Deutsche zuständen.

Fuggono dalla guerra e dalle persecuzioni, affrontano un viaggio rischioso andando incontro ad un futuro incerto lasciandosi alle spalle non solo la vita e i luoghi che conoscevano fino ad allora e ai quali sono legati/e, gli averi ed una qualche forma per quanto illusoria di “sicurezza” e “normalità”, ma spesso anche le persone a loro care. Arrivati/e nei luoghi dove dovrebbero riprendersi dai traumi ed elaborare le perdite subite per poi iniziare una nuova vita, vengono accolti spesso con ostilità…

In Germania, non lo nego, esistono parecchie persone ben intenzionate che si esprimono a favore della “cultura dell’accoglienza” (Willkommenskultur) nei confronti dei profughi e che addirittura sono disposte ad aiutare in prima persona. Ciò è ammirevole, anche se queste volenterose ed accoglienti persone, spesso, fanno discorsi puramente utilitaristici: “appena potranno i rifugiati inizieranno a lavorare, a studiare, a fare apprendistato…siamo sicuri che la maggior parte di loro vuole integrarsi! In un Paese come il nostro, con un basso tasso di natalità e una buona disponibilità di posti di lavoro anche per personale meno qualificato, per giunta in una fase di congiuntura economica positiva, gli immigrati sono una risorsa, pagheranno le tasse, col loro lavoro pagheranno anche le nostre pensioni…inoltre alcuni di loro sono altamente qualificati, il mercato richiede le loro competenze”. E se invece chi mette piede sul suolo teutonico fosse portatore di valori che mettono in discussione l’ordine sociale costituito e volesse sovvertire il sistema economico, produttivo e di consumo e le relazioni sociali mercificate, distruggere le gabbie fisiche e mentali sulle quali questo sistema di dominio si fonda, per promuovere invece una società di liberi ed eguali, come li accogliereste? Hahaha, niente paura, la mia è solo una provocazione! L’emancipazione non verrà “da fuori”, dobbiamo essere noi a promuoverla, tenendo conto che i migranti spesso ambiscono solo ad un cantuccio di benessere e sicurezza “borghesi”, all’integrazione ed al conformismo, all’accesso ai consumi con tutti i beni futili che a loro come a noi stanno tanto a cuore e in cambio dei quali noi come loro sacrifichiamo il nostro tempo ed il mare aperto delle nostre possibilità e potenzialità, salariati ed alienati fino alla tomba…

Ma non è di questo che voglio continuare a parlare, non di quelle persone che, al netto di tutte le critiche e rimostranze nei confronti dei loro ragionamenti funzionali alla logica capitalista, sono sinceramente ben disposte nei confronti dei rifugiati. Non sono in pochi/e a pensarla molto diversamente e non si tratta solo di razzisti dichiarati, militanti di movimenti neonazisti e della destra xenofoba e populista, ma anche dei cosiddetti “cittadini preoccupati”. Costoro, quelli/e del “io non sono razzista, ma…”, si muovano essi in forma spontanea o organizzata, quando trovano il “coraggio” di esporre in modo aperto e collettivo le proprie paure irrazionali ed i propri pregiudizi rappresentano un’ottimo paravento per le attività degli xenofobi politicamente organizzati, ma anche per quei politici al potere che strumentalizzano le azioni delle masse razziste, che nei loro discorsi tornano ad essere “cittadini preoccupati”, per limitare i diritti dei migranti, in uno sporco gioco nel quale le vittime diventano un problema da risolvere. Nulla di nuovo, i tempi e le circostanze variano, ma nella sostanza la storia rischia di ripetersi…

Rostock- Lichtenhagen, Agosto 1992 *: alcune centinaia di neonazisti, assistiti e coperti da circa 3mila “cittadini preoccupati”, attaccano un centro di accoglienza per richiedenti asilo (i cui ospiti, principalmente rom rumeni,vengono evacuati) per poi scatenarsi contro l’adiacente complesso edilizio che ospita più di 100 lavoratori/trici vietnamiti, il tutto sotto gli occhi della polizia “impotente”. Numerosi agenti vengono feriti, pochissimi neonazisti vengono arrestati e spesso rilasciati il giorno dopo, mentre viene impedita con la forza una manifestazione antirazzista di solidarietà agli/e aggrediti/e e 60 attivisti/e vengono arrestati/e. Il pogrom dura in tutto cinque giorni, gli abitanti della palazzina vengono lasciati completamente alla mercè degli aggressori, la folla impedisce il passaggio di pompieri e ambulanze mentre vengono lanciati oggetti, pietre e molotov contro l’edificio. Alla fine, miracolosamente, gli/le immigrati/e vietnamiti riescono a sottrarsi alle fiamme ed al fumo, arrampicandosi sul tetto e rifugiandosi nell’edificio adiacente, dal quale potranno poi venir portati via su due bus. A seguito di questi avvenimenti e delle ripetute aggressioni avvenute prima e dopo di essi ai danni di strutture di accoglienza per immigrati e di persone di origine straniera, il governo allora in carica, formato da cristiano-democratici e liberali, farà approvare con l’appoggio decisivo dei socialdemocratici una legge costituzionale che limita il diritto di asilo in Germania.

Germania, adesso: nel 2014 sono state registrati 247 attacchi a strutture di accoglienza per immigrati e 81 aggressioni di stampo razzista, quest’anno siamo rispettivamente a quota 98 e 26**. Dopo queste ripetute aggressioni, danneggiamenti e incendi, a Tröglitz come a Berlino, a Heidenheim come a Lubecca, c’è da chiedersi se la Storia sia veramente capace di insegnare qualcosa- o piuttosto se le persone siano in grado di imparare da essa. Di sicuro qualcuno ha imparato qualcosa: i politici, che come nei primi anni ’90 del secolo scorso infiammano il dibattito sul diritto di asilo, parlando di “abusi” da parte dei/lle migranti e distinguendo tra Paesi di provenienza a rischio e “sicuri”, differenziando tra chi fugge dalle guerre e chi dalle crisi economiche – pur sapendo che entrambe le cose sono prodotti di un passato coloniale e di un sistema economico basato sullo sfruttamento e sull’iniqua distribuzione delle ricchezze del quale ancora c’è chi raccoglie i frutti amari e chi i profitti- per poi strumentalizzare gli atti di violenza a danno dei migranti e promuovere leggi restrittive nel nome della “volontà popolare” e della “sicurezza”; i neonazisti organizzati e i “cittadini preoccupati”, razzisti e xenofobi, che hanno ancora ben presente che lo Stato è incline ad accogliere strumentalmente almeno una parte delle loro istanze, a patto che vengano presentate con “metodi persuasivi”, consci di rimanere solitamente impuniti per le loro nefandezze. E noi, antifascisti/e, antirazzisti/e, noi che aspiriamo ad un mondo senza barriere e confini dove nessuno/a sia costretto a fuggire e dove chiunque voglia spostarsi possa farlo in piena libertà, cosa abbiamo imparato dal passato? Abbiamo imparato a conoscere meglio i nostri nemici, a contrastare le loro strategie, a costruire solidarietà concreta con chi è costretto/a a fuggire per colpa di crisi economiche, guerre e altre catastrofi provocate dal sistema dominante? Abbiamo imparato a reagire in modo efficace alle guerre tra poveri ed allo sbraitare del ceto medio sulla presunta perdita dei propri privilegi, a denunciare i profitti sulla pelle dei richiedenti asilo, a smascherare intersezioni di intenti e complicità tra politicanti affermati nei salotti borghesi, teppaglia neonazista e sfruttatori/trici capitalisti/e? Siamo riusciti/e finora a raccogliere i frutti dei nostri discorsi quotidiani con la gente, della nostra opera di informazione, siamo riusciti a spingere qualcuno/a a ragionare veramente? Quanti/e dovranno ancora subire ostilità, umiliazioni, aggressioni da parte degli organi statali e della teppaglia razzista, quanti/e ancora dovranno morire come a Solingen e Mölln, quante volte dovremo ancora gridare per le strade “Nie wieder!” temendo che non sia l’ultima volta?

 

*Sul pogrom di Rostock-Lichtenhagen, per approfondire: documentario “The Truth lies in Rostock”.

**Dati pubblicati dalle associazioni Amadeu Antonio Stiftung e PRO ASYL.

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