“Nao vai ter copa!”: i mondiali di calcio in Brasile.

In molti/e non aspettano altro in tutto il mondo, animati da passione più o meno accesa nei confronti dello “sport più bello del mondo” o semplicemente dalla voglia di distrarsi dai problemi quotidiani che li/le affliggono: il 12 giugno inizia in Brasile il campionato mondiale di calcio. Non scrivo “dovrebbe iniziare” anche se sarei tentato: il fatto è che, piaccia o no, la logica del capitalismo che sta dietro i grandi eventi non ammette resistenze di sorta ed in nome del profitto si è disposti a passare anche sui cadaveri- letteralmente. A seguito delle proteste di massa contro il previsto aumento dei prezzi dei trasporti pubblici, la mancanza di investimenti statali nel settore sanitario e scolastico, gli sfratti e le politiche repressive nei confronti di poveri ed emarginati attuate dal governo brasiliano, strettamente connesse al grande evento calcistico, a livello internazionale ormai non è solo la voglia di pallone ad essere cresciuta, quanto la consapevolezza che il mondiale-almeno così come è stato organizzato nel Paese ospitante- vada boicottato. A tale proposito, la posizione maggiormente condivisa (che definirei “morbida” e “riformista”) viene efficacemente riassunta da un video visualizzatissimo sul web:

Difficile negare i fatti riassunti nel video, tutt’al più c’è chi corregge alcune affermazioni dell’autrice, ad esempio che la spesa affrontata è di 30 miliardi di reales e non di dollari- ora sì che mi sento sollevato! I “correttori”, che evidentemente non sono appena stati sfrattati da una baracca situata in una favela o pestati a sangue dai poliziotti impegnati a far pulizia in attesa di danarosi turisti, né stanno crepando di una qualche patologia altrimenti curabile a causa delle carenze del sistema sanitario pubblico, si impegnano nell’evidenziare le potenzialità economiche dell’evento per la popolazione tutta, invitando a lasciar perdere proteste e boicottaggi, fiduciosi che il mondiale cambierà in meglio il Brasile. Se così non dovesse essere, sarà allora per la prossima volta, no? Le olimpiadi in Grecia, il mondiale di calcio in Sudafrica, gli europei di calcio in Ucraina e Polonia- qualcuno si ricorda ancora di Italia ’90?: questi ed altri esempi dovrebbero bastare a chi ancora non avesse capito come funzionano certe cose. Chi abbocca alla balla del benessere diffuso scaturito dai grandi eventi di natura commerciale o è un boccalone, oppure è in mala fede e non ha capito che la passione per il calcio, sport popolare e “proletario” per origini storiche, ha poco a che vedere con gli interessi di multinazionali, grandi investitori e lacchè vari. Tra chi invece ha individuato le radici del problema c’è chi partecipa attivamente alle lotte in corso per le strade delle città brasiliane e chi tenta di appoggiare tali lotte con iniziative controinformative e con il boicottaggio attivo del grande evento sportivo di turno. Per chi fosse interessato/a, esiste in italiano una pagina su Facebook che promuove il boicottaggio attivo del mondiale; a chi cerca ulteriori informazioni sulle proteste e sulle ragioni di chi si oppone a questo mondiale di calcio, sulle politiche repressive e sui costi sociali, consiglio di seguire il sito in lingua italiana “Il Resto del Carlinho (Utopia)” che ritengo tra i migliori che io abbia trovato finora sul web; a tutti/e gli/le altri/e, auguro buona visione dell’ennesimo spettacolo sulla pelle degli sfruttati e dei senza diritti, ma tenete sempre presente che un giorno qualcuno potrebbe godersi un nuovo spettacolo costato la vostra miseria ed il vostro sfruttamento. Sempre che quel giorno non sia già arrivato e voi non ve ne rendiate nemmeno conto.

Amburgo: “stato d’eccezione”. Come lo Stato gestisce i conflitti sociali.

Durante una manifestazione svoltasi il 21 Dicembre scorso ad Amburgo, in Germania, contro la minaccia di sgombero dello storico centro sociale Rote Flora occupato dal 1989, la polizia ha fatto largo uso dei metodi che è consueta adoperare quando i padroni lasciano sciolto il guinzaglio e danno l’ordine di attaccare. Come se la violenza rappresentata dalle botte e dagli arresti non bastasse, in alcuni quartieri di Amburgo è stato dichiarato lo stato d’eccezione: Ausnahmezustand. Il che significa non solo l’imposizione del coprifuoco nei quartieri colpiti dal provvedimento, ma anche blocchi stradali, agenti in tenuta antisommossa che pattugliano le strade, controlli e fermi arbitrari operati a discrezione degli agenti. Roba degna di un regime dittatoriale insomma, una situazione che mette in luce per l’ennesima volta non solo i metodi di uno Stato intrinsecamente autoritario che ama decorarsi con l’aggettivo “democratico”, ma anche e soprattutto il modo di relazionarsi che le istituzioni hanno spesso nei confronti dei conflitti sociali. Il centro sociale Rote Flora è da tempo al centro di una campagna intimidatoria orchestrata dall’amministrazione cittadina e dagli investitori che da decenni contribuiscono alla gendrificazione di Amburgo, supportati da diversi media nel costruire campagne diffamatorie a base della collaudata formula “degrado e insicurezza” contro quella che è oramai da anni una realtà sociale animata e frequentata da chi si oppone al pensiero unico dominante. La paura delle istituzioni non viene tanto da possibili reazioni allo sgombero dello storico centro sociale, quanto dall’emergere di conflitti maturati all’interno del sistema stesso che, nell’incapacità di risolverli, li gestisce in modo emergenziale, come nel caso dei rifugiati di Lampedusa. Il tutto in una cornice di finta pace sociale in una città con un’amministrazione “di sinistra”, quella stessa sinistra istituzionale sempre pronta a far da sponda al capitalismo ed al suo seguito di nefandezze usando metodi che non hanno nulla da invidiare a quelli solitamente attribuiti alla “destra”, ma che farebbe meglio a tenere presente che anche le peggiori misure autoritarie troveranno sempre l’opposizione di chi non si piega all’omologazione e alla logica dominante. Già nei giorni scorsi gruppi di centinaia di cittadini e solidali hanno sfidato i divieti di assembramento e circolazione organizzando passeggiate nei quartieri amburghesi (San Pauli, Sternschanz, Altona) sottoposti alle misure restrittive, mentre altre manifestazioni di solidarietà si sono svolte in altri centri tedeschi, ad esempio a Francoforte.

Atene: rapper antifascista ucciso da neonazista di Alba Dorata.

Nelle prime ore di Mercoledì 18 Settembre un neonazista appartenente al famigerato partito Alba Dorata ha accoltellato ed ucciso ad Atene il rapper antifascista Pavlos Fissas, noto col nome d’arte di Killah P. Il fatto è avvenuto alle prime luci dell’alba, ma la dinamica viene riportata in modo differente a seconda delle fonti: secondo il racconto del padre dell’ucciso, Pavlos si sarebbe trovato in un bar a guardare una partita di calcio con alcuni amici, che tra di loro avrebbero pronunciato frasi di disprezzo nei confronti dei neonazisti di Alba Dorata; un’avventore seduto ad un tavolo vicino, sentendoli, avrebbe telefonato ad alcuni neonazisti per informarli dell’ “affronto” ed essi, giunti sul posto, avrebbero aggredito Pavlos ed i suoi amici: uno avrebbe estratto un coltello e pugnalato a morte il rapper antifascista. Secondo altre versioni, la vittima al momento dell’agguato mortale passeggiava con la fidanzata e altri due amici nel quartiere ateniese di Keratsini, quando sarebbe stato inseguito da un gruppo di neonazisti, al quale se ne sarebbero uniti altri poco dopo; da un’auto fermatasi nei pressi degli aggrediti sarebbe sceso un uomo che avrebbe pugnalato Fissas. Sembrerebbe anche che un gruppo di agenti di polizia dell’unità motorizzata DIAS fossero presenti sul luogo dell’aggressione e non siano intervenuti. Solo in un secondo momento l’assassino è stato fermato e identificato: si tratta di Giorgos Roupakias, 45 anni, residente a Nikaia. I rapresentanti di Alba Dorata hanno cercato di negare i legami tra il loro partito e l’omicida, ma questi ha confessato sia il gesto che la sua affiliazione politica. Nella foto sotto si vede Roupakias durante un’iniziativa di Alba Dorata (accanto al parlamentare di Alba Dorata Barbarousis):

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In risposta all’omicidio del rapper sono state organizzate manifestazioni antifasciste in tutta la Grecia, durante alcune di esse vi sono stati momenti di tensione e scontri con numerosi feriti tra i manifestanti. La polizia ha fatto largo uso di gas lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo (a causa di ciò un manifestante ha perso un’occhio), in alcuni casi ha sparato pallottole di gomma. La rabbia per il vile assassinio di Pavlos Fissas non si placa, non ci sarà pace finchè i neonazisti continueranno a scorrazzare liberi di ammazzare chi vogliono con la copertura di polizia, capitalisti e istituzioni compiacenti alle quali fa comodo che i teppisti di estrema destra facciano per loro il lavoro di sporca manovalanza contro chi si oppone alle attuali condizioni sociali ed economiche lottando per una società migliore e radicalmente diversa da quella attuale.

Per continui aggiornamenti sulla vicenda di Pavlos Fissas consiglio di seguire il sito in lingua inglese Occupied London, che riporta aggiornamenti continui sulla vicenda e sulla risposta antifascista a seguito dell’ennesimo omicidio per mano dei neonazisti in Grecia.

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Ci sono molti modi di uccidere una persona…

“Ci sono molti modi di uccidere una persona: si può infilare a qualcuno un coltello nel ventre, toglierli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra. Solo pochi di questi modi sono proibiti nel nostro Stato.”

L’aforisma di Bertolt Brecht qui sopra mi torna in mente troppo spesso, ogni volta in cui sento parlare di morti sul lavoro, ossimoriche “missioni di pace” o “interventi umanitari”, privatizzazione della sanità, emarginazione, catastrofi evitabili ma non evitate, sfruttamento, alienazione, respingimenti in mare di migranti, repressione poliziesca ed altro ancora. È anche il primo pensiero che m’è venuto in mente leggendo le motivazioni della sentenza del processo per la morte di Stefano Cucchi: non che mi aspettassi una spiegazione sincera, motivata e priva di palesi contaddizioni per quella che è stata una sentenza che conferma quanto diceva Brecht anni orsono, solo che la certezza, confermata ripetutamente nel tempo, che la giustizia non passa per i tribunali e che pertanto abbiamo ben ragione noi anarchici/che a non credere a quel tipo di “giustizia”, non è di conforto. Il proibizionismo in tema di droghe, l’emarginazione, il pregiudizio, la mala informazione, il sistema di sorveglianza-controllo-punizione e gli attori che fanno in modo che questo sistema continui ad assolvere la funzione di tritacarne per il quale è stato concepito non solo non sono proibiti nel “nostro” Stato, ma ne sono parte integrante. Non è la morte che uccide, essa è solo la conseguenza di una serie di azioni atte a provocarla.

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Per chi volesse farsi un’idea di come si sia svolta la vicenda di Stefano Cucchi consiglio la lettura di un libro doloroso ma necessario, che potere trovare anche qui: http://www.globalproject.info/it/produzioni/non-mi-uccise-la-morte-download-gratuito/5378

Sull’incendio al capannone della Geomont in Valsusa.

Il seguente comunicato è tratto dal sito Informa-Azione. Per correttezza e completezza pubblco in calce il link all’articolo al quale si fa riferimento nel comunicato. Ps: a proposito di No TAV… solidarietà a Erri De Luca, libertà per tutti/e gli/le arrestati/e e indagati/e!

“riceviamo e diffondiamo:

Un bel tacer non fu mai scritto
Sull’incendio dei mezzi della Geomont in Valsusa il 30 agosto

E se qualcuno avesse deciso di attaccare la Geomont per la sua partecipazione alla devastazione della Valsusa?
Di certo sarà rimasto attonito e nauseato dal comunicato “ricevuto e pubblicato” sul sito notav.info all’indomani dell’incendio nel capannone della ditta di Bussoleno. Anche perché tra le suggestive ipotesi elencate come possibili verità di quel fatto, danneggiamento volontario del proprietario e attacco mafioso, manca proprio quella che qualcuno abbia in piena coscienza e volontà deciso di attaccare uno dei tanti che ha partecipato allo scempio della Valle.
Negli anni, purtroppo, è spesso successo che atti individuali e di piccoli gruppi in appoggio alla lotta contro il TAV venissero stigmatizzati, anche attraverso notav.info, come provocazioni o, peggio ancora, come gesti di chi “non è della valle né del movimento notav”.
È strano dopo tanti anni di lotta dover ancora tirare fuori queste questioni.
Il movimento notav è enorme e complesso. È la gente della Valsusa. Sono tutte le migliaia di persone che da anni attraversano per brevi e lunghi periodi il territorio donando le proprie energie, il proprio tempo e spesso la propria libertà. È la gente che in Italia e nel mondo appoggia e dà forza alla lotta con atti di solidarietà e complicità.
E quindi chi decide, all’interno di una realtà così variegata chi ha o non ha il diritto di mettere il proprio mattone per costruire la strada verso la liberazione della Valle?
Ma qui forse si affronta un discorso già superato. Non è forse vero che da un po’ il sabotaggio, pratica adottata da sempre nelle lotte popolari, è stato accolto e assunto in Valsusa e che da qualche tempo nessuno si permette più di censurare o condannare quei gesti che colpiscono i responsabili materiali della costruzione del famigerato tunnel? Forse non è un varco facile da attraversare, e molti tra quelli che vivono e che guardano questa lotta ci stanno ancora facendo i conti. Ma se dimentichiamo questo storico passaggio, e permettiamo dei passi indietro lungo la crescita collettiva del movimento notav, lasciamo spazio alla repressione e alla paura. Il sabotaggio come mezzo di lotta, la distanza tra giusto e legale,  la necessità della difesa e dell’attacco, la differenza tra una vita presa a morsi e la sopravvivenza passiva. Tutte cose che molti di noi hanno imparato lottando. E che vanno difese come le montagne.
Come è possibile accogliere su uno dei siti più letti come voce notav un comunicato che scrive “sappiamo che il movimento notav non ha appiccato il fuoco”? Forse chi lo ha stilato conosce tutti i notav del mondo, le loro pulsioni e azioni, le loro priorità e obiettivi? E se anche si prova una ineludibile ed epica tensione democratica (del tipo non sono d’accordo con quello che dici ma morirò per fartelo dire) come è possibile lasciare che scritti come questo cadano in un indifferente ed assordante silenzio?
Le ipotesi proposte dal comunicato sono quelle che si potrebbero fare sempre dopo un attacco incendiario. Anche se la ditta non è in fallimento, potrebbe voler rinnovare i macchinari o cose simili. Anche le ritorsioni di stampo mafioso, specie in questi ambiti, sono sempre dietro l’angolo. Oltre che provare un sano disprezzo per la dietrologia e il complottismo e tenerli lontani dalle nostre bocche e dai nostri cuori, non dovrebbe venirci più naturale trovare il posto per questo episodio tra tutti gli altri simili che da qualche mese illuminano le notti della Valsusa? Anziché rischiare di sminuire il gesto di qualche coraggioso notav, difendiamo pubblicamente dalla repressione i nostri compagni di lotta nell’unico modo dignitoso possibile. Rivendicando qualunque gesto compiuto contro l’avanzare del mostro TAV come patrimonio di tutti noi.”

L’articolo di riferimento pubblicato sul sito notav.info: “E se l’incendio al capannone te lo paga l’assicurazione?“.

Sullo sciopero agrario in Colombia.

Fonte: Infoaut, pubblicato in data 21/08/2013.

“Colombia, sciopero agrario. In migliaia bloccano le strade

altPer due giorni consecutivi, migliaia di colombiani che lavorano nel settore agrario sono scesi in strada in occasione dello sciopero nazionale del settore. La mobilitazione è stata indetta dopo che il governo colombiano ha approvato nuove misure di espropriazione delle terre dei contadini  al fine di consegnare le risorse naturali alle multinazionali. Nonostante i numerosi giorni di mobilitazione durante i quali i contadini si sono opposti alla politica di sfruttamento della terra colombiana, il governo ha continuato a sradicare forzatamente le terre che per tanti anni hanno coltivato i contadini della zona di Catatumbo.

Nella giornata di ieri, l’oceanica partecipazione allo sciopero ha portato a scontri tra i contadini e la polizia colombiana. Numerose sono state infatti le strade bloccate in più di 20 dipartimenti della Colombia. A Bogotà, centinaia di persone sono scese in strada a protestare in cinque diversi punti della città, comunicando il loro rifiuto verso le politiche economiche del Governo e ai Trattati di Libero Commercio che mettono la parola fine alle terre coltivate, alle miniere e ad atri settori analoghi.

Nei due giorni di sciopero, circa 16mila poliziotti sono stati dispiegati per reprimere la protesta che ha raggiunto il suo apice nella giornata di ieri. L’atteggiamento aggressivo della polizia ha portato a numerosi feriti e circa 50 persone arrestate, tra di loro, alcuni giornalisti. Almeno un manifestante risulta ferito da un colpo di arma da fuoco.

Nella Valle del Cauca, circa 600 persone che si trovavano a manifestare davanti al municipio, sono state circondate per diverse ore dalla polizia, che aveva a suo tempo ricevuto l’ordine di sgomberare le piazze e le strade per rendere inefficace lo sciopero. Tra le istanze dei lavoratori del settore agrario e minerario, l’incremento di misure che aiutino la produzione agraria locale, la partecipazione delle comunità e dei piccoli e tradizionali minatori nella regolazione della politica mineraria, misure e garanzie reali per l’esercizio dei diritti politici della popolazione rurale e agevolazioni per la popolazione rurale e urbana nell’ambito dell’educazione, salute, casa, servizi pubblici e trasporti.

Nel frattempo, ancora oggi, migliaia di colombiani continuano a raggiungere diversi punti in tutto il Paese, per proseguire la mobilitazione. Lo sciopero agrario e popolare quindi, continua ad oltranza. Le mobilitazioni stanno ricevendo sempre più una connotazione popolare e di massa, dopo che si sono uniti alle proteste anche camionisti, studenti, operai, medici, insegnanti e organizzazioni sociali.”

Per capire meglio i retroscena e le motivazioni dello sciopero in corso in Colombia consiglio la lettura di un’articolo in lingua spagnola pubblicato su Anarkismo, approfondito e ben documentato, arricchito da notizie attuali pubblicate nello spazio dedicato ai commenti: [Colombia] 19 de Agosto, paro agrario y popular, ¿un nuevo punto de inflexión en la lucha de clases?

Appello per il sostegno ad alcuni/e compagni/e anarchici/che sotto processo.

Appello pubblicato sul sito di Umanità Nova:

” 10.000 euro di solidarietà

Cari compagni e compagne,
siamo obbligati a fare appello alla vostra solidarietà attiva. Numerosi compagni e compagne della Federazione Anarchica Torinese sono sotto processo per la loro attività politica e sociale. Abbiamo in corso ben due maxi processi per la nostra attività antirazzista, un processo per antifascismo, uno per antimilitarismo, uno per il nostro impegno nel movimento No Tav.
Banali azioni di informazione e lotta sono entrate nel mirino della magistratura. Un presidio antirazzista diventa violenza privata, una performance antimilitarista un’offesa alla sacralità dell’esercito, il buttare via un manifesto fascista danneggiamento, un’azione popolare di contrasto al Tav viene perseguita con durezza.
Alcuni di noi hanno già subito nel recente passato condanne per la propria attività politica. Alcuni di noi rischiano la galera.
Siamo convinti che il miglior modo per rispondere alla repressione dello Stato consista nel continuare con ancora maggior impegno le lotte nelle quali siamo impegnati.
Siamo anche convinti che campagne pubbliche di appoggio ai compagni finiti nel mirino della magistratura possano riportare sul terreno della lotta le vicende che lo Stato vorrebbe relegare in un’aula di tribunale.
I processi hanno anche un costo molto elevato, sia per gli avvocati che per tutte le carte che la burocrazia della repressione pretende.
Ci servono urgentemente circa 10.000 euro.
Non siamo in grado di farcela da soli.

Il conto corrente postale cui potete inviare i vostri contributi è il numero – 1013738032 – intestato a Maria Margherita Matteo, Torino.
I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese

Per info e contatti:
fai_to@inrete.it
338 6594361 “

Hambacher Forst: resistenza contro la centrale elettrica a carbone.

http://hambacherforst.blogsport.de/images/Rheinisches_Braunkohlerevier_mit_Camp2_01.jpg

Hambacher Forst è un’antichissima foresta (12mila anni!) che originariamente comprendeva 5500 ettari di terreno (oggi ne restano solo 1100), situata nella regione tedesca della Renania Settentrionale-Westfalia. Già dal XVI Secolo esisteva una rigida regolamentazione a salvaguardia della foresta, ma nell’epoca contemporanea, specialmente dal 1978 in poi, l’industria mineraria del carbone ha portato alla parziale distruzione dell’aera boschiva. Quel che rimane di Hambacher Forst, con i suoi alberi secolari ed alcune specie animali e vegetali in pericolo d’estinzione, è oggi minacciato dal progetto di costruzione di una centrale elettrica a carbone ad opera dell’azienda RWE, il più grosso produttore di CO2 su scala europea. Mentre in Germania si parla tanto di svolta a favore di energie “pulite” e rinnovabili prevedendo l’addio definitivo, almeno teoricamente, a fonti di energia inquinanti e pericolose, esistono ancora colossi del settore energetico che mettono in pericolo l’ambiente e la salute umana in nome del profitto. La distruzione della foresta per far posto ad una centrale elettrica a carbone è legale: le leggi tedesche dicono che si può fare, in barba alle specie animali e vegetali che popolano Hambacher Forst, alla faccia della salute degli/lle abitanti delle città che sorgono in prossimità della futura miniera, nonostante anche i costi economici dell’inquinamento non ricadano su chi lo produce. È illegale invece resistere contro un simile progetto, chi lo fa rischia di scontrarsi con la violenza della polizia e di beccarsi denunce, processi, sanzioni economiche e carcere. La differenza tra ciò che è legale e ciò che è giusto è sotto gli occhi di tutti, chi decide di opporsi a simili progetti di devastazione ambientale compie una scelta in base alla propria coscienza, a ciò che ritiene legittimo e necessario- anche per il bene della comunità e dell’ambiente.

È per questo che la resistenza alla distruzione di Hambacher Forst non manca, nonostante chi la porta avanti sappia quali siano i rischi ai quali va incontro. Ispirati da movimenti contro la distruzione di foreste e contro la produzione di energia carbonifera, diverse persone hanno dato vita ad una serie di azioni e progetti per salvare l’area boschiva, prima fra tutte la sua occupazione nell’Aprile 2012 e, dopo il violento sgombero da parte della polizia nel Novembre successivo (durante il quale un singolo attivista riuscì a tenere in scacco per quattro giorni le forze dell’ordine rintanandosi in un cunicolo sotterraneo appositamente scavato prima di essere tirato fuori), la rioccupazione di alcuni prati ai margini della foresta. Tra le altre azioni messe in campo dagli/lle attivisti vi sono l’adozione di alberi dell’ Hambacher Forst, la partecipazione a camping ecologisti, l’organizzazione di tour in bicicletta, manifestazioni e presidi informativi in diverse città tedesche. Le attività intraprese per salvare quella che ormai può essere definita l’ultima foresta millenaria d’Europa continuano, per evitare l’ennesimo scempio ambientale i cui costi in materia di inquinamento, danni alla salute e impoverimento della biodiversità ricadranno inevitabilmente su tutti, soprattutto sulle future generazioni.

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Per altre informazioni (in tedesco e inglese) su Hambacher Forst e sulle lotte passate, presenti e future di chi la difende: http://hambacherforst.blogsport.de/

Per sostenere gli/le attivisti/e con offerte (in denaro e non):http://hambacherforst.blogsport.de/kontakt/was-wird-benoetigt/

Nessuno stupore, solo disgusto.

Fonte: Anarchaos.

” Terni – dure cariche degli sbirri contro gli operai

Botte da orbi a Terni. Gli sbirri impazziscono e bastonano pesantemente gli operai. Teste rotte e scontri duri sui binari.

Questa mattina a Terni si è svolto un enorme corteo degli operai delle Acciaierie. La situazione alla Thissen Kroup si è fatta pesante dopo che i padroni – gli assassini della strage di Torino – hanno annunciato la decisione di vendere.

Migliaia di persone si sono messe in marcia da Viale Brin, dove si trova l’ingresso principale dello stabilimento, attraversando il centro cittadino fino alla Prefettura. Ma lì non si sono fermati e si sono diretti verso la stazione, con lo scopo di bloccare i binari.

La polizia a quel punto ha tirato fuori l’armatura e in assetto antisommossa ha fatto cordone per evitare l’ingresso al piazzale davanti alla stazione,

Nonostante la rabbia, gli operai si sono limitati a spingere con forza sugli scudi, la catena di celerini che sotto la spinta di tutto il corteo ha dovuto spezzarsi.

Conquistato il piazzale davanti alla stazione il corteo ha puntato dritto sui binari. E’ stato lì che la polizia, velocemente ricompattatasi davanti all’ingresso della stazione, ha manganelato con una ferocia che raramente si era vista in Umbria. 

La mattanza però non ha fermato la rabbia dei manifestanti, che hanno reagito con la giusta durezza e sono riusciti, comunque, a conquistare i binari. 

Uno sfregio per i tutori dell’ordine, una sconfitta inaudita – che andava vendicata.

E così di punto in bianco, quando la situazione ormai era tornata tranquilla, la nuova carica contro migliaia di persone che si trovavano sui binari.

Teste rotte, gente che inciampa sui sassi, tafferugli pesantissimi. Una carica cieca, tanto che un celerino ha rotto la testa persino al sindaco di Terni. Il quale in questo momento è in ospedale con diversi punti di sutura. Le legnata deve aver rimesso qualche rotella a posto nella capoccia del primo cittadino, il quale, ancora insangunato come un vitello, mentre lo portavano al pronto soccorso, ha espresso commenti di improbabile durezza per uomini come lui: “la classe operaia” – ha detto proprio così! – “ha già difeso la fabbrica dai tedeschi, rischiando di rimanere sotto le bombe, e la difenderà dagli attacchi della polizia”.

 

Che la sbirraglia questa volta abbia pisciato fuori dal vaso lo si nota dalla sterminata colonna di commenti di condanna da parte di personaggi che di solito non perdono occasione per leccare gli scarponi deli robocop. Questa volta invece, onorevoli e senatori piddini, i sindacalisti, persino il tg3 locale, che ha mandato le immagini evidenti dell’aggressione sbirresca, hanno espresso unanima condanna verso il comportamento della polizia.

Dalla corrispondenza di un compagno presente ”

Nota  a margine: ovviamente le forze dell’ordine non solo presentano un’altra versione dei fatti, come al solito ridicola, ma la rafforzano col potere a loro concesso da parte dello Stato che detiene il monopolio della violenza. Prima pestano, a volte ammazzano, poi trovano un capro espiatorio. Sta a vedere che è sempre colpa delle vittime, alle quali a conti fatti non rimane nemmeno l’illusione di una giustizia concessa da quello Stato che, come ormai dovrebbe essere ben chiaro, di regola non condanna i suoi servi e meno che mai se stesso.

Can’t hack it.

Le notizie pubblicate ieri da diversi giornali riguardo l’operazione repressiva scattata in tutta Italia contro membri del movimento di hacktivisti Anonymous, che ha portato all’arresto di 4 persone e ad una decina di perquisizioni in diverse città (altri 6 sarebbero gli indagati a piede libero), non mi convince. Tutti gli articoli online che ho letto finora parlano infatti degli arrestati come di persone che avrebbero scatenato attacchi informatici contro siti istituzionali e di aziende non con motivazioni politiche, come invece è sempre stato chiaro nel caso di azioni firmate Anonymous Italia, ma per interessi personali: questi hackers avrebbero infatti, stando alle news dei massmedia, offerto consulenze a pagamento alle aziende ed alle istituzioni colpite per risolvere i disturbi da essi stessi causati. Vero? Possiblie? Nel dubbio, formulo quelle che mi sembrano le due ipotesi attualmente più plausibili. La prima è che alcuni hackers abbiano veramente, dopo aver compiuto attacchi agli obiettivi in questione, tentato di ricavare profitto personale proponendosi come soluzione ai problemi da loro provocati: un atteggiamento perlomeno ambiguo, se non del tutto da biasimare. La seconda ipotesi è che non basti agli inquirenti una semplice operazione repressiva contro quella che è a tutti gli effetti un’organizzazione informale e virtuale come Anonymous. Sapendo di non poter smantellare facilmente una struttura così evanescente, gli inquisitori passano ai massmedia asserviti informazioni false (i quattro arrestati diventano nelle parole dei quotidiani “il vertice italiano di Anonymous Italia”) per incutere timore e suggerire l’onnipotenza del sistema repressivo che avrebbe dato scacco matto all’ “organizzazione”, mentre al tempo stesso diffamano gli hacktivisti insinuando che essi non siano mossi da propositi politici bensì da interessi personali (il nome dell’organizzazione viene definito “marchio”, come se servisse a vendere un prodotto in qualche negozio, tanto per rafforzare il concetto di qualcosa legato al profitto e non a un ideale). Personalmente questa seconda ipotesi mi pare la più probabile, anche visti i tanti -troppi- precedenti. Intanto sul sito ufficiale di Anonymous Italia è gia apparsa una breve ma decisa dichiarazione sull’operazione repressiva. Come a dire, rivolti a chi vorrebbe mettere a tacere qualsiasi opposizione al sistema dominante: can’t hack it!