La neutralità di Internet in un sistema di parte.

Si tratta di una questione fondamentale su temi quali accesso all’informazione, tecnologie, libertà, diritti dei consumatori, ma se ne sta parlando poco, almeno in Italia. Ci si potrebbe ironizzare sopra, immaginando che per molti/e la recente notizia di una minaccia ufficiale e molto concreta, proveniente dagli USA, alla cosiddetta neutralità di Internet, non sia importante quanto l’oltraggio dei due centesimi da pagare per le bustine di plastica per frutta e verdura nei supermercati, o forse non renda abbastanza in termini di ritorno d’immagine ai partiti politici impegnati in una precoce quanto insopportabile campagna elettorale. Ma la faccenda va presa sul serio: lo scorso Dicembre l’agenzia statunitense delle telecomunicazioni (Federal Communication Commission), ha abrogato la legge che garantiva la neutralità di Internet, ovvero che garantiva che tutti i dati in circolazione sulla rete fossero trattati allo stesso modo, senza poter rallentare o accelerare la velocità dell’uno o dell’altro. La legge ora abrogata assicurava che, come su un’autostrada, i dati viaggiassero alla stessa velocità e non in base ad un qualche “privilegio”, né le aziende potessero “comprare” l’accelerazione dei propri contenuti o il rallentamento o addirittura il blocco di quelli della concorrenza. Ora le cose potrebbero drasticamente cambiare, almeno stando alla nuova decisione presa dalla FCC, come viene spiegato in un ottimo post sull’argomento che ho letto nei giorni scorsi. Siamo ancora agli inizi, la mossa della FCC non è rimasta senza risposta da parte di chi negli USA vuole difendere la neutralità di Internet, perciò di questo argomento sentiremo porbabilmente parlare ancora a lungo – ma ancora troppo poco? Non posso però evitare di esprimere un paio di brevi considerazioni, in particolare su quanto sia “neutrale” l’accesso alle risorse, ai servizi e ai diritti e su quanto “neutrale” sia Internet tuttora, anche senza la fine dell’era della sua presunta neutralità.

Mi alzo la mattina di un giorno festivo e decido di andare a trovare un amico che vive in una città vicina. Prendo il treno e, visto che non ho molti soldi a disposizione, scelgo un regionale e non un Inter City, viaggio in seconda classe e, quando arrivo dal mio amico, andiamo a pranzo in una specie di trattoria più che in un ristorante, scegliendo il piatto del giorno perchè più economico degli altri. Una situazione classica, che sarà capitata a moltissime persone, nulla di strano vero? Quando vado a prendere un appuntamento da un medico specialista non lo ottengo più in fretta di chi ha un’assicurazione sanitaria privata (situazione tedesca). Quando cerco un appartamento in affitto, se dispongo di una buona busta paga, sono single e libero professionista ho più chance di trovarne uno. E se decido di volare con alcune compagnie aeree low cost, in cambio di un sovrapprezzo vengo imbarcato prima di altri passeggeri, posso trasportare bagagli più pesanti e sedere più comodamente. Tutto regolare, cose alle quali siamo abituati, come pagare per usufruire di un servizio e pagare di più per usufruire di un servizio -almeno presumibilmente- migliore. Com’è allora che ci si stupisce di un’Internet a doppia velocità, di aziende fornitrici di banda che incassano soldi da altre aziende fornitrici di contenuti per permettere che i contenuti di tali aziende siano più veloci di quelli della concorrenza, del fatto che l’utente finale debba sborsare più quattrini se vuole più contenuti, più servizi, più velocità? O del fatto che chi paga di più abbia maggior accesso ad un servizio o accesso a più servizi, in molti casi anche quando si tratta di servizi fondamentali? Il 12% della popolazione mondiale non ha accesso all’acqua potabile, molti altri devono pagarla a prezzi difficilmente sostenibili, eppure l’acqua è una risorsa vitale. Più che stupirci dovremmo incazzarci ed opporci a ciò, ma questo avviene troppo raramente, troppo debolmente, troppo tardi. Se mai avviene…

Non dovremmo nemmeno sorprenderci del fatto che Internet sia stata concepita dai suoi “padri fondatori” con uno spirito diverso da quello di chi vorrebbe ora privarla della sua cosiddetta neutralità. Un sacco di progetti sono nati con nobili intenti, sotto ottimi auspici, per poi venire inghiottiti dalla macchina del profitto, della concorrenza, della legge del più forte, lasciando dello spirito originario solo un lontano ricordo. Di sicuro chi si impegna per avere una rete attraverso la quale scambiare liberamente e gratuitamente idee, contenuti, informazioni e cutura ha già abbastanza da fare per denunciare e combattere censura, controllo, manipolazione e mercificazione del web. La possibile fine della neutralità di Internet non entusiasma nemmeno le grandi corporations, ma se la cosa dovesse andare avanti in questa direzione le più forti sui mercati la spunterebbero comunque. A perderci sarebbero in primo luogo i sostenitori della pluralità, del libero accesso alle risorse, chi vede la rete come un luogo il cui utilizzo va garantiro come diritto fondamentale. Si spera che questi non siano troppo pochi o troppo deboli, altrimenti dovremo presto abituarci alle corsie preferenziali, a pagare per quel che ci spetterebbe di diritto come già facciamo fin troppo spesso, abituati fin troppo in fretta ad una normalità assurda.

Unioni civili e Paesi incivili.

Finalmente in Italia è stata approvata una legge sulle unioni civili che regolamenta a livello legale la situazione delle coppie di fatto, finora discriminate rispetto alle coppie eterosessuali sposate. Una legge-compromesso che per il momento offre solo un contentino a chi da decenni chiede di non essere più discriminato/a, alla quale si sono opposti fino all’ultimo i settori più retrivi, oscurantisti e tradizionalisti del Paese, teocon in primis, una legge mutilata che non concede nulla sul tema importantissimo delle adozioni e che arriva con ventisette anni di ritardo rispetto a quella approvata in Danimarca, primo Paese europeo a riconoscere i diritti delle coppie non sposate. Oltre ad introdurre la possibilità di unione civile tra persone dello stesso sesso, la legge riconosce e regolamenta anche i diritti delle coppie “di fatto”, eteterosessuali ma non sposate, anche se “riconosce” è un termine in questo caso esagerato. Da riconoscere piuttosto è ancora una volta il tranello del percorso parlamentare nell’istituzionalizzazione dei diritti civili, che dovrebbero innanzitutto essere parte delle coscienze e del patrimonio morale della società e non strumento di stampo elettoralistico negoziabile a seconda delle esigenze opportunistiche e delle alleanze del momento. L’isteria che ha accompagnato e tuttora accompagna la discussione intorno alla legge appena approvata e più in generale sul tema delle “famiglie non tradizionali” dovrebbe spingere chiunque si batta contro l’omofobia e le discriminazioni di genere a lottare con rinnovato vigore per un cambiamento culturale nella società nella quale si vive, per il rispetto e l’uguaglianza di diritti, contro il dominio del patriarcato e le derive reazionarie. La libertà di gay, lesbiche, trans-, bi- e intersessuali è anche la mia libertà. Risultati immagini per anarchists against homophobia

Capodanno globale anticarcerario 2016.

 

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Anche quest’anno a Capodanno si ripeteranno un pò in tutto il mondo le manifestazioni di solidarietà rumorosa e colorata ai/lle detenuti/e rinchiusi/e nei diversi istituti di pena, un appuntamento fisso per chi lotta contro tutte le galere e contro il sistema che le produce. Stati Uniti d’America , GermaniaCanada, Spagna, Italia, Gran Bretagna sono solo alcuni dei Paesi coinvolti dalle iniziative. Ma perchè opporsi alle prigioni? Non è giusto punire i criminali e tenerli isolati affinchè non danneggino le persone perbene?

E perchè invece non rimuovere le cause che portano le persone a compiere atti che danneggiano il prossimo? Sbattere in cella qualcuno non significa renderlo/a una persona migliore, ma piuttosto nascondere alla vista lui/lei e le cause del suo “comportamento deviante”: povertà, ignoranza, condizionamento sociale, violenza, emarginazione. Isolare dal tessuto sociale una persona che ha commesso un “reato” è la cosa più dannosa che si possa fare se si intende reinserire o “rieducare” tale persona, usare la tortura del carcere per migliorare qualcuno è assurdo e palesemente contraddittorio. Il carcere esiste come strumento di controllo sociale, come fonte di profitto per chi lo gestisce e per chi ci guadagna (ad esempio sfruttandone la manodopera a bassissimo costo o fornendo servizi e beni alle strutture detentive) e come punizione per chi non si attiene a regole eteronome che valgono finchè non si ha il potere ed il denaro per potersi sottrarre ad esse; esso disgrega il tessuto sociale, disumanizza, è dimostrazione palese del disinteresse da parte del sistema di risolvere i problemi che esso crea, è vendetta istituzionalizzata e mediata dalla fredda burocrazia. In galera non ci sarebbero spacciatori di droga se non esistesse l’attuale legislazione proibizionista in materia di stupefacenti, non ci sarebbero ladri se non esistessero proprietà privata, miseria, profonde diseguaglianze economiche, avidità e logiche di profitto capitaliste, non ci sarebbero responsabili di violenze sessuali se non esistesse la logica del dominio e della violenza sessista, non ci sarebbero “clandestini” se vivessimo in un mondo dove le persone possono spostarsi liberamente e vivere dove preferiscono. E gli assassini? Rinchiuderli non ha mai riportato in vita nessuno, molti di loro hanno agito in modo impulsivo e non ripeteranno quell’azione una seconda volta, per non parlare del fatto che chi uccide per gli “interessi nazionali” non viene considerato un criminale dalle leggi del Paese per il quale agisce, mentre spesso ad essere colpiti/e da provvedimenti restrittivi della libertà sono coloro i/le quali si battono contro devastazione ambientale, razzismo, sfruttamento, militarismo, povertà, emarginazione e altre ingiustizie. Allo stesso modo chi avvelena la terra, manda sul lastrico piccoli risparmiatori, sfrutta e sfratta, spinge le persone ai margini della società, toglie la dignità e criminalizza intere categorie di “indesiderati/e” agisce di solito secondo le leggi: non stupiamoci se nei centri dove vengono gestiti denaro e potere c’è più gente moralmente abietta di quanta non ce ne sia in galera.

Siamo tutti più sicuri/e rinchiudendoci nelle nostre case e chiudendo gli/le altri/e dietro le sbarre, tutti in qualche modo in una qualche prigione? Chiediamoci piuttosto se vogliamo prevenire che una persona ne danneggi un’altra e, in presenza di un danno, trovare un rimedio che eviti ulteriori sofferenze e lacerazioni del tessuto sociale. In questo caso opporsi alla logica del carcere significa voler risolvere e superare i mali delle nostre società combattendone le cause, cercare soluzioni nonviolente per la soluzione dei conflitti tra persone, rifiutare la logica repressiva del sorvegliare e punire attuata dai sistemi repressivi su scala mondiale, ma anche e soprattutto opporsi allo stato di cose che produce le logiche punitive esistenti.

CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE LO PRODUCE, NON SOLO IL 31 DICEMBRE, MA TUTTI I GIORNI!

Deutsche zuständen.

Fuggono dalla guerra e dalle persecuzioni, affrontano un viaggio rischioso andando incontro ad un futuro incerto lasciandosi alle spalle non solo la vita e i luoghi che conoscevano fino ad allora e ai quali sono legati/e, gli averi ed una qualche forma per quanto illusoria di “sicurezza” e “normalità”, ma spesso anche le persone a loro care. Arrivati/e nei luoghi dove dovrebbero riprendersi dai traumi ed elaborare le perdite subite per poi iniziare una nuova vita, vengono accolti spesso con ostilità…

In Germania, non lo nego, esistono parecchie persone ben intenzionate che si esprimono a favore della “cultura dell’accoglienza” (Willkommenskultur) nei confronti dei profughi e che addirittura sono disposte ad aiutare in prima persona. Ciò è ammirevole, anche se queste volenterose ed accoglienti persone, spesso, fanno discorsi puramente utilitaristici: “appena potranno i rifugiati inizieranno a lavorare, a studiare, a fare apprendistato…siamo sicuri che la maggior parte di loro vuole integrarsi! In un Paese come il nostro, con un basso tasso di natalità e una buona disponibilità di posti di lavoro anche per personale meno qualificato, per giunta in una fase di congiuntura economica positiva, gli immigrati sono una risorsa, pagheranno le tasse, col loro lavoro pagheranno anche le nostre pensioni…inoltre alcuni di loro sono altamente qualificati, il mercato richiede le loro competenze”. E se invece chi mette piede sul suolo teutonico fosse portatore di valori che mettono in discussione l’ordine sociale costituito e volesse sovvertire il sistema economico, produttivo e di consumo e le relazioni sociali mercificate, distruggere le gabbie fisiche e mentali sulle quali questo sistema di dominio si fonda, per promuovere invece una società di liberi ed eguali, come li accogliereste? Hahaha, niente paura, la mia è solo una provocazione! L’emancipazione non verrà “da fuori”, dobbiamo essere noi a promuoverla, tenendo conto che i migranti spesso ambiscono solo ad un cantuccio di benessere e sicurezza “borghesi”, all’integrazione ed al conformismo, all’accesso ai consumi con tutti i beni futili che a loro come a noi stanno tanto a cuore e in cambio dei quali noi come loro sacrifichiamo il nostro tempo ed il mare aperto delle nostre possibilità e potenzialità, salariati ed alienati fino alla tomba…

Ma non è di questo che voglio continuare a parlare, non di quelle persone che, al netto di tutte le critiche e rimostranze nei confronti dei loro ragionamenti funzionali alla logica capitalista, sono sinceramente ben disposte nei confronti dei rifugiati. Non sono in pochi/e a pensarla molto diversamente e non si tratta solo di razzisti dichiarati, militanti di movimenti neonazisti e della destra xenofoba e populista, ma anche dei cosiddetti “cittadini preoccupati”. Costoro, quelli/e del “io non sono razzista, ma…”, si muovano essi in forma spontanea o organizzata, quando trovano il “coraggio” di esporre in modo aperto e collettivo le proprie paure irrazionali ed i propri pregiudizi rappresentano un’ottimo paravento per le attività degli xenofobi politicamente organizzati, ma anche per quei politici al potere che strumentalizzano le azioni delle masse razziste, che nei loro discorsi tornano ad essere “cittadini preoccupati”, per limitare i diritti dei migranti, in uno sporco gioco nel quale le vittime diventano un problema da risolvere. Nulla di nuovo, i tempi e le circostanze variano, ma nella sostanza la storia rischia di ripetersi…

Rostock- Lichtenhagen, Agosto 1992 *: alcune centinaia di neonazisti, assistiti e coperti da circa 3mila “cittadini preoccupati”, attaccano un centro di accoglienza per richiedenti asilo (i cui ospiti, principalmente rom rumeni,vengono evacuati) per poi scatenarsi contro l’adiacente complesso edilizio che ospita più di 100 lavoratori/trici vietnamiti, il tutto sotto gli occhi della polizia “impotente”. Numerosi agenti vengono feriti, pochissimi neonazisti vengono arrestati e spesso rilasciati il giorno dopo, mentre viene impedita con la forza una manifestazione antirazzista di solidarietà agli/e aggrediti/e e 60 attivisti/e vengono arrestati/e. Il pogrom dura in tutto cinque giorni, gli abitanti della palazzina vengono lasciati completamente alla mercè degli aggressori, la folla impedisce il passaggio di pompieri e ambulanze mentre vengono lanciati oggetti, pietre e molotov contro l’edificio. Alla fine, miracolosamente, gli/le immigrati/e vietnamiti riescono a sottrarsi alle fiamme ed al fumo, arrampicandosi sul tetto e rifugiandosi nell’edificio adiacente, dal quale potranno poi venir portati via su due bus. A seguito di questi avvenimenti e delle ripetute aggressioni avvenute prima e dopo di essi ai danni di strutture di accoglienza per immigrati e di persone di origine straniera, il governo allora in carica, formato da cristiano-democratici e liberali, farà approvare con l’appoggio decisivo dei socialdemocratici una legge costituzionale che limita il diritto di asilo in Germania.

Germania, adesso: nel 2014 sono state registrati 247 attacchi a strutture di accoglienza per immigrati e 81 aggressioni di stampo razzista, quest’anno siamo rispettivamente a quota 98 e 26**. Dopo queste ripetute aggressioni, danneggiamenti e incendi, a Tröglitz come a Berlino, a Heidenheim come a Lubecca, c’è da chiedersi se la Storia sia veramente capace di insegnare qualcosa- o piuttosto se le persone siano in grado di imparare da essa. Di sicuro qualcuno ha imparato qualcosa: i politici, che come nei primi anni ’90 del secolo scorso infiammano il dibattito sul diritto di asilo, parlando di “abusi” da parte dei/lle migranti e distinguendo tra Paesi di provenienza a rischio e “sicuri”, differenziando tra chi fugge dalle guerre e chi dalle crisi economiche – pur sapendo che entrambe le cose sono prodotti di un passato coloniale e di un sistema economico basato sullo sfruttamento e sull’iniqua distribuzione delle ricchezze del quale ancora c’è chi raccoglie i frutti amari e chi i profitti- per poi strumentalizzare gli atti di violenza a danno dei migranti e promuovere leggi restrittive nel nome della “volontà popolare” e della “sicurezza”; i neonazisti organizzati e i “cittadini preoccupati”, razzisti e xenofobi, che hanno ancora ben presente che lo Stato è incline ad accogliere strumentalmente almeno una parte delle loro istanze, a patto che vengano presentate con “metodi persuasivi”, consci di rimanere solitamente impuniti per le loro nefandezze. E noi, antifascisti/e, antirazzisti/e, noi che aspiriamo ad un mondo senza barriere e confini dove nessuno/a sia costretto a fuggire e dove chiunque voglia spostarsi possa farlo in piena libertà, cosa abbiamo imparato dal passato? Abbiamo imparato a conoscere meglio i nostri nemici, a contrastare le loro strategie, a costruire solidarietà concreta con chi è costretto/a a fuggire per colpa di crisi economiche, guerre e altre catastrofi provocate dal sistema dominante? Abbiamo imparato a reagire in modo efficace alle guerre tra poveri ed allo sbraitare del ceto medio sulla presunta perdita dei propri privilegi, a denunciare i profitti sulla pelle dei richiedenti asilo, a smascherare intersezioni di intenti e complicità tra politicanti affermati nei salotti borghesi, teppaglia neonazista e sfruttatori/trici capitalisti/e? Siamo riusciti/e finora a raccogliere i frutti dei nostri discorsi quotidiani con la gente, della nostra opera di informazione, siamo riusciti a spingere qualcuno/a a ragionare veramente? Quanti/e dovranno ancora subire ostilità, umiliazioni, aggressioni da parte degli organi statali e della teppaglia razzista, quanti/e ancora dovranno morire come a Solingen e Mölln, quante volte dovremo ancora gridare per le strade “Nie wieder!” temendo che non sia l’ultima volta?

 

*Sul pogrom di Rostock-Lichtenhagen, per approfondire: documentario “The Truth lies in Rostock”.

**Dati pubblicati dalle associazioni Amadeu Antonio Stiftung e PRO ASYL.

Carta.

Il 4 Novembre scorso il sindaco di Messina, tale Riccardo Accorinti, ha esposto durante la festa delle forze armate una bandiera della pace che, come si vede nell’ormai nota foto sopra, recava la scritta “l’Italia ripudia la guerra”. Diverse persone hanno applaudito di fronte a questo gesto e, devo ammetterlo, anche a me è venuta istintivamente voglia di farlo, senonchè mi si sono incrociate le mani. “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di offesa alla libertà di altri popoli e come strumento per la risoluzione di controversie internazionali”, cito a memoria, è l’articolo numero undici di quella carta costituzionale che ancora qualche mese fa un guitto di corte definiva, di fronte ad un nutrito pubblico di lobotomizzati telespettatori, “la più bella del mondo”. Non mi sorprende che la legge di tutte le leggi sia ancora citata ad ogni spron battuto da tante persone ingenue o illuse, in fondo ci sono scritte su tante cose carine: la repubblica a sovranità popolare fondata sul lavoro che rimuove gli ostacoli che limitino libertà e uguaglianza dei cittadini dotati di pari diritti senza discriminazioni razziste e sessiste, che ripudia la guerra, che stabilisce che il lavoro debba essere adeguatamente remunerato, che s’impegna nella difesa dei beni pubblici, che proibisce la ricostituzione del disciolto partito fascista eccetera eccetera. Cito ancora a memoria, perchè l’ultima volta che ho avuto in mano una copia della Costituzione Italiana è stato nei tardi anni ’90, ricordo ancora che quella copia (datata 1994, se non ricordo male) ci venne data a scuola e conteneva un discorsetto introduttivo dell’allora presidente della camera dei deputati Irene Pivetti, eletta tra le file della Lega Nord. Sì, quel partito che voleva la secessione della fantomatica Padania dal resto d’Italia. Molto costituzionale! Da allora non ho più avuto bisogno di aprire quel libricino per rileggerne gli articoli, chè ad ogni assemblea o manifestazione alla quale io abbia partecipato in quegli anni qualcuno (compreso me) declamava o sbandierava o inalberava o indossava sotto forma di t-shirt qualche articolo della sacra charta magna suppostamente nata dai valori della resistenza. Lo ammetto, anche io sono stato ingenuo, ma crescendo si matura e si prende maggiormente coscienza della realtá che ci circonda, rendendosi anche conto che a declamare gli articoli della Costituzione non sono solo gli illusi o gli ingenui dei quali ho scritto sopra, ma anche e soprattutto le persone in malafede. Nemmeno oggi ho bisogno di riprendere in mano il testo della Costituzione Italiana per ricordare cosa reciti e non ho bisogno di fare molti sforzi per rammentare a me stesso e agli altri quante volte i suoi articoli siano stati calpestati senza il benchè minimo pudore da chi dovrebbe esserne il garante, da quegli stessi personaggi che quando gli fa comodo (fin troppo spesso) li declamano per tenere a bada il popolo illuso, salvo poi, tornando all’articolo undici, mandare contingenti militari in Afghanistan, tanto per dire, allo scopo di offendere la libertà di un altro popolo (e di cancellare dalla faccia della terra diversi suoi membri, soprattutto quelli che non indossano una divisa né portano armi e vengono convenzionalmente definiti col nome di “civili”) creando e non risolvendo controversie al solo scopo di garantire interessi economici e strategici a vantaggio proprio e dei propri alleati militari. Oggi io non mi appello più alle leggi di uno Stato, nello Stato non ci credo proprio e per questo molti mi definiscono come un sognatore che vive di utopie. Sono gli stessi che continuano a citare gli articoli costituzionali chiedendo a chi per primo da sempre li calpesta che questi vengano rispettati. Chi è il sognatore?