Cuba: non solo Castro. La storia poco nota del movimento libertario cubano.

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Ieri, apprendendo della morte del líder maximo cubano Fidel Castro, mi è tornato in mente un libro che ho letto quattro o cinque anni fa in tedesco: “Anarchismus auf Cuba”, di Frank Fernández. L’opera mi colpì soprattutto perchè raccontava una storia avventurosa e vivace, entusiasmante nonostante le ripetute sconfitte dei compagni e delle compagne che a Cuba lottarono nel corso dei decenni per la libertà, una storia poco nota anche a chi, come me, pretende di avere una discreta conoscenza del movimento anarchico internazionale dalla sua nascita ad oggi. Originariamente pubblicato in inglese sotto il titolo “Cuban anarchism – the history of a movement”, il volume è stato tradotto in numerose lingue, tra cui anche l’italiano col titolo “Cuba libertaria”. In un articolo di “A-Rivista Anarchica Online” (anno 33 n. 295 dicembre 2003 – gennaio 2004) firmato Lily Litvak, del quale di seguito riporto un’ampio stralcio, viene riassunto il contenuto del libro:

Lotta incessante per la libertà

Oltre all’erudizione che traspare ad ogni pagina, di questo libro attrae lo stile di prosa chiaro, intelligente, controllato, che fa sì che il lettore si senta trascinato dentro gli eventi, quasi ne fosse un testimone oculare. L’opera di Fernández riguarda persone e fatti che lo appassionano e interessano e che, attraverso la sua ricerca, trovano nuove prospettive, nuovi significati e nuova vita. L’autore spiega che si è messo a indagare sull’influenza che hanno avuto le idee libertarie sul popolo cubano per senso del dovere e anche per necessità storica, proprio perché in questo paese gli anarchici hanno combattuto incessantemente per la difesa della libertà e della giustizia. Il primo capitolo copre il periodo coloniale che va dal 1865 al 1898. Vi si analizzano con particolare attenzione le correnti del pensiero anarchico filtrate durante la formazione e lo sviluppo della nazione cubana. Innanzi tutto si nota l’influenza di Pierre-Joseph Proudhon, che ebbe seguaci e discepoli tra artigiani e operai progressisti, soprattutto nel settore del tabacco, la prima industria a Cuba ad avere una coscienza di classe, cui seguì la costituzione della prima società mutua di origine proudhoniana, nel 1857. Si esamina poi l’arco di tempo che va dal primo sciopero del 1856, alla fondazione del settimanale «La Aurora», ad opera dell’asturiano Saturnino Martínez, alla creazione di gruppi di lettura nelle officine dell’industria del tabacco che tanto influirono sulla diffusione delle idee anarchiche.
Fu agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso (il XIX. Ndr) che fecero il loro ingresso a Cuba i concetti sociali provenienti dalla Federación Regional Española, illustrati durante il Congresso di Barcellona del 1881, quando l’adesione alle idee di Michail Bakunin soppiantò l’influenza di Proudhon. Risale anche a quegli anni l’istituzione della Junta Central de Artesanos e del Círculo de Trabajadores de la Habana, mentre cominciava a farsi notare Enrique Roig San Martín, per le idee che diffondeva dalle pagine de «El Productor».
L’autore passa minuziosamente in rassegna i diversi eventi che avevano scandito il consolidamento delle idee libertarie nell’Isola: gli scioperi nel settore del tabacco che avevano paralizzato l’industria, la costituzione della Federación Local de Tabaqueros, che sarebbe divenuta la fonte ideologica dell’anarchismo a Cuba, la prima celebrazione del Primo maggio nel 1890, e infine le continue repressioni da parte del governo.
Viene analizzata scrupolosamente l’importante discussione sorta dalla divergenza di opinioni tra gli anarchici sostenitori dell’indipendenza e quelli che invece cercavano un’altra teoria sociale. Ma Fernández rivela anche come i gruppi rivoluzionari che operavano soprattutto da varie città della Florida costituissero dei nuclei di patrioti libertari separatisti. Nel 1895 scoppiò a Cuba la guerra invocata da José Martí e tra i combattenti vi furono alcuni noti anarchici, soprattutto quelli già emigrati negli Stati Uniti.
Un ambito importante del volume è dedicato all’analisi della relazione tra gli eventi cubani e il movimento in Spagna. L’autore spiega che la crudeltà della guerra favorì il separatismo cubano, grazie anche a libertari come Fernán Salvochea e Pedro Vallina e alle attività di Ramón Betances a Parigi, che aiutarono a fomentare scioperi e proteste. Qui vengono rivisitate alcune delle idee e dei dati esposti da Fernández nella sua opera rivelatrice La sangre de Santa Águeda. Angiolillo, Betances y Cánovas (Miami, Ediciones Universal, 1994). E si può quindi capire fino a che punto l’esecuzione di Antonio Cánovas del Castillo sia stata l’inizio e la causa fondamentale di quello che poi venne chiamato “el desastre” del ’98.

Enrique Roig San Martin

Le ambizioni di Washington

Nel secondo capitolo si studiano le conseguenze di questa guerra e le ripercussioni che ebbero le ambizioni politico-economiche di Washington sull’isola. Cuba era fondamentale negli obiettivi statunitensi per la sua posizione geografica, strategica non solo per le comunicazioni nord-sud del continente, ma anche per essere un punto chiave del già progettato canale che avrebbe collegato i due oceani a Panama. Il risultato fu l’occupazione nordamericana di Cuba, iniziata il primo gennaio del 1899. Il libro racconta cosa accadde nell’ambiente libertario di quegli anni, ricorda alcuni scioperi importanti come quello di Sagua la Grande, la formazione della nuova organizzazione operaia, Liga General de Trabajadores, e la visita di Malatesta sull’isola. Si sofferma anche sulla seconda occupazione americana e sull’eco della rivoluzione sovietica; la costituzione della Federación Obrera de la Habana, e l’arrivo alla presidenza di Gerardo Machado, che sferrò una persecuzione contro gli anarchici.
Il capitolo successivo è dedicato agli eventi che vanno dal 1934 al 1958. È l’inizio di un nuovo governo di taglio izquierdista con accenti nazionalisti, la cui figura di spicco è Fulgencio Batista. Una legge promulgata dal suo governo colpì duramente l’anarchismo a Cuba, poiché impediva di assumere oltre il cinquanta per cento di lavoratori stranieri. Numerosi militanti dovettero abbandonare il paese e trasferirsi in Spagna, dove avrebbero trovato la guerra civile. A partire da questo momento le vicissitudini del movimento anarchico sarebbero state alla mercé dell’allora colonnello Batista, che divenne l’uomo forte di Cuba, colui che instaurò la dittatura ed esercitò un ferreo controllo sulle attività lavorative. Tuttavia alcuni gruppi, come l’associazione Juventud Libertaria de Cuba, riuscirono a trovare un loro spazio.
Veniamo a sapere da queste pagine che, allo scoppio della guerra civile spagnola, gli anarchici cubani avevano aderito alla difesa della Repubblica e avevano fondato a L’Avana una sezione della Solidaridad Internacional Antifascista, che si adoperò per inviare fondi e armi ai compagni della CNT-FAI. Apprendiamo anche che alla fine della guerra, con l’aiuto di militanti libertari, arrivarono a Cuba molti anarchici spagnoli provenienti dalla Francia e dalla Spagna con passaporti cubani.
Gli ultimi capitoli rivelano infine fatti quasi completamente sconosciuti fino ad oggi. Fernández descrive nel dettaglio in che modo gli anarchici parteciparono attivamente alla lotta contro Batista: alcuni dalle guerriglie orientali o da quelle dell’Escambray, altri nella lotta urbana. Già nell’opuscolo Proyecciones Libertarias, del 1956, in cui veniva attaccato Batista, si sottolineava la scarsa fiducia ispirata da Fidel Castro. Nonostante all’inizio si fosse osservato un atteggiamento cauto nei confronti del governo rivoluzionario, ben presto in varie pubblicazioni anarchiche si cominciò a condannare i metodi dittatoriali del regime. Come risposta, il governo rivoluzionario espulse gli anarcosindacalisti dai diversi settori operai. Fin dall’estate del 1960, convinti che Castro propendesse per un governo totalitario di tipo marxista-leninista, gli anarchici diffusero una dichiarazione attraverso l’organo del gruppo sindacalista libertario, in cui ribadivano l’opposizione degli anarchici allo Stato, dichiarandosi invece a favore del lavoro collettivo e cooperativo, ben diverso dal centralismo agrario imposto dal governo, e affermando la propria posizione antinazionalista, antimilitarista e antimperialista. Condannarono altresì il centralismo burocratico e “le tendenze autoritarie che ribollivano nel seno stesso della rivoluzione”.

 

In clandestinità

Questo fu uno dei primi attacchi mossi al regime da un punto di vista ideologico. Da quel momento gli anarchici dovettero rifugiarsi nella clandestinità, accusati di attività controrivoluzionarie. Fernández rende conto delle attività di opposizione di quel periodo, della pubblicazione del bollettino clandestino «Movimento de Acción Sindical» e della partecipazione anarchica a sostegno di centri di guerriglia disseminati nel paese. Dalla metà degli anni Sessanta, i compagni impegnati o meno nell’opposizione violenta dovettero intraprendere la via dell’esilio, mentre fin dal 1961 era iniziato l’esodo in direzione degli Stati Uniti. L’instancabile attività intellettuale dei vari gruppi di esiliati, il loro spirito di intraprendenza e la chiarezza ideologica con cui continuarono a sviluppare le loro attività testimoniano della capacità di sopravvivenza dell’anarchismo. Tra i pochi militanti che rimasero a Cuba, molti furono reclusi nella sinistra prigione di La Cabaña, altri ebbero la possibilità di uscire e continuare il loro lavoro ideologico e culturale tramite la pubblicazione e il contatto con i diversi gruppi di compagni in esilio.
Un importante epilogo ci viene dalle meditazioni dell’autore sulla situazione cubana attuale e sulla praticabilità delle idee anarchiche. Fernández così riassume questa eroica lotta: “Gli anarchici cubani hanno saputo mantenere uno spirito disinteressato di lotta per Cuba e il suo popolo, sono stati i detentori di una lunga tradizione di libertà e giustizia, uniti da una decisione indistruttibile, confidando che il secolo futuro sarà l’aurora di un mondo migliore, più solidale e più libero”.
Questa opera riempie un vuoto nella letteratura storica cubana. È necessario avere coscienza di quella lotta, soprattutto in un momento in cui il popolo cubano deve affrontare il futuro e cercare di raggiungere, finalmente, la realizzazione dei suoi ideali di liberazione nazionale e sociale.”

Nella sua narrazione Fernandez non arriva fino ai giorni nostri. Dopo il crollo del blocco sovietico, Cuba si è progressivamente aperta al turismo, ai capitali e ai mercati internazionali. Il socialismo, mai veramente realizzato, è rimasto presente fino alla fine solo nella retorica dei logorroici discorsi dell’appena defunto Fidel, mentre suo fratello Raul guida oggi il Paese verso ulteriori aperture all’estero, come quella agli USA. Il movimento libertario cubano, seppure con molte cautele per poter sfuggire alla censura ed alla repressione di Stato, si è lentamente riorganizzato nel corso degli ultimi anni sull’isola caribica. La mia speranza è che ulteriori, plausibili aperture ai diritti individuali ed alle libertà politiche, di parola, di stampa ed organizzative nei mesi e negli anni a venire potrebbero permettere in un futuro prossimo una vera e propria rinascita delle idee libertarie a Cuba. I nostalgici dei falliti comunismi autoritari piangono oggi la morte del loro eroe da mausoleo, gli anarchici e le anarchiche di tutto il mondo hanno di fronte a sé una storia ancora tutta da scrivere.

Sessant’anni fa: la rivoluzione ungherese.

Bildergebnis für anarchici rivoluzione unghereseLa rivoluzione scoppiata in Ungheria nell’Ottobre del 1956 è tutt’oggi oggetto di discussione storica e politica, sia per la sua natura ed il suo significato, sia per quelli che sarebbero potuti essere i suoi sbocchi futuri se nno fosse stata repressa con l’intervento militare dell’URSS poche settimane dopo il suo inizio. Mentre gli Stati “socialisti” e i partiti comunisti occidentali fedeli alla linea sovietica la dipingeranno a lungo come un’insurrezione reazionaria, nazionalista e antirussa, tesa a creare nel Paese un regime fascista simile a quello di Horthy che governò l’Ungheria per un ventennio e molti liberali, cristianodemocratici e socialdemocratici la definiranno come una rivolta di natura democratica che avrebbe dovuto riavvicinare l’Ungheria alle potenze Occidentali, vi è un’altra interpretazione dei fatti che tiene conto dei consigli operai che vennero creati fin da subito nelle fabbriche e che servivano ad esercitare un controllo diretto dei lavoratori sui mezzi di produzione e sui processi decisionali. L’esistenza di consigli di fabbrica, la loro centralità in un processo avviato dal basso per un cambiamento radicale dell’esistente al di là dei giochi politici e strategici dei due blocchi imperialisti contrapposti, è una realtà rimasta per troppo tempo in ombra. Mentre si preferisce parlare della repressione sovietica e degli equilibri geopolitici dell’epoca, del ruolo eroico e al tempo stesso tragico di Imre Nagy e celebrare il tragico anniversario della sconfitta della Rivoluzione in chiave patriottica -il tutto perfettamente in sintonia col clima reazionario e nazionalista che permea la società ungherese odierna e la classe politica che governa quel Paese-, per rendere onore alla realtà dei fatti si dovrebbe riportare al centro del discorso il ruolo dei consigli operai, le idee e gli obiettivi di chi tentò seppur invano di liberare la classe lavoratrice dalla morsa di partiti, burocrazia, servizi segreti e centralismo. Dieci anni fa, per il cinquantenario della Rivoluzione Ungherese, “A-Rivista Anarchica” pubblicava un testo che può aiutarci a recuperare informazioni su questi aspetti fondamentali: “I consigli operai”, di Suzanne Körösi. La stessa rivista pubblica anche uno stralcio del libro di Andy Anderson “Ungheria ’56. La comune di Budapest. I consigli operai”, che tratta il periodo immediatamente successivo alla fine “ufficiale” della rivoluzione ungherese e ci aiuta a capire meglio la natura dei consigli operai ed il loro rapporto/conflitto col potere statale. Solo conoscendo e comprendendo la Storia ci si può riappropriare del significato di eventi di cruciale importanza, sottraendoli a narrazioni falsate create ad hoc per far credere che non vi siano alternative al sistema dominante, per cancellare il passato di chi lottò contro qualsiasi forma di autoritarismo per liberare la classe lavoratrice dall’oppressione e dallo sfruttamento di vecchi e nuovi poteri e classi dominanti.

La vita, non la morte.

Non ho pensato molto alla morte di Nelson Mandela, lo ammetto. Più che altro mi è capitato non di rado, in diverse occasioni, di pensare alla sua vita. Mi è capitato soprattutto da alcuni anni a questa parte di riassumere il mio giudizio su di lui con la banale formula del “non mi piace”, come se si trattasse di una pietanza che non mangio volentieri. In realtá ciò che di Mandela non mi è mai piaciuto è il fatto che sia salito al potere, per così dire: più che salire è sceso, a compromessi, molto in basso, abdicando a quella battaglia per il cambiamento e l’uguaglianza nel suo Paese che tanti sacrifici gli era costata. Eppure la sua lotta è stata indubbiamente legittima e il fatto che abbia trascorso quasi trent’anni in galera non è cosa da poco. Sarei io in grado di sopportare trent’anni di galera per aver lottato per le mie idee? Posso criticare sbrigativamente e con sufficienza  chi ci è riuscito? Il punto è che la vita di una persona a volte è troppo complessa e ricca di sfumature per poter essere giudicata con sentenze lapidarie, senza tenere conto di ogni suo singolo aspetto. Qualcuno ha messo insieme un paio di riflessioni che mi sento di condividere, parola per parola (sottolineo in particolare la parte riguardante il paragone con Gandhi) , appunto alcuni aspetti della vita di una persona con tutte le sue contraddizioni, i suoi sforzi e dilemmi, i suoi gesti ammirevoli o meno che siano, di fronte ai quali si dovrebbe riflettere prima di appiccicare etichette o unirsi ai calcolatissimi cordogli ipocriti di chi come al solito usa le persone da vive ma ancor più da morte infilandole addosso abiti che in vita loro non hanno mai indossato:

“Due o tre cose su Mandela”, dal blog  Ἐκβλόγγηθι Σεαυτόν Asocial Network di Riccardo Venturi.

Ri-conosci il fascismo, continua a resistere!

Fonte: Informa-Azione.

RI-CONOSCI IL FASCISMO
CONTINUA A R-ESISTERE
10 giorni per ribadire l’importanza
della Resistenza a vecchi e nuovi fascismi.

Oggi più che mai è di fondamentale urgenza collettiva non soltanto recuperare e mantenere vivo quel percorso di memoria storica che attraverso decenni di resistenza ha opposto lotte ed anticorpi ai peggiori rigurgiti nazifascisti.
Ri-conoscere il fascismo significa ri-conoscerne, nel quotidiano, dinamiche e ritraduzioni, strategie e connessioni (in ogni condizione, contesto e territorio). Non a caso la storia ripete i suoi copioni. E proprio in periodi di “crisi economica” il terreno diventa nuovamente fertile per tutti quei processi di imbarbarimento
e fascistizzazione socio-culturale. Processi e dispositivi elaborati ad hoc: razzismi e politiche dell’esclusione, nazionalismi in nome di “purezze” identitarie, criminalizzazione di ogni forma di dissenso, isolamento dell’individuo e costruzione mediatica di capri espiatori verso cui convogliare l’insoddisfazione di masse ridotte a “sacrifici, lacrime e sangue”. Cupe strategie finalizzate a
conservare tutti quei privilegi politici ed economici di un potere autoritario e capitalista sempre più organico a banche e finanza mondiali.
Ri-conoscere i fascismi, oggi, significa per noi riappropriarsi di tutti quei momenti e di tutti quegli spazi di solidarietà collettiva nei quali confrontare/discutere priorità e necessità trasversali e ri-costruire pratiche e soluzioni dal basso. Perché ogni forma di dominio sull’esistente possa definitivamente scomparire. Da qui la necessità di organizzare, attraverso la
rete “Romagna mia”, una 10 giorni di confronto e dibattito sui temi del fascismo e
dell’antifascismo, sotto diverse angolazioni e plurime modalità, al fine di trovarsi più preparati e forti nella lotta.

 
VENERDI’ 12 APRILE
presso la Sala Bacchilega, Centro Sociale Castellano
V.le Umberto I 48, Castel Bolognese

DAL PORRAJMOS AI NUOVI GHETTI: L’APARTHAID PERMANENTE DEL
POPOLO ROM. (Incontro e dibattito ore 20.15)

Dopo la persecuzione e lo sterminio su base razziale di Rom e Sinti durante il regime nazifascista, permane ancora per questo popolo una condizione di segregazione sociale e di isolamento fisico e relazionale. Una minoranza confinata ai margini di questa società, costretta ad una R-esistenza nei nuovi ghetti istituzionali concepiti dall’antiziganismo dei nostri giorni.
I campi nomadi sono l’ennesimo prodotto di un pregiudizio etnico, il risultato dell’istituzionalizzazione, della segregazione e della discriminazione istituzionale che si consuma nelle nostre città tra l’indifferenza di molti… oggi come allora.

Ne parliamo con: Dimitris Argiropoulos, docente di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna, autore di saggi e ricerche sulla cultura del popolo rom.

Iniziativa organizzata da: COLL. POL. NUOVE RESISTENZE

SABATO 13 APRILE
presso il CSA GROTTA ROSSA, via della Lontra 40, Rimini

ARDITI DEL POPOLO, ANTIFASCISTI DAL 1921.

Nell’estate del 1921 nacquero gli Arditi del Popolo, reduci della prima guerra mondiale che, staccatisi dall’associazione nazionale Arditi d’Italia, erano voluti confluire in un’organizzazione nata per contrastare lo squadrismo fascista e guidata dal simpatizzante anarchico Argo Secondari. Gli Arditi del Popolo
raccoglievano anarchici, comunisti, sindacalisti e chiunque volesse opporsi alla violenza fascista spesso foraggiata e coadiuvata dai reali gendarmi. Ricordando chi si oppose al fascismo nascente non si guarda solo indietro nella nostra storia,
ma si possono trovare le similitudini con la recente situazione italiana. Praticando l’antifascismo nato con gli Arditi si contrasta il nascente neofascismo, che nulla ha da invidiare al movimento da cui prende ideologie e simboli, né per intolleranza, né per crudeltà. Oggi come ieri, chi ha a cuore la giustizia sociale, è antifascista!

ore 18 – Presentazione e proiezione di “Siam del popolo gli Arditi”
documentario a cura di Motta Andrea e Rasconà Paolo.
Sinossi: “Fondati per iniziativa di Argo Secondari, ex-tenente dei reparti d’assalto durante la prima guerra mondiale, nel 1921, gli Arditi del Popolo furono la prima espressione di resistenza popolare che si oppose con ogni mezzo al neonato squadrismo mussoliniano”.

a seguire – AperiCena vegan.

ore 21.00 – Presentazione del libro “gli Arditi del Popolo” di Andrea Staid.
“Ricordare il passato può dare origine ad intuizioni pericolose e la società stabilita sembra temere i contenuti sovversivi della memoria”

ore 22.00 – Concerto con Alessio Lega (intervallato da brani tratti dal libro “Gli Arditi del Popolo” di Andrea Staid).

 
DOMENICA 14 APRILE

presso la “piastra” del Parco “il Tondo” a Lugo
ore 14.30IL LUGHE’ ANTIFA CUP.
Mini campionato di calcetto per la libertà da ogni forma di fascismo e razzismo!

A seguire presso il CCA LUGHE’
ore 19.30 – AperiCena Vegana + proiezione di BANDITE, documentario del 2009 di Alessia Proietti sull’esperienza delle donne che dal ’43 al ’45 hanno combattuto nelle formazioni partigiane.

LUNEDI’ 15 APRILE
presso il CSA LA RESISTENZA

Ore 19.30 – Proiezione dello spettacolo teatrale MAI MORTI con Bebo Storti, testo e regia di Renato Sarti.
Renato Sarti ripercorre la nostra storia recente attraverso i racconti di un uomo mai pentito, per riflettere su quanto razzismo, nazionalismo e xenofobia, siano ancora difficili da estirpare.

a seguire – AperiCena Vegan.
ore 21.30ALLA RISCOPERTA DELLE CANTATE DI LOTTA E RESISTENZA con il concerto dei Berretto Frigio.

MARTEDI’ 16 APRILE
presso la Caffetteria “Dell’Amore”, P.le Foro Boario 13, Forlì
serata a cura di EQUAL RIGHTS FORLI’

ore 19 – Aperitivo/Buffet Vegan.
ore 20OLTRE L’ANTIFASCISMO.

Come il fascismo discrimina in base ad una presunta superiorità della razza; lo specismo lo fa in base alla specie. L’antispecismo è intrinsecamente antifascista perchè lotta per la libertà di ogni essere vivente e per la fine di ogni discriminazione e sfruttamento.
Riflessioni sull’antispecismo e approfondimento in merito alle infiltrazioni di gruppi di destra nel movimento di liberazione animale. Con la partecipazione dei redattori di “Veganzetta”.

MERCOLEDI’ 17 APRILE
presso lo SPAZIO LIBERTARIO “SOLE e BALENO”

MIMETISMO CULTURALE E REVISIONISMO STORICO: COME RICONOSCERE E
SMASCHERARE I NUOVI FASCISTI.

Una serata che si pone l’obiettivo di fare luce sull’attualità politica e l’evoluzione culturale del neofascismo in Italia, a partire dalle molteplici sfumature che ne differenziano i singoli gruppi di appartenenza. Dalle modalità attraverso le quali la propaganda di movimento tenta di adescare nuove giovani leve, paventando un’attitudine rivoluzionaria ed anti-statalista, alle reali finalità di inserimento progressivo nelle meccaniche della politica istituzionale e dei suoi apparati “democratici”. Dalla capacità di mimetizzarsi, in tempi di crisi e confusione ideologica, tra una miriade di movimenti anticapitalisti, riappropriandosi
indebitamente  di simboli e valori  già da tempo affermati da fazioni di opposta identità politica, al tentativo di sdoganare vecchia propaganda da regime a masse inconsapevoli e addomesticate dai mass-media.

ore 20.00 – Cena vegan
ore 21.00 – presentazione mostra/opuscolo a tema a cura dello spazio libertario “Sole e Baleno”.
ore 21.30 – Presentazione del libro “LE NUOVE CAMICE BRUNE. Il neofascismo oggi in Italia”. ed incontro con l’autore Saverio Ferrari dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre.
“Nel neofascismo italiano è in atto un’evoluzione: sempre più marcate si stanno manifestando le tendenze ad assumere o ricercare riferimenti non più solo nel ventennio mussoliniano, ma direttamente nel nazismo”.

GIOVEDI’ 18 APRILE
presso il C.S.A. SPARTACO

ESPERIENZE DI LOTTA ANTIFASCISTA. A COLLOQUIO CON NULLO MAZZESI, PARTIGIANO.

ore 19.00 – Aperitivo e mostra di pittura (N. Mazzesi).
ore 21.00 – Incontro con Nullo Mazzesi, testimonianze dirette di Resistenza e memorie tramandate: la “Settimana Rossa”.

VENERDI’ 19 APRILE
presso il C.S. BRIGATA 36

LA RESISTENZA E’ DONNA.
La lotta partigiana ha contenuto al suo interno esperienze che nel dopoguerra proseguiranno nella lotta per l’emancipazione delle donne. Uno dei primi passi di un percorso ancora lungo da compiere contro quella forma di fascismo tutt’oggi imperante incarnato dal patriarcato, che anche la cosiddetta società antifascista ha perpetrato fino ad oggi.

ore 19.00 – AperiCena vegetariana/vegan.
ore 20.00 – racconti e testimonianze di Resistenza partigiana nell’imolese, con Filippo Servadei, autore della tesi di laurea “Donne Resistenti” e Virginia Manaresi “Gina”, partigiana attiva sin dal 1943 e poi deportata nel campo di concentramento di Bolzano.
a seguire – proiezione del documentario “La mia Bandiera” e incontro con il regista Giuliano Bugani: la lotta di Liberazione ha rappresentato per molte donne una presa di coscienza della propria condizione, un’assunzione di responsabilità e ruoli che andavano oltre la sfera domestica a cui solitamente erano relegate.

SABATO 20 APRILE

ore 15.30 – concentramento alla stazione dei treni di Forlì.

CORTEO ANTIFASCISTA ATTRAVERSO FORLÌ, CITTÀ CHE STA
RI-FACENDO DEL FASCISMO LA PROPRIA ATTRATTIVA TURISTICA.

Monumenti storici e architettura del ventennio, mostre ed esposizioni strettamente legate agli anni del regime di Mussolini, nuovi fascisti che rialzano la testa, progetti europei di riqualificazione del fascismo…
LA RESISTENZA NON E’ FINITA!

dalle 19:30 – presso il CSA CAPOLINEA

DAX. 10 ANNI SENZA TE, 10 ANNI CON TE.

A dieci anni dall’uccisione per mano squadrista del compagno Dax (Davide Cesare) ricordata con la tre giorni di mobilitazioni del 15-16-17 marzo scorso a Milano, incontro con i/le compagni/e dell’Assemblea antifascista milanese e dell’Associazione “Dax vive”.

INCONTRO/DIBATTITO A TEMA: “FASCISMO E ANTIFASCISMO OGGI”.
PRESENTAZIONE DEL LIBRO “RIOT. STORIE DI ORDINARIA RESISTENZA”
(a cura di Bob Kolp – BePress, 2012)
Milano, Torino, Roma, Napoli, Palermo. Da nord a sud rigurgiti antiautoritari, antifascisti, antisistema. Parole gridate dal cuore della battaglia, tra nemici e  sangue versato. La narrazione è memoria generazionale. Riot è il racconto di una generazione contro.

PROIEZIONE DEI VIDEO “VIVA DAX LIBERO E RIBELLE”, “LA NOTTE NERA
DI MILANO” E “POLIZIA VIOLENTA. I BANDITI NON STANNO A GUARDARE”.

A seguire – AperiCena vegan e concerto dei PESTAFANGO (patchanka popolare da Ferrara) e djset antifà.

 
DOMENICA 21 APRILE
a cura di EQUAL RIGHTS FORLI’

SUL SENTIERO DELLA LIBERTA’ – Biserno / San Paolo in Alpe.

ore 10 – TESTIMONIANZE E RACCONTI PARTIGIANI. Presso il “Parco 8° Brigata Garibaldi”, Biserno – Santa Sofia – Forlì.

ore 13 – CAMMINATA ATTRAVERSO LUOGHI E RICORDI DELLA RESISTENZA ROMAGNOLA AL NAZIFASCISMO. Pranzo al sacco.

(in caso di pioggia l’iniziativa di questa giornata sarà annullata – per info: 3334278090)

Iniziativa a cura della rete “ROMAGNA MIA” collaborazione informale tra varie realtà
da anni attive sul territorio come punto di riferimento per una critica radicale al mondo odierno.
 
COLL. POL. NUOVE RESISTENZE
nuove.resistenze@libero.it

CSA GROTTA ROSSA
via della Lontra 40, Rimini
www.grottarossa-rimini.it

CCA LUGHE’
via delle industrie 23/2 Lugo
www.myspace.com/franfresca

CSA LA RESISTENZA
via della Resistenza 32, Ferrara
www.laresistenza34.wordpress.com
www.laboratoriosanchopanza.noblogs.org

EQUAL RIGHTS FORLI’
equalrights@inventati.org

SPAZIO LIBERTARIO “SOLE e BALENO”
subb. Valzania 27, Cesena (FC)
spazio.solebaleno@bruttocarattere.org
www.spazio-solebaleno.noblogs.org

C.S.A. SPARTACO
via Chiavica Romea 88, Ravenna
info@spartaco.org

C.S. BRIGATA 36
via Riccione 4, Imola
spaziosocialeimola@libero.it

CSA CAPOLINEA
via Volta 9, Faenza
www.csacapolinea.noblogs.org “

Vola, Carrero Blanco, vola!

C’é chi dice sia stato il primo astronauta spagnolo a salire in orbita, chi lo ricorda come l’atleta che stabilì il record mondiale tuttora imbattuto di salto in alto con l’auto, chi invece ne parla come colui che, stanco di fare l’ammiraglio della marina, si improvvisò aviatore in maniera oltremodo insolita e rocambolesca. A questo punto i/le lettori/trici più attenti e preparati avranno giá capito di chi sto parlando.

A chi pensasse che quanto ho scritto sopra sia crudele o perlomeno di cattivo gusto di fronte alla morte improvvisa e violenta di un essere umano, vorrei ricordare (o raccontare per la prima volta) un paio di cose. Luis Carrero Blanco, ucciso in un attentato dell’ETA il 20 Dicembre 1973 a Madrid, fu tra quegli ufficiali dell’esercito che nel 1934 repressero nel sangue la rivolta dei minatori delle Asturie, gli stessi ufficiali che nel ’36, Francisco Franco in testa, si sollevarono contro la Repubblica Spagnola. Seguace e ammiratore indefesso del dittatore Franco, Carrero Blanco fu uno dei suoi uomini più fedeli, quello che, al culmine di una lunga carriera di boia e persecutore (si dice che assistesse personalmente alle torture inflitte ai detenuti politici durante gli interrogatori), venne nominato dall’ormai anziano caudillo come suo successore, l’unico in grado di mantenere insieme le diverse componenti del franchismo, l’unico capace di dare continuità alla dittatura. Ma ecco che un evento inaspettato, seppure non pone subito fine al fascismo in Spagna, almeno ne fa tremare le fondamenta, che non reggeranno ancora a lungo. Il 20 Dicembre 1973 è un giorno difficile da dimenticare per i/le tanti/e che in Spagna hanno perso i propri cari per mano della repressione governativa, per chi è in galera, per gli operai e gli studenti che organizzavano scioperi e manifestazioni allora proibite e punite in modo durissimo, per quelli costretti alla clandestinità, un giorno nel quale tutte queste persone esultarono, insieme a moltissime altre in giro per il mondo, nel sapere che l’ammiraglio aveva tirato le cuoia.

Sull’ETA ci sarebbe tanto da dire. Non si dovrebbe dimenticare che L’ETA che combattè il franchismo non è necessariamente la stessa che continuò a piazzare autobombe ed ammazzare consiglieri comunali negli anni successivi alla dittatura, considerata anche la scissione che l’organizzazione subì nell’Ottobre del ’74 che vide l’abbandono della lotta armata da parte di molti etarra. Va ricordato che i baschi, senza nulla togliere agli altri abitanti dello Stato chiamato Spagna, sono quelli che durante la guerra civile ed il franchismo hanno sofferto di più: ma ciò giustifica l’uso del terrorismo da parte di alcuni di essi? E dove inizia e dove finisce la pratica terroristica? L’ETA ha certamente compiuto nella sua storia azioni ingiustificabili ed imperdonabili, ma se un gruppo armato piazza una bomba in un centro commerciale, telefona più volte per avvisare del pericolo ma ciò viene ignorato dalle autoritá che, consapevolmente, non evitano la morte di 21 persone ed il ferimento di altre 45, chi dobbiamo chiamare terrorista: solo chi ha piazzato la bomba come gesto dimostrativo, avvisando, oppure anche e soprattutto chi l’ha lasciata esplodere per calcolo politico? Ma soprattutto, si dovrebbe definire terrorismo anche un attentato mirato contro il vice di un dittatore? Ognuno potrà rispondere a queste domande secondo le proprie idee e la propria etica, senza però dimenticare le circostanze e le cause di certi gesti. Per quanto mi riguarda, quando penso al 20 Dicembre di 39 anni fa mi vengono prima di tutto in mente la cittá di Guernica rasa al suolo dai bombardamenti del 1937, le fucilazioni di prigionieri e prigioniere antifascisti che continuavano ancora 10 anni dopo la fine della guerra civile, le condanne a morte eseguite con la garrota, i figli dei rivoluzionari rapiti e adottati da famiglie di provata fede reazionaria e ancora l’ottusità, l’obbedienza, la vigliaccheria, l’indifferenza, i baciapile, il silenzio, squarciato infine da una tremenda esplosione. Un atto liberatorio, in fondo, in un tempo ed in un luogo che non offrivano alternative.

Argentina: crisi economica, lotte ed esperienze di autogestione.

Tre documentari sulla crisi economica che colpì l’Argentina alla fine degli anni ’90 del secolo scorso e sulle lotte dei ceti sociali vittime di tale crisi.

Diario del saccheggio, di Fernando E. Solanas, 2005. Narra le vicende della crisi economica in Argentina fino al Dicembre del 2001, data della caduta del governo di De La Rùa. Un vero e proprio atto di accusa nei confronti del genocidio sociale compiuto da politici, banche e multinazionali, supportato da una mole di informazioni rese però accessibili da un montaggio efficace e da una narrazione semplice e diretta. E, a proposito di “diretta”, a molti sembrerà di viverci dentro, a questo film: le analogie con molti aspetti  dell’attuale situazione italiana si sprecano.

La dignità degli ultimi, di Fernando E. Solanas, 2005. La prosecuzione ideale del documentario precedente (stavolta l’arco di tempo è dal 2001 al 2004), incentrato però maggiormente su storie personali di uomini e donne che hanno deciso di unirsi e resistere alla miseria, ai soprusi ed all’ingiustizia del potere. Toccante ma non stucchevole, a tratti poetico: le storie raccolte da Solanas hanno molto da insegnare e ridanno significato pieno a termini troppo spesso abusati e svuotati quali solidarietà, dignità, umanità e coraggio.

The Take- La Presa, di Avi Lewis (sceneggiatura di Naomi Klein), 2004. Il documentario è incentrato sull’occupazione delle fabbriche dismesse compiuta degli/lle ex operai/e rimasti disoccupati in seguito alla crisi economica ed alla fuga dei padroni. Estremamente formativo: quello che gli anarchici vanno ripetendo da sempre viene messo in pratica negli anni della crisi in Argentina da persone spinte dalla necessità e prive di preparazione teorica, che mettono in pratica principi quali autogestione, azione diretta, democrazia di base, mutuo appoggio, nonostante le difficoltà quotidiane e la reazione del capitale e dei suoi sgherri.

Massimo Fini, “Il denaro ‘Sterco del demonio'”.

Massimo Fini, “Il denaro ‘Sterco del demonio'”Tascabili Marsilio, 1998 (quarta edizione 2008).

Il libro di Massimo Fini "Il denaro 'Sterco del demonio'"

Massimo Fini é indubbiamente un personaggio difficile da inquadrare nei classici schemi di pensiero o ideologici di “destra” e “sinistra”. Etichettato superficialmente da più parti come “fascista”, in realtà mostra idee poco convenzionali e abbastanza originali, solo in parte frutto di un’eventuale influenza di pensatori dell’estrema destra (vedi il famigerato Julius Evola). Di sicuro, per quanto mi riguarda, mi sento lontano per molti aspetti dal pensiero di Fini, tanto dal suo “elogio della guerra” all’antica o dalla sua difesa del patriarcato o dal suo antimodernismo esasperato e condivisibile solo per alcuni aspetti, quanto dal suo riproporre modelli economici e sociali che si richiamano alla tradizione medioevale europea e che non mettono in discussione concetti quali dominio, gerarchia e autorità. Devo però riconoscere che le sue analisi sono spesso brillanti e per nulla convenzionali, meritevoli di attenzione e, magari, potenziali fonti d’ispirazione come nel caso dell’opera in questione. “Il denaro sterco del demonio” infatti non é solo un’avvincente ricostruzione storica, economica e antropologica su come e quando sia nato il denaro e su come fossero organizzati sistemi economici nei quali la moneta era assente, ma anche e soprattutto una critica devastante e senza mezzi termini al denaro stesso, elevatosi a divinitá dei tempi moderni, una scommessa sul futuro -ovvero sul Nulla. Il denaro condiziona il nostro stile di vita, la nostra esistenza, impedendoci di pensare al presente mentre viviamo in sua funzione ed in funzione di un futuro sempre più lontano ed inafferrabile, ci impone un modello economico, politico e sociale fine a se stesso e non al benessere ed alla felicità dell’umanità, non crea ricchezza reale ma piuttosto sfruttamento. Staccatosi definitivamente col tempo dalla materia, reso ancor più “fantasma” dalle transazioni virtuali, il denaro ha raggiunto la sua perfezione metafisica, ma al tempo stesso si avvicina sempre più alla propria fine, capace solo di riprodurre se stesso teoricamente all’infinito, praticamente fino all’implosione del sistema che ha generato.

Interessante confrontare alcuni concetti chiave sul denaro espressi da Fini in questo suo saggio con le parole pronunciate da David Graeber (alcuni giorni fa ho recensito il suo “Critica della democrazia occidentale”) durante il People’s Economic  Furum nel 2008:

David Graeber, “Critica della democrazia occidentale”.

David Graeber, “Critica della democrazia occidentale. Nuovi movimenti, crisi dello Stato, democrazia diretta”, prefazione di Stefano Boni. Elèuthera, 2012.

http://ecx.images-amazon.com/images/I/4101mh3qQaL._SL500_AA240_.jpg

Una delle tesi centrali di questo breve saggio dell’antropologo statunitense David Graeber è che il sistema politico nel quale viviamo non sia realmente democratico. “Ha scoperto l’acqua calda!”, ho pensato nell’accingermi a leggere il libricino, curioso di scoprire quali fossero gli argomenti portati dall’autore a sostegno della sua tesi e cosa egli intendesse con il termine “democrazia”. Innanzitutto per Graeber i termini “anarchia” e “democrazia” sono sinonimi, interpretando quest’ultimo secondo la sua etimologia, “potere del popolo”, esercitato in modo egualitario attraverso processi decisionali collettivi e orizzontali. Un modello che poco o nulla ha a che vedere con la cosiddetta democrazia rappresentativa tanto sbandierata in Occidente, ma che nasce piuttosto tra le pieghe degli Stati e nonostante essi, in diversi tempi e luoghi. Le forme democratiche orizzontali ed autogestite delle quali parla Graeber si contrappongono alla presunta democrazia (tale solo nominalmente) sbandierata dal paradigma occidentalista, autoritaria e promotrice di diseguaglianze, impossibilitata a esistere senza uno Stato che detenga il monopolio della violenza. È proprio a causa della negazione sempre più evidente da parte del sistema dominante di forme reali di democrazia se queste forme vengono rivendicate da movimenti di critica radicale e lotta sociale – movimenti che Graeber affronta in questa sua opera purtroppo solo di sfuggita. In effetti “Critica della democrazia occidentale” è un libro fin troppo breve che richiede al lettore di approfondire altrove le tematiche trattate, ma sicuramente è un’ottima fonte di ispirazione, scritto con uno stile sempice ma capace di spiazzare per via degli argomenti sostenuti, un efficace approccio dal punto di vista antropologico ad un tema di vitale importanza sul quale, ora più che mai, è urgente riflettere senza i paraocchi imposti dalla propaganda del pensiero unico.