Più di mille parole.

Ci sono immagini capaci di comunicare verità e spiegare situazioni più di quanto possano fare mille parole. Eppure i discorsi, tanto nella loro profondità e complessità quanto riassunti finchè possibile in poche parole, sono indispensabili, anche se non sempre vengono recepiti. C’è chi antepone paure irrazionali, pregiudizi e informazioni sbagliate e non verificate a fatti e analisi, rifiuta il confronto ed è sordo a qualsiasi argomento. Con queste persone spesso accade di discutere fino allo sfinimento, sempre che stiano ad ascoltare, per poi accorgersi di aver parlato al vento. Si può spiegar loro come tutte le “culture” siano in fondo multiculture, non siano monolitiche, si evolvano col tempo, siano soggette a cambiamenti e commistioni e come la “nostra” non sia necessariamente migliore di altre; si può far presente che le cause che costringono le persone ad abbandonare i luoghi nelle quali sono nate hanno solitamente origini sociali, politiche ed economiche e che per far sì che nessuno/a sia costretto/a ad emigrare è indispensabile risolvere il problema alla radice in un’ottica emancipatoria, egualitaria ed antiautoritaria; si può far presente che gli/le immigrati/e, in determinate circostanze, fanno comodo al capitalismo e quando non fanno più comodo vengono criminalizzati, deportati o costretti comunque a tornare da dove sono venuti o ghettizzati nel Paese nel quale si trovano; si può ricordare come colonialismo e imperialismo abbiano gettato le basi per le tragedie odierne che hanno luogo in Siria, Iraq, Mali, Nigeria, Somalia, Libia, Afghanistan e altrove, si può far presente come ancora oggi ai potenti nostrani faccia comodo supportare dittature, tacere sulle violazioni dei diritti umani, fomentare divisioni etnico-tribali, esportare armi ed evitare la via diplomatica per risolvere i conflitti ricorrendo a interventi militari quando conviene; si può smontare ogni menzogna diffusa dal primo ignorante di passaggio sui privilegi concessi agli/lle immigrati/e e sui danni che essi provocherebbero alla nostra economia/cultura/nazione… Si può, si deve. Costi quel che costi, col rischio di farsi disprezzare o peggio da chi sputa veleno e sentenze senza conoscere i fatti, senza interrogarsi, senza avere un briciolo di umanità né di solidarietà. Prima o poi qualcuno dei/lle nostri/e interlocutori/trici drizzerà le orecchie, aprirà gli occhi, accenderà il cervello. Vale la pena tentare: con le immagini, le parole, la musica, coi fatti concreti, sempre e comunque.

Lyrics:

Wrong place of birth, wrong papers, wrong accent
“Your presence here is unacceptable accident“
They turn backs on them, puppetry level’s excellent
They’re spitting lies in their eyes and never hesitate

You know what I’m saying, it’s time to spare your prayers
They look the other way for terrorists, smugglers and slavers
But if you’re running for your life, trying to escape the slaughter
They’ll let your wife die and feast on your sons and daughters

Poison the water, the feast of legalized murder
Their lies about human rights don’t cost a quarter
They bomb your home, let the beast roam, close the border
And feed the world another tale by double-tongued reporter

Forward to the past, Can I ask? Do you remember
How the allies were sending people back to gas chamber?
Beware the beast, at least you know what to expect
The circle closes and the history repeats itself

Hook 2x:
Papers, please! They get you on your knees
Straight face, race to the death, Deaf to your pleas
Who’s the real illegal people, who’s the real disease?
We’re all immigrants, We’re all refugees.

The circle closes and the history repeats itself
Like 80 years ago abandoning those to the death
Who happened to be born on the wrong side of the fence
Ignoring obvious atrocities and cries for help

Not all was apathy – fallacy, lost humanity
Progressive wanna-be society begets another malady
No remedy, humanitarian calamity
another people denied the right to live with vanity

Another Human race catastrophe,
Another instance of entitled masses showing lack of empathy
Authorities are waging war, you people lie in idleness
Refuse to take responsibility for leaders’ violence

Communities of hypocrites reveal their rotten values
“Civilized world” devoid of basic principles of kindness
Close minded, close the borders: entry denied
The price of economic comfort is their innocent lives

Hook 2x:
Papers, please! They get you on your knees
Straight face, race to the death, Deaf to your pleas
Who’s the real illegal people, who’s the real disease?
We’re all immigrants, We’re all refugees.

Face the facts, no thanks, “Your passport lacks stamps
Please go back for war, torture and the death camps”
Join the ranks, labeled as illegal people
Cursed by those who suck blood from golden calf’s nipple

Broken families, tragedies, who the devil is
They put another spiked wall on the land they’ve seized
Barbed wire, peace expires, lost evidence
Infection of the whole soul, unknown genesis

Contro il razzismo, il sessismo e tutte le forme di oppressione.

Ogni giorno, in Europa, le donne vengono fatte oggetto di violenze fisiche e psicologiche, partendo dalle battute da ubriachi al bar e finendo con stupri e omicidi. Ma basterebbe dire che ogni giorno, in Europa, le donne vengono fatte oggetto, punto. Oggetti sul mercato del lavoro, tra le mura domestiche, negli spettacolini televisivi per decerebrati, negli spot pubblicitari. Richiami sessuali, carne sul banco della macelleria capitalista, stereotipi, pallide ombre di se stesse e di ciò che potrebbero realmente essere. Eppure non si assite a ondate di indignazione come quella alla quale ci troviamo di fronte dopo gli episodi di violenza collettiva avvenuti a Colonia, in Germania, nella notte di Capodanno, quando numerose donne sono state derubate e molestate sessualmente da gruppi di uomini nei pressi della stazione centrale. La cosa che sembra interessare maggiormente chi discute dell’argomento è l’origine “straniera” di gran parte degli aggressori, una parte dei quali sarebbero addirittura profughi. Dall’indignazione all’isteria collettiva il passo è breve:ancora un passo e siamo alla strumentalizzazione politica. Partiti e movimenti razzisti, insieme ai vertici degli Stati europei che fanno il possibile per accogliere il minor numero di profughi rendendo loro la vita talmente difficile da spingerli ad andarsene senza nemmeno dover fare la fatica di espellerli, parlano di emergenza, “jihad sessuale”, chiudere le frontiere, cacciare i musulmani. Come sempre la strategia del criminalizzare intere categorie di persone in base a singoli episodi funziona, la gente ha paura, le masse sono irrazionali, tanto quelle degli aggressori di Capodanno quanto quelle che vomitano commenti razzisti ad ogni occasione e che scendono per strada in forme organizzate, come Pegida NRW e Ho.Ge.Sa. Con lo slogan “Pegida protegge”, un miscuglio di circa 1700 tra hooligans, neonazisti e razzisti della porta accanto hanno tentato di manifestare a Colonia lo scorso 9 Gennaio. Scrivo “tentato” non perchè il loro corteo sia stato impedito dalla contemporanea mobilitazione antirazzista di 1300 persone nella stessa città, ma perchè, dopo aver come sempre faticato a formare un servizio d’ordine interno al loro corteo composto da persone che non avessero consumato alcool e che non avessero precedenti penali, i razzisti sono stati fermati e riaccompagnati ai loro treni dalla polizia appena hanno iniziato a lanciare contro di essa bottiglie e petardi. Un grande successo, insomma. D’altra parte non ci si poteva aspettare altro da personaggi xenofobi, omofobi e maschilisti che parlano delle “nostre donne da difendere” come se le donne fossero una proprietà, come se le donne non fossero in grado di difendersi non solo fisicamente ma mettendo innanzitutto in discussione i meccanismi di oppressione e dominio sessista ancora vivi nella nostra società, meccanismi che non vengono “da fuori”, ma sono parte integrante della cultura di dominio patriarcale che finora non è certo stata sconfitta, ma ha solo in parte cambiato forma. La strumentalizzazione securitaria delle violenze sulle donne serve solo a rafforzare i meccanismi di controllo e repressione tanto nelle stazioni quanto alle frontiere, la strumentalizzazione razzista delle violenze sulle donne usa la sofferenza di alcune vittime trasformandola in un’arma contro altre vittime: ad esempio, quelle che fuggono dal terrore delle milizie di ISIS/Daesh che hanno fatto del femminicidio e della distruzione di qualsiasi forma seppur minima di emancipazione femminile la propria bandiera. E chi si oppone con maggior fervore alle orde di Daesh, non solo militarmente ma anche progettando concretamente una società liberata dal patriarcato, sono proprio le donne, in Rojava e altrove. Ciò dovrebbbe insegnare qualcosa di fondamentale a noi tutti/e, al di là dell’indiscutibile diritto all’autodifesa: se non si cambia la struttura delle società nelle quali viviamo non si affronta la radice dei problemi che ci affliggono, siano essi razzismo, sessismo, sfruttamento sul lavoro o negazione e repressione dei nostri desideri e delle nostre esistenze. La lotta dei soggetti oppressi è comune, non ha frontiere, sarà sempre in salita, ma è la più degna e necessaria che si possa combattere.

Risposte creative alla campagna di reclutamento del Bundeswehr.

“Mach, was wirklich zählt!”, ovvero “Fai ciò che conta veramente!” è il motto di una massiccia campagna pubblicitaria lanciata dall’esercito tedesco (Bundeswehr) dal Novembre scorso per promuovere il reclutamento nelle sue fila. Quando ho visto passando per strada il primo di una lunga serie di manifesti pubblicitari, costati insieme a cartoline, sito web e altri ammennicoli la modica cifra totale di 10,6 milioni di Euro di denaro pubblico, mi sono chiesto subito un paio di cose: quanto fossero idioti i personaggi che hanno scelto gli slogan riportati sui manifesti (“Noi combattiamo anche per far sí che tu sia contro di noi”, “La vera forza non la trovi tra due manubri”, “Credi che sia figo essere soldato/soldatessa?”, eccetera…) , quanto idioti fossimo noi contribuenti nel pagare le tasse che vanno a finanziare certe porcate, ma sopratutto come si potesse rispondere ad una simile oscenità… Non che io non abbia trovato subito un paio di slogan appropriati che sarebbero stati utili per riassumere efficacemente la vera funzione dell’esercito in Germania e altrove, ma non  disponevo a breve termine dei mezzi per poter rispondere in modo esteso ed efficace alla propaganda militarista appena avviata: si fa quel che si può, ma nel mio caso si trattava di troppo poco. Pochi giorni fa sono però venuto a sapere che un pugno di artisti/e e attivisti/e politici/che riuniti/e nel gruppo “Peng-Kollektiv”, con la modica cifra di 100 €, ha messo in ombra, in dubbio e in ridicolo la campagna della Bundeswehr, aprendo un sito con link e grafica simili a quello originale usato per incoraggiare l’arruolamento dove si possono leggere alcune informazioni (verificabili) che ai signori dell’esercito non sarebbe mai passato per la testa di pubblicare, ad esempio il numero di soldati suicidatisi quest’anno o la percentuale di donne che subiscono molestie sessuali nell’esercito. Il sito è diventato in pochi giorni virale e ha dato l’imput sul web ad una serie di osservazioni, commenti e grafiche contro l’iniziativa militarista. Per quanto riguarda invece i manifesti, attivisti/e del collettivo “Abteilung zur sichtbaren und inhaltlichen Verschlimmbesserung unhaltbarer Truppenwerbung (AbtVerschlTruWer)” hanno tappezzato la zona nella quale ha sede il ministero della difesa tedesco con manifesti pubblicitari modificati. Ecco alcune foto dell’adbusting:

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“Bombardare per la pace è come fottere per la verginità”

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“Siamo via: guerra lampo in Siria. Nonno sarebbe stato così orgoglioso.”

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Difendere con la violenza lo sfruttamento. Il vostro esercito”

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“Nessuna idea di niente? Nessun problema! Prendiamo volentieri anche gli stronzi”

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“Anche gli animali combattono per far sì che noi possiamo mangiarli.”

Per completare il quadro segnalo un’altra azione compiuta da ignoti a Berlino, che nella notte del 9 Novembre scorso hanno “ridipinto” la facciata dello showroom dell’esercito tedesco per protestare contro la propaganda per l’arruolamento e contro la “normalizzazione” della guerra.

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Il clima che cambia.

Sarà anche corretto e forse utile sottolineare le contraddizioni della sedicente democrazia rappresentativa/parlamentare, ma lo stupore è un altro paio di maniche: lo stato di emergenza e la conseguente limitazione delle libertà garantite dalla legge in Francia dopo gli attentati terroristici del 13 Novembre scorso non sono un caso unico né isolato, in Italia chi non ha la memoria troppo corta si ricorderà quante volte le manifestazioni, specialmente negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, siano state vietate per motivi legati alla “sicurezza”. Anche in altri Paesi europei certe misure di limitazione della “libertà” cortesemente concessa dall’alto non sono nuove, né scandalizzano più di tanto un’opinione pubblica anestetizzata e omologata. Non tutti/e però sono anestetizzati e omologati, anzi si sentono ancor più spronati da limitazioni e divieti a manifestare pubblicamente il proprio dissenso. In un momento nel quale gli eserciti degli Stati nei quali viviamo sono in guerra e ciò viene annunciato come se si trattasse della cosa più normale del mondo, mentre i leader mondiali si riuniscono a Parigi per la “nuova ultima chanche” (non sono l’unico a ricordare che si parlava di “ultima chanche” anche al vertice sul clima di Copenhagen nel 2009…) per ridurre il surriscaldamento globale del pianeta, ad alcuni/e, forse troppo pochi/e ma pur sempre presenti ed esistenti, sono chiari un paio di concetti di fondo imprescindibili: guerra e politiche securitarie e repressive sono due facce della stessa medaglia e le guerre non sono altro che uno strumento per ottenere o rafforzare il dominio su territori e popolazioni, per accaparrarsi nuove risorse, controllare nuovi mercati, incrementare gli affari e lo sviluppo-espansione del capitale che non possono fermarsi di fronte a nulla, nemmeno di fronte alla possibile distruzione del pianeta Terra. I veri accordi vengono stabiliti altrove, non durante gli spettacolini ad uso e consumo dell’opinione pubblica credulona. Nessuna conferenza sul clima è mai servita nel passato a raggiungere accordi soddisfacenti almeno per rallentare considerevolmente la catastrofe, perchè la crescita economica e il profitto vengono prima di tutto. Prima degli ecosistemi, degli esseri umani e di tutte le creature viventi, prima dei diritti revocabili stabiliti sulla carta, della pace e, non te ne meravigliare, della sicurezza di ciascuno/a di noi.

Risultati immagini per system change not climate change

Quando qualcuno esprime un concetto meglio di quanto io possa fare.

Nelle due o tre ore delle le ultime quarantott’ore che ho speso seduto di fronte al computer ho letto numerosi comunicati sugli attentati di Parigi e su ciò che vi ruota intorno. Avevo compilato una lista di comunicati e riflessioni di organizzazioni anarchiche di vari Paesi che pensavo di riproporre su questo spazio virtuale, poi mi sono imbattuto in uno (anzi due) testi pubblicati su un blog che leggo non dico spesso, ma almeno volentieri e ci ho ritrovato un pò quello che mi passa per la testa in questi giorni. Perchè ripetere allora con parole mie gli stessi concetti di fondo, quando qualcuno li ha già espressi peraltro stilisticamente meglio di quanto io possa fare? L’unica rimostranza che avrei da fare sugli articoli, chiamiamoli così, in questione, è che manca il benchè minimo ottimismo sulla capacità di reazione degli esseri umani che potrebbero, dovrebbero opporsi allo stato di cose esistente. Ma sarebbe un ottimismo motivato?

– “Non-elogio della Follia” e “Guerra santissima“, dal blog di Riccardo Venturi.

P.S: C’è un’altra cosa che continua a passarmi per la testa, non da qualche giorno ma da diversi anni, in svariate occasioni. È una citazione tragicamente attualissima attribuita a Benjamin Franklin, che paradossalmente mette in guardia anche da quelli come lui: “Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertá né la sicurezza”.

Vio.Me.: la fabbrica va all’asta, i/le lavoratori/trici resistono!

Gli ultimi sviluppi della lotta dei/lle lavoratori/trici della fabbrica occupata e autogestita Vio.Me. di Salonicco non sono per nulla positivi. La fabbrica verrà battuta all’asta il prossimo 26 Novembre. Nonostante ciò l’assemblea dei/lle lavoratori/trici afferma in un recente comunicato di non volersi arrendere e rilancia la lotta per la difesa di uno spazio produttivo e autogestito che nel tempo è diventato parte di una fitta rete di scambio e solidarietà che va oltre i confini greci. Quello che segue è il link al comunicato di chi lavora, produce, decide e lotta alla Vio.Me.:

La Viome va all’asta, i lavoratori rilanciano la lotta

Lieber Afrikaner/Cari africani.

Video satirico tedesco del 2011 sullo splendido rapporto di amicizia tra l’Europa ed i popoli africani e sul generoso trattamento riservato agli immigrati nel vecchio continente. La traduzione in italiano è opera mia.

“Caro africano, già in passato noi europei abbiamo diffuso nel tuo continente benessere e felicità e anche oggi mandiamo a te ed ai tuoi governi molti soldi e molti regali. Naturalmente sappiamo che non tutti da te sono pronti per la democrazia, ma noi siamo tolleranti: finché il commercio funziona, noi non ci immischiamo…altri Paesi, altri costumi! Ma, nel caso con il commercio qualcosa non vada per il verso giusto, ti mandiamo volentieri i nostri “aiutanti per l’economia” in soccorso, perché se l’economia va bene anche le persone stanno bene. Così tutti ci guadagnano qualcosa, noi europei riceviamo da te un pó di materie prime e risorse naturali e ti regaliamo in cambio i prodotti della nostra civilizzazione europea…anche la tua numerosa prole ne risulta contenta! Dopo tutta questa nostra generosità comprendiamo il fatto che tu voglia venire in Europa per ringraziarci personalmente, perciò sosteniamo tutti i Paesi attraverso i quali dovrai viaggiare in modo che essi possano costruire le infrastrutture necessarie a rendere il tuo viaggio il più confortevole possibile. E non é tutto, caro africano: se ce l’hai fatta ad arrivare fino al Mediterraneo, verrai aiutato dai nostri amichevoli dipendenti del Frontex, che faranno in modo che tu non ti perda nell’ immensità del Mediterraneo e ti offriranno lezioni gratuite di nuoto. E visto che ogni anno aumentiamo i finanziamenti per Frontex , loro potranno assicurarti che tu abbia sempre abbastanza acqua a bordo e, lavorando contemporaneamente con i tuoi parenti africani, trasformeranno il fondale marino in una bella passerella. Caro africano, quando ( se ) arrivi da noi in Europa, noi teniamo pronta per te una confortevole sistemazione dove puoi finalmente riposarti in pace dopo il faticoso viaggio durato mesi e puoi partecipare alla nostra lotteria per ottenere l’asilo: se vinci puoi rimanere da noi in Europa e guardare ad un roseo futuro. Se però non vinci non devi comunque essere triste, caro africano, perché ricevi comunque come premio di consolazione un biglietto gratuito per il viaggio di ritorno in Africa…e lì il tempo é molto migliore che qui da noi in Europa!”

A Berlino 250.000 attivisti/e in piazza contro TTIP e CETA.

Lo scorso 10 Ottobre 250 000 persone hanno manifestato nella capitale tedesca contro gli accordi commerciali TTIP e CETA. La manifestazione è stata la più partecipata degli ultimi 10 anni in Germania, la più grande in tutta Europa tra quelle svoltesi per dire no ai due accordi comerciali transnazionali. Le numerose organizzazioni che hanno indetto la protesta, dai sindacati (DGB) alle associazioni ambientaliste (WWF, NABU…) a quelle critiche nei confronti della globalizzazione (ATTAC) fino ad arrivare alle associazioni della società civile, sottolineano la necessità di accordi commerciali equi e trasparenti, che non danneggino gli standard di difesa dell’ambiente, i diritti dei/lle lavoratori/trici e dei/lle consumatori/trici e i principi democratici. Pertanto chiedono di interrompere le trattative relative all’accordo TTIP con gli USA e di non ratificare l’accordo CETA con il Canada.

Purtroppo, va ammesso, tra le tante realtà di natura riformista coinvolte nella campagna contro TTIP e CETA è mancata la presenza di quei gruppi della cosiddetta “sinistra radicale” e dell’area autonoma/antiautoritaria/libertaria, che avrebbero potuto contribuire con una profonda critica anticapitalista al discorso legato agli accordi commerciali in questione. D’altra parte l’attuale situazione tedesca vede gran parte di questi gruppi impegnati in altri contesti, come ad esempio l’aiuto concreto ai profughi che da mesi giungono in gran numero in Germania. Una giustificazione, questa, che non impedisce comunque di rimarcare l’importanza di un discorso critico e radicale nei confronti delle politiche globalizzatrici che hanno e avranno, se non verranno fermate in tempo, una ricaduta pesante sulle nostre vite, sull’ambiente e su intere società.

Colonna sonora per il 3 Ottobre, Tag der Deutschen Einheit.

Amo e odio il luogo nel quale sono nato, amo e al tempo stesso odio il luogo nel quale vivo. Il mio amore non ha a che fare con il concetto di Stato e Nazione, il mio odio sí. Ritengo che identificarsi in uno Stato-nazione come forma di realizzazione, come sentimento di appartenenza ad una comunità fatta di sfruttati e sfruttatori, oppressi ed oppressori, tutti insieme appassionatamente, “noi” contro “loro” in base al luogo di nascita, a confini geografici stabiliti a tavolino dopo l’ennesimo massacro, ad una presunta razza, etnia o cultura, sia la forma più bassa di annichilimento della ragione e del senso universale di umanità e di solidarietà che si possa concepire. Per questo, ancora una volta: Nie wieder Deutschland, nie wieder Staaten! Grenzen abschaffen! Für eine Welt ohne Herrschaft!

Deutsche zuständen.

Fuggono dalla guerra e dalle persecuzioni, affrontano un viaggio rischioso andando incontro ad un futuro incerto lasciandosi alle spalle non solo la vita e i luoghi che conoscevano fino ad allora e ai quali sono legati/e, gli averi ed una qualche forma per quanto illusoria di “sicurezza” e “normalità”, ma spesso anche le persone a loro care. Arrivati/e nei luoghi dove dovrebbero riprendersi dai traumi ed elaborare le perdite subite per poi iniziare una nuova vita, vengono accolti spesso con ostilità…

In Germania, non lo nego, esistono parecchie persone ben intenzionate che si esprimono a favore della “cultura dell’accoglienza” (Willkommenskultur) nei confronti dei profughi e che addirittura sono disposte ad aiutare in prima persona. Ciò è ammirevole, anche se queste volenterose ed accoglienti persone, spesso, fanno discorsi puramente utilitaristici: “appena potranno i rifugiati inizieranno a lavorare, a studiare, a fare apprendistato…siamo sicuri che la maggior parte di loro vuole integrarsi! In un Paese come il nostro, con un basso tasso di natalità e una buona disponibilità di posti di lavoro anche per personale meno qualificato, per giunta in una fase di congiuntura economica positiva, gli immigrati sono una risorsa, pagheranno le tasse, col loro lavoro pagheranno anche le nostre pensioni…inoltre alcuni di loro sono altamente qualificati, il mercato richiede le loro competenze”. E se invece chi mette piede sul suolo teutonico fosse portatore di valori che mettono in discussione l’ordine sociale costituito e volesse sovvertire il sistema economico, produttivo e di consumo e le relazioni sociali mercificate, distruggere le gabbie fisiche e mentali sulle quali questo sistema di dominio si fonda, per promuovere invece una società di liberi ed eguali, come li accogliereste? Hahaha, niente paura, la mia è solo una provocazione! L’emancipazione non verrà “da fuori”, dobbiamo essere noi a promuoverla, tenendo conto che i migranti spesso ambiscono solo ad un cantuccio di benessere e sicurezza “borghesi”, all’integrazione ed al conformismo, all’accesso ai consumi con tutti i beni futili che a loro come a noi stanno tanto a cuore e in cambio dei quali noi come loro sacrifichiamo il nostro tempo ed il mare aperto delle nostre possibilità e potenzialità, salariati ed alienati fino alla tomba…

Ma non è di questo che voglio continuare a parlare, non di quelle persone che, al netto di tutte le critiche e rimostranze nei confronti dei loro ragionamenti funzionali alla logica capitalista, sono sinceramente ben disposte nei confronti dei rifugiati. Non sono in pochi/e a pensarla molto diversamente e non si tratta solo di razzisti dichiarati, militanti di movimenti neonazisti e della destra xenofoba e populista, ma anche dei cosiddetti “cittadini preoccupati”. Costoro, quelli/e del “io non sono razzista, ma…”, si muovano essi in forma spontanea o organizzata, quando trovano il “coraggio” di esporre in modo aperto e collettivo le proprie paure irrazionali ed i propri pregiudizi rappresentano un’ottimo paravento per le attività degli xenofobi politicamente organizzati, ma anche per quei politici al potere che strumentalizzano le azioni delle masse razziste, che nei loro discorsi tornano ad essere “cittadini preoccupati”, per limitare i diritti dei migranti, in uno sporco gioco nel quale le vittime diventano un problema da risolvere. Nulla di nuovo, i tempi e le circostanze variano, ma nella sostanza la storia rischia di ripetersi…

Rostock- Lichtenhagen, Agosto 1992 *: alcune centinaia di neonazisti, assistiti e coperti da circa 3mila “cittadini preoccupati”, attaccano un centro di accoglienza per richiedenti asilo (i cui ospiti, principalmente rom rumeni,vengono evacuati) per poi scatenarsi contro l’adiacente complesso edilizio che ospita più di 100 lavoratori/trici vietnamiti, il tutto sotto gli occhi della polizia “impotente”. Numerosi agenti vengono feriti, pochissimi neonazisti vengono arrestati e spesso rilasciati il giorno dopo, mentre viene impedita con la forza una manifestazione antirazzista di solidarietà agli/e aggrediti/e e 60 attivisti/e vengono arrestati/e. Il pogrom dura in tutto cinque giorni, gli abitanti della palazzina vengono lasciati completamente alla mercè degli aggressori, la folla impedisce il passaggio di pompieri e ambulanze mentre vengono lanciati oggetti, pietre e molotov contro l’edificio. Alla fine, miracolosamente, gli/le immigrati/e vietnamiti riescono a sottrarsi alle fiamme ed al fumo, arrampicandosi sul tetto e rifugiandosi nell’edificio adiacente, dal quale potranno poi venir portati via su due bus. A seguito di questi avvenimenti e delle ripetute aggressioni avvenute prima e dopo di essi ai danni di strutture di accoglienza per immigrati e di persone di origine straniera, il governo allora in carica, formato da cristiano-democratici e liberali, farà approvare con l’appoggio decisivo dei socialdemocratici una legge costituzionale che limita il diritto di asilo in Germania.

Germania, adesso: nel 2014 sono state registrati 247 attacchi a strutture di accoglienza per immigrati e 81 aggressioni di stampo razzista, quest’anno siamo rispettivamente a quota 98 e 26**. Dopo queste ripetute aggressioni, danneggiamenti e incendi, a Tröglitz come a Berlino, a Heidenheim come a Lubecca, c’è da chiedersi se la Storia sia veramente capace di insegnare qualcosa- o piuttosto se le persone siano in grado di imparare da essa. Di sicuro qualcuno ha imparato qualcosa: i politici, che come nei primi anni ’90 del secolo scorso infiammano il dibattito sul diritto di asilo, parlando di “abusi” da parte dei/lle migranti e distinguendo tra Paesi di provenienza a rischio e “sicuri”, differenziando tra chi fugge dalle guerre e chi dalle crisi economiche – pur sapendo che entrambe le cose sono prodotti di un passato coloniale e di un sistema economico basato sullo sfruttamento e sull’iniqua distribuzione delle ricchezze del quale ancora c’è chi raccoglie i frutti amari e chi i profitti- per poi strumentalizzare gli atti di violenza a danno dei migranti e promuovere leggi restrittive nel nome della “volontà popolare” e della “sicurezza”; i neonazisti organizzati e i “cittadini preoccupati”, razzisti e xenofobi, che hanno ancora ben presente che lo Stato è incline ad accogliere strumentalmente almeno una parte delle loro istanze, a patto che vengano presentate con “metodi persuasivi”, consci di rimanere solitamente impuniti per le loro nefandezze. E noi, antifascisti/e, antirazzisti/e, noi che aspiriamo ad un mondo senza barriere e confini dove nessuno/a sia costretto a fuggire e dove chiunque voglia spostarsi possa farlo in piena libertà, cosa abbiamo imparato dal passato? Abbiamo imparato a conoscere meglio i nostri nemici, a contrastare le loro strategie, a costruire solidarietà concreta con chi è costretto/a a fuggire per colpa di crisi economiche, guerre e altre catastrofi provocate dal sistema dominante? Abbiamo imparato a reagire in modo efficace alle guerre tra poveri ed allo sbraitare del ceto medio sulla presunta perdita dei propri privilegi, a denunciare i profitti sulla pelle dei richiedenti asilo, a smascherare intersezioni di intenti e complicità tra politicanti affermati nei salotti borghesi, teppaglia neonazista e sfruttatori/trici capitalisti/e? Siamo riusciti/e finora a raccogliere i frutti dei nostri discorsi quotidiani con la gente, della nostra opera di informazione, siamo riusciti a spingere qualcuno/a a ragionare veramente? Quanti/e dovranno ancora subire ostilità, umiliazioni, aggressioni da parte degli organi statali e della teppaglia razzista, quanti/e ancora dovranno morire come a Solingen e Mölln, quante volte dovremo ancora gridare per le strade “Nie wieder!” temendo che non sia l’ultima volta?

 

*Sul pogrom di Rostock-Lichtenhagen, per approfondire: documentario “The Truth lies in Rostock”.

**Dati pubblicati dalle associazioni Amadeu Antonio Stiftung e PRO ASYL.