Verità e giustizia per Santiago Maldonado!

Fonte: anarresinfo.noblogs.org

“Il 18 di Ottobre nel rio Chabut è stato ripescato il corpo di Santiago Maldonado.
Era scomparso il 1 Agosto.
Desaparecido. Scomparso. Questa parola viene usata solo in spagnolo, perché solo in questa lingua assume il significato che hanno saputo imprimerle i regimi autoritari che negli anni Settanta hanno insanguinato l’America Latina.
Durante la dittatura di Videla sparirono circa 30.000 persone. Sequestrate, torturate per settimane, mesi, infine gettate in mare ancora vive da aerei militari.
I figli delle prigioniere incinta nacquero in galere segrete come l’ESMA, vennero presi dagli aguzzini dei loro genitori che li spacciarono per propri.
Pochi sanno che nei decenni trascorsi dalla fine della dittatura ci sono stati 310 desaparecidos. Desaparecidos della democrazia. Di loro non si sa più nulla.
Anche Santiago Maldonado sarebbe entrato a far parte della lunga lista di desaparecidos se centinaia di migliaia di persone non fossero scese in piazza in Argentina e nel mondo per chiedere di rivederlo e di rivederlo vivo.
Santiago partecipava alla lotta dei Mapuche della Patagonia argentina e cilena contro la multinazionale italiana Benetton.
Oltre 960.000 ettari di terre mapuche, sfruttate in passato da compagnie inglesi, dal 1990 sono di proprietà di Benetton, che le ha trasformate in enormi pascoli per pecore da lana, bovini e cavalli a loro volta sfruttati intensivamente.
Uno dei tanti casi di land grabbing, furto legale di enormi porzioni di territorio, sottratte alle popolazioni che ci vivevano. La forma “moderna” del colonialismo.
Contro Benetton e lo Stato argentino ampi settori della comunità mapuche conducono una dura e lunga lotta. In questi anni si sono moltiplicate le occupazioni, i piccoli sabotaggi, le azioni di blocco.
Santiago è stato inghiottito da un potere che non guarda in faccia nessuno, pur di continuare a fare affari.
Il primo agosto si trovava a Pu lof en Resistencia a Cushamen, quando un centinaio di poliziotti in assetto antisommossa hanno fatto irruzione, sparando proiettili di gomma e di piombo.
La gente è fuggita attraversando il fiume per ripararsi dalle pallottole. Santiago non è riuscito a guadagnare l’altra sponda e si è nascosto dietro ad un albero. Qui i suoi compagni hanno sentito i poliziotti gridare che ne avevano preso uno. Poi lo hanno gettato su un mezzo della polizia. La polizia ha negato di averlo arrestato ed ha cominciato le “indagini” solo a metà Agosto.
Soraya Maicoño quel giorno si trovava per strada ed è stata fermata e trattenuta per sei ore sulla ruta 40, mentre la Gendarmeria reprimeva la comunità Pu Lof en Resistencia di Cushamen. Ha visto Pablo Noceti, capo di Gabinetto del Ministero di Sicurezza della Nazione, passare più volte di lì.
Ha anche notato che tra i pick-up che si dirigevano a Pu Lof c’erano anche quelli della tenuta Leleque di Benetton. Entravano nel commissariato, tornavano a Leleque, andavano a Pu Lof. Anche loro davano ordini, indicazioni. Erano al corrente di quello che succedeva. Era già successo il 10 gennaio, quando Ronald McDonald, amministratore generale delle tenute di Benetton, prestò il camion del ranch per trasportare i cavalli che avevano sequestrato ai mapuche.
Prima di entrare nel governo di Mauricio Macrì, Pablo Noceti era stato l’avvocato dei militari accusati di aver partecipato alle torture e alle sparizioni degli oppositori politici e sociali argentini durante la dittatura. Noceti aveva messo in dubbio le prove giudiziarie definendole “una vendetta politica” e mettendo in discussione l’impossibilità della prescrizione per tali crimini.
L’uomo giusto al posto giusto, pronto ad accusare di terrorismo le organizzazioni mapuche, mentre Santiago Maldonado era vittima del terrorismo di Stato. In vesti democratiche.
Il giorno prima del sequestro di Santiago, il 31 luglio, membri delle comunità mapuche protestavano davanti al tribunale federale di Bariloche per l’arresto arbitrario di Facundo Jones Huala: sono stati colpiti dalla Gendarmeria Nazionale e dal reparto di Assalto Tattico della polizia aeroportuale di sicurezza, con proiettili di gomma sparati ad altezza d’uomo. Nove persone sono state arrestate e molte altre sono state ferite.
Il primo settembre centocinquantamila persone hanno attraversato il centro di Buenos Aires, mostrando cartelli e gridando a gran voce “Donde esta Santiago Maldonado?”, “Dov’è Santiago Maldonado?” “Lo abbiamo salutato vivo, vogliamo rivederlo vivo.” Le piazze si sono nuovamente riempite il primo ottobre.
A metà settembre fonti anonime della polizia federale avevano fatto filtrare la notizia che Santiago era morto per le torture subite durante la detenzione.
Un mese dopo il suo corpo viene fatto trovare nel fiume Chabut. Trecento metri più a monte del luogo dove erano passati i mapuche in fuga dalle pallottole della polizia. Come ha fatto a risalire la corrente?
Secondo il quotidiano La Nacion ci sarebbe persino un testimone, anonimo e pagato per la sua testimonianza, che avrebbe dichiarato di aver visto Santiago nel fiume. Una testimonianza costruita per screditare i compagni di Santiago, che hanno assistito alla sua cattura. Un modo per assolvere lo Stato.
Nessuno crede a questa storia confezionata per sottrarre alle proprie responsabilità il governo argentino e la la multinazionale Benetton.
Vi ricordate il Rana Plaza?
Il Rana Plaza era uno stabilimento in cui si produceva per diversi marchi internazionali, tra cui Benetton. Siamo in Bangladesh dove “diritti umani”, “tutela dei lavoratori” sono lussi che i padroni non concedono ai loro dipendenti, sfruttati ferocemente per paghe da fame. Ne morirono mille nel crollo di quella fabbrica fatta di carta e sputi. Vuoti a perdere. Come i mapuche. Ma qualcuno dice no, alza la testa, sceglie di lottare per la propria vita e per la propria dignità.
Nella lunga storia della lotta Mapuche per la propria terra, chiare sono le responsabilità dei governi che si sono succeduti.
Altrettanto chiare le responsabilità del gruppo Benetton. Dietro alla facciata antirazzista, gay friendly, ci sono i feroci colonialisti del nuovo millennio.
Le maglie colorate di Benetton si sono macchiate del sangue di tanta gente che lottava. Come Santiago Maldonado.”

Andrés Ruggeri, “Le fabbriche recuperate”.

Cover

Andrés Ruggeri, “Le fabbriche recuperate. Dalla Zanon alla RiMaflow. Un’esperienza concreta contro la crisi”, edizioni Alegre, 2014, ISBN 978-88-98841-07-3

Andrés Ruggeri, antropologo presso la facoltà di Lettere e filosofia di Buenos Aires, analizza in questo libro il fenomeno delle imprese recuperate dai/lle lavoratori/trici in Argentina, principalmente a partire dalla crisi economica del 2001 fino ad un paio di anni fa. Abbandonate dai padroni, occupate e rimesse in funzione dai/lle lavoratori/trici in un contesto spesso difficilissimo, le cosiddette fabbriche recuperate in Argentina sono più di 300 e consentono di lavorare a più di 15mila persone: una goccia nel mare dell’economia nazionale, forse, ma secondo l’autore di questo libro un esempio concreto e funzionante di come democrazia di base, mutuo appoggio, autogestione e soddisfacimento dei propri bisogni possano affermarsi anche nei momenti più difficili, in controtendenza rispetto al paradigma capitalista fondato su accumulo del capitale, massimizzazione dei profitti, sfruttamento, precarizzazione, predazione delle risorse e autoritarismo. Ne “Le fabbriche recuperate” vengono analizzati diversi elementi fondamentali, utili a comprendere il fenomeno in questione. Viene illustrato il contesto socio-economico nel quale nascono queste imprese, la loro tipologia, il loro sviluppo negli anni, il ruolo dei sindacati e dei diversi movimenti di lotta ma anche il rapporto spesso difficile o addirittura conflittuale con le istituzioni locali e nazionali, le strategie dei/lle lavoratori/trici e i loro obiettivi, la struttura e l’economia interna delle aziende recuperate ed il loro rapporto con il mercato, il ruolo delle tecnologie. Il tutto senza imbellettare la realtà e senza risparmiare critiche, parlando chiaramente di limiti ed errori, ma sempre sottolineando la genuinità, l’importanza e le potenzialità insite nell’autogestione operaia. Chi peró fosse interessato/a a conoscere meglio le esperienze di autogestione lavorativa in altri Paesi, ad esempio in Italia, dovrà procurarsi altri testi: nel titolo italiano del libro si cita infatti la fabbrica recuperata milanese RiMaflow, ma il libro in questione si concentra quasi esclusivamente sulla realtà argentina. Il che, secondo me, non è un limite e serve anche ad evitare che i contenuti risultino troppo dispersivi, mentre l’analisi di Ruggeri si presenta centrata e sintetica pur offrendo al tempo stesso un quadro generale di solide basi sulle imprese recuperate nel suo Paese e sul movimento, le idee e le forze che hanno permesso che un’aspirazione collettiva divenisse realtà tangibile.

Habemus la solita merda.

Questi sono alcuni tra gli alti prelati riunitisi per scegliere il nuovo pontefice della chiesa cattolica romana:

…E questo è il nuovo pontefice (se la foto non vi dice nulla cliccate qui per avere delucidazioni):

Infine, visto che pareri autorevolissimi di calciatori, politicanti, ballerine e soubrette ne abbiamo sentiti abbastanza, ecco il mio parere (e quello di parecchi/e altri/e non intervistati in tivvù) sull’organizazione dalla quale provengono i personaggi di cui sopra:

http://argentina.indymedia.org/uploads/2007/09/iglesia_basura.jpg

“Febbraio nero”: azioni dal mondo.

L’appello per una campagna di solidarietà con gli spazi occupati e i/le compagni/e anarchici/che nel mondo ha ricevuto risposta a livello internazionale sotto forma di azioni dirette di diverso tipo. Dalla Germania al Cile, dalla Spagna alla Grecia, dall’Argentina all’Australia, dal Portogallo all’Austria, sarebbe difficile elencare tutte le azioni che, con tempi e in modi diversi, sono state messe in campo da individualità e gruppi che non lasciano che la parola “solidarietà” rimanga un semplice concetto teorico, ma si impegnano per tradurla quotidianamente in pratica concreta. Uno sguardo d’insieme sulle azioni per il “Febbraio Nero” lo si può avere consultando il sito “Fight Now”, le foto postate di seguito sono solo un piccolo esempio:

MESSICO:

critical-mass-tlanepantla

GERMANIA:

solidemo1

78257

CILE:

DSC01436

Febrero negro

EQUADOR:

ACTIVIDAD 15 FEBRERO

AUSTRIA:

demo_in_a_side_street

SPAGNA:

lumaca

PERÚ:

lima

AUSTRALIA:

ARGENTINA:

buenos aires febrero negro

PORTOGALLO:

Argentina: crisi economica, lotte ed esperienze di autogestione.

Tre documentari sulla crisi economica che colpì l’Argentina alla fine degli anni ’90 del secolo scorso e sulle lotte dei ceti sociali vittime di tale crisi.

Diario del saccheggio, di Fernando E. Solanas, 2005. Narra le vicende della crisi economica in Argentina fino al Dicembre del 2001, data della caduta del governo di De La Rùa. Un vero e proprio atto di accusa nei confronti del genocidio sociale compiuto da politici, banche e multinazionali, supportato da una mole di informazioni rese però accessibili da un montaggio efficace e da una narrazione semplice e diretta. E, a proposito di “diretta”, a molti sembrerà di viverci dentro, a questo film: le analogie con molti aspetti  dell’attuale situazione italiana si sprecano.

La dignità degli ultimi, di Fernando E. Solanas, 2005. La prosecuzione ideale del documentario precedente (stavolta l’arco di tempo è dal 2001 al 2004), incentrato però maggiormente su storie personali di uomini e donne che hanno deciso di unirsi e resistere alla miseria, ai soprusi ed all’ingiustizia del potere. Toccante ma non stucchevole, a tratti poetico: le storie raccolte da Solanas hanno molto da insegnare e ridanno significato pieno a termini troppo spesso abusati e svuotati quali solidarietà, dignità, umanità e coraggio.

The Take- La Presa, di Avi Lewis (sceneggiatura di Naomi Klein), 2004. Il documentario è incentrato sull’occupazione delle fabbriche dismesse compiuta degli/lle ex operai/e rimasti disoccupati in seguito alla crisi economica ed alla fuga dei padroni. Estremamente formativo: quello che gli anarchici vanno ripetendo da sempre viene messo in pratica negli anni della crisi in Argentina da persone spinte dalla necessità e prive di preparazione teorica, che mettono in pratica principi quali autogestione, azione diretta, democrazia di base, mutuo appoggio, nonostante le difficoltà quotidiane e la reazione del capitale e dei suoi sgherri.