Saronno: 3 giorni contro le frontiere.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: https://collafenice.wordpress.com/2016/11/17/3-giorni-contro-le-frontiere/

Cuba: non solo Castro. La storia poco nota del movimento libertario cubano.

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Ieri, apprendendo della morte del líder maximo cubano Fidel Castro, mi è tornato in mente un libro che ho letto quattro o cinque anni fa in tedesco: “Anarchismus auf Cuba”, di Frank Fernández. L’opera mi colpì soprattutto perchè raccontava una storia avventurosa e vivace, entusiasmante nonostante le ripetute sconfitte dei compagni e delle compagne che a Cuba lottarono nel corso dei decenni per la libertà, una storia poco nota anche a chi, come me, pretende di avere una discreta conoscenza del movimento anarchico internazionale dalla sua nascita ad oggi. Originariamente pubblicato in inglese sotto il titolo “Cuban anarchism – the history of a movement”, il volume è stato tradotto in numerose lingue, tra cui anche l’italiano col titolo “Cuba libertaria”. In un articolo di “A-Rivista Anarchica Online” (anno 33 n. 295 dicembre 2003 – gennaio 2004) firmato Lily Litvak, del quale di seguito riporto un’ampio stralcio, viene riassunto il contenuto del libro:

Lotta incessante per la libertà

Oltre all’erudizione che traspare ad ogni pagina, di questo libro attrae lo stile di prosa chiaro, intelligente, controllato, che fa sì che il lettore si senta trascinato dentro gli eventi, quasi ne fosse un testimone oculare. L’opera di Fernández riguarda persone e fatti che lo appassionano e interessano e che, attraverso la sua ricerca, trovano nuove prospettive, nuovi significati e nuova vita. L’autore spiega che si è messo a indagare sull’influenza che hanno avuto le idee libertarie sul popolo cubano per senso del dovere e anche per necessità storica, proprio perché in questo paese gli anarchici hanno combattuto incessantemente per la difesa della libertà e della giustizia. Il primo capitolo copre il periodo coloniale che va dal 1865 al 1898. Vi si analizzano con particolare attenzione le correnti del pensiero anarchico filtrate durante la formazione e lo sviluppo della nazione cubana. Innanzi tutto si nota l’influenza di Pierre-Joseph Proudhon, che ebbe seguaci e discepoli tra artigiani e operai progressisti, soprattutto nel settore del tabacco, la prima industria a Cuba ad avere una coscienza di classe, cui seguì la costituzione della prima società mutua di origine proudhoniana, nel 1857. Si esamina poi l’arco di tempo che va dal primo sciopero del 1856, alla fondazione del settimanale «La Aurora», ad opera dell’asturiano Saturnino Martínez, alla creazione di gruppi di lettura nelle officine dell’industria del tabacco che tanto influirono sulla diffusione delle idee anarchiche.
Fu agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso (il XIX. Ndr) che fecero il loro ingresso a Cuba i concetti sociali provenienti dalla Federación Regional Española, illustrati durante il Congresso di Barcellona del 1881, quando l’adesione alle idee di Michail Bakunin soppiantò l’influenza di Proudhon. Risale anche a quegli anni l’istituzione della Junta Central de Artesanos e del Círculo de Trabajadores de la Habana, mentre cominciava a farsi notare Enrique Roig San Martín, per le idee che diffondeva dalle pagine de «El Productor».
L’autore passa minuziosamente in rassegna i diversi eventi che avevano scandito il consolidamento delle idee libertarie nell’Isola: gli scioperi nel settore del tabacco che avevano paralizzato l’industria, la costituzione della Federación Local de Tabaqueros, che sarebbe divenuta la fonte ideologica dell’anarchismo a Cuba, la prima celebrazione del Primo maggio nel 1890, e infine le continue repressioni da parte del governo.
Viene analizzata scrupolosamente l’importante discussione sorta dalla divergenza di opinioni tra gli anarchici sostenitori dell’indipendenza e quelli che invece cercavano un’altra teoria sociale. Ma Fernández rivela anche come i gruppi rivoluzionari che operavano soprattutto da varie città della Florida costituissero dei nuclei di patrioti libertari separatisti. Nel 1895 scoppiò a Cuba la guerra invocata da José Martí e tra i combattenti vi furono alcuni noti anarchici, soprattutto quelli già emigrati negli Stati Uniti.
Un ambito importante del volume è dedicato all’analisi della relazione tra gli eventi cubani e il movimento in Spagna. L’autore spiega che la crudeltà della guerra favorì il separatismo cubano, grazie anche a libertari come Fernán Salvochea e Pedro Vallina e alle attività di Ramón Betances a Parigi, che aiutarono a fomentare scioperi e proteste. Qui vengono rivisitate alcune delle idee e dei dati esposti da Fernández nella sua opera rivelatrice La sangre de Santa Águeda. Angiolillo, Betances y Cánovas (Miami, Ediciones Universal, 1994). E si può quindi capire fino a che punto l’esecuzione di Antonio Cánovas del Castillo sia stata l’inizio e la causa fondamentale di quello che poi venne chiamato “el desastre” del ’98.

Enrique Roig San Martin

Le ambizioni di Washington

Nel secondo capitolo si studiano le conseguenze di questa guerra e le ripercussioni che ebbero le ambizioni politico-economiche di Washington sull’isola. Cuba era fondamentale negli obiettivi statunitensi per la sua posizione geografica, strategica non solo per le comunicazioni nord-sud del continente, ma anche per essere un punto chiave del già progettato canale che avrebbe collegato i due oceani a Panama. Il risultato fu l’occupazione nordamericana di Cuba, iniziata il primo gennaio del 1899. Il libro racconta cosa accadde nell’ambiente libertario di quegli anni, ricorda alcuni scioperi importanti come quello di Sagua la Grande, la formazione della nuova organizzazione operaia, Liga General de Trabajadores, e la visita di Malatesta sull’isola. Si sofferma anche sulla seconda occupazione americana e sull’eco della rivoluzione sovietica; la costituzione della Federación Obrera de la Habana, e l’arrivo alla presidenza di Gerardo Machado, che sferrò una persecuzione contro gli anarchici.
Il capitolo successivo è dedicato agli eventi che vanno dal 1934 al 1958. È l’inizio di un nuovo governo di taglio izquierdista con accenti nazionalisti, la cui figura di spicco è Fulgencio Batista. Una legge promulgata dal suo governo colpì duramente l’anarchismo a Cuba, poiché impediva di assumere oltre il cinquanta per cento di lavoratori stranieri. Numerosi militanti dovettero abbandonare il paese e trasferirsi in Spagna, dove avrebbero trovato la guerra civile. A partire da questo momento le vicissitudini del movimento anarchico sarebbero state alla mercé dell’allora colonnello Batista, che divenne l’uomo forte di Cuba, colui che instaurò la dittatura ed esercitò un ferreo controllo sulle attività lavorative. Tuttavia alcuni gruppi, come l’associazione Juventud Libertaria de Cuba, riuscirono a trovare un loro spazio.
Veniamo a sapere da queste pagine che, allo scoppio della guerra civile spagnola, gli anarchici cubani avevano aderito alla difesa della Repubblica e avevano fondato a L’Avana una sezione della Solidaridad Internacional Antifascista, che si adoperò per inviare fondi e armi ai compagni della CNT-FAI. Apprendiamo anche che alla fine della guerra, con l’aiuto di militanti libertari, arrivarono a Cuba molti anarchici spagnoli provenienti dalla Francia e dalla Spagna con passaporti cubani.
Gli ultimi capitoli rivelano infine fatti quasi completamente sconosciuti fino ad oggi. Fernández descrive nel dettaglio in che modo gli anarchici parteciparono attivamente alla lotta contro Batista: alcuni dalle guerriglie orientali o da quelle dell’Escambray, altri nella lotta urbana. Già nell’opuscolo Proyecciones Libertarias, del 1956, in cui veniva attaccato Batista, si sottolineava la scarsa fiducia ispirata da Fidel Castro. Nonostante all’inizio si fosse osservato un atteggiamento cauto nei confronti del governo rivoluzionario, ben presto in varie pubblicazioni anarchiche si cominciò a condannare i metodi dittatoriali del regime. Come risposta, il governo rivoluzionario espulse gli anarcosindacalisti dai diversi settori operai. Fin dall’estate del 1960, convinti che Castro propendesse per un governo totalitario di tipo marxista-leninista, gli anarchici diffusero una dichiarazione attraverso l’organo del gruppo sindacalista libertario, in cui ribadivano l’opposizione degli anarchici allo Stato, dichiarandosi invece a favore del lavoro collettivo e cooperativo, ben diverso dal centralismo agrario imposto dal governo, e affermando la propria posizione antinazionalista, antimilitarista e antimperialista. Condannarono altresì il centralismo burocratico e “le tendenze autoritarie che ribollivano nel seno stesso della rivoluzione”.

 

In clandestinità

Questo fu uno dei primi attacchi mossi al regime da un punto di vista ideologico. Da quel momento gli anarchici dovettero rifugiarsi nella clandestinità, accusati di attività controrivoluzionarie. Fernández rende conto delle attività di opposizione di quel periodo, della pubblicazione del bollettino clandestino «Movimento de Acción Sindical» e della partecipazione anarchica a sostegno di centri di guerriglia disseminati nel paese. Dalla metà degli anni Sessanta, i compagni impegnati o meno nell’opposizione violenta dovettero intraprendere la via dell’esilio, mentre fin dal 1961 era iniziato l’esodo in direzione degli Stati Uniti. L’instancabile attività intellettuale dei vari gruppi di esiliati, il loro spirito di intraprendenza e la chiarezza ideologica con cui continuarono a sviluppare le loro attività testimoniano della capacità di sopravvivenza dell’anarchismo. Tra i pochi militanti che rimasero a Cuba, molti furono reclusi nella sinistra prigione di La Cabaña, altri ebbero la possibilità di uscire e continuare il loro lavoro ideologico e culturale tramite la pubblicazione e il contatto con i diversi gruppi di compagni in esilio.
Un importante epilogo ci viene dalle meditazioni dell’autore sulla situazione cubana attuale e sulla praticabilità delle idee anarchiche. Fernández così riassume questa eroica lotta: “Gli anarchici cubani hanno saputo mantenere uno spirito disinteressato di lotta per Cuba e il suo popolo, sono stati i detentori di una lunga tradizione di libertà e giustizia, uniti da una decisione indistruttibile, confidando che il secolo futuro sarà l’aurora di un mondo migliore, più solidale e più libero”.
Questa opera riempie un vuoto nella letteratura storica cubana. È necessario avere coscienza di quella lotta, soprattutto in un momento in cui il popolo cubano deve affrontare il futuro e cercare di raggiungere, finalmente, la realizzazione dei suoi ideali di liberazione nazionale e sociale.”

Nella sua narrazione Fernandez non arriva fino ai giorni nostri. Dopo il crollo del blocco sovietico, Cuba si è progressivamente aperta al turismo, ai capitali e ai mercati internazionali. Il socialismo, mai veramente realizzato, è rimasto presente fino alla fine solo nella retorica dei logorroici discorsi dell’appena defunto Fidel, mentre suo fratello Raul guida oggi il Paese verso ulteriori aperture all’estero, come quella agli USA. Il movimento libertario cubano, seppure con molte cautele per poter sfuggire alla censura ed alla repressione di Stato, si è lentamente riorganizzato nel corso degli ultimi anni sull’isola caribica. La mia speranza è che ulteriori, plausibili aperture ai diritti individuali ed alle libertà politiche, di parola, di stampa ed organizzative nei mesi e negli anni a venire potrebbero permettere in un futuro prossimo una vera e propria rinascita delle idee libertarie a Cuba. I nostalgici dei falliti comunismi autoritari piangono oggi la morte del loro eroe da mausoleo, gli anarchici e le anarchiche di tutto il mondo hanno di fronte a sé una storia ancora tutta da scrivere.

Matteo Renzi mi scrive: “Caro italiano…”.

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Stamane, tra la posta ho trovato una lettera che mi invita a votare “Sì” al Referendum Costituzionale che si terrà il mese prossimo. La prima pagina contiene, oltre alle istruzioni di voto per i/le cittadini/e italiani/e residenti all’estero, diverse immagini dell’attuale presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi, immortalato durante lo svolgimento delle sue funzioni di rappresentante istituzionale dell’Italia nel mondo. Sul retro, una vera e propria lettera. “Cara italiana, caro italiano…“, inizia il panegirico intriso di retorica ed opportunismo, “nessuno meglio di voi, che vivete all’estero, sa quanto sia importante che il nostro Paese sia rispettato fuori dai confini nazionali“. E questo è solo l’inizio. Matteo mi fa sapere che il nostro Paese è vittima di pregiudizi, il più persistente dei quali è quello per cui siamo, per dirla con l’immancabile riferimento calcistico buono appunto a rafforzare i pregiudizi sul popolino italico, “un Paese dalla politica debole, che si perde in un mare di polemiche. Un Paese instabile, che cambia il presidente del Consiglio più spesso di un allenatore della Nazionale“. Matteo dice d’essersi impegnato, durante le sue innumerevoli visite all’estero, nel promuovere un’immagine positiva dell’Italia, incita a “fare di più, tutti insieme” e parte col discorso della riforma costituzionale. Sembra che Matteo creda di sapere quel che deve affrontare un “cittadino/a italiano/a” costretto/a ad emigrare, non un cervello in fuga, ma braccia da lavoro. Va da sé che il mondo dorato nel quale vive Matteo da Rignano sull’Arno non è il mio, ad accomunarci non abbiamo nulla se non appunto il genere e la nazionalità scritta sui documenti d’identità, cose che per me contano praticamente nulla. Matteo pensa che all’estero si parli male di noi perchè abbiamo un sistema politico e burocratico farraginoso, sprechiamo risorse e denaro pubblici, abbiamo una classe politica litigiosa e attaccata alle poltrone. In parte è così, d’altronde dovrebbe ben sapere che molte critiche rivolte all’Italia, giuste o sbagliate che siano secondo i punti di vista, si rivolgono proprio a personaggi come lui, l’attuale presidente del Consiglio, preoccupato più di fare “bella figura” (termine spesso usato letteralmente dalla stampa tedesca) su podi e palcoscenici che di migliorare veramente la situazione del Paese. Renzi però non dispiace a tutti, almeno non del tutto. Basta seguire le regole del capitalismo e dei mercati globalizzati, destreggiarsi tra le rivalità di interessi e le contraddizioni interne, trovare i partners più adatti per firmare nuovi accordi e contratti, fare i favori giusti alle persone giuste ed ecco che inizi a piacere ad un sacco di gente in giro per il pianeta, gente influente, che fa girare la grana, che crea l’opinione, che gestisce il dominio. È questo quel che importa all’attuale imbonitore a capo del teatrino governativo, mentre i/le cari/e cittadini/e italiani/e, in patria e all’estero, servono solo quando devono dire SÌ. E per convincerci basterebbero un paio di frasi fatte sull’emozione suscitata dai nostri sguardi orgogliosi e dall’inno di Mameli, scritte da (o per) uno che non ci conosce, che se ne frega delle nostre esigenze, dei nostri problemi, delle nostre vite, uno tra tanti che è parte del problema e non della soluzione, che tratta ciò che dovrebbe essere di tutti come una proprietà privata sua e dei suoi amichetti, un’arrivista che blatera un terzo neolingua, un terzo retorica stantia e un terzo anglicismi mal digeriti? Ma che cazzo ne sa lui, che cazzo ne sai tu, Matteo Renzi, del nostro orgoglio, delle nostre esistenze, delle nostre storie, come le chiami tu? Vaffanculo! Vaffanculo a te e a tutti i signori e le signore che hanno fatto del clientelismo, della corruzione, del carrierismo, della concorrenza e degli interessi di classe o casta una ragione di vita, ma vaffanculo anche a tutti quelli che credono che la disonestà sia l’unico problema, quelli che non hanno capito che si ruba più legalmente che illegalmente, perchè il capitalismo stesso è nato dal furto e dal saccheggio in grande stile e lo sfruttamento può benissimo venir esercitato entro i confini stabiliti dalle leggi. E Vaffanculo anche a chi si illude che la “nostra” Costituzione sia da salvare, un pezzo di carta che ci viene sventolato sotto il naso ad ogni pié sospinto dalle stesse persone che lo usano per nettarcisi il deretano, un guazzabuglio di leggi decise da pochi per imbrigliarci e limitarci, per illuderci di aver raggiunto qualcosa, mentre gli assassini della dittatura fascista tornavano ai loro posti da bravi burocrati e compagni e compagne non assimilabili dal “nuovo” sistema finivano in carcere o venivano eliminati, mentre i “nuovi” padroni usavano il terrore come strumento di controllo per schiacciare qualsiasi aspirazione egualitaria ed emancipatoria. Fá una cosa, Matteo, la prossima volta che mi scrivi non parlarmi del tuo orgoglio di rappresentante di un Paese svenduto, colonizzato e al contempo colonizzatore, mandato in malora da un sistema malavitoso parzialmente legalizzato. Raccontami piuttosto di come tu sia orgoglioso di vivere in un Paese tutto da creare, dal quale nessuno/a deve emigrare pur di poter sbarcare il lunario e nel quale chiunque fugge da situazioni peggiori trova una dignitosa accoglienza; che non spreca risorse in dannosissimi progetti faraonici ma che investe nelle infrastrutture realmente necessarie con particolare riguardo all’ecocompatibilità; che non smantella i diritti dei/lle lavoratori/trici, ma li/le vede padroni/e del proprio lavoro; che non manda soldati a fare guerre in giro per il mondo né dichiara guerra ai poveri sul proprio territorio, ma cerca soluzioni il meno violente e il meno coercitive possibili per risolvere le controversie e s’impegna a creare una società solidale di individui liberi ed eguali. Raccontami che non vuoi il mio voto per far approvare più rapidamente le leggi che fanno comodo a te ed ai tuoi compari raccomandati, ma chiedimi piuttosto di impegnarmi in prima persona per mettere in moto il cambiamento che vorrei avvenisse intorno a me, non ciarlare di rappresentanza ma ammetti che l’unica democrazia degna di questo nome è quella diretta e dal basso, ovunque, nei luoghi di studio come nei posti di lavoro come nei quartieri nei quali viviamo. Ma soprattutto rivolgiti a me alla pari dopo esserti ritirato dai tuoi incarichi ed aver rinunciato a tutti i tuoi privilegi, e ricorda che finchè batti sui tasti del patriottismo, dei confini, del progresso fine a se stesso, del prestigio internazionale e del futuro (concetto col quale veniamo eternamente illusi), noi due non parleremo mai la stessa lingua, con buona pace dell’essere entrambi “italiani”. Fino ad allora faresti più bella figura se tu tacessi.