Amburgo: “stato d’eccezione”. Come lo Stato gestisce i conflitti sociali.

Durante una manifestazione svoltasi il 21 Dicembre scorso ad Amburgo, in Germania, contro la minaccia di sgombero dello storico centro sociale Rote Flora occupato dal 1989, la polizia ha fatto largo uso dei metodi che è consueta adoperare quando i padroni lasciano sciolto il guinzaglio e danno l’ordine di attaccare. Come se la violenza rappresentata dalle botte e dagli arresti non bastasse, in alcuni quartieri di Amburgo è stato dichiarato lo stato d’eccezione: Ausnahmezustand. Il che significa non solo l’imposizione del coprifuoco nei quartieri colpiti dal provvedimento, ma anche blocchi stradali, agenti in tenuta antisommossa che pattugliano le strade, controlli e fermi arbitrari operati a discrezione degli agenti. Roba degna di un regime dittatoriale insomma, una situazione che mette in luce per l’ennesima volta non solo i metodi di uno Stato intrinsecamente autoritario che ama decorarsi con l’aggettivo “democratico”, ma anche e soprattutto il modo di relazionarsi che le istituzioni hanno spesso nei confronti dei conflitti sociali. Il centro sociale Rote Flora è da tempo al centro di una campagna intimidatoria orchestrata dall’amministrazione cittadina e dagli investitori che da decenni contribuiscono alla gendrificazione di Amburgo, supportati da diversi media nel costruire campagne diffamatorie a base della collaudata formula “degrado e insicurezza” contro quella che è oramai da anni una realtà sociale animata e frequentata da chi si oppone al pensiero unico dominante. La paura delle istituzioni non viene tanto da possibili reazioni allo sgombero dello storico centro sociale, quanto dall’emergere di conflitti maturati all’interno del sistema stesso che, nell’incapacità di risolverli, li gestisce in modo emergenziale, come nel caso dei rifugiati di Lampedusa. Il tutto in una cornice di finta pace sociale in una città con un’amministrazione “di sinistra”, quella stessa sinistra istituzionale sempre pronta a far da sponda al capitalismo ed al suo seguito di nefandezze usando metodi che non hanno nulla da invidiare a quelli solitamente attribuiti alla “destra”, ma che farebbe meglio a tenere presente che anche le peggiori misure autoritarie troveranno sempre l’opposizione di chi non si piega all’omologazione e alla logica dominante. Già nei giorni scorsi gruppi di centinaia di cittadini e solidali hanno sfidato i divieti di assembramento e circolazione organizzando passeggiate nei quartieri amburghesi (San Pauli, Sternschanz, Altona) sottoposti alle misure restrittive, mentre altre manifestazioni di solidarietà si sono svolte in altri centri tedeschi, ad esempio a Francoforte.

Moscow Death Brigade.

Tizi coi muscoli pompati e pose da gangster che trattano le donne come se fossero oggetti e invitano a “diventare ricchi o morire provandoci” infilando un insulto sessista o omofobo ogni cinque parole mentre la telecamera che riprende le loro mosse stereotipate per il prossimo video da trasmettere su MTV inquadra auto di lusso, party vanesi, catenoni d’oro e abbigliamento di marca: era questa l’idea che avevo della scena hip hop nella seconda metà degli anni ’90 fino a buona parte del primo decennio di questo nuovo millennio, finchè ho scoperto artisti e gruppi che con certi cliché non hanno nulla a che fare.

Un’altro mondo del quale fanno parte anche i Moscow Death Brigade, gruppo hardcore-hip hop che si è fatto un nome nella scena underground russa- e non solo. Composta da elementi provenienti dalla scena punk e hardcore, la band si distingue non solo per i testi politici che riflettono in modo critico sulla realtà sociale e la vita quotidiana in Russia, ma anche per l’attivismo dei suoi membri coinvolti in progetti quali Food Not Bombs, manifestazioni antifasciste e antirazziste, supporto ai compagni incarcerati ed alle famiglie delle vittime delle violenze neonaziste, iniziative contro la brutalità poliziesca e la repressione statale. I concerti dei Moscow Death Brigade in Russia e in altre ex repubbliche dell’URSS sono spesso accompagnati da minacce da parte dei neonazisti e dalla presenza di polizia antisommossa. Nell’anno appena iniziato la band sarà in tour insieme ai What We Feel:

Photo: PLEASE REPOST!</p>
<p>So, finally tour is fully booked!! Thank you all for gig offers, in 2 days we got about 30 mails, for 5 blank dates))) We are thinking to make second part of tour in september-oktober, for dates thats not fits this spring.</p>
<p>so, finally..<br />
1/05 Berlin (D) / Barrio 161 Kreuzberg open air<br />
2/05 Saalfeld (D) / Schlossberg<br />
3/05 Prague (CZ) / Pilot<br />
4/05 Manchester (UK) / 0161 festival<br />
4/05 Katowice (PL) / Marcholt<br />
5/05 Warsaw (PL) / Znosna Lekkosc Bytu<br />
6/05 Kosice (SK) / Collosseum<br />
7/05 Bratislava (SK) / TBA<br />
8/05 Nurnberg (D) / Desi<br />
9/05 Frankfurt (D) / AU<br />
10/05 Dusseldorf (D) / AK47<br />
11/05 Siegburg (D) / SJZ<br />
12/05 Aachen (D) / AZ<br />
13/05 Leuven (BE) / TBA<br />
14/05 Nancy (F) / TBA<br />
15/05 Jena (D) / JG-Stadtmitte<br />
16/05 Hamburg (D) / Skorbut<br />
17/05 Rostock (D) / Riot in my heart<br />
18/05 Berlin (D) / TBA</p>
<p>if you have any questions and booking request for second part of tour - please write to our booking email wwfhcbooking (@) gmail.com

(Testo tradotto dal russo all’inglese da BlacKronstadt, che è anche l’autore dell’ottimo blog RABM):

  1. Heroes do exist in this world, they’re here near us
  2. But your sight passes by them, dimmed by propaganda.
  3. Behind the mess of decay, through the hell smoke of mass media
  4. They commit the feats, asking no reward
  5.  
  6. The paradise of a glamour world, streams of lies from the TV screen –
  7. Consume it until your eyes would sore like rotten wounds
  8. Swallow it! – says the dealer – Because you must!
  9. Just another golden calf leads the herd
  10. Of TV idiots, narco-clowns from the nightclubs,
  11. Venal “patriots” and gibbering “truthsayers”
  12. Silicone lips, greasy face…
  13. Do you want your daughter to be like them? To sell out yourself?
  14. And there are another “heroes”:
  15. On a frontline with stars on their shoulder straps,
  16. Listening to the screeching siren, they’re shepherds of Babylon’s herd (a reference to widespread police brutality and injustice – B.K.)
  17. Set the sound on TV more louder to drown out the moans.
  18. These are the new icons, the examples to follow,
  19. To writhe in ecstatic adoration.
  20. They’ll teach you to be trendy, to keep up with fashion –
  21. Dealer, Antikiller (a movie reference: http://www.imdb.com/title/tt0325005/ – B.K.), a 1000 tonns of cardboard monsters
  22.  
  23. Heroes do exist in this world, they’re here near us
  24. But your sight passes by them, dimmed by propaganda.
  25. Behind the mess of decay, through the hell smoke of mass media
  26. They commit the feats, asking no reward
  27.  
  28. Divide et impera, this law is older than world –
  29. Every segment of consumerism has its idols.
  30. No matter if you’re “guardian of a nation” or a hardcore junkie –
  31. There’s only one puppet master, everything goes in one mouth, in one wallet.
  32. The opium of mass media dictates you whom to be proud of,
  33. Who deserves the respect – come on, memorize their faces!
  34. Got insomnia again? Reach for the remote control,
  35. Feed the addiction in your brain, join the cult!
  36. Blind worship, a whole generation standing on knees,
  37. Heroes are only on the TV screen, you’ll forever remain in their shadow,
  38. Tycoons’ children, thieves, pimps, cops –
  39. They’ll get mountains of gold, you’ll get only a bullet in your head
  40. Stories about drugs, guns, nightclubs,
  41. Money and success built on blood.
  42. These “colossal spirits” teach you to kill for fun,
  43. To solve the moral questions as easy as cracking nuts
  44.  
  45. Heroes do exist in this world, they’re here near us
  46. But your sight passes by them, dimmed by propaganda.
  47. Behind the mess of decay, through the hell smoke of mass media
  48. They commit the feats, asking no reward
  49.  
  50. The luxury-satiated bitches are going crazy with boredom,
  51. But this track is for those who never lay down their hands,
  52. Who does not give up despite the verdict of doctors,
  53. Who reached the fatal line but is going for his dream ’til the end;
  54. For single mothers who raise their children
  55. Despite the poverty, problems and government lies.
  56. Life is getting more and more filthy, injustice burns our eyelids,
  57. But the strong conviction and perseverance can even stop the rivers to flow.
  58. It’s for those who didn’t forgot the heritage of our fathers,
  59. Who didn’t chose the easy but curvy road of scoundrels
  60. Who didn’t betray his calling and his oath to live for people,
  61. It’s for firefighters, rescue workers, medics, teachers –
  62. For those who spend the day in work, and get up before dawn
  63. Who kill the health at three jobs to raise a family,
  64. Who forget their life for the sake of duty…
  65. It’s hard to save yourself, but too easy to lose!
  66.  
  67. Heroes do exist in this world, they’re here near us
  68. But your sight passes by them, dimmed by propaganda.
  69. Behind the mess of decay, through the hell smoke of mass media
  70. They commit the feats, asking no reward

La vita, non la morte.

Non ho pensato molto alla morte di Nelson Mandela, lo ammetto. Più che altro mi è capitato non di rado, in diverse occasioni, di pensare alla sua vita. Mi è capitato soprattutto da alcuni anni a questa parte di riassumere il mio giudizio su di lui con la banale formula del “non mi piace”, come se si trattasse di una pietanza che non mangio volentieri. In realtá ciò che di Mandela non mi è mai piaciuto è il fatto che sia salito al potere, per così dire: più che salire è sceso, a compromessi, molto in basso, abdicando a quella battaglia per il cambiamento e l’uguaglianza nel suo Paese che tanti sacrifici gli era costata. Eppure la sua lotta è stata indubbiamente legittima e il fatto che abbia trascorso quasi trent’anni in galera non è cosa da poco. Sarei io in grado di sopportare trent’anni di galera per aver lottato per le mie idee? Posso criticare sbrigativamente e con sufficienza  chi ci è riuscito? Il punto è che la vita di una persona a volte è troppo complessa e ricca di sfumature per poter essere giudicata con sentenze lapidarie, senza tenere conto di ogni suo singolo aspetto. Qualcuno ha messo insieme un paio di riflessioni che mi sento di condividere, parola per parola (sottolineo in particolare la parte riguardante il paragone con Gandhi) , appunto alcuni aspetti della vita di una persona con tutte le sue contraddizioni, i suoi sforzi e dilemmi, i suoi gesti ammirevoli o meno che siano, di fronte ai quali si dovrebbe riflettere prima di appiccicare etichette o unirsi ai calcolatissimi cordogli ipocriti di chi come al solito usa le persone da vive ma ancor più da morte infilandole addosso abiti che in vita loro non hanno mai indossato:

“Due o tre cose su Mandela”, dal blog  Ἐκβλόγγηθι Σεαυτόν Asocial Network di Riccardo Venturi.

“Lampedusa in Hamburg”, una lotta per la sopravvivenza.

Dopo il vertice dei 28 capi di Stato europei all’indomani dalla strage di migranti nelle acque di Lampedusa, nulla è cambiato nelle politiche sull’immigrazione della Fortezza Europa. Eppure l’emergenza rimane: dico emergenza, ma non mi riferisco a quella sbandierata dai massmedia integrati nella società dello spettacolo, che citano cifre allarmistiche e casi simbolici  per spaventare l’opinione pubblica con lo spauracchio dell’invasione di migranti da oltremare, ma intendo quella che devono quotidianamente affrontare quelle persone che, una volta sopravvissute a guerre, dittature, carestie ed al viaggio fino alla porte d’Europa, si trovano lasciate a se stesse, impossibilitate ad avere un tetto sulla testa, un lavoro, assistenza sanitaria, garanzie di qualsiasi tipo se non quella di venir costantemente minacciati di rimpatrio. È questa la quotidianità di un gruppo di 300 immigrati africani che oggi si trovano ad Amburgo, fuggiti dalla Libia durante la guerra civile ed i bombardamenti della NATO, approdati a Lampedusa e, una volta finita ufficialmente l’emergenza all’inizio del 2013, spediti con documenti provvisori e 500 Euro in tasca verso un futuro incerto. Approdati ad Amburgo, i trecento scoprono di non avere nessun diritto, nessuna garanzia, nessuna prospettiva. Le istituzioni tedesche vorrebbero identificarli, ma loro si rifiutano, temendo di poter essere rispediti in Italia, palleggiati tra uno Stato e l’altro. D’altra parte questo è quel che prevede il Regolamento Dublino II, i rifugiati possono chiedere asilo solo nel primo Paese europeo sul quale abbiano messo piede al loro arrivo. L’Italia, in questo caso, che si è sbarazzata di loro appena possibile. I 300 rifugiati, costretti inizialmente a vivere per strada e sottoposti a stretta sorveglianza da parte della polizia, hanno però avuto la determinazione di organizzarsi in un gruppo compatto, un’associazione ribattezzata “Lampedusa in Hamburg” , ricevendo l’aiuto da parte della locale chiesa evangelica luterana di St.Pauli, di organizzazioni antirazziste e di altri/e cittadini/e di Amburgo. Una serie di iniziative di solidarietà concreta e di proteste a sostegno dei rifugiati ha avuto e sta avendo luogo ad Amburgo: un’ottantina di membri di “Lampedusa in Hamburg” ha trovato accoglienza e rifugio nella chiesa di St.Pauli, numerose sono state le donazioni di abbigliamento, calzature e generi di prima necessità da parte di privati cittadini, mentre diverse iniziative di lotta si sono svolte nella città portuale. Dopo la prima azione di protesta avvenuta nel municipio di Amburgo a fine Maggio a seguito dello sgombero di una tendopoli situata nei pressi della stazione centrale, alla quale parteciparono circa 60 persone che dispiegarono lo striscione “Non siamo sopravvissuti alla guerra della NATO in Libia per morire nelle strade di Amburgo”, ci sono state altre due consistenti manifestazioni a Giugno ed Agosto, con la partecipazione rispettivamente di 1500 e 2500 persone.

Non sono mancate le intimidazioni poliziesche, le identificazioni di manifestanti ed alcuni arresti, mentre l’amministrazione cittadina ha proibito alla chiesa di St.Pauli di offrire ulteriore accoglienza ai rifugiati, ai quali ha precluso anche l’alloggio in dormitori adibiti al pernottamento dei senzatetto. La stessa settimana in cui centinaia di migranti morivano nel tentativo di raggiungere Lampedusa, la polizia lanciava l'”Operazione Lampedusa”, durante la quale venivano identificati ed arrestati una dozzina di membri di “Lampedusa in Hamburg”. A seguito di questi ed altri arresti operati nei giorni successivi si sono svolte diverse manifestazioni, spesso non autorizzate ma molto partecipate (dalle 800 alle 2000 persone) per denunciare la violenza poliziesca ed il trattamento razzista riservato ai richiedenti asilo. Anche lo storico centro sociale amburghese Rote Flora ha preso posizione a fronte dei controlli arbitrari su base razzista, degli arresti e della politica di terra bruciata operati dalle istituzioni nei confronti dei richiedenti asilo, lanciando un ultimatum all’amministrazione cittadina (“interrompete i controlli razzisti nei confronti dei membri di Lampedusa-in-Hamburg o aspettatevi ripercussioni”) e prendendo parte ad una manifestazione di 2000 persone che ha visto compiere azioni dirette nel quartiere di Sternschanze. Dal momento in cui le istituzioni hanno deciso di perseverare ne loro atteggiamento razzista e repressivo, sono proseguite le iniziative politiche in sostegno dei rifugiati, con cortei, blocchi stradali, biciclettate in stile “Critical Mass”, azioni informative e tentativi di impedire i controlli razzisti. Anche a Rostock si è svolta una manifestazione di solidarietà sotto lo slogan “Refugees Welcome!”, alla quale hanno preso parte 1500 persone. Le iniziative di lotta e sostegno al gruppo Lampedusa-in-Hamburg continuano ancora in questi giorni, finchè ai rifugiati non verrà garantito il diritto a rimanere nella cittá di Amburgo.

(Per altre informazioni e notizie attuali sul caso dei 300 richiedenti asilo del gruppo “Lampedusa in Hamburg” consiglio di visitare il sito http://lampedusa-in-hamburg.tk/)

Una mia considerazione a margine della vicenda: quella del gruppo “Lampedusa in Hamburg” e dei suoi solidali sostenitori è una lotta per la legalizzazione ed il riconoscimento dei diritti di un gruppo specifico. Ciò non significa che si tratti necessariamente di una lotta riformista e di ciò sono consapevoli molti/e dei/lle quali sono parte di questa battaglia. Il loro obiettivo va oltre la volontà di un mero riconoscimento istituzionale dei richiedenti asilo, l’obiettivo finale è quello di un mondo senza Stati né frontiere, nel quale le persone siano libere di spostarsi senza controlli e vessazioni di tipo burocratico e poliziesco. Un mondo nel quale però nessuno/a sia costretto a fuggire dalla terra nella quale è nato/a a causa di condizioni di vita inaccettabili, ma nel quale gli spostamenti nascano da una decisione priva di forzature di sorta. La costruzione di un mondo diverso da quello nel quale viviamo ora inizia anche dal sostegno diretto e immediato alle lotte di chi avanza rivendicazioni tutto sommato minime, cresce spingendo sulle contraddizioni più evidenti del sistema e creando nuova coscienza, fino alla messa in discussione totale del vigente ordine economico, sociale e politico ed alla realizzazione pratica di alternative concrete in chiave libertaria e antiautoritaria.

“Lampedusa, strage di Stato”.

Fonte: Umanità Nova.

” Lampedusa, strage di Stato

 

L’eccidio dei migranti

 

Lampedusa, strage di Stato

Quando i lettori di Umanità Nova leggeranno questo articolo, si sarà già detto e scritto molto sulla strage di immigrati di Lampedusa. Nel momento in cui scriviamo, i corpi recuperati sono 195. Nel ventre del motopeschereccio affondato davanti all’isola dei Conigli, poco più di uno scoglio accanto a Lampedusa, ci sono ancora decine di altri cadaveri.
Per chi si occupa di immigrazione, i fatti di Lampedusa non costituiscono una novità. Da quando, nella concezione di chi ci governa, i flussi migratori sono diventati una questione di ordine pubblico, le tragedie del mare scandiscono una “normalità” alla quale molti si erano praticamente assuefatti. Chi lotta per un miglioramento delle normative vigenti o per una loro radicale revisione, ha sempre posto una questione dirimente: se non fosse così difficile entrare legalmente in Italia (e in Europa), verrebbero meno le condizioni che stanno alla base di questi eventi luttuosi.
La logica proibizionista, d’altra parte, funziona così: un divieto assoluto alimenta la clandestinità e la speculazione affaristica. Basti pensare al proibizionismo degli alcolici negli Stati uniti nel secolo scorso, che fece le immense fortune di mafiosi e gangster; o all’attuale proibizionismo in fatto di consumo di droghe, che consente alla mafia e agli spacciatori di ingrassarsi, alle carceri di riempirsi all’inverosimile, e allo stato di esercitare una sua presunta superiorità morale.
Nel caso dell’immigrazione, ancora più brutalmente, la “merce” proibita sono gli esseri umani. Il proibizionismo imposto alla libera circolazione delle persone serve al capitalismo per garantirsi un serbatoio di manodopera ricattabile e a basso costo; serve agli stati per dare in pasto all’opinione pubblica l’idea che non siamo tutti uguali e che gli stranieri sono potenzialmente pericolosi; serve alle mafie per fare lucrosi affari sui traffici di esseri umani che si affidano ai viaggi della speranza.
La notte tra il 2 e il 3 ottobre scorsi, è successo quello che è successo tante altre volte, al largo di Lampedusa, o di Malta, o a pochi metri dalla battigia di una qualunque spiaggia siciliana. In questo caso, le proporzioni del disastro sono state talmente grandi da suscitare un disagio che, in questi tempi di bulimia informativa ed emotiva, sembrava non esistesse quasi più. Le immagini delle bare allineate, tantissime, tutte uguali, in un hangar dell’aeroporto di Lampedusa, si commentano da sole, e non c’è alcun bisogno di fare retorica, almeno non su queste pagine.
Vale la pena riferire qualcosa a proposito dei soccorsi, all’alba del 3 ottobre, a largo di Lampedusa. Fonti più che attendibili (l’associazione agrigentina Borderline Sicilia) rivela che quando sono arrivati sul posto i mezzi della Guardia costiera, i diportisti che avevano chiamato i soccorsi avevano già salvato 47 persone, tutte vive. Drammatiche le fasi del salvataggio: gli immigrati erano tutti intrisi di gasolio, scivolavano dalle mani dei loro soccorritori, erano sfiniti. Eppure, dall’s.o.s. all’arrivo delle autorità, sono passati almeno tre quarti d’ora. Davvero troppo per un’isola ipermonitorata da chi di dovere, e che si circumnaviga nel giro di un quarto d’ora. Durante le concitate fasi del salvataggio, uno dei diportisti ha chiesto ai militari il trasbordo veloce dalla sua barca al gommone della Guardia costiera fatto apposta per questo tipo di operazioni, ma gli è stato detto di no: «Dobbiamo rispettare i protocolli» ha chiarito – imperturbabile – un uomo in divisa.
Questa risposta, fredda e disumana, riassume perfettamente il senso delle cose. Di fronte a un’umanità in fuga da guerre e miseria, di fronte al bisogno umano di spostarsi e di vivere, si erge una burocrazia insensibile ed estranea. È questa burocrazia che uccide gli immigrati, ancor prima degli episodi singoli che provocano materialmente le tragedie.
Basti pensare che i superstiti del naufragio, appena qualche giorno dopo dal disastro, sono stati inscritti nel registro degli indagati per il reato di immigrazione clandestina. Un atto dovuto, hanno spiegato alla Procura di Agrigento, in virtù della legge Bossi-Fini. Ecco come funziona lo stato, ecco come funzionano le sue leggi. Quelle stesse leggi che innescano paure e ritrosie anche nei lavoratori del mare, i pescatori che, tante volte, incrociando nelle loro rotte le carrette cariche di immigrati, preferiscono lanciare l’allarme guardandosi bene dal prestare alcun tipo di soccorso per non incorrere nell’odiosa accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nel conseguente sequestro del peschereccio, unico e insostituibile strumento di lavoro. 
Non si vuole, qui, né generalizzare né puntare il dito. In moltissime occasioni, infatti, pescatori e diportisti siciliani hanno salvato vite umane senza derogare all’universale e atavica legge del mare che impone il mutuo soccorso al di là di ogni confine. Quello che si sottolinea, in questa sede, è la funzione terroristica delle attuali norme sull’immigrazione e, soprattutto, la maniera terroristica con la quale esse vengono applicate. Persino i trattati internazionali obbligano il salvataggio in mare, e il reato di favoreggiamento è comunque subordinato soltanto a determinate fattispecie, e dovrebbe essere segnalato nel corso degli appositi pattugliamenti predisposti dalle autorità competenti. Invece, questa minaccia viene fatta incombere sulle persone indiscriminatamente, a prescindere dai contesti concreti.
Non sappiamo nemmeno se sia il caso di riferire sulle dichiarazioni degli esponenti politici di tutti gli schieramenti all’indomani della tragedia. Grande dolore, grande commozione, grande indignazione, da destra a sinistra. Perfino il capo dello stato ha suggerito, bontà sua, la necessità di rivedere le norme sull’immigrazione in Italia. Peccato però che si tratti dello stesso Giorgio Napolitano che firmò nel 1998 – insieme a Livia Turco – la prima famigerata legge che istituì i centri di detenzione per immigrati e sulla quale fu impostato l’impianto normativo della Bossi-Fini, che tutti – oggi – criticano da sinistra. Dall’altra parte, gli esponenti di quel che resta del Popolo della Libertà cadono letteralmente dalle nuvole, difendono la Bossi-Fini, e scaricano ogni responsabilità sull’Unione europea che «dovrebbe fare di più, e non dovrebbe lasciarci soli». Quello che non si dice è che la Bossi-Fini risponde a un’esigenza che discende direttamente dalla concezione politica ed economica dei confini che delimitano la “fortezza Europa” di cui tante volte abbiamo parlato. In Italia, queste esigenze di dominio sono state declinate tecnicamente, e cavalcate politicamente, da personaggi dell’ultradestra razzista e fascista, con il contorno di un pressapochismo tutto italiano che rende le cose ancora più intollerabili: nessuna idea di accoglienza, gestione perennemente emergenziale dei fenomeni sociali, miopia politica ai limiti del dilettantismo.
Dopo la strage di Lampedusa è il momento del dolore, senza dubbio. Ma il nostro dolore esiste da moltissimi anni, ed è lo stesso, insopportabile dolore che proviamo tutte le volte che sappiamo di una morte, di una mutilazione, di uno stupro, di una violenza che si producono nel contesto della repressione sugli immigrati.
L’unica certezza, che può alleviare il profondo malessere che ci opprime il cuore, sta nella consapevolezza che questa situazione non può durare all’infinito. Le leggi sull’immigrazione sono così antistoriche e disfunzionali, di fronte agli eventi planetari del tempo in cui viviamo, che – prima o poi – dovranno essere profondamente modificate, se non spazzate via. Noi europei siamo senz’altro più fortunati degli “altri”, ma sono moltissimi i segnali che ci fanno capire quanto poco sia destinata a durare questa nostra “fortuna”. La miseria e l’oppressione che oggi bussano alle nostre porte sotto le spoglie di immigrati e profughi sono, per molti versi, delle lugubri presenze che condizionano già adesso le nostre vite di precari, di sfruttati, di senza futuro.
Ci sono due modi per affrontare la questione. Uno è quello irrazionale, egoistico, razzista: gli “altri” non sono come me, che stiano al loro posto, che muoiano. L’altro è quello razionale, squisitamente umano, antirazzista: gli “altri” sono come me, e sono vittime – come me – di quelli che rendono possibile questo scempio attraverso la politica e l’economia.

Alberto La Via “

“Francia- I Rom, capri espiatori ad uso dei politici”.

Fonte: Anarkismo.

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” I Rom, capri espiatori ad uso dei politici


La campagna per le elezioni amministrative è iniziata ed i politici fanno a gara a fare leva sul razzismo.

Per due ragioni: la prima è che secondo loro è ciò che l’elettorato vuole sentirsi dire, e la seconda è che mentre i media non fanno che parlare di questo, la gente non bada alla disoccupazione, alla povertà ed alla distribuzione della ricchezza.

Una settimana la campagna razzista colpisce i musulmani e quella dopo tocca ai Rom.

In Francia ci sono circa 20.000 Rom provenienti dall’Europa dell’Est. L’Unione Europea ha creato un regolamento speciale per i Rom: hanno il diritto di stare ma non quello di lavorare. Niente reddito, niente casa, migrazioni di gruppo… ed ecco disposte le condizioni per la creazione delle baraccopoli di cui i politici ed i media parlano così tanto.

Nel frattempo, crescono le menzogne. L’estrema destra, per bocca del suo portavoce Manuel Valls, dice che i Rom sono destinati a far ritorno nel loro paese di origine oppure che non si vogliono integrare, fatto salvo per pochissime famiglie.

Logicamente, dato che Valls suona la musica che piace al governo su questi temi, sono aumentati gli sgomberi massicci dai campi e dalle baraccopoli: nel 2012, sono state sgomberate più di 11.000 persone da luogo in cui vivevano; nei primi sei mesi del 2013, la cifra è superiore a 10mila. E durante l’estate altre 3.700 persone hanno perso le loro case, che sebbene precarie sono pur esistenti.

Non facciamoci prendere in giro e non facciamoci distrarre. I nemici sono sempre le banche, i capitalisti ed i governi e non i poveri di ogni dove!

Alternative Libertaire

26 Settembre 2013 Traduzione a cura di FdCA – Ufficio Relazioni Internazionali. “

Campagna internazionale contro i campi di concentramento per immigrati in Russia.

Nella Federazione Russa vivono circa 11 milioni di immigrati, perlopiù provenienti da Stati dell’Asia centrale in precedenza appartenenti all’URSS, 3 milioni dei quali sono illegali secondo la legge. Questi immigrati, in particolar modo quelli “illegali”, vivono spesso in condizioni precarie o addirittura disperate, se lavorano vengono impiegati in nero senza alcuna garanzia in cambio di salari bassissimi per svolgere mansioni faticose, pericolose ed in genere non qualificate. Perseguitati dalla legge e spesso guardati con diffidenza e disprezzo dalla popolazione locale, spesso vittime di brutali aggressioni a sfondo xenofobo, oggi devono fare i conti con l’ennesimo provvedimento repressivo messo in atto dall’autoritarismo del governo russo. Il governo ha infatti previsto la costruzione di 83 strutture detentive per immigrati illegali in tutta la Federazione. Nei fatti si tratta attualmente di tendopoli spesso prive di corrente elettrica e con servizi igenici scarsi o assenti, nei quali gli immigrati irregolari vengono portati con la forza e guardati a vista da militari armati, senza poter avere contatti con parenti o amici. Esponenti di organizzazioni per i diritti umani e di partiti d’opposizione al governo parlano di violazioni di diritti umani in campi paragonabili ai vecchi gulag di sovietica memoria. Lo scrittore ed attivista per i diritti umani Oleg Kozyrevha ha recentemente scritto che “Il paradosso di un campo di concentramento per illegali è che lo stesso campo è illegale”. Attalmente, dei 600 immigrati inizialmente detenuti in tendopoli sottoposte a sorveglianza armata alla periferia di Mosca, 200 sarebbero stati trasferiti in altre strutture, mentre una trentina di irregolari uzbeki nei giorni scorsi sono stati rastrellati, picchiati ed infine stipati provvisoriamente in un garage moscovita dalla polizia russa. In ogni caso è probabile che i campi che si stanno costruendo in tutte le 81 regioni della Federazione Russa si riempiano velocemente, riservando alle persone detenute un trattamento disumano come quello dei casi citati sopra.

I/le militanti dell’organizzazione anarchica russa Avtonom lanciano un’appello per una mobilitazione internazionale per il periodo dal 29 Agosto al 3 Settembre contro questi campi di concentramento per immigrati, appellandosi alla solidarietà ed al senso di umanità di chiunque, per chiedere la fine delle politiche razziste del governo russo, la chiusura dei campi di concentramento per immigrati e l’abolizione delle barriere legali per l’impiego di lavoratori in Russia.

Appello per il sostegno ad alcuni/e compagni/e anarchici/che sotto processo.

Appello pubblicato sul sito di Umanità Nova:

” 10.000 euro di solidarietà

Cari compagni e compagne,
siamo obbligati a fare appello alla vostra solidarietà attiva. Numerosi compagni e compagne della Federazione Anarchica Torinese sono sotto processo per la loro attività politica e sociale. Abbiamo in corso ben due maxi processi per la nostra attività antirazzista, un processo per antifascismo, uno per antimilitarismo, uno per il nostro impegno nel movimento No Tav.
Banali azioni di informazione e lotta sono entrate nel mirino della magistratura. Un presidio antirazzista diventa violenza privata, una performance antimilitarista un’offesa alla sacralità dell’esercito, il buttare via un manifesto fascista danneggiamento, un’azione popolare di contrasto al Tav viene perseguita con durezza.
Alcuni di noi hanno già subito nel recente passato condanne per la propria attività politica. Alcuni di noi rischiano la galera.
Siamo convinti che il miglior modo per rispondere alla repressione dello Stato consista nel continuare con ancora maggior impegno le lotte nelle quali siamo impegnati.
Siamo anche convinti che campagne pubbliche di appoggio ai compagni finiti nel mirino della magistratura possano riportare sul terreno della lotta le vicende che lo Stato vorrebbe relegare in un’aula di tribunale.
I processi hanno anche un costo molto elevato, sia per gli avvocati che per tutte le carte che la burocrazia della repressione pretende.
Ci servono urgentemente circa 10.000 euro.
Non siamo in grado di farcela da soli.

Il conto corrente postale cui potete inviare i vostri contributi è il numero – 1013738032 – intestato a Maria Margherita Matteo, Torino.
I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese

Per info e contatti:
fai_to@inrete.it
338 6594361 “

Notizie e approfondimenti sui riots a Stoccolma.

Stockholm riots

Alcuni articoli di controinformazione in diverse lingue sulla recente rivolta scoppiata a Stoccolma a seguito dell’omicidio di un anziano da parte della polizia:

“Stoccolma: seconda notte di Rivolta!”, da Infoaut;

“Svezia, calma apparente a Stoccolma ma i riot si estendono”, da Infoaut;

“Ancora sui riots di Stoccolma”, da Infoaut;

“Sweden, Stockholm, Megafonen statement on Stockholm riots”, da A-Ifos (inglese);

“Megafonen: We don’t start no fires”, da Libcom (inglese);

“Solidarität mit den Rebellierenden in Stockholm, da Contra-Info (tedesco);

“Do not treat us like animals”, documentario sull’ organizzazione Pantrarna e sulle problematiche dei quartieri periferici a Stoccolma (svedese, sottotitoli in inglese);

-“Stoccolma Riot. È la fine del capitalismo dal volto umano”, da Anarchaos.

Appello dell’ISM per un impegno diretto in Palestina.

Fonte: Rete Italiana ISM.

” Appello per un impegno diretto in Palestina

Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini responsabili possa cambiare il mondo. È invece l’unico modo in cui ciò è sempre accaduto.

Margaret Mead

 A pochi giorni dal 65° anniversario della Nakba, la Rete italiana ISM rinnova la propria solidarietà e rilancia il proprio impegno diretto al fianco del popolo palestinese.

 L’ISM (International Solidarity Movement) è un movimento a guida palestinese che si impegna a resistere alla apartheid israeliana in Palestina usando i principi e i metodi dell’azione diretta e non violenta. Fondata da un piccolo gruppo di attivisti palestinesi e israeliani nell’agosto del 2001 l’ISM aiuta la resistenza popolare del popolo palestinese fornendo due risorse fondamentali: la solidarietà internazionale e una voce a livello internazionale a chi continua ogni giorno a resistere in maniera non violenta a una preponderante forza di occupazione militare.

Noi della Rete Italiana ISM crediamo che sia dovere di tutti, in base alle proprie possibilità, impegnarsi in prima persona per far sì che la pulizia etnica in atto contro il popolo palestinese termini, che termini l’apartheid, che i milioni di profughi possano far ritorno ai loro villaggi e alle loro case e che il popolo palestinese possa liberarsi dall’occupazione militare israeliana.

L’impegno individuale rappresenta una via efficace per supportare il popolo palestinese nella sua lotta di liberazione. Ci crediamo perché l’abbiamo visto con i nostri occhi recandoci in Palestina.

Abbiamo visto che se accompagniamo i contadini nei campi, i pescatori sulle navi e gli shebab alle manifestazioni a Nabi Saleh, a Kufr Qaddoum, a Ni’lin ed a tutti gli altri villaggi che ci vogliono al loro fianco, l’esercito israeliano continua a sparare, ma lo fa di meno e usa metodi di repressione meno brutali.

Abbiamo visto che se manteniamo la nostra presenza di fronte al check point 56, come a quello che divide il mercato vecchio di Al Khalil (Hebron) dalla moschea di Abramo, come a tutti gli altri check point che limitano la libertà e la vita dei palestinesi, l’esercito di occupazione continua a perquisire coloro che li attraversano ma molte umiliazioni e molte violenze vengono risparmiate.

Abbiamo visto che se accompagniamo i bambini palestinesi a scuola, nella zona di Tel Rumeida, a Al Khalil, i figli dei coloni dell’insediamento illegale Kiryat Arba continuano a tirargli sassi, ma ne tirano di meno e dopo un po’ smettono.

Abbiamo visto che se siamo presenti nelle case delle famiglie palestinesi che vivono nei villaggi attorno a Nablus, totalmente circondati da insediamenti sionisti illegali e soggetti ad attacchi continui da parte dei coloni, questi ultimi riducono le loro violenze e a volte desistono e se ne vanno.

Abbiamo visto che funge da maggior deterrente la spia della telecamera di un cellulare o una macchina fotografica di un volontario internazionale che tutte le sanzioni ONU scritte contro Israele.

Crediamo poi, che sia importante andare a vedere con i propri occhi cosa succede dall’altra parte del Mediterraneo perché le informazioni trasmesse dai media main stream riflettono solo la voce di chi, in Italia come altrove, rappresenta la classe sociale dominante, perenne alleata di Israele.

Riteniamo, perciò, nostro dovere dare voce a chi non è mai stato ascoltato e farci testimoni della sofferenza del popolo palestinese. Infine, crediamo che valga la pena recarsi in Palestina per scoprire la forza di un popolo che resiste da oltre 65 anni con la dignità di chi non si arrende alla sopraffazione anche dopo aver perso tutto. O, semplicemente, per imparare quanto sia maleducato rifiutare una tazza di thè in una casa palestinese. E credeteci, quel thé vale veramente la pena di berlo.

Per tutti quelli che vorranno unirsi all’International Solidarity Movement recandosi in Palestina per un periodo anche breve (minimo richiesto quindici giorni), la Rete italiana ISM organizza delle giornate di formazione e informazione.

Le date dei prossimi training sono:

18 – 19 maggio: Pistoia

25 – 26 maggio Napoli

15 – 16 giugno: Milano

8 – 9 giugno: Palermo

Per iscrizioni o informazioni scrivere all’indirizzo italianism@inventati.org indicando nell’oggetto la città relativa al training al quale si vuole partecipare.

Ulteriori riferimenti ed informazioni:

Che cos’è la Rete italiana ISM: http://reteitalianaism.it/public_html/index.php/chi-siamo/

Sito in inglese dell’ISM (International Solidarity Movement): http://palsolidarity.org/

Sito del gruppo di supporto italiano: http://reteitalianaism.it/ e relativa pagina

facebook: https://www.facebook.com/ReteItalianaIsm