzano proposte xenofobe, securitarie e antiemancipatorie con la scusa i voler sottrarre consensi ai neofascisti, mentre i loro argomenti vengono sdoganati e resi maggiormente accettabili per l’opinione pubblica.

Il prossimo 17 Dicembre si svolgerà il congresso annuale dell’APF, al quale parteciperanno neo-nazifascisti di tutta Europa. La campagna “Bruxelles Zone Antifasciste”, impegnata nell’obiettivo di far chiudere gli uffici dell’APF, invita tutti/e gli/le antifascisti/e a bloccare questo congresso, per impedire che la capitale belga diventi per un fine settimana un punto di incontro degli estremisti di destra europei e, alla lunga, il centro di riorganizzazione delle loro forze politiche e militanti. Non è necessario aspettare nuove tragedie, non bisogna esitare nel fermare chi fa proprio un passato di genocidi, dittature e guerre e un presente di aggressioni e omicidi. Non diamo a questi personaggi l’opportunità di organizzarsi, diffondere la loro propaganda nei quartieri, applicare la loro ideologia!

Altre informazioni e aggiornamenti: https://bxlzoneantifasciste.wordpress.com/

Comunicati in diverse lingue: https://freecollective.wordpress.com/2016/12/04/bruselas-llamado-para-boicotear-el-congreso-de-la-apf-alianza-europea-de-org-neonazis-17diciembre/

Dialogo con un cittadino tedesco qualunque su richiedenti asilo e immigrazione.

Solitamente non sono il primo a iniziare certi discorsi, ma per un motivo o per un altro mi capita di frequente di parlare di argomenti politici e sociali col mio prossimo. Una conversazione fra le tante è quella svoltasi un mese fa circa con un tizio che conosco di vista, una persona “del posto”, quindi tedesco (di nascita e di origine, anche se non ho a disposizione un’albero genealogico che mi dica da dove discendono i suoi antenati, hahaha!) , tra i cinquanta e i sessanta, di professione tassista, definibile in modo molto approssimativo come il classico cittadino tedesco qualunque. Non ricordo come si sia iniziato a parlare di immigrazione, richiedenti asilo e profughi, quel che ricordo lo riporto di seguito, non alla lettera, ma con la volontà di non omettere o modificare nulla -memoria permettendo. Il mio interlocutore è contrassegnato dall’abbreviazione CTQ, cittadino tedesco qualunque, io sono BB, Blackblogger.

CTQ: Mia figlia lavora per un’impresa di pulizie ed è stata incaricata di pulire un centro di accoglienza per richiedenti asilo. Quando lei e le colleghe hanno visto in che condizioni era il posto si sono rifiutate, hanno detto “un conto è pulire, ma spalare via l’immondezza è un’altra cosa!”. Questa gente vive così, ma non gliene frega nulla?

BB: A nessuno piace vivere in mezzo allo sporco. Gli immigrati che da alcuni anni a questa parte arrivano qui in Germania vengono accolti in strutture organizzate in fretta e furia, a volte decenti ma più spesso inadeguate o addirittura pessime. Ho parlato con un paio di persone che lavorano tra il personale addetto alla gestione delle strutture. Mi hanno raccontato di come queste strutture siano carenti, di come a ogni persona costretta a stare là dentro venga dato un tot di cibo, di carta igienica, di shampoo al giorno. Ci sono persone che hanno subíto traumi di natura psicologica, altre che hanno bisogno di cure mediche, molti di loro hanno lasciato amici e familiari nel Paese d’origine, tutti si chiedono quale sia il proprio futuro, ma devono stare tutto il giorno lì senza far nulla con persone che non conoscono e che spesso non parlano la loro lingua, non possono lavorare anche se vorrebbero, devono solo star calme e aspettare. Solo che stare calmi in situazioni del genere è difficile. Io mi stuferei presto…

CTQ: Eh, ma non possiamo mica accoglierli tutti! Vogliono venire tutti in Germania, stanno venendo tutti qui, ma come facciamo?

BB: Interessante, a sentire molti italiani sembra che tutti gli immigrati arrivino in Italia e ci rimangano! Eppure sono i primi a sentire gli effetti della crisi economica: tra il 2008 e il 2012 un milione di stranieri ha lasciato l’Italia (nota: dati riportati da Horaczek/Wiese, “Gegen Vorurteile”, 2015, pag. 27). Pensaci un attimo: la Germania è oggi uno degli Stati più ricchi al mondo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Germania accolse 10 milioni di profughi (nota: in realtà furono circa 12 milioni!), cacciati dai territori occupati sotto il nazismo. Un Paese devastato dalle bombe, dalla guerra, hai presente le foto di Colonia nel ’45?, che accoglie tutta quella gente. E oggi, con tutti i mezzi a disposizione? Che scusa vogliamo togliere fuori? Certo, non è solo una faccenda tedesca. Si parla tanto di quest’ Europa solidale, ma vediamo che Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e altri Paesi, non solo dell’Est, luoghi di emigrazione per eccellenza, rifiutano di accogliere gli immigrati…sembra che si ricordino che esiste l’Unione Europea solo quando c’è da chiedere qualcosa. Ognuno dovrebbe fare la sua parte, per me è una questione di umanità e di solidarietà.

CTQ: Però io li vedo, molti di loro hanno lo smartphone e non arrivano qui vestiti di stracci. Non sono certo tutti poveri.

BB: Chi fugge dalle zone di guerra non è sempre povero, le bombe non guardano in faccia nessuno. Il fatto che una persona non sia povera non significa che non meriti accoglienza di fronte alle catastrofi. E poi, avere uno smartphone non è segno di ricchezza oggigiorno,alcuni modelli costano un centinaio di Euro… Cos’è, non dirmi che non conosci gente qui che compra cose che non gli servono urgentemente e che non può permettersi, a rate, indebitandosi!

CTQ: Sì, in effetti…

BB: Ci sono anche immigrati che vengono qui perchè a casa loro non hanno un lavoro, né prospettive di trovarne uno decente e non hanno prospettive di ottenere il diritto di asilo. Io penso che tutti abbiano il diritto a rimanere. Anche io se vogliamo posso definirmi un Wirtschaftsflüchtling, sono andato via dal mio Paese per via della disoccupazione e delle condizioni di lavoro che sapevo essere peggiori che qui, solo che io in quanto cittadino di uno Stato dell’UE sono privilegiato rispetto ad un cittadino kosovaro o nordafricano, nessuno mi caccia via di qua, ma non perchè sono migliore degli altri, solo perchè ho un passaporto “fortunato”. Non penso di meritare accoglienza più di chiunque altro solo perchè sono italiano!

CTQ: Gli italiani qui però sono venuti per lavorare, personalmente non ho mai avuto problemi con loro. Ne conosco tanti, lo sai.

BB: Sono venuti qui come gastarbeitern, per lavorare, come i portoghesi, i turchi, i greci e tutti gli altri, grazie a convenzioni con i rispettivi Stati di provenienza, perchè faceva comodo all’economia tedesca. Serviva manodopera. Il benessere economico di questo Paese è stato raggiunto anche grazie allo sfruttamento di quegli immigrati, che oltretutto erano spesso vittime di pregiudizi e discriminazioni da parte di istituzioni e popolazione locale, non dimentichiamolo. I tedeschi vanno in giro per il mondo, non solo in vacanza, ma a studiare o a trascorrere la vecchiaia, ma anche per migliorare la loro condizione economica…hai presente “Goodbye Deutschland”(Nota: programma stile reality nel quale cittadini/e tedeschi/e vengono seguiti nel cercare fortuna in altri Paesi)? È pieno di tedeschi o cittadini di origine tedesca negli USA, in Australia, in Svizzera, Argentina, Austria, Scandinavia… Perchè loro possono e altri no?  È solo una questione di leggi fatte per soddisfare interessi economici, a rimetterci, a pagare spesso con la vita, sono gli esseri umani meno privilegiati. Quel che accade ora in Siria, Iraq, Afghanistan, è anche colpa delle politiche e degli interessi dei Paesi occidentali.

CTQ: Ma io vedo al tg che quelli che arrivano sono uomini giovani…io non lascerei mai indietro la mia famiglia!

BB: No, non sono solo uomini giovani. Magari lo sono più spesso nel caso degli immigrati “economici”, vengono qui con l’obiettivo di trovare un lavoro e farsi raggiungere in seguito dalla famiglia o spedire i soldi ai familiari nel loro Paese, oppure tornare indietro dopo alcuni anni coi risparmi. Tui che conosci tanti italiani qui in Germania, sai che anche molti di loro hanno fatto così. Ognuno ha una storia diversa alle spalle e ci sono diversi motivi per i quali si emigra da soli, sempre che questo sia il caso. Oltretutto quel che vedi in tivú spesso non è autentico e genuino, ci viene mostrato solo quello che si vuole mostrare. Quello che vorrei farti capire è che se non abbiamo informazioni corrette non possiamo farci un’opinione valida, che poggia su basi reali. E se ci dimentichiamo di essere solidali e umani perdiamo qualità preziose che ci aiutano a costruire una società migliore e a convivere in armonia.

CTQ (Dopo una lunga pausa di silenzio, accompagnata da uno sguardo in parte insicuro, in parte indagatore-così almeno lo interpreto io): Sai una cosa? Dovresti fare il politico! Parli bene e hai un sacco di buone idee!

BB (Risata): A me i politici non piacciono. Hanno già i loro piani, non ascoltano certo quelli come me. Non aspettiamoci nulla da loro, dobbiamo essere noi a fare qualcosa. La risposta che stanno dando alla questione dei richiedenti asilo è parte del problema, non una soluzione.

Dopodiché la conversazione cambia argomento e io mi allontano. Non so se sia riuscito a intaccare i luoghi comuni del mio interlocutore, un cittadino tedesco qualunque con gli stessi dubbi, le stesse insicurezze, le stesse frasi di tanti altri. Di sicuro l’ho lasciato senza argomenti, il che capita spesso a chi discute con me, ma non significa granché: forse il giorno dopo ha avuto una discussione sullo stesso tema e ha ripetuto le stesse cose che aveva detto a me, o forse nel frattempo si è dimenticato addirittura che il nostro colloquio abbia mai avuto luogo. Non l’ho più incontrato finora, perciò non lo posso sapere, ma in fondo non ha importanza. Esporre le mie opinioni, che nel corso del tempo sono cambiate almeno in parte, in modo più o meno netto, è quel che faccio da almeno vent’anni a questa parte, quasi quotidianamente. Quel che mi preme è mostrare un’altra prospettiva, spesso in ombra a causa della cattiva informazione, delle paure ataviche, dell’ignoranza, dell’egemonia ideologica del sistema di dominio imperante; mi interessa mettere in dubbio quel che fino ad un momento prima sembrava essere una certezza, far capire che si deve scavare più a fondo per afferrare la sostanza di quel che accade intorno a noi, per poter mettere in discussione tutto, anche se ciò può spaventarci. Non so se ho mai convinto qualcuno/a, sempre che convincere sia la cosa più importante. Di sicuro so che non smetterò.