“Otto Marzo sciopero internazionale delle donne”.

Fonte: Anarkismo.

OTTO MARZO SCIOPERO INTERNAZIONALE DELLE DONNE

Alternativa Libertaria/FdCA condivide la piattaforma di Non una di meno

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OTTO MARZO SCIOPERO INTERNAZIONALE DELLE DONNE

La storia dell’8 marzo nel Novecento è quella di manifestazioni e scioperi. Anche dopo la sua consacrazione istituzionale questo giorno rimane quello della lotta femminista internazionale per una società in cui vivere libere da oppressioni patriarcali e capitaliste.

Dallo sciopero femminista USA 1961 contro la guerra, a quello del 1970 “per la pace e l’Uguaglianza”, sino a quello generale del 1975 in Islanda per il riconoscimento del lavoro delle donne, e poi la grande manifestazione in Usa del 1986 “pro Choice”, …
dalle vaste e trasversali manifestazioni italiane per il divorzio e la libertà femminile nel 1972 e nel 1974, a quelle spontanee per la difesa della Legge 194 nel 1981 (vittoria dei No ai referendum abrogativi) e nel 2008, alla manifestazione contro le disparità sul lavoro, e per inciso contro il governo Berlusconi, indetta da ‘Se non ora Quando’ nel febbraio 2011…
…sino alla grande manifestazione delle donne in Polonia per l’aborto legale, il “Black Monday” di Varsavia del 3 ottobre 2016 ed al “Mercoledì Nero” di Buenos Aires del 19 ottobre 2016 che le donne sudamericane, riunite in “Ni una menos”, hanno lanciato con un grido di rabbia per dire Basta alla violenza machista riproponendo il “paro”, lo sciopero, per l’otto marzo,
…alla manifestazione “Non una di meno” a Roma dello scorso 26 novembre che ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di donne…
…La manifestazione contro l’elezione di D. Trump, sabato 21 gennaio 2017, ha espresso la protesta contro il sessismo del nuovo presidente, e fatto scendere in strada tante altre voci per un totale di oltre 500mila persone nella sola Washington e oltre tre milioni nell’intero Paese….
Le donne in questi decenni sono scese nelle piazze per reclamare ed esigere la fine dei sistemi di violenza, sia contro il militarismo che contro la violenza domestica e il sessismo…
e la protesta è arrivata con la sua ondata anche in Italia proprio nel momento in cui cresceva il dissenso verso il nuovo “Piano strategico contro la violenza” sulle donne, contestato per i suoi contenuti politici e per gli stanziamenti inadeguati, oltre che per la metodica di approvazione, in primo luogo dalle donne che da decenni lavorano nelle Case rifugio e nei Centri antiviolenza (77 centri riuniti nella associazione DiRE).

Un movimento trasversale di donne formato dalla manifestazione “Non una di meno” dello scorso 26 novembre 2016 a Roma per rivendicare la centralità dell’autonoma voce delle donne nei confronti dei piani governativi promossi al fine di contrastare la violenza maschile contro le donne e la violenza di genere. Questo movimento si è riunito nuovamente in assemblea a Bologna a febbraio: la piattaforma che è scaturita indica i punti da cui partire per un programma politico femminista ad ampio spettro, inclusivo e radicale, sfociato nella richiesta, plaudita o controversa, alle forze di sindacali di indire per l’otto marzo 2017 uno sciopero di 24 ore.

I punti della piattaforma di NON UNA DI MENO sono:

La risposta alla violenza è l’autonomia delle donne

Senza effettività dei diritti non c’è giustizia né libertà per le donne

Sui nostri corpi, sulla nostra salute e sul nostro piacere decidiamo noi

Vogliamo rivendicare un reddito di autodeterminazione, per uscire da relazioni violente, per resistere al ricatto della precarietà

Contro ogni frontiera: permesso, asilo, diritti, cittadinanza e ius soli

Scioperiamo affinché l’educazione alle differenze sia praticata dall’asilo nido all’università, per rendere la scuola pubblica un nodo cruciale per prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne e tutte le forme di violenza di genere

La violenza ed il sessismo sono elementi strutturali della società che non risparmiano neanche i nostri spazi e collettività

Contro l’immaginario mediatico misogino, sessista, razzista, che discrimina lesbiche, gay e trans

Alternativa Libertaria/FdCA condivide la piattaforma di Non una di meno, partecipa alle mobilitazioni per la sua piena attuazione e con le sue e i suoi militanti contribuisce a costruire momenti di crescita e di affermazione di libertà, giustizia e laicità per tutt* “.

Contro il razzismo, il sessismo e tutte le forme di oppressione.

Ogni giorno, in Europa, le donne vengono fatte oggetto di violenze fisiche e psicologiche, partendo dalle battute da ubriachi al bar e finendo con stupri e omicidi. Ma basterebbe dire che ogni giorno, in Europa, le donne vengono fatte oggetto, punto. Oggetti sul mercato del lavoro, tra le mura domestiche, negli spettacolini televisivi per decerebrati, negli spot pubblicitari. Richiami sessuali, carne sul banco della macelleria capitalista, stereotipi, pallide ombre di se stesse e di ciò che potrebbero realmente essere. Eppure non si assite a ondate di indignazione come quella alla quale ci troviamo di fronte dopo gli episodi di violenza collettiva avvenuti a Colonia, in Germania, nella notte di Capodanno, quando numerose donne sono state derubate e molestate sessualmente da gruppi di uomini nei pressi della stazione centrale. La cosa che sembra interessare maggiormente chi discute dell’argomento è l’origine “straniera” di gran parte degli aggressori, una parte dei quali sarebbero addirittura profughi. Dall’indignazione all’isteria collettiva il passo è breve:ancora un passo e siamo alla strumentalizzazione politica. Partiti e movimenti razzisti, insieme ai vertici degli Stati europei che fanno il possibile per accogliere il minor numero di profughi rendendo loro la vita talmente difficile da spingerli ad andarsene senza nemmeno dover fare la fatica di espellerli, parlano di emergenza, “jihad sessuale”, chiudere le frontiere, cacciare i musulmani. Come sempre la strategia del criminalizzare intere categorie di persone in base a singoli episodi funziona, la gente ha paura, le masse sono irrazionali, tanto quelle degli aggressori di Capodanno quanto quelle che vomitano commenti razzisti ad ogni occasione e che scendono per strada in forme organizzate, come Pegida NRW e Ho.Ge.Sa. Con lo slogan “Pegida protegge”, un miscuglio di circa 1700 tra hooligans, neonazisti e razzisti della porta accanto hanno tentato di manifestare a Colonia lo scorso 9 Gennaio. Scrivo “tentato” non perchè il loro corteo sia stato impedito dalla contemporanea mobilitazione antirazzista di 1300 persone nella stessa città, ma perchè, dopo aver come sempre faticato a formare un servizio d’ordine interno al loro corteo composto da persone che non avessero consumato alcool e che non avessero precedenti penali, i razzisti sono stati fermati e riaccompagnati ai loro treni dalla polizia appena hanno iniziato a lanciare contro di essa bottiglie e petardi. Un grande successo, insomma. D’altra parte non ci si poteva aspettare altro da personaggi xenofobi, omofobi e maschilisti che parlano delle “nostre donne da difendere” come se le donne fossero una proprietà, come se le donne non fossero in grado di difendersi non solo fisicamente ma mettendo innanzitutto in discussione i meccanismi di oppressione e dominio sessista ancora vivi nella nostra società, meccanismi che non vengono “da fuori”, ma sono parte integrante della cultura di dominio patriarcale che finora non è certo stata sconfitta, ma ha solo in parte cambiato forma. La strumentalizzazione securitaria delle violenze sulle donne serve solo a rafforzare i meccanismi di controllo e repressione tanto nelle stazioni quanto alle frontiere, la strumentalizzazione razzista delle violenze sulle donne usa la sofferenza di alcune vittime trasformandola in un’arma contro altre vittime: ad esempio, quelle che fuggono dal terrore delle milizie di ISIS/Daesh che hanno fatto del femminicidio e della distruzione di qualsiasi forma seppur minima di emancipazione femminile la propria bandiera. E chi si oppone con maggior fervore alle orde di Daesh, non solo militarmente ma anche progettando concretamente una società liberata dal patriarcato, sono proprio le donne, in Rojava e altrove. Ciò dovrebbbe insegnare qualcosa di fondamentale a noi tutti/e, al di là dell’indiscutibile diritto all’autodifesa: se non si cambia la struttura delle società nelle quali viviamo non si affronta la radice dei problemi che ci affliggono, siano essi razzismo, sessismo, sfruttamento sul lavoro o negazione e repressione dei nostri desideri e delle nostre esistenze. La lotta dei soggetti oppressi è comune, non ha frontiere, sarà sempre in salita, ma è la più degna e necessaria che si possa combattere.