Contro il razzismo, il sessismo e tutte le forme di oppressione.

Ogni giorno, in Europa, le donne vengono fatte oggetto di violenze fisiche e psicologiche, partendo dalle battute da ubriachi al bar e finendo con stupri e omicidi. Ma basterebbe dire che ogni giorno, in Europa, le donne vengono fatte oggetto, punto. Oggetti sul mercato del lavoro, tra le mura domestiche, negli spettacolini televisivi per decerebrati, negli spot pubblicitari. Richiami sessuali, carne sul banco della macelleria capitalista, stereotipi, pallide ombre di se stesse e di ciò che potrebbero realmente essere. Eppure non si assite a ondate di indignazione come quella alla quale ci troviamo di fronte dopo gli episodi di violenza collettiva avvenuti a Colonia, in Germania, nella notte di Capodanno, quando numerose donne sono state derubate e molestate sessualmente da gruppi di uomini nei pressi della stazione centrale. La cosa che sembra interessare maggiormente chi discute dell’argomento è l’origine “straniera” di gran parte degli aggressori, una parte dei quali sarebbero addirittura profughi. Dall’indignazione all’isteria collettiva il passo è breve:ancora un passo e siamo alla strumentalizzazione politica. Partiti e movimenti razzisti, insieme ai vertici degli Stati europei che fanno il possibile per accogliere il minor numero di profughi rendendo loro la vita talmente difficile da spingerli ad andarsene senza nemmeno dover fare la fatica di espellerli, parlano di emergenza, “jihad sessuale”, chiudere le frontiere, cacciare i musulmani. Come sempre la strategia del criminalizzare intere categorie di persone in base a singoli episodi funziona, la gente ha paura, le masse sono irrazionali, tanto quelle degli aggressori di Capodanno quanto quelle che vomitano commenti razzisti ad ogni occasione e che scendono per strada in forme organizzate, come Pegida NRW e Ho.Ge.Sa. Con lo slogan “Pegida protegge”, un miscuglio di circa 1700 tra hooligans, neonazisti e razzisti della porta accanto hanno tentato di manifestare a Colonia lo scorso 9 Gennaio. Scrivo “tentato” non perchè il loro corteo sia stato impedito dalla contemporanea mobilitazione antirazzista di 1300 persone nella stessa città, ma perchè, dopo aver come sempre faticato a formare un servizio d’ordine interno al loro corteo composto da persone che non avessero consumato alcool e che non avessero precedenti penali, i razzisti sono stati fermati e riaccompagnati ai loro treni dalla polizia appena hanno iniziato a lanciare contro di essa bottiglie e petardi. Un grande successo, insomma. D’altra parte non ci si poteva aspettare altro da personaggi xenofobi, omofobi e maschilisti che parlano delle “nostre donne da difendere” come se le donne fossero una proprietà, come se le donne non fossero in grado di difendersi non solo fisicamente ma mettendo innanzitutto in discussione i meccanismi di oppressione e dominio sessista ancora vivi nella nostra società, meccanismi che non vengono “da fuori”, ma sono parte integrante della cultura di dominio patriarcale che finora non è certo stata sconfitta, ma ha solo in parte cambiato forma. La strumentalizzazione securitaria delle violenze sulle donne serve solo a rafforzare i meccanismi di controllo e repressione tanto nelle stazioni quanto alle frontiere, la strumentalizzazione razzista delle violenze sulle donne usa la sofferenza di alcune vittime trasformandola in un’arma contro altre vittime: ad esempio, quelle che fuggono dal terrore delle milizie di ISIS/Daesh che hanno fatto del femminicidio e della distruzione di qualsiasi forma seppur minima di emancipazione femminile la propria bandiera. E chi si oppone con maggior fervore alle orde di Daesh, non solo militarmente ma anche progettando concretamente una società liberata dal patriarcato, sono proprio le donne, in Rojava e altrove. Ciò dovrebbbe insegnare qualcosa di fondamentale a noi tutti/e, al di là dell’indiscutibile diritto all’autodifesa: se non si cambia la struttura delle società nelle quali viviamo non si affronta la radice dei problemi che ci affliggono, siano essi razzismo, sessismo, sfruttamento sul lavoro o negazione e repressione dei nostri desideri e delle nostre esistenze. La lotta dei soggetti oppressi è comune, non ha frontiere, sarà sempre in salita, ma è la più degna e necessaria che si possa combattere.

Risposte creative alla campagna di reclutamento del Bundeswehr.

“Mach, was wirklich zählt!”, ovvero “Fai ciò che conta veramente!” è il motto di una massiccia campagna pubblicitaria lanciata dall’esercito tedesco (Bundeswehr) dal Novembre scorso per promuovere il reclutamento nelle sue fila. Quando ho visto passando per strada il primo di una lunga serie di manifesti pubblicitari, costati insieme a cartoline, sito web e altri ammennicoli la modica cifra totale di 10,6 milioni di Euro di denaro pubblico, mi sono chiesto subito un paio di cose: quanto fossero idioti i personaggi che hanno scelto gli slogan riportati sui manifesti (“Noi combattiamo anche per far sí che tu sia contro di noi”, “La vera forza non la trovi tra due manubri”, “Credi che sia figo essere soldato/soldatessa?”, eccetera…) , quanto idioti fossimo noi contribuenti nel pagare le tasse che vanno a finanziare certe porcate, ma sopratutto come si potesse rispondere ad una simile oscenità… Non che io non abbia trovato subito un paio di slogan appropriati che sarebbero stati utili per riassumere efficacemente la vera funzione dell’esercito in Germania e altrove, ma non  disponevo a breve termine dei mezzi per poter rispondere in modo esteso ed efficace alla propaganda militarista appena avviata: si fa quel che si può, ma nel mio caso si trattava di troppo poco. Pochi giorni fa sono però venuto a sapere che un pugno di artisti/e e attivisti/e politici/che riuniti/e nel gruppo “Peng-Kollektiv”, con la modica cifra di 100 €, ha messo in ombra, in dubbio e in ridicolo la campagna della Bundeswehr, aprendo un sito con link e grafica simili a quello originale usato per incoraggiare l’arruolamento dove si possono leggere alcune informazioni (verificabili) che ai signori dell’esercito non sarebbe mai passato per la testa di pubblicare, ad esempio il numero di soldati suicidatisi quest’anno o la percentuale di donne che subiscono molestie sessuali nell’esercito. Il sito è diventato in pochi giorni virale e ha dato l’imput sul web ad una serie di osservazioni, commenti e grafiche contro l’iniziativa militarista. Per quanto riguarda invece i manifesti, attivisti/e del collettivo “Abteilung zur sichtbaren und inhaltlichen Verschlimmbesserung unhaltbarer Truppenwerbung (AbtVerschlTruWer)” hanno tappezzato la zona nella quale ha sede il ministero della difesa tedesco con manifesti pubblicitari modificati. Ecco alcune foto dell’adbusting:

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“Bombardare per la pace è come fottere per la verginità”

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“Siamo via: guerra lampo in Siria. Nonno sarebbe stato così orgoglioso.”

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Difendere con la violenza lo sfruttamento. Il vostro esercito”

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“Nessuna idea di niente? Nessun problema! Prendiamo volentieri anche gli stronzi”

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“Anche gli animali combattono per far sì che noi possiamo mangiarli.”

Per completare il quadro segnalo un’altra azione compiuta da ignoti a Berlino, che nella notte del 9 Novembre scorso hanno “ridipinto” la facciata dello showroom dell’esercito tedesco per protestare contro la propaganda per l’arruolamento e contro la “normalizzazione” della guerra.

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Quando qualcuno esprime un concetto meglio di quanto io possa fare.

Nelle due o tre ore delle le ultime quarantott’ore che ho speso seduto di fronte al computer ho letto numerosi comunicati sugli attentati di Parigi e su ciò che vi ruota intorno. Avevo compilato una lista di comunicati e riflessioni di organizzazioni anarchiche di vari Paesi che pensavo di riproporre su questo spazio virtuale, poi mi sono imbattuto in uno (anzi due) testi pubblicati su un blog che leggo non dico spesso, ma almeno volentieri e ci ho ritrovato un pò quello che mi passa per la testa in questi giorni. Perchè ripetere allora con parole mie gli stessi concetti di fondo, quando qualcuno li ha già espressi peraltro stilisticamente meglio di quanto io possa fare? L’unica rimostranza che avrei da fare sugli articoli, chiamiamoli così, in questione, è che manca il benchè minimo ottimismo sulla capacità di reazione degli esseri umani che potrebbero, dovrebbero opporsi allo stato di cose esistente. Ma sarebbe un ottimismo motivato?

– “Non-elogio della Follia” e “Guerra santissima“, dal blog di Riccardo Venturi.

P.S: C’è un’altra cosa che continua a passarmi per la testa, non da qualche giorno ma da diversi anni, in svariate occasioni. È una citazione tragicamente attualissima attribuita a Benjamin Franklin, che paradossalmente mette in guardia anche da quelli come lui: “Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertá né la sicurezza”.

Contro tutti i nemici della libertà.

Una giornata di merda. Per chi rispetta la vita umana, per chi ama la libertà che da oggi sarà più limitata che mai, per chi odia i confini degli Stati che verranno chiusi impedendo l’accesso di chi fugge dallo stesso terrorismo che oggi ha colpito gli/le abitanti di Parigi. Un giorno di merda, ma non l’unico, non solo in un posto. Tutti parlano di Parigi, pochi di Beirut, troppi dimenticano i morti sotto le bombe francesi in Libia, Mali, Siria. Qualcuno dice che si tratta della strage più grave avvenuta in Francia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, altri però ricordano quei morti del 1961, algerini che manifestavano nella capitale contro il colonialismo e che vennero massacrati dalla polizia, i cadaveri gettati nella Senna, più di 200 i morti. La chiamano democrazia, Stato di diritto, ma è retta da interessi economici di pochi, si mantiene con guerre, sfruttamento, controllo ed oppressione, si fonda sulla disuguaglianza, sulle divisioni, sul dominio. C’è chi a quest’ordine di cose vorrebbe sostituire forme ancor peggiori di dominio, oppressione, discriminazione, punizione per chi non accetta l’ordine imposto. E c’è chi si sfrega le mani e ne approfitta per attizzare l’odio razzista e xenofobo. Siamo sotto attacco, è vero: ci attaccano le guerre condotte in altri Paesi e gli attentati terroristici “a casa nostra”, gli Stati con il loro imperialismo, i loro eserciti, le loro polizie, le loro misure “low and order”, le loro frontiere, i loro interessi che non sono i nostri, ci attaccano gli oscurantisti e i fondamentalisti religiosi, i razzisti e i nemici della solidarietà umana. La nostra lotta, non da oggi, la conduciamo su diversi fronti: chiedetelo ai/lle compagne di Ankara e di Kobane, di Damasco e di Parigi e chiedetelo pure a me. Daesh colpisce, gli islamofobi ringraziano, i governi ne approfittano, mentre a pagarne le conseguenze sono coloro i/le quali cadono vittime del terrorismo, di quello che si esprime coi kalashnikov che sparano su persone a caso per le strade e nei locali di una qualisiasi cittá europea o di quello che fa strage sotto forma di interventi militari “liberatori”, in Irak come in Afghanistan, in Libia come in Siria. Chiedetevi da dove nasce il problema, chiedetevi da dove arrivano Al-Qaeda, ISIS, Al-Nusra, Boko Haram, chiedetevi da dove pescano consensi Front National, English Defence League, Pegida e Lega Nord. Riflettete con luciditá anche nei momenti nei quali la ragione viene sopraffatta dalle emozioni e agite di conseguenza, come quei/lle dimostranti che a Lille, durante una manifestazione per le vittime di Parigi, hanno avuto la lucidità e la fermezza necessarie per respingere un gruppo di razzisti che si volevano unire al corteo. Una piccola buona notizia in una giornata di merda come tante, non l’unica, non l’ultima.

Vio.Me.: la fabbrica va all’asta, i/le lavoratori/trici resistono!

Gli ultimi sviluppi della lotta dei/lle lavoratori/trici della fabbrica occupata e autogestita Vio.Me. di Salonicco non sono per nulla positivi. La fabbrica verrà battuta all’asta il prossimo 26 Novembre. Nonostante ciò l’assemblea dei/lle lavoratori/trici afferma in un recente comunicato di non volersi arrendere e rilancia la lotta per la difesa di uno spazio produttivo e autogestito che nel tempo è diventato parte di una fitta rete di scambio e solidarietà che va oltre i confini greci. Quello che segue è il link al comunicato di chi lavora, produce, decide e lotta alla Vio.Me.:

La Viome va all’asta, i lavoratori rilanciano la lotta

Lieber Afrikaner/Cari africani.

Video satirico tedesco del 2011 sullo splendido rapporto di amicizia tra l’Europa ed i popoli africani e sul generoso trattamento riservato agli immigrati nel vecchio continente. La traduzione in italiano è opera mia.

“Caro africano, già in passato noi europei abbiamo diffuso nel tuo continente benessere e felicità e anche oggi mandiamo a te ed ai tuoi governi molti soldi e molti regali. Naturalmente sappiamo che non tutti da te sono pronti per la democrazia, ma noi siamo tolleranti: finché il commercio funziona, noi non ci immischiamo…altri Paesi, altri costumi! Ma, nel caso con il commercio qualcosa non vada per il verso giusto, ti mandiamo volentieri i nostri “aiutanti per l’economia” in soccorso, perché se l’economia va bene anche le persone stanno bene. Così tutti ci guadagnano qualcosa, noi europei riceviamo da te un pó di materie prime e risorse naturali e ti regaliamo in cambio i prodotti della nostra civilizzazione europea…anche la tua numerosa prole ne risulta contenta! Dopo tutta questa nostra generosità comprendiamo il fatto che tu voglia venire in Europa per ringraziarci personalmente, perciò sosteniamo tutti i Paesi attraverso i quali dovrai viaggiare in modo che essi possano costruire le infrastrutture necessarie a rendere il tuo viaggio il più confortevole possibile. E non é tutto, caro africano: se ce l’hai fatta ad arrivare fino al Mediterraneo, verrai aiutato dai nostri amichevoli dipendenti del Frontex, che faranno in modo che tu non ti perda nell’ immensità del Mediterraneo e ti offriranno lezioni gratuite di nuoto. E visto che ogni anno aumentiamo i finanziamenti per Frontex , loro potranno assicurarti che tu abbia sempre abbastanza acqua a bordo e, lavorando contemporaneamente con i tuoi parenti africani, trasformeranno il fondale marino in una bella passerella. Caro africano, quando ( se ) arrivi da noi in Europa, noi teniamo pronta per te una confortevole sistemazione dove puoi finalmente riposarti in pace dopo il faticoso viaggio durato mesi e puoi partecipare alla nostra lotteria per ottenere l’asilo: se vinci puoi rimanere da noi in Europa e guardare ad un roseo futuro. Se però non vinci non devi comunque essere triste, caro africano, perché ricevi comunque come premio di consolazione un biglietto gratuito per il viaggio di ritorno in Africa…e lì il tempo é molto migliore che qui da noi in Europa!”

Terrorismo di Stato in Turchia.

Il 10 Ottobre scorso, durante una manifestazione per la pace dai contenuti antigovernativi indetta ad Ankara, capitale turca, sono esplosi due ordigni che hanno provocato una strage. Secondo le diverse fonti i morti sarebbero tra i 95 e i 128, i feriti tra i 165 e i 500 e più, tutti/e attivisti/e di organizzazioni politiche e sindacali di sinistra e filocurde. Tra i morti ci sono almeno due anarchici. Il governo turco ha accusato immediatamente, parole di Erdogan, “chiunque voglia minare l’unità e la pace nel Paese”, mentre il primo ministro Davutoğlu includeva in una lista di possibili sospetti anche una serie di organizzazioni curde e di estrema sinistra . Come accadde a seguito dell’attentato di Suruc, che costò la vita a 33 attivisti/e di area socialista, comunista e anarchica, il governo turco del partito filoislamico e reazionario AKP incolpa i fondamentalisti islamici dell’ ISIS, ne arresta qualche decina e contemporaneamente provvede a bombardare postazioni del partito dei lavoratori curdo PKK, proprio quando quest’ultimo si era impegnato a sospendere qualsiasi ostilità nei confronti dello Stato turco, anche in vista delle elezioni indette per il prossimo 1 Novembre.

La prima domanda che vien spontaneo porsi in questi casi è: cui prodest? Secondo alcuni opinionisti è improbabile che il governo turco sia il responsabile della strage di Ankara, mentre la tesi maggiormente accreditata è che si tratti di un’attentato ad opera dell’ISIS che intende destabilizare la Turchia colpendo al tempo stesso gli acerrimi nemici curdi. Una certezza è comunque l’appoggio (“moderato”, dicono alcuni) offerto finora dal governo turco alle milizie dell’ISIS: queste ultime, sentendosi abbandonate dopo la dichiarazione di guerra contro di esse, seminerebbero ora il terrore in Turchia. Un’altro aspetto, che va sotto la categoria di responsabilità morale, è la continua persecuzione effettuata dal governo di Ankara a danno della popolazione curda e il rifiuto di trattative diplomatiche con le organizzazioni curde che vorrebbero mettere definitivamente la parola fine ad un sanguinoso capitolo di storia che dura ormai da decenni. Anche il fatto che sulla libertà di riportare notizie che riguardano le indagini sull’attentato sia caduta ancora una volta la mannaia della censura di Stato è un segnale che riconferma il modus operandi autoritario e repressivo di Erdogan e del suo governo, deciso a qualsiasi costo a riconfermarsi alle prossime elezioni senza farsi sorpassare dal partito della sinistra moderata filocurda HDP, il cui leader Selahattin Demirtaş ha esplicitamente accusato il governo di essere responsabile della strage di Ankara. Di sicuro chi s’impegna con zelo a massacrare i/le manifestanti/e antigovernativi per le strade e a torturarli nelle prigioni, a  far crepare i lavoratori in miniera, a sbattere in galera i giornalisti e a massacrare civili curdi inermi radendo al suolo i loro villaggi non ha certo tempo da perdere nel garantire la sicurezza interna del Paese prevenendo attentati terroristici.

A Berlino 250.000 attivisti/e in piazza contro TTIP e CETA.

Lo scorso 10 Ottobre 250 000 persone hanno manifestato nella capitale tedesca contro gli accordi commerciali TTIP e CETA. La manifestazione è stata la più partecipata degli ultimi 10 anni in Germania, la più grande in tutta Europa tra quelle svoltesi per dire no ai due accordi comerciali transnazionali. Le numerose organizzazioni che hanno indetto la protesta, dai sindacati (DGB) alle associazioni ambientaliste (WWF, NABU…) a quelle critiche nei confronti della globalizzazione (ATTAC) fino ad arrivare alle associazioni della società civile, sottolineano la necessità di accordi commerciali equi e trasparenti, che non danneggino gli standard di difesa dell’ambiente, i diritti dei/lle lavoratori/trici e dei/lle consumatori/trici e i principi democratici. Pertanto chiedono di interrompere le trattative relative all’accordo TTIP con gli USA e di non ratificare l’accordo CETA con il Canada.

Purtroppo, va ammesso, tra le tante realtà di natura riformista coinvolte nella campagna contro TTIP e CETA è mancata la presenza di quei gruppi della cosiddetta “sinistra radicale” e dell’area autonoma/antiautoritaria/libertaria, che avrebbero potuto contribuire con una profonda critica anticapitalista al discorso legato agli accordi commerciali in questione. D’altra parte l’attuale situazione tedesca vede gran parte di questi gruppi impegnati in altri contesti, come ad esempio l’aiuto concreto ai profughi che da mesi giungono in gran numero in Germania. Una giustificazione, questa, che non impedisce comunque di rimarcare l’importanza di un discorso critico e radicale nei confronti delle politiche globalizzatrici che hanno e avranno, se non verranno fermate in tempo, una ricaduta pesante sulle nostre vite, sull’ambiente e su intere società.

Colonna sonora per il 3 Ottobre, Tag der Deutschen Einheit.

Amo e odio il luogo nel quale sono nato, amo e al tempo stesso odio il luogo nel quale vivo. Il mio amore non ha a che fare con il concetto di Stato e Nazione, il mio odio sí. Ritengo che identificarsi in uno Stato-nazione come forma di realizzazione, come sentimento di appartenenza ad una comunità fatta di sfruttati e sfruttatori, oppressi ed oppressori, tutti insieme appassionatamente, “noi” contro “loro” in base al luogo di nascita, a confini geografici stabiliti a tavolino dopo l’ennesimo massacro, ad una presunta razza, etnia o cultura, sia la forma più bassa di annichilimento della ragione e del senso universale di umanità e di solidarietà che si possa concepire. Per questo, ancora una volta: Nie wieder Deutschland, nie wieder Staaten! Grenzen abschaffen! Für eine Welt ohne Herrschaft!

Riflessioni a 35 anni dall’attentato all’Oktoberfest di Monaco di Baviera.

Risultati immagini per anschlag oktoberfest 1980 Il 26 settembre del 1980, durante la famosissima ed affollatissima Oktoberfest a Monaco di Baviera, venne fatta esplodere una bomba che causò la morte di 13 persone e il ferimento di altre 211, numerose delle quali rimarranno mutilate o invalide. Gundolf Köhler, un giovane neonazista appartenente all’organizzazione Wehrsportgruppe Hoffmann messa fuorilegge pochi mesi prima e morto lui stesso durante l’attentato, verrà ritenuto l’unico responsabile della strage. A trentacinque anni di distanza da quell’orrendo fatto di sangue sono ancora in molti a manifestare dubbi sulla possibilità che Köhler abbia agito da solo, come dimostra anche la recente riapertura del caso da parte della procura federale tedesca a fronte di una nuova testimonianza. Di certo vi sono una serie di responsabilità, alcune morali, altre materiali, riguardanti l’attentato che non devono essere taciute. Non è né la prima né l’ultima volta, come dimostra il più recente caso degli omicidi e attentati dell’organizzazione neonazista NSU, che in Germania come in altri Stati europei avvengono pesanti collusioni fra istituzioni ed elementi e organizzazioni di estrema destra.

Il governo della Repubbilca Federale Tedesca ammise nel 1990 che “la costruzione di organizzazioni Stay-behind iniziò già poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale”. Gli USA crearono in quasi tutta l’Europa Occidentale una serie di organizzazioni paramilitari, controllate direttamente dai servizi segreti statunitensi con la collaborazione dei servizi segreti dei diversi Stati coinvolti, che avevano il compito di intervenire come unità di guerriglieri nel caso fosse avvenuta un’invasione da parte dell’URSS, restando dietro le linee nemiche per compiere attentati e sabotaggi e raccogliere informazioni. Nonostante tale invasione non abbia mai avuto luogo, i gruppi paramilitari comprendenti principalmente elementi reazionari, legati all’estrema destra e spesso con un passato nelle file di regimi fascisti e nazisti (come il primo capo del servizio di spionaggio della Germania Ovest Bundesnachrichtendienstes, Reinhard Gehlen, già ufficiale del Terzo Reich e criminale di guerra) addestrati ed equipaggiati da unità speciali delle forze armate statunitensi e a volte anche britanniche, vennero usati per destabilizzare quello che in Occidente viene comunemente definito l’ordine democratico e costituzionale, attraverso il compimento di azioni di stampo terroristico volte ad impedire la presa del potere da parte di forze politiche parlamentari ritenute filocomuniste o anche solo troppo progressiste. Quest’operazione, nota sotto il nome di strategia della tensione, a chi conosce almeno un pò la storia contemporanea d’Italia fa subito venire in mente omicidi a sfondo politico mai del tutto chiariti, colpi di stato sfumati all’ultimo momento e stragi come quelle di Piazza Fontana a Milano, del treno Italicus, di piazza della Loggia a Brescia ed altre ancora. La strage più grave avvenuta in Italia nel secondo dopoguerra è quella della stazione di Bologna (2 Agosto 1980), nella quale un ordigno ad alto potenziale uccise 85 persone e ne ferì più di 200. Meno di due mesi dopo, la strage dell’Oktoberfest a Monaco di Baviera. Anche qui, come a Bologna, ad essere ritenuti gli autori materiali sono estremisti di destra, senza però l’individuazione di un mandante. Nel caso tedesco, gli investigatori collegarono il presunto attentatore con un’altro personaggio legato alla scena neonazista, la guardia forestale Heinz Lembke, ritenuto il responsabile di una serie di arsenali sotterranei nei quali erano custoditi tra l’altro esplosivi. Dalle indagini venne fuori che Lembke, al quale era stata attribuita tutta la responsabilità dei nascondigli di armi (cosa impossibile, data l’enorme quantità di armamenti e materiali nascosti che non sarebbero potuti sparire da depositi dell’esercito senza che nessuno se ne accorgesse), riforniva altri militanti dell’estrema destra. Gli arsenali in questione sono uguali ad altri esistiti in diversi Stati dell’Europa occidentale, spesso venuti alla luce in modo casuale o a seguito di clamorose rivelazioni da parte di persone ben informate dei fatti ed erano destinati ai gruppi di “gladiatori” dell’operazione Stay-behind. Eppure il governo cristiano-democratico di Helmuth Kohl in carica all’epoca delle rivelazioni su Stay-behind nei primi anni ’90 del secolo scorso tentò di minimizzare il ruolo, non potendo del tutto negare l’esistenza, di quello che si può ben definire un’esercito segreto e che non solo in Italia è ormai noto col nome di Gladio, mentre immediatamente dopo l’attentato di Monaco il candidato cristiano-sociale alla carica di cancelliere Franz Josef Strauß, oltre a scaricare le responsabilità morali della strage sui rivali politici,  ebbe a dire che la strage era opera materiale del gruppo armato marxista-leninista Rote Armee Fraktion. Un depistaggio, come i tanti che si susseguono durante i processi per la strage, accompagnati dalle solite “stranezze”: testimoni che muoiono durante gli interrogatori, testimonianze e indizi ignorati, prove distrutte, lo stesso Lambke che, appena decisosi a collaborare con gli inquirenti, verrà ritrovato impiccato nella cella nella quale era detenuto. Alla fine, oltre alla scia di cadaveri e di persone irreparabilmente danneggiate, rimangono la consapevolezza che non tutta la verità sia stata raccontata, la certezza che agenti di Gladio e dei servizi segreti hanno tentato di depistare le indagini e il sospetto, come afferma lo scrittore Tobias von Heymann, che l’attentato avesse lo scopo di favorire l’elezione a cancelliere del reazionario Strauß e del suo partito CSU. In questi casi la colpevolezza non va cercata solo nel/gli esecutore/i materiale/i degli atti terroristici, ma in un’intero sistema.