L’interruzione della normalità.

Francoforte, 18 Marzo 2015: le vetrine delle banche infrante, le barricate e le auto della polizia in fiamme, i blocchi stradali, le diverse azioni di protesta pacifiche o meno e il corteo pomeridiano di Blockupy (25mila partecipanti) hanno interrotto per un giorno il businnes as usual al quale gran parte di noi sono più o meno abituati/e ed assuefatti, con grande disappunto di Schäuble, Draghi e compagnia danzante. Ma non è il loro disappunto che dovrebbe stupire e preoccupare- semmai di ciò si può solo gioire-, quanto quello dei/lle tanti/e cittadini/e comuni che magari hanno a parole poca simpatia per banche e sistema finanziario, ma che ritengono che le proteste, se hanno luogo, si debbano sempre e comunque svolgere entro i margini della legalità o perlomeno della nonviolenza. Costoro, oltre ad esprimere quasi sempre una critica ridotta e parziale del sistema capitalista di stampo riformista (se e quando esprimono qualcosa), vorrebbero che si attirasse l’attenzione dei potenti per chiedergli di agire diversamente, vorrebbero che si giocasse secondo le regole stabilite da chi per ora con quelle regole ha sempre vinto, sono pronti a indignarsi per una vetrina rotta o per una pietra lanciata contro un agente in tenuta antisommossa. A parte l’illusione a dir poco patetica di queste persone sulla possibilità di far leva sui sentimenti umani dei potenti e dei loro servi ai piani più alti chiedendo contentini e aggiustamenti di rotta, mi chiedo- limitandomi ad osservare la situazione della Grecia piegata da debito e politiche di austerity- dove sia la loro indignazione di fronte al fatto che la mortalità infantile in Grecia è aumentata del 40% negli ultimi tempi, che i malati di cancro ricevono medicinali gratuiti solo in fase terminale, che sempre più persone si suicidano dopo aver perso qualsiasi prospettiva ma anche e soprattutto la propria dignità, mentre altri finiscono a vivere per strada oltretutto minacciati dalle bande neonaziste di Alba Dorata e dalla polizia, che chi ha lavorato tutta la vita si trova ora ad avere nulla, a dover elemosinare un tozzo di pane secco mentre i più abbienti, i grossi capitalisti, gli investitori hanno fatto sparire dal Paese le loro ricchezze lasciando nella merda quelli che sfruttavano fino al giorno prima mentre tra un meeting e un’inaugurazione di edifici dai costi stratosferici i vari Juncker, Barroso e Draghi bevono champagne in onore di un sistema economico immondo e disumano. Ancora una volta, questi/e cittadini/e perbene indignati e scandalizzati per due vetri rotti nella loro città della Borsa e degli affari dovrebbero pensare, pensare, pensare e svegliarsi e mostrare una vera coscienza. Oppure tacere, almeno per un minimo di giustizia nei confronti del senso del pudore. Una banca sfasciata non è la rivoluzione, né il gong che ne segna l’inizio, non cambierà il mondo, ma è un segno tangibile della rabbia legittima di chi è oppresso e solidarizza con altri/e oppressi/e.

Sulla condizione della classe lavoratrice in Romania.

 

Fonte: Anarkismo.

"Perdonateci, per favore: non riusciamo a produrre tanto quanto rubate!”
“Perdonateci, per favore: non riusciamo a produrre tanto quanto rubate!”


” La classe lavoratrice rumena: come anatre inermi sotto il fuoco del capitalismo


Ci sono oggi circa 5 milioni di lavoratori in Romania. Altri 3 milioni (un quarto della forza-lavoro locale) lavorano in altri paesi dell’Unione Europea, per lo più in Spagna ed Italia. Il tasso ufficiale dei disoccupati è stimato al 6,7%, ma non è un dato affidabile. Questo dato riguarda solo le persone che sono registrate come disoccupati e non considera il totale di persone che potrebbe lavorare ma viene escluso. Per cui il numero reale dei disoccupati in realtà non è noto (o non viene reso noto dal governo), ma in base a logiche deduzioni, ci sarebbe da contare un ulteriore milione di persone.

Un quarto dei disoccupati ufficiali sono giovani laureati. Il 53% dei disoccupati registrati hanno esaurito il periodo nel quale hanno titolo a ricevere il sussidio (il 75% del loro salario) ed attualmente non hanno alcun reddito. I lavoratori, per dirla in modo gentile, sono in una situazione terribile. Più dei 2/3 dei 5 milioni di lavoratori sono occupati nel settore privato. Non sono sindacalizzati: ci vorrà una grande solidarietà tra i lavoratori unitamente a dure lotte contro la classe dominante (la classe dei padroni, protetta dallo Stato), per spezzare la loro opposizione e consentire che ci siano i sindacati nel settore privato.

Gli unici sindacati esistenti in Romania sono quelli  “gialli” – una sinistra farsa – all’interno di alcuni settori dello Stato (nella polizia, in parte dell’istruzione e della sanità) o all’interno delle aziende di Stato e di quelle aziende ex-statali che sono state privatizzate. Questi sindacati non fanno altro che tradire sistematicamente i loro iscritti. Le uniche lotte efficaci che questi sindacati hanno condotto sono state quelle per ottenere gli avanzamenti di carriera a livello dirigenziale nell’apparato statale per i loro funzionari. Ecco alcuni casi esemplari: un primo ministro della fine degli anni ‘90 era un sindacalista (nel 1999 giunse a licenziare 100.000 minatori in una notte su indicazione del FMI, portando intere regioni alla rovina e ad una indicibile situazione di povertà), poi ex-ministri, diversi membri di partito e legislatori che erano stati dirigenti sindacali, alcuni dei rumeni che compaiono nella classifica Forbes delle 500 persone più ricche sono ex-dirigenti sindacali.

In mancanza di organizzazioni sindacali, il livello di vulnerabilità della classe lavoratrice rumena è il più alto in Europa, e questo comporta tragiche conseguenze sull’intera società, come è clamorosamente emerso nel corso degli ultimi 3 anni di feroce attacco capitalista contro i lavoratori. Nel 2009, lo Stato rumeno fu il primo nell’Unione Europea ad imporre al popolo le ricette dell'”austerity”, appoggiato dal FMI, dalla Commissione Europea e dalla Banca Mondiale. Nel volgere di una notte, il governo raddoppiò intenzionalmente il numero dei disoccupati costringendo alla bancarotta centinaia di migliaia di piccole imprese. Si trattava di piccole imprese, spesso a conduzione familiare, con pochi dipendenti. Di fatto il governo le mise deliberatamente in ginocchio, imponendo loro una tassa che sapeva che non avrebbero potuto pagare. “Le imprese che non possono pagare la tassa di €500 devono chiudere”, disse l’allora ministro delle finanze, Gheorghe Pogea.

Questo ha portato al raddoppio dei disoccupati del settore privato. Fu il primo passo di una chiara guerra capitalista guidata dallo Stato contro i lavoratori. Il secondo atto contro i lavoratori compiuto dallo Stato – il quale pubblicamente ha ammesso di essere dalla parte delle imprese – fu quello di cambiare la legislazione sul lavoro, togliendo ai lavoratori persino quella fragile ed apparente protezione contro il chiaro e totale sfruttamento padronale. Sono stati resi possibili i licenziamenti a volontà, la demolizione dei contratti di lavoro a tempo indeterminato,  il ripristino dell’apprendistato, con cui si rendono i giovani lavoratori vittime vere  e proprie degli abusi legali da parte dei datori di lavoro. Gli annunci di lavoro ora chiedono apertamente disponibilità al lavoro “volontario” per fare “esperienza” – il che significa schiavitù, lavoro non pagato ed è un fenomeno drammaticamente diffuso. E come se non bastasse, i guru delle imprese vogliono altri cambiamenti nella legislazione del lavoro per rendere i lavoratori ancora più vulnerabili. Le aziende sono libere di militarizzare il lavoro a volontà, rivolgendosi alla polizia e spiando legalmente i dipendenti.

Lo sfruttamento e le misere condizioni di lavoro portano ad un alto numero di incidenti sul lavoro – 4.000 nel 2012, di cui 215 mortali. Anche in questo caso, il numero reale è probabilmente più alto, dal momento che molti di questi incidenti non vengono nemmeno registrati come “incidenti sul lavoro” (poiché il datore di lavoro verrebbe costretto a pagare i danni ai lavoratori o alle loro famiglie). Di nuovo, questo succede perché la classe lavoratrice non è sindacalizzata, succede a causa della spaventosa corruzione e della fraterna combutta tra Stato e classe padronale. (Alcuni media sono riusciti a far emergere come funziona questa fraterna combutta: nel 2010, è venuto fuori che alcuni alti funzionari dell’Ispettorato del Lavoro hanno preso mazzette dalle imprese a nome del partito al governo per coprire degli abusi contro i dipendenti). Il fatto è che il piano di austerità imposto dallo Stato è stato un attacco brutale contro i lavoratori, dal momento che ha artificialmente creato un tasso di disoccupazione che viene usato per spaventare i lavoratori ed indurli a lavorare di più ed ha reso più facili i licenziamenti per garantire più alti profitti, cosa che consente alle imprese di assumere poi altri dipendenti a salari pesino più bassi. Questo artificiale tasso di disoccupazione, creato dallo Stato a beneficio della classe padronale, diventa un potente strumento disciplinare che impedisce ai lavoratori di sindacalizzarsi e mette nella mani dei datori di lavoro i mezzi per tenere i salari al più basso livello possibile.

Lo scopo della “austerity” nel creare un alto tasso di disoccupazione era anche quello di paralizzare ogni possibile resilienza popolare nel momento in cui ci sarebbero stati ulteriori tagli agli stipendi nel settore pubblico ed in quello privato, sui redditi degli insegnanti, dei dottori, degli studenti, dei pensionati, contemporaneamente ad un brutale aumento dell’IVA di 5 punti fino al tetto del 24% su tutti i beni ed i servizi.  Tutti provvedimenti giustificati “in nome della crisi”, tramite una montagna di bugie ed una furiosa propaganda ideologica da parte dei media controllati dal padronato, sebbene ad un certo punto nel marzo 2009, il presidente rumeno, che aveva guidato l’attacco al mondo del lavoro, giunse ad ammettere che il paese aveva bisogno di un grosso prestito (€20 miliardi, cioè un 1/5 del PIL, quasi 4 volte di più di quanto realmente necessario, come riconosciuto da alcuni banchieri) allo scopo  “di dare alle banche ed alle imprese una chance”. Tutte queste misure contro il mondo del lavoro e contro i salari hanno in ultima analisi portato alle stelle il costo della vita, che tradotto significa che oggi metà del paese vive in condizioni di povertà. Le statistiche indicano che 1/5 dei lavoratori dipendenti non riesce più a vivere col proprio salario e vive in assoluta povertà, sebbene la realtà potrebbe essere persino peggiore.

Inoltre, lo Stato ha chiuso d’ufficio almeno 1.300 scuole (su 3.000 chiusure pianificate) ed 1/4 degli ospedali, per creare le condizioni verso una totale privatizzazione dell’istruzione e della sanità. I trasporti pubblici sono quasi tutti privatizzati, lo Stato sta ora cercando di vendere anche le Ferrovie e le Poste. I servizi sono quasi tutti privatizzati, senza che per questo si sia creato nulla di quella promessa di “libera competizione di mercato per abbassarne i prezzi”, invece i prezzi dei servizi sono in costante crescita, visto che lo Stato ha effettivamente creato monopoli privati territorialmente separati. Durante questa povertà pianificata imposta dallo Stato, che viene chiamata “austerity”, i prezzi hanno continuato a crescere in modo insostenibile, specialmente quelli degli alimentari e dei servizi, rendendo il costo della vita insostenibile e costringendo le persone a fare più lavori o a lavorare strenuamente. Il tasso dei suicidi è cresciuto drammaticamente. Nel 2011, uno studio dell’UNICEF su 30 paesi ha rivelato che la Romania ha il più alto tasso di bambini che vivono in povertà.

La propaganda di Stato, per far passare sui lavoratori la povertà pianificata, è stata incentrata un giorno sì ed un giorno no sulla stigmatizzazione dei lavoratori: i politici li hanno accusati senza sosta di essere “pigri”, mentre lor signori si concedono più spesa pubblica per finanziare i loro sponsors nel settore privato e per far sì che gli apparati della polizia antisommossa e dei servizi segreti siano ben retribuiti. L’intera situazione può ben essere illustrata dal tormentone scandito dal popolo che ha protestato nelle strade, per settimane di fila, durante il duro inverno del 2012, contro gli abusi, contro la corruzione diffusa e contro la povertà indotta: “Perdonateci per favore: noi non riusciamo a produrre tanto quanto voi rubate”. La realtà è che la classe lavoratrice rumena è la più sfruttata d’Europa: per il più alto numero di ore lavorate (legalmente dovrebbero essere 8 ore al giorno, ma tutti gli studi parlano di 10-12 ore effettive di lavoro, a volte anche durante la fine settimana), e per i peggiori salari in Europa, mentre il costo della vita è comparabile (se non più alto in certe zone) con quello dell’Europa Occidentale.

La classe lavoratrice non è sindacalizzata, nel settore privato i sindacati non esistono, e quelli nel settore statale sono esclusivamente sindacati “gialli”. I sindacati “gialli” sono altamente responsabili dello stato di disaffezione che si sta diffondendo tra i lavoratori rumeni. Sebbene sia un fattore cruciale, non è questo il fattore più pernicioso nella terribile situazione della classe lavoratrice. Ancora peggio della mancanza di sindacati è la mancanza di coscienza dei lavoratori della loro condizione reale: una condizione di persone costrette a lavorare per un salario, di cui i 2/3 se ne vanno per la mera sopravvivenza. Tuttavia, la maggior parte dei lavoratori si identifica nella condizione di consumatori, nel tentativo di sfuggire alla generale denigrazione della classe lavoratrice, quale risultante da decenni di propaganda statale, politica, mediatica e culturale. Quanto prima le persone prenderanno coscienza della loro condizione di lavoratori, di schiavi salariati, e ne coglieranno le cause, tanto prima dissolveranno la cortina fumogena delle illusioni imposte loro dal capitalismo e meglio riusciranno a cercarsi ed a trovarsi l’un l’altro, ad organizzarsi ed a ribellarsi, nella solidarietà, nella lotta per l’emancipazione. Cosa difficile, perché la propaganda capitalista domina su tutti i media, ma non impossibile. Ci sono i modi per informarsi sulla vera storia della classe lavoratrice e delle sue lotte, per informarsi sugli sviluppi in corso tra le classi lavoratrici di altri paesi, sui modi migliori per sindacalizzarsi ed organizzarsi. Non c’è nessun altro modo per la classe lavoratrice per sollevarsi, organizzarsi e lottare per se stessa.

IASR – Iniziativa Anarco-Sindacalista di Romania

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali

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