Ciò che è giusto e ciò che è legale.

Risultati immagini per erri de lucaIl prossimo 19 Ottobre si terrà il processo che vede imputato lo scrittore Erri De Luca, accusato di aver sostenuto la legittimità del sabotaggio come mezzo di lotta contro il progetto dei treni ad alta velocità. I pm che imbastiscono l’accusa, i ben noti Rinaudo e Padalino, come sempre dediti all’attacco del movimento NO-TAV, chiedono per De Luca una condanna a 8 mesi di carcere.

Il 15 Agosto, nella zona della Renania, in Germania, un migliaio di manifestanti del coordinamento Ende Gelände hanno bloccato i lavori nella miniera di carbone a cielo aperto del colosso energetico RWE, per protestare col metodo dell’azione diretta e della disobbedienza civile contro la devastazione ambientale e l’inquinamento. Sono piovute, oltre che manganellate e spray urticante, anche 800 denunce, che hanno colpito non solo gli/le attivisti/e ma anche alcuni/e giornalisti/e presenti sulla scena. La RWE ha gentilmente messo a disposizione della polizia, oltre che il personale della sicurezza privata, i propri mezzi per poter provvisoriamente fermare e identificare gli/le attivisti. O meglio, lo Stato ha come sempre messo a disposizione le proprie forze repressive per difendere gli interessi della grande proprietà privata.1 La collusione tra apparati repressivi statali e interessi capitalisti è ovvia: difesa del capitale e degli interessi economici über alles und überall. Ma disobbedire ad una legge di uno Stato, creata oggi e revocabile domani dai pochi che detengono il potere, non è la stessa cosa che disobbedire ad una legge fondamentale della natura (e della logica, direi!) che impone che il pianeta nel quale tutti/e noi viviamo vada salvaguardato per noi e per le future generazioni piuttosto che depredato e devastato. Nel primo caso si rischiano gogne mediatiche, processi, multe,  mesi o anni di carcere o comunque provvedimenti restrittivi della libertà personale, nel secondo caso si rischia la catastrofe, l’annichilimento del genere umano e delle altre specie viventi che popolano la Terra. Mettere im pratica azioni che contrastino con la logica del profitto ai danni della vita, della salute, del benessere collettivo o anche solo giustificare tali azioni verbalmente può anche essere un reato per uno Stato, per un sistema giudiziario, ma è senza ombra di dubbio un fatto non solo legittimo, ma necessario da un punto di vista etico, se l’etica è degna di questo nome. Dov’è la violenza? Nel danneggiamento di un macchinario usato per portare a termine un’opera nefasta, nel bloccare un’attivitá nociva, o nell’opera nefasta e nell’attività nociva? E cosa istiga alla resistenza attiva contro un’ingiustizia, un sopruso, un male arrecato a noi e alla terra sulla quale viviamo: le parole di una qualsiasi persona, più o meno nota che sia, che parla con coscienza e senza timore, o forse il sopruso, l’ingiustizia, il male di per sé? Chi lotta contro la devastazione ed il saccheggio delle risorse comuni deve sempre porsi problemi di ordine morale, mentre i nostri nemici si pongono quelli di ordine legale, perchè le leggi -almeno quelle artificiali, create da chi serve il sistema dominante- sono dalla loro parte. Dalla nostra parte c’è il coraggio di dire ciò che si pensa e di agire in prima persona senza scioccamente affidarsi alle false soluzioni e alle parole vuote di chi il problema lo ha creato, c’è la costanza e l’affetto nel tendere la mano a chi lotta con noi e si trova in difficoltà. Rispetto e solidarietà per Erri De Luca e per chiunque diventi un granello di sabbia nell’ingranaggio dell’ingiustizia che il sistema chiama giustizia.

Il Kurdistan chiama: rispondiamo!

Le terre comprese tra Iran, Irak, Siria e Turchia abitate prevalentemente dalla popolazione curda sono da decenni sotto il fuoco incrociato della repressione dei diversi Stati ai quali ufficialmente appartengono le rispettive porzioni di territorio. La Turchia in particolare ha un conto in sospeso con i curdi: dopo aver tentato di assimilarli senza successo, facendo largo uso della più brutale violenza nei casi di reticenza o resistenza da parte della popolazione civile, avendo ancor meno successo nella lotta contro la guerriglia creatasi come conseguenza al totale rifiuto di soluzioni diplomatiche e pacifiche da parte del potere dello Stato turco, dopo aver giocato la carta dell’appoggio nemmeno troppo velato ai fondamentalisti islamici dell’ISIS ( o, per chiamarli con il termine dispregiativo più appropriato, Daesh), oggi finge di entrare in guerra contro i combattenti del califfato mentre in realtà bombarda le postazioni dei/lle resistenti curdi/e, che dal canto loro avevano di recente cessato qualsiasi ostilità nei confronti delle autorità turche. Allo Stato turco, fortemente centralista e apertamente autoritario, non va giù che in Kurdistan sia ormai in atto, da almeno un decennio a questa parte, un processo di autogestione comunale profondamente democratico, che coinvolge organizzazioni di base composte dagli/e abitanti di villaggi e quartieri delle città. L’obiettivo di questo processo non è quello di creare uno Stato curdo indipendente, bensì quello di autogestire le risorse comuni in modo orizzontale, secondo il principio della democrazia di base, per far fronte alle esigenze della popolazione di un’area geografica particolarmente povera e oppressa. Anche l’abbandono da parte del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) dell’ideologia marxista-leninista a favore di una concezione tendenzialmente socialista libertaria, simile a quella espressa nelle opere dell’anarchico statunitense Murray Bookcin, “padre” di concetti quali ecologia sociale e municipalismo libertario, ha avuto un ruolo importante nell’influenzare le prospettive di cambiamento sociale, economico e politico. Col passare del tempo sono stati creati nel Kurdistan “turco” collettivi e cooperative nel settore agricolo, edilizio, scolastico, sanitario, culturale ed artigianale, organizzazioni di base giovanili e femminili, realtà che si coordinano tra loro e che collaborano con le amministrazioni comunali “amiche” e disposte a sostenere lo sviluppo dell’autogestione, secondo la logica -sempre citando Bookchin- del conflitto Comune-Stato; si tenta un’approccio produttivo che esuli dalla logica capitalista, ancora relativamente poco sviluppata in quelle terre; si fa ricorso a comitati di mediazione e pacificazione per risolvere diatribe e far fronte al crimine, alle violenze private ed alle faide familiari; si creano regole proprie, comunemente decise, per aggirare quelle eteronome dello Stato centrale;  le donne si integrano, non senza dover superare grossi ostacoli ma in ogni caso con enorme successo, nei processi decisionali, si rendono economicamente indipendenti, imparano a difendersi dalle violenze e ad acquisire autostima e consapevolezza scardinando i residui della vecchia società patriarcale, divenendo il motore della rivoluzione sociale in corso- il tutto con un’approccio ecologista.  Di per sé è straordinario che questo processo di cambiamento, lento ma inesorabile, sia andato avanti fino allo scoppio del conflitto in Siria e all’aggressione terroristica di Daesh, ma è ancor più straordinario che tutto ciò vada avanti nonostante la guerra oggi in atto. Un processo simile coinvolge i cantoni autonomi curdi ufficialmente appartenenti allo Stato siriano, che implementano il confederalismo democratico in una situazione a dir poco proibitiva. I curdi e chi lotta al loro fianco al di lá di divisioni etniche o religiose, armeni, yazidi, assiri, aramei, arabi, turchi e turcomanni, cristiani o musulmani, aleviti o zoroastriani o atei che siano, necessitano di tutto il sostegno possibile nella loro lotta contro l’aggressione dei fondamentalisti islamici di Daesh e dei governi degli Stati che tentano di impedire la loro emancipazione. Ci sono momenti nei quali i dibattiti su aspetti teorici di un processo di cambiamento sono indispensabili e si può tranquillamente discutere sulla differenza fra “lotta di classe” e “lotta popolare”, fra abolizione della proprietà privata e uso comune di tale proprietà, fra abolizione dello Stato e appoggio alle istituzioni locali in chiave decentralista; ci sono invece momenti nei quali la  domanda che ciascuno/a di noi dovrebbe porsi urgentemente è: come possiamo appoggiare il cambiamento in corso, come possiamo sostenere la lotta dei curdi e delle popolazioni minacciate dai fondamentalisti islamici e dalla violenza militare dello Stato turco, come dare una mano a profughi e sfollati? Io avrei un paio di modesti suggerimenti, basati sulla mia esperienza personale di attivismo politico e su azioni tuttora in corso o svoltesi nei mesi passati in diverse parti del mondo. Suggerimenti forse vaghi, generici, alcuni più efficaci di altri, chissà, ma restare fermi a guardare non è un’opzione accettabile non dico per un anarchico/a, ma per chiunque conservi ancora un briciolo di umanità, di solidarietà, di sincero amore per la libertà. Inoltre penso che più si rafforza la solidarietà internazionale di chi ha a cuore la rivoluzione sociale libertaria e meno peseranno alla fine del conflitto gli aiuti “sbagliati” (per quanto sembrino ora decisivi almeno su un piano militare), quelli dei Paesi Occidentali sempre interessati al proprio tornaconto nazionale ed al controllo politico ed economico di intere aree geografiche a prescindere dalla volontà delle popolazioni che le abitano…. Pertanto: Che fare?

Informare ed informarsi:Risultati immagini per solidarity kurdistan donations

i massmedia mainstream riportano solitamente notizie e dichiarazioni  di fonte turca. Diamo voce a chi appoggia la resistenza curda, diffondiamo interviste, comunicati, video, aggiornamenti. Usiamo tutti i mezzi a nostra disposizione, soprattutto internet, ma non dimentichiamo la comunicazione diretta con le persone “in carne e ossa”. Spieghiamo ad esempio non solo quanto sia importante la lotta contro Daesh, ma anche e soprattutto chi sta lottando VERAMENTE contro i fondamentalisti islamici e che tipo di cambiamento è in corso nella società curda. Se possibile andrebbero organizzate conferenze e dibattiti pubblici con persone che hanno una conoscenza il più possibile approfondita della questione curda;

– Protestare e fare pressione:

Risultati immagini per we stand in solidarity with freedom fighters of Rojavain numerose città sono state organizzate proteste sotto le ambasciate e i consolati turchi, contro le politiche assassine del partito AKP di Erdogan, in solidarietà ai/lle combattenti curdi, contro il fondamentalismo islamico. E-Mail e lettere di protesta di massa indirizzate alle rappresentanze istituzionali turche, boicottaggi ben organizzati e ampiamente pubblicizzati, manifestazioni e presidi possono essere metodi di pressione efficaci e danno la possibilitá di portere all’attenzione pubblica questioni altrimenti rimosse o manipolate dai massmedia:

-Raccogliere fondi:

da diversi mesi a questa parte sono state messe in campo svariate iniziative atte a raccogliere denaro necessario per la ricostruzione delle infrastrutture, per procurare beni di prima necessità agli/lle sfollati, per la sanità, per sostenere progetti e associazioni locali esistenti anche da prima dello scoppio guerra, ma anche per acquistare armi necessarie all’autodifesa della popolazione. Sono stati organizzati concerti, cene benefit, tombole, mercatini, collette, sono state prodotte e vendute magliette che oltretutto servono anche a comunicare un messaggio chiaro e a stimolare la curiositá e un possibile dialogo con le persone che incontriamo quotidianamente. A volte basta davvero poco, anche solo un barattolo con su scritto “offerte per i/le combattenti curdi in Rojava” durante una festa. I fondi possono essere destinati a una o più organizzazioni che operano sul posto e usati per diversi scopi, nel dubbio contattare gruppi organizzati di persone che si recano in Kurdistan o che hanno contatti diretti con le persone del posto. Per chi avesse bisogno di qualche esempio dalla Germania può cliccare qui.

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Repressione in Spagna: dopo Pandora, ecco la Pignatta.

Il seguente articolo è tratto dal sito Informa-Azione:

“Spagna | Repressione – Operación Piñata: 13 arresti per “terrorismo anarchico”

Alle 6.30 della mattina del 30 marzo 2015 ha preso corpo una nuova operazione contro le realtà anarchiche in Spagna.
Le forze repressive hanno fatto irruzione in diverse occupazioni (tra cui le case “Quimera” e “13-14” a Madrid; “la Redonda” a Granada) e abitazioni di compagn* a Madrid, Palencia, Granada e Barcellona.

Nel corso della mattinata sono state arrestate 37 persone:

13 compagn* sono detenuti con l’accusa di “organizzazione criminale con finalità di terrorismo”; si hanno ancora poche informazioni in merito a reati specifici ed elementi probatori contestati nei loro confronti. Le dichiarazioni dei registi di questa operazione, riportate dai media di regime iberici, riferiscono di aver dato un duro colpo all’organizzazione denominata GAC (Gruppi Anarchici Coordinati), che vi sarebbero ipotesi di collegamento con alcuni attacchi a strutture ecclesiastiche e filiali bancarie (motivazioni già utilizzate nell’Op. Pandora), fino a sostenere genericamente che le persone coivolte “intendevano seminare il terrore nella popolazione per imporre le proprie idee”: pratiche che il governo spagnolo e il suo braccio armato conoscono molto bene e praticano con assiduità.

Altre 24 persone sono state fermate e detenute come conseguenza delle 17 irruzioni e perquisizioni effettuate, di cui 6 in spazi o abitazioni occupate; di queste, 13 sono accusate di resistenza e disobbedienza, mentre 11 di occupazione.
Un aggiornamento del 31 marzo conferma l’avvenuta liberazione delle prime 13 e i presupposti per quella dei restanti.

Restano quindi in carcere 13 compagni e compagne con l’accusa di terrorismo.

Il nome dato a questa manovra repressiva è “Operación Piñata” (Operazione Pignatta, come l’involucro da prendere a bastonate per farvi uscire i dolciumi). Dopo il fallimento della precedente Operazione Pandora, il cui nome suggeriva lo scoperchiamento e il disvelamento dei minacciosi segreti della conflittualità anarchica, risolvendosi in 7 compagne e compagni tratti in arresto e rilasciati con restrizioni dopo un paio di mesi a causa dell’inconsistenza del piano accusatorio, è il turno della Pignatta.
Hanno mostrato i muscoli e invaso abitazioni e occupazioni, portandosi via 37 persone e trattenendone 13 con l’accusa di terrorismo.

Quanto è osservabile, è la volontà dello Stato Spagnolo di sperimentare sul campo gli strumenti di cui si è dotata la sua componente repressiva: leggi antiterrorismo e Ley Mordaza (“legge bavaglio” che estende in modo arbitrario il potere di fermo delle forze dell’ordine e infligge pesanti sanzioni pecuniare per le manifestazioni non-autorizzate). L’altra faccia delle riforme economiche dettate della Troika è la strutturazione di una repressione muscolare in grado di terrorizzare e contenere i conflitti innescati dalla macelleria sociale; gli anarchici sono un buon bacino su cui testare queste nuove armi. Un bacino pericoloso, anche perché refrattario alla delega democratica e alla sottrazione di conflittualità attiva, incarnate invece dal movimento Podemos.

Due operazioni repressive su grande scala in meno di quattro mesi rappresentano un evidente tentativo di fiaccare la rabbia e la determinazione delle compagne e dei compagni anarchici nella penisola iberica; il contesto spagnolo di per sé, come ogni società attraversata da cruente rimodulazioni sul piano economico e repressivo, è un esperimento ai cui risultati potranno attingere gli oppressori in altre nazioni, cercando di replicarli. La solidarietà è uno degli strumenti nella cassetta degli attrezzi per sabotare i piani di questi pezzi di merda.

Seguiranno aggiornamenti e comunicati”

Sembra passato un giorno dal 1915…

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La foto qui sopra, diffusa nelle ore scorse sui cosiddetti social networks e in seguito ripresa dai massmedia, mostra uno dei due appartenenti all’organizzazione marxista-leninista turca DHKP-C che tiene in ostaggio, puntandogli una pistola alla tempia, il procuratore Mehmet Selim Kiraz nel suo ufficio all’interno del palazzo di giustizia ad Istanbul, dove i due giovani armati hanno fatto stamane irruzione. Kiraz era l’incaricato che indaga sull’uccisione da parte della polizia del 14enne Berik Elvan, colpito nel Giugno 2013 da un candelotto lacrimogeno durante le proteste di Gezi Park. Berik non era coinvolto nelle proteste, a quanto sembra stava andando a comprare il pane e si era trovato per caso nel mezzo degli scontri; entrato in coma, il ragazzo morì dopo oltre nove mesi e il suo omicidio rimane tuttora impunito visto che la “giustizia” non è riuscita ad appurare l’identità del poliziotto che lo ha ucciso. Quello che però la “giustizia”, il governo di Erdogan e la polizia sono riusciti a fare è stato reprimere duramente le proteste popolari scoppiate a seguito della morte di Berik, che si sono riaccese nuovamente l’11 Marzo di quest’anno in diverse città turche (Ankara, Istanbul, Eskişehir, İzmir, Tekirdağ…), durante le quali un’altra giovanissima ragazza è rimasta gravemente ferita da un candelotto lacrimogeno e giace anche lei in coma.

“Chiedono chi stia dando ordini alla polizia. Li ho dati io stesso”, disse Erdogan, all’epoca primo ministro (oggi presidente) turco, riferendosi alla morte di Berkin Elvan, da lui definito in seguito un “terrorista”. Una frase che mi riporta alla mente, per immediata associazione di idee, le parole del famigerato discorso pronunciato da Benito Mussolini dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti. Responsabilità morale. Come quella di Erdogan, dei suoi scagnozzi e dei suoi sostenitori, non solo di fronte alla morte di Berik Ervan e al ferimento di un’altra ragazzina che forse mai si risveglierà dal coma e alle decine di recenti arresti durante le proteste, ma anche di fronte alla morte di quasi 300 minatori nel Maggio 2014 e alla repressione della rabbia di chi scese per strada chiedendo le dimissioni del governo. Solo pochi giorni fa è stata approvata in Turchia una legge che prevede che la polizia possa sparare addosso ai manifestanti irrequieti, mentre la legge sulla censura dei massmedia per motivi di sicurezza nazionale è stata applicata, secondo il quotidiano turco Hurryet, 150 volte negli ultimi 4 anni, inoltre gli scioperi vengono sospesi o proibiti facendo ricorso a strumenti nati durante la dittatura militare, com’è accaduto con lo sciopero dei metalmeccanici proclamato lo scorso fine Gennaio dal sindacato di ispirazione socialdemocratica BMI. Se a tutto ciò si aggiungono le politiche razziste e di pulizia etnica perpetrate da decenni nei confronti dei curdi, la chiusura delle frontiere per i rifugiati e perseguitati dall’ISIS e l’appoggio solo in parte velato fornito a tale organizzazione, non sembrano passati esattamente 100 anni da quando la Turchia iniziò lo sterminio degli armeni, un genocidio conclusosi con almeno 1 milione di morti. Cambiano gli attori sul palcoscenico, le circostanze storiche, ma oggi come allora siamo di fronte alla barbarie. E di fronte all’evidenza dei fatti ci si può solo chiedere ancora una volta chi siano i veri terroristi: i due ragazzi morti poche ore fa dopo un bliz delle forze speciali nel palazzo di “giustizia” di Istanbul assieme al giudice da loro tenuto in ostaggio, o quelli che sono disposti ad affastellare cadaveri su cadaveri e produrre miseria, violenza e abruttimento pur di mantenere il potere e portare avanti i loro allucinanti progetti nazionalisti ed autoritari? Qual’è il vero terrorismo, un gesto disperato compiuto nel tentativo di ottenere “giustizia” o le cause di tale gesto e di tutta la rabbia che è finora scoppiata e ancora scoppierà in Turchia?

Spagna: informazioni sull’operazione repressiva Pandora.

La mattina del 16 Dicembre 2014, in Spagna, scattava un’operazione repressiva antianarchica denominata Pandora. Da quel giorno diversi articoli e comunicati sono stati postati su siti informativi anarchici. Quello che segue è un breve comunicato sugli avvenimenti occorsi, scritto il giorno stesso nel quale é scattata l’operazione repressiva, pubblicato sul sito A Las Barricadas e riproposto, tradotto, sul sito Informa-Azione:

” Spagna | Repressione – Operazione contro il “terrorismo anarchico”: decine di arresti e perquisizioni

Segue traduzione da alasbarricadas:

La Legge Mordaza (norma approvata da pochi giorni che incrementa in modo arbitrario i poteri giudiziari delle forze repressive – ndt) comincia a manifestarsi nella vita politica del paese. Dalle 5 della mattina del 16 dicembre, cominciava l’operazione repressiva denominata Pandora, contro il “terrorismo anarchico”.
Le accuse della Audiencia Nacional riguardano diversi attentati contro filiali bancarie, tuttavia il comunicato della polizia non ha fornito maggiori dettagli su quali attentati e di che forma di terrorismo si stia parlando, riferendosi genericamente a un diffuso “terrorismo anarchico”.

A quell’ora, i mossos d’esquadra hanno fatto irruzione nella Kasa de la Muntanya, dispiegando un ingente dispositivo, circa 300 poliziotti e un elicottero per visionare e illuminare dall’alto le operazioni. I mossos hanno proceduto alla chiusura delle strade adiacenti, effettuando arresti in questa zona di Barcellona. Da quel momento sono partite altre operazioni nell’Ateneo Libertario di Sant Andreu e in quello di Poble Sec, entrambi a Barcellona; contemporaneamente, in altre dieci località catalane venivano invasi appartamenti e spazi abitativi.
Per ora si ha notizia di 15 arresti (anche se la cifra cambia in base alla fonte), la maggior parte a Barcellona, oltre ad un arresto domiciliare a Madrid (alcune fonti parlano di un pompiere – ndt). Gli arresti sono stati effettuati principalmente nel corso dei raid nelle abitazioni. La polizia ha sequestrato telefonini, computer e materiale cartaceo, inclusi alcuni libri presenti negli atenei libertari. Nella Kasa de la Muntanya, gli/le occupanti sono stati bloccati nella palestra della struttura mentre venivano perquisite le abitazioni dello spazio.

Diverse iniziative sono state indette in Catalunya e in altre parti del paese in solidarietà con gli arrestati.

Seguiranno aggiornamenti e comunicati ”

Altre informazioni aggiornate possono essere reperite sempre su Informa-Azione, al seguente link trovate altri Articoli in lingua italiana sul sito Contra Info sullo stesso argomento. Qui trovate gli indirizzi dei/lle compagni/e arrestati/e, qui invece i dati della cassa di solidarietà creata per sostenere gli/le arrestati/e.

Se loro sono Charlie, io sono Cheeta.

Il seguente articolo è tratto dal sito Insorgenze:

“Non sono tutti Charlie, in scena a Parigi la grande sfilata dell’ipocrisia

Non sono tutti Charlie quelli che sono scesi sulle strade di Parigi per sfilare contro il massacro compiuto nella redazione del giornale satirico francese e la successiva scia di sangue che ne è seguita. Non lo sono soprattutto quelli che hanno preso la testa del corteo, una cinquantina di capi di Stato provenienti da mezzo mondo accompagnati dall’intero establishement francese. Tra loro c’è gente che a casa propria mal tollera la satira o ne fa strame, come quel tal Benyamin Nétanyahou  o Avigdor Lieberman, rispettivamente premier e ministro degli esteri di un Israele che ha sempre eliminato fisicamente vignettisti e poeti palestinesi, timorosa delle loro matite e dei loro versi considerati armi da guerra.
Non è Charlie nemmeno il ministro dell’economia israeliano, quel Naftali Bennett, capo del partito della destra religiosa, Foyer juif, che nel 2013 non ha avuto problemi nel dichiarare: «ho ucciso molti arabi nella mia vita. E tutto ciò non mi crea alcun problema».
Non sono Charlie il re di Jordanie Abdallah II, il capo della diplomazia russa Sergueï Lavrov, il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, il ministro degli esteri degli Emirati arabi uniti, cheikh Abdallah ben Zayed Al-Nahyane, il capo del governo ungherese, Viktor Orban, il presidente della repubblica gabonese Alì Bongo, che Reporters sans frontières colloca nella sua classifica sulla libertà di stampa mondiale rispettivamente: la Turchia al 154° posto, la Russia al 148°, la Giordania al 141°, il Gabon al 98°, Israele al 96° e l’Ungheria al 64°.
In Giordania vengono arrestati giornalisti e chiusi canali televisivi, come recentemente è accaduto per una emittente della opposizione irachena. In Russia basta ricordare la sorte della Politkovskaja oppure il processo e la condanna delle Pussy riot. In Ungheria il governo in mano alla destra populista ha fatto votare una legge bavaglio contro la stampa. In Turchia sono all’ordine del giorno arresti di massa contro i media d’opposizione, per non parlare del sostegno militare e logistico fornito alle forze islamiste che combattono in Siria. Non sono Charlie il presidente ucraino Petro Porochenko e il rappresentante della diplomazia egiziana Sameh Choukryou, paesi dove la libertà di stampa ha vita difficile. Non lo è nemmeno lo spagnolo Mariano Rajoy che non ha problemi a colpire avvocati e stampa basca indipendentista.
Forse dopo il gran defilé che ha benedetto l’union sacrée mondiale per la difesa della libertà di stampa, il miglior regalo che si poteva inviare ai predicatori dell’odio religioso e ai loro dirimpettai fanatici dello scontro delle civiltà, non è più Charlie nemmeno Charlie Hebdo.
La satira è irriverenza assoluta contro il potere e i potenti, altrimenti è solo insulto e ghigno contro i deboli. L’endorsement delle cancellerie mondiali è un abbraccio mortale per un settimanale satirico che così rischia di divenire solo una delle tante gazzette delle grandi potenze. Charlie hebdo non è morto sotto i colpi dei fratelli Chauki ma calpestato dai passi delle cancellerie mondiali.”

Dieci anni fa: Oury Jalloh, morto nelle mani dello Stato.

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Un uomo è rinchiuso in una cella di sicurezza di un commissariato di polizia a Dessau, Germania, legato ad un materasso ignifugo dopo essere stato perquisito, sorvegliato da un sistema di controllo audio e da un agente che passa ogni mezz’ora a verificare le condizioni del detenuto. Quest’uomo si chiama Oury Jalloh, 36 anni, richiedente asilo immigrato dalla Sierra Leone, un uomo spinto ai margini della società che vive spacciando droga. Fermato dalla polizia per ubriachezza molesta, viene rinchiuso nella cella dell’edificio in Wolfgangstraße 25, Dessau, da dove non uscirà vivo. Oury Jalloh muore bruciato, carbonizzato. Durante i processi che si svolgeranno negli anni successivi, la ricostruzione dei fatti fornita dagli agenti parlerà di un detenuto che, nonostante sia legato, riesce a tirar fuori un accendino stranamente sfuggito alla perquisizione, a danneggiare il materasso ignifugo al quale è strettamente fissato con delle cinghie e a incendiarne l’imbottitura, mentre nessuno degli agenti incaricati della sua custodia si accorge di nulla: il volume dell’altoparlante è stato abbassato da un poliziotto che doveva telefonare, il sistema antiincendio sarebbe stato difettoso. Una serie di sfortunate coincidenze insomma, almeno secondo la versione degli agenti, ma messa in discussione e in più punti smentita durante le diverse udienze del processo. Ad aggiungere una nota inquietante alla morte di Jalloh e alle menzogne ad essa seguite c’è anche il caso di un’altra morte, quella di un senzatetto avvenuta nell’Ottobre del 2002 nello stesso luogo, durante il servizio dello stesso agente direttore di servizio. Al termine del processo per la morte di Jalloh la sentenza confermerà la tesi più improbabile (il detenuto si è dato fuoco da solo) e condannerà al pagamento di una multa ed alla sospensione dal servizio l’agente che avrebbe spento l’allarme antincendio evitando perciò di soccorrere l’uomo che bruciava. Da diverse perizie esterne è emerso invece che la vittima, che presentava fratture al naso e lesioni del timpano, non avrebbe potuto suicidarsi in quel modo, inoltre ad accelerare l’effetto devastante dell’incendio sarebbe stato un qualche combustibile, forse benzina. Quel che rimane, oltre alla conferma del fatto che lo Stato protegge i suoi servi a meno che non sia più proficuo sacrificarli per pure ragioni di calcolo, è la volontà da parte di chi si impegna sul fronte antirazzista e antirepressivo di non far dimenticare l’ennesimo morto nelle mani della polizia. Pertanto il 7 Gennaio di ogni anno, in diverse città tedesche, vengono organizzate iniziative in memoria di Jalloh, per gridare ancora una volta che “è stato un omicidio!”.

C’è da aggiungere, come ultima nota dolente, che Jalloh non fu l’unica persona a morire in Germania nelle mani della polizia quel 7 Gennaio del 2005. A Brema, Laye Alama Condé, anch’egli della Sierra Leone, entrato in coma e mai più risvegliatosi dopo esser rimasto soffocato perchè costretto ad ingerire quantità eccessive di un medicinale emetico, si aggiunge alle tante vittime della violenza di Stato in quello che da molti viene ritenuto un “Paese civile”, additato spesso come esempio positivo. La verità è che lo Stato uccide ovunque, in un modo o nell’altro, e come se non bastasse si fa pure beffa delle vittime.

“Nao vai ter copa!”: i mondiali di calcio in Brasile.

In molti/e non aspettano altro in tutto il mondo, animati da passione più o meno accesa nei confronti dello “sport più bello del mondo” o semplicemente dalla voglia di distrarsi dai problemi quotidiani che li/le affliggono: il 12 giugno inizia in Brasile il campionato mondiale di calcio. Non scrivo “dovrebbe iniziare” anche se sarei tentato: il fatto è che, piaccia o no, la logica del capitalismo che sta dietro i grandi eventi non ammette resistenze di sorta ed in nome del profitto si è disposti a passare anche sui cadaveri- letteralmente. A seguito delle proteste di massa contro il previsto aumento dei prezzi dei trasporti pubblici, la mancanza di investimenti statali nel settore sanitario e scolastico, gli sfratti e le politiche repressive nei confronti di poveri ed emarginati attuate dal governo brasiliano, strettamente connesse al grande evento calcistico, a livello internazionale ormai non è solo la voglia di pallone ad essere cresciuta, quanto la consapevolezza che il mondiale-almeno così come è stato organizzato nel Paese ospitante- vada boicottato. A tale proposito, la posizione maggiormente condivisa (che definirei “morbida” e “riformista”) viene efficacemente riassunta da un video visualizzatissimo sul web:

Difficile negare i fatti riassunti nel video, tutt’al più c’è chi corregge alcune affermazioni dell’autrice, ad esempio che la spesa affrontata è di 30 miliardi di reales e non di dollari- ora sì che mi sento sollevato! I “correttori”, che evidentemente non sono appena stati sfrattati da una baracca situata in una favela o pestati a sangue dai poliziotti impegnati a far pulizia in attesa di danarosi turisti, né stanno crepando di una qualche patologia altrimenti curabile a causa delle carenze del sistema sanitario pubblico, si impegnano nell’evidenziare le potenzialità economiche dell’evento per la popolazione tutta, invitando a lasciar perdere proteste e boicottaggi, fiduciosi che il mondiale cambierà in meglio il Brasile. Se così non dovesse essere, sarà allora per la prossima volta, no? Le olimpiadi in Grecia, il mondiale di calcio in Sudafrica, gli europei di calcio in Ucraina e Polonia- qualcuno si ricorda ancora di Italia ’90?: questi ed altri esempi dovrebbero bastare a chi ancora non avesse capito come funzionano certe cose. Chi abbocca alla balla del benessere diffuso scaturito dai grandi eventi di natura commerciale o è un boccalone, oppure è in mala fede e non ha capito che la passione per il calcio, sport popolare e “proletario” per origini storiche, ha poco a che vedere con gli interessi di multinazionali, grandi investitori e lacchè vari. Tra chi invece ha individuato le radici del problema c’è chi partecipa attivamente alle lotte in corso per le strade delle città brasiliane e chi tenta di appoggiare tali lotte con iniziative controinformative e con il boicottaggio attivo del grande evento sportivo di turno. Per chi fosse interessato/a, esiste in italiano una pagina su Facebook che promuove il boicottaggio attivo del mondiale; a chi cerca ulteriori informazioni sulle proteste e sulle ragioni di chi si oppone a questo mondiale di calcio, sulle politiche repressive e sui costi sociali, consiglio di seguire il sito in lingua italiana “Il Resto del Carlinho (Utopia)” che ritengo tra i migliori che io abbia trovato finora sul web; a tutti/e gli/le altri/e, auguro buona visione dell’ennesimo spettacolo sulla pelle degli sfruttati e dei senza diritti, ma tenete sempre presente che un giorno qualcuno potrebbe godersi un nuovo spettacolo costato la vostra miseria ed il vostro sfruttamento. Sempre che quel giorno non sia già arrivato e voi non ve ne rendiate nemmeno conto.

Amburgo: “stato d’eccezione”. Come lo Stato gestisce i conflitti sociali.

Durante una manifestazione svoltasi il 21 Dicembre scorso ad Amburgo, in Germania, contro la minaccia di sgombero dello storico centro sociale Rote Flora occupato dal 1989, la polizia ha fatto largo uso dei metodi che è consueta adoperare quando i padroni lasciano sciolto il guinzaglio e danno l’ordine di attaccare. Come se la violenza rappresentata dalle botte e dagli arresti non bastasse, in alcuni quartieri di Amburgo è stato dichiarato lo stato d’eccezione: Ausnahmezustand. Il che significa non solo l’imposizione del coprifuoco nei quartieri colpiti dal provvedimento, ma anche blocchi stradali, agenti in tenuta antisommossa che pattugliano le strade, controlli e fermi arbitrari operati a discrezione degli agenti. Roba degna di un regime dittatoriale insomma, una situazione che mette in luce per l’ennesima volta non solo i metodi di uno Stato intrinsecamente autoritario che ama decorarsi con l’aggettivo “democratico”, ma anche e soprattutto il modo di relazionarsi che le istituzioni hanno spesso nei confronti dei conflitti sociali. Il centro sociale Rote Flora è da tempo al centro di una campagna intimidatoria orchestrata dall’amministrazione cittadina e dagli investitori che da decenni contribuiscono alla gendrificazione di Amburgo, supportati da diversi media nel costruire campagne diffamatorie a base della collaudata formula “degrado e insicurezza” contro quella che è oramai da anni una realtà sociale animata e frequentata da chi si oppone al pensiero unico dominante. La paura delle istituzioni non viene tanto da possibili reazioni allo sgombero dello storico centro sociale, quanto dall’emergere di conflitti maturati all’interno del sistema stesso che, nell’incapacità di risolverli, li gestisce in modo emergenziale, come nel caso dei rifugiati di Lampedusa. Il tutto in una cornice di finta pace sociale in una città con un’amministrazione “di sinistra”, quella stessa sinistra istituzionale sempre pronta a far da sponda al capitalismo ed al suo seguito di nefandezze usando metodi che non hanno nulla da invidiare a quelli solitamente attribuiti alla “destra”, ma che farebbe meglio a tenere presente che anche le peggiori misure autoritarie troveranno sempre l’opposizione di chi non si piega all’omologazione e alla logica dominante. Già nei giorni scorsi gruppi di centinaia di cittadini e solidali hanno sfidato i divieti di assembramento e circolazione organizzando passeggiate nei quartieri amburghesi (San Pauli, Sternschanz, Altona) sottoposti alle misure restrittive, mentre altre manifestazioni di solidarietà si sono svolte in altri centri tedeschi, ad esempio a Francoforte.

Moscow Death Brigade.

Tizi coi muscoli pompati e pose da gangster che trattano le donne come se fossero oggetti e invitano a “diventare ricchi o morire provandoci” infilando un insulto sessista o omofobo ogni cinque parole mentre la telecamera che riprende le loro mosse stereotipate per il prossimo video da trasmettere su MTV inquadra auto di lusso, party vanesi, catenoni d’oro e abbigliamento di marca: era questa l’idea che avevo della scena hip hop nella seconda metà degli anni ’90 fino a buona parte del primo decennio di questo nuovo millennio, finchè ho scoperto artisti e gruppi che con certi cliché non hanno nulla a che fare.

Un’altro mondo del quale fanno parte anche i Moscow Death Brigade, gruppo hardcore-hip hop che si è fatto un nome nella scena underground russa- e non solo. Composta da elementi provenienti dalla scena punk e hardcore, la band si distingue non solo per i testi politici che riflettono in modo critico sulla realtà sociale e la vita quotidiana in Russia, ma anche per l’attivismo dei suoi membri coinvolti in progetti quali Food Not Bombs, manifestazioni antifasciste e antirazziste, supporto ai compagni incarcerati ed alle famiglie delle vittime delle violenze neonaziste, iniziative contro la brutalità poliziesca e la repressione statale. I concerti dei Moscow Death Brigade in Russia e in altre ex repubbliche dell’URSS sono spesso accompagnati da minacce da parte dei neonazisti e dalla presenza di polizia antisommossa. Nell’anno appena iniziato la band sarà in tour insieme ai What We Feel:

Photo: PLEASE REPOST!</p>
<p>So, finally tour is fully booked!! Thank you all for gig offers, in 2 days we got about 30 mails, for 5 blank dates))) We are thinking to make second part of tour in september-oktober, for dates thats not fits this spring.</p>
<p>so, finally..<br />
1/05 Berlin (D) / Barrio 161 Kreuzberg open air<br />
2/05 Saalfeld (D) / Schlossberg<br />
3/05 Prague (CZ) / Pilot<br />
4/05 Manchester (UK) / 0161 festival<br />
4/05 Katowice (PL) / Marcholt<br />
5/05 Warsaw (PL) / Znosna Lekkosc Bytu<br />
6/05 Kosice (SK) / Collosseum<br />
7/05 Bratislava (SK) / TBA<br />
8/05 Nurnberg (D) / Desi<br />
9/05 Frankfurt (D) / AU<br />
10/05 Dusseldorf (D) / AK47<br />
11/05 Siegburg (D) / SJZ<br />
12/05 Aachen (D) / AZ<br />
13/05 Leuven (BE) / TBA<br />
14/05 Nancy (F) / TBA<br />
15/05 Jena (D) / JG-Stadtmitte<br />
16/05 Hamburg (D) / Skorbut<br />
17/05 Rostock (D) / Riot in my heart<br />
18/05 Berlin (D) / TBA</p>
<p>if you have any questions and booking request for second part of tour - please write to our booking email wwfhcbooking (@) gmail.com

(Testo tradotto dal russo all’inglese da BlacKronstadt, che è anche l’autore dell’ottimo blog RABM):

  1. Heroes do exist in this world, they’re here near us
  2. But your sight passes by them, dimmed by propaganda.
  3. Behind the mess of decay, through the hell smoke of mass media
  4. They commit the feats, asking no reward
  5.  
  6. The paradise of a glamour world, streams of lies from the TV screen –
  7. Consume it until your eyes would sore like rotten wounds
  8. Swallow it! – says the dealer – Because you must!
  9. Just another golden calf leads the herd
  10. Of TV idiots, narco-clowns from the nightclubs,
  11. Venal “patriots” and gibbering “truthsayers”
  12. Silicone lips, greasy face…
  13. Do you want your daughter to be like them? To sell out yourself?
  14. And there are another “heroes”:
  15. On a frontline with stars on their shoulder straps,
  16. Listening to the screeching siren, they’re shepherds of Babylon’s herd (a reference to widespread police brutality and injustice – B.K.)
  17. Set the sound on TV more louder to drown out the moans.
  18. These are the new icons, the examples to follow,
  19. To writhe in ecstatic adoration.
  20. They’ll teach you to be trendy, to keep up with fashion –
  21. Dealer, Antikiller (a movie reference: http://www.imdb.com/title/tt0325005/ – B.K.), a 1000 tonns of cardboard monsters
  22.  
  23. Heroes do exist in this world, they’re here near us
  24. But your sight passes by them, dimmed by propaganda.
  25. Behind the mess of decay, through the hell smoke of mass media
  26. They commit the feats, asking no reward
  27.  
  28. Divide et impera, this law is older than world –
  29. Every segment of consumerism has its idols.
  30. No matter if you’re “guardian of a nation” or a hardcore junkie –
  31. There’s only one puppet master, everything goes in one mouth, in one wallet.
  32. The opium of mass media dictates you whom to be proud of,
  33. Who deserves the respect – come on, memorize their faces!
  34. Got insomnia again? Reach for the remote control,
  35. Feed the addiction in your brain, join the cult!
  36. Blind worship, a whole generation standing on knees,
  37. Heroes are only on the TV screen, you’ll forever remain in their shadow,
  38. Tycoons’ children, thieves, pimps, cops –
  39. They’ll get mountains of gold, you’ll get only a bullet in your head
  40. Stories about drugs, guns, nightclubs,
  41. Money and success built on blood.
  42. These “colossal spirits” teach you to kill for fun,
  43. To solve the moral questions as easy as cracking nuts
  44.  
  45. Heroes do exist in this world, they’re here near us
  46. But your sight passes by them, dimmed by propaganda.
  47. Behind the mess of decay, through the hell smoke of mass media
  48. They commit the feats, asking no reward
  49.  
  50. The luxury-satiated bitches are going crazy with boredom,
  51. But this track is for those who never lay down their hands,
  52. Who does not give up despite the verdict of doctors,
  53. Who reached the fatal line but is going for his dream ’til the end;
  54. For single mothers who raise their children
  55. Despite the poverty, problems and government lies.
  56. Life is getting more and more filthy, injustice burns our eyelids,
  57. But the strong conviction and perseverance can even stop the rivers to flow.
  58. It’s for those who didn’t forgot the heritage of our fathers,
  59. Who didn’t chose the easy but curvy road of scoundrels
  60. Who didn’t betray his calling and his oath to live for people,
  61. It’s for firefighters, rescue workers, medics, teachers –
  62. For those who spend the day in work, and get up before dawn
  63. Who kill the health at three jobs to raise a family,
  64. Who forget their life for the sake of duty…
  65. It’s hard to save yourself, but too easy to lose!
  66.  
  67. Heroes do exist in this world, they’re here near us
  68. But your sight passes by them, dimmed by propaganda.
  69. Behind the mess of decay, through the hell smoke of mass media
  70. They commit the feats, asking no reward