Sudafrica: la strage dei minatori ed il suo contesto sociale.

Marikana Massacre

Lo scorso Giovedì 16 Agosto la polizia ha aperto il fuoco contro i lavoratori in sciopero della miniera di platino Lonmin a Marikana, Repubblica Sudafricana, uccidendone 45. I lavoratori protestavano per avere un aumento salariale da 4000 Rand (circa 400 €) a 12500, secondo le fonti ufficiali erano armati di bastoni e machete e le forze dell’ordine avrebbero aperto il fuoco per legittima difesa. Strana legittima difesa quella di uomini addestrati ed equipaggiati con moderne armi da fuoco che sparano all’impazzata su lavoratori che rivendicano il loro diritto alla sopravvivenza in uno dei Paesi più poveri al mondo, dove i ricordi dei massacri operati dalle forze di sicurezza ai tempi della segregazione razziale rimangono indelebili (Sharpeville 1960, Soweto 1976, Uitenhague 1985…). Nel Sudafrica odierno una minoranza di persone di colore ha potuto arricchirsi andando a far compagnia all’élite bianca da sempre detentrice del potere politico ed economico, mentre il Paese registra un tasso del 40% di disoccupazione, nelle periferie di quasi tutte le grandi città i poveri vivono in baraccopoli prive di strutture sanitarie e collegamenti elettrici e le lotte sociali, se non sono funzionali agli interessi dei partiti e vengono condotte al di fuori di essi, vengono represse con la massima violenza. I maggiori sindacati sono legati alle logiche di potere e servono gli interessi delle imprese e dei politici, i loro funzionari guadagnano buoni stipendi e sono ammanicati con la direzione delle imprese nelle quali lavorano gli/le operai/e che il sindacato stesso dovrebbe rappresentare e difendere. Mentre un personaggio come Frans Baleni, segretario del sindacato National Union of Mineworkers (NUM) guadagna 105 000 Rand al mese per difendere gli interessi dei proprietari delle miniere, dei politicanti dell’ ANC con le mani in pasta nei profitti e degli investitori britannici o cinesi, i minatori fanno lavori faticosi e pericolosi in cambio di salari da fame e se chiedono un miglioramento della loro retribuzione ricevono pallottole come risposta, al pari delle 25 persone uccise dalla polizia durante proteste sociali dal 2000. L’unica difesa legittima in questa situazione è la lotta unitaria di tutti i/le lavoratori/trici per la socializzazione dei mezzi di produzione e per la redistribuzione della ricchezza prodotta, al di fuori e contro partiti e sindacati asserviti, contro i capitalisti, lo Stato ed i suoi apparati repressivi, fino alla liberazione dallo sfruttamento e dal dominio.

Per approfondire:

“The Marikana mine workers massacre- a massive escalation in the war on the poor”, di Ayanda Kota, pubblicato su Libcom;

“ANC throws off his mask! Workers murdered!”, dichiarazione congiunta degli anarchici sudafricani, dal sito Zabalaza.

Qualcosa sulla Grecia.

Della Grecia abbiamo sentito parlare recentemente sui principali organi di “informazione” per due motivi principali: i campionati europei di calcio e le elezioni per il rinnovo del parlamento nazionale. Entrambe gli argomenti hanno a mio parere la stessa importanza, con la differenza che almeno il calcio, nonostante tutte le magagne, rimane pur sempre un’entusiasmante forma di intrattenimento. Il discorso sulle elezioni greche ci è stato presentato dalla stampa di pensierounicolandia come una battaglia tra sostenitori vs. affossatori dell’Euro e delle misure di austerità per uscire dalla crisi economica, ma in realtà le differenze tra le posizioni della coalizione di sinistra SYRIZA (che non é esatto definire “radicale” perché nulla di radicale sta in parlamento o ambisce a starci) e quelle dei socialdemocratici del PASOK e dei liberal-conservatori di Nea Dimokratia non sono sulla permanenza nell’ Euro o sull’accettazione o meno del memorandum dell’austerità, quanto sulle condizioni di tale permanenza e su possibili alleggerimenti di tali misure. Il mio sottovalutare l’importanza delle elezioni non é una posizione isolata, tant’é che proprio molti dei/lle diretti/e interessati/e aventi diritto al voto in Grecia decisero di astenersi: il 40%, astensione record -e i record sono fatti per essere battuti…

Ora, più che interessarmi di quale forza politica avrà l’onere o l’onore di mettere in pratica direttive di massacro sociale decise dall’èlite economica dominante, mi chiedo come la cosiddetta crisi economica (in realtà crisi di tutto un modello socioeconomico dato per vincente e inamovibile dagli esperti pagati per convincerci che tanto non serve a nulla ribellarsi perché nulla si può cambiare e viviamo nel migliore dei mondi possibili) vada a ripercuotersi sul tessuto sociale greco e quali siano le contromisure adottate da chi mette in pratica i principi anarchici e antiautoritari, ma anche semplicemente da chi tenta di sopravvivere in un contesto come quello dell’attuale crisi. Ho quindi letto col passare del tempo un certo numero di articoli e testimonianze e visto qualche documentario o videoinchiesta che dir si voglia, ottenendo un approssimativo quadro della situazione che, se da un lato risulta allarmante e sconfortante, dall’altro conferma quello che gli/le anarchici/che vanno dicendo (e possibilmente facendo) da sempre. Da un lato cresce il numero dei disoccupati, aziende e piccole imprese meno competitive falliscono, c’é chi si suicida e c’é chi emigra, aumentano i consensi non solo elettorali nei confronti di partiti fascisti e xenofobi -lampante è l’esempio del movimento neonazista Chrysi Avgi- i cui militanti usano la violenza nelle strade, spesso con la complicità passiva o attiva delle forze dell’ordine, per terrorizzare e colpire fisicamente immigrati, omosessuali, emarginati e persone politicamente “non gradite”. A questo quadro di disperazione, rassegnazione e accanimento su capri espiatori con conseguenti guerre tra poveri, degno dei più realistici romanzi distopici, fa da contraltare la tenacia di chi non solo si sforza quotidianamente di sopravvivere, ma tenta anche di autogestire la propria vita al di là delle regole e dei ritmi imposti dalle politiche di austerità. Nascono cooperative di produzione e consumo diretto, scambi di prodotti e servizi su base di accordi volontari senza l’uso del denaro, mense popolari, nuove situazioni di aggregazione e socialità non commerciali. A fronte della disastrosa situazione del sistema sanitario i lavoratori ospedalieri occupano le strutture di cura; non solo per sfuggire alla disoccupazione, ma per divenire padroni del proprio lavoro, gli operai occupano le fabbriche che i padroni dichiarano fallite; quelli del “movimento di solidarietà, disobbedienza e resistenza” ALANYA dirottano il traffico automobilistico evitando di farlo passare per i caselli autostradali a pagamento; laddove la corrente elettrica é stata tagliata per punire chi non é in grado di pagarla, i collegamenti vengono ripristinati dagli utenti; le obliteratrici su tram e autobus vengono messe fuori uso consentendo alla gente di poter viaggiare gratis. Accanto a questi ed altri innumerevoli esempi vi é la resistenza quotidiana alle prepotenze e violenze poliziesche e fasciste, la solidarietá con gli immigrati e gli emarginati, la difesa degli spazi occupati e autogestiti minacciati di continuo con sgomberi ed arresti degli occupanti.

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C’é da chiedersi quale piega prenderanno col passare del tempo gli eventi, come si svilupperanno le lotte e le pratiche di autogestione, se prevarranno la disperazione e la rassegnazione ad una vita di stenti e sacrifici inutili o la voglia di lottare per riappropriarsi della propria dignitá e felicità, se le svolte ancor più autoritarie che si profilano all’orizzonte avranno o meno la meglio sul desiderio di libertà e sulla volontá di molti di scrollarsi di dosso il peso di un sistema parassitario dagli effetti intollerabili. La storia non é finita e le sue pagine vengono scritte quotidianamente, il cammino é lungo e riguarda tutti noi, abitanti o meno di quel territorio geografico chiamato Grecia.

Speriamo che oltre alla vergogna perdano pure qualcos’altro…

Articolo tratto da Umanità Nova (online) dell’ 8 Luglio 2012, n.24 anno 92.

” Sbirri senza vergogna

Federico Aldrovandi
Sbirri senza vergogna

«Che faccia da culo che aveva sul tg…una falsa e ipocrita…spero che i soldi che ha avuto ingiustamente possa non goderseli come vorrebbe…adesso non sto più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie» e ancora «Infatti è successo un fatto analogo a Trieste dopo il nostro, con delle responsabilità reali da parte dei colleghi e nessuno ne ha saputo nulla, io mi vergognerei di usare la politica e la mediaticità per far valere una falsa giustizia…VEGOGNATEVI TUTTI COMUNISTI DI MERDA…». Questo è quanto ha scritto su un social network il poliziotto Paolo Forlani, un assassino, che ha ucciso nel settembre 2005 a Ferrara, insieme ad altri tre agenti, un ragazzo di 18 anni, Federico Aldrovandi. Le parole erano dirette alla signora Patrizia Moretti, la madre del ragazzo assassinato. La Cassazione, il 21 giugno 2012, aveva reso definitiva la condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo ai 4 poliziotti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri. In particolare la quarta sezione penale aveva respinto il ricorso presentato dalla difesa dei 4 agenti contro la condanna che era già stata emessa dalla Corte d’Appello di Bologna il 10 giugno del 2011. Secondo la sentenza l’agire dei poliziotti ha trasceso i limiti consentiti: Federico è deceduto, dunque, per un arresto cardiaco a seguito del pestaggio da parte dei poliziotti, e non riferibile, in alcun modo, all’abuso di stupefacenti. Inoltre c’è stata senz’altro cooperazione colposa nella condotta degli agenti, per via della comune scelta di azione, della consapevolezza di agire insieme, fattore che gli imponeva di controllare anche l’azione dei colleghi e nel caso di regolarla. Ma nessuno dei poliziotti è andato in carcere, visto che 3 anni sono coperti dall’indulto…e neanche hanno rischiato il posto di lavoro, infatti sono ancora tutti in servizio ma trasferiti in un’altra città. Le dichiarazioni dell’agente erano state postate sulla bacheca interattiva del gruppo «Prima Difesa», amministrato da Simona Cenni, neofascista (ex-coordinatrice regionale di Azione Sociale-Marche) che «tutela gratuitamente per cause di servizio tutti gli appartenenti alle Forze dell’Ordine e Forze Armate». Tra i commenti, oltre a quello del poliziotto condannato, c’è qualcuno che paragona Federico a un «cucciolo di maiale» e la signora Moretti, madre di Federico, ha ritenuto opportuno presentare ai carabinieri di Ferrara una denuncia-querela per diffamazione contro il gruppo-associazione «Prima Difesa». Saputo della querela, Forlani tentò di correre ai ripari chiedendo pubblicamente scusa tramite l’Ansa: “Voglio chiedere perdono per quel mio contegno estemporaneo ed assurdo”, rispedite prontamente al mittente da tutta la famiglia Aldrovandi. “E’ meglio che lasci perdere! Le sue scuse? La coscienza doveva parlargli 7 anni fa all’alba di quella mattina. Non ci può esser assoluzione per ciò che ha detto” ha dichiarato Patrizia Moretti, mentre Lino Aldrovandi, padre di Federico, aggiunge: “… non mi interessa davvero quello che dice, e in merito a Ferrara e ai comunisti di merda, io non sono comunista ma se queste persone hanno collaborato a far emergere la verità, ben vengano, io non ho mai chiuso le porte a nessuno”. Rimane il riferimento di Trieste, che forse alludeva al Commissariato di Villa Opicina, dove ci fu il sequestro di una ragazza ucraina di 32 anni, Alina Bonar Diachuk. In particolare il dirigente dell’Ufficio immigrazione della questura di Trieste, Carlo Baffi, è indagato per omicidio colposo e sequestro di persona in relazione al “suicidio” della ragazza: la giovane è morta il 16 aprile scorso in una cella della questura, dove era stata rinchiusa illegalmente in attesa dell’espulsione. Un suicidio che era apparso da subito poco credibile, e che aveva fatto scattare una indagine che ha portato all’incriminazione di Baffi per sequestro di persona e omicidio colposo. Durante la perquisizione nell’abitazione dell’agente e nel suo ufficio, all’interno della Questura del capoluogo friulano, i finanzieri e i poliziotti trovarono busti, foto e poster di Mussolini, i libri “Mein Kampf” di Adolf Hitler, la “Difesa della razza” di Julius Evola, “La questione ebraica” di Julius Streicker e altro materiale antisemita. Il suo avvocato, Paolo Pacileo, ha presentato subito un’istanza al Tribunale del Riesame per l’annullamento del verbale di sequestro dei libri e dell’altro materiale, tra cui sei proiettili di pistola non denunciati e una copia della targhetta dell’Ufficio immigrazione delle dimensioni di un foglio protocollo, sulla quale era inserita a destra una foto di Mussolini e a sinistra la scritta “il dirigente dell’ufficio epurazione” in caratteri romani simili a quelli usati nel Ventennio. Proprio il ritrovamento di questa targa innescò la perquisizione della casa di Carlo Baffi. Durante le indagini gli inquirenti hanno sequestrato 49 fascicoli in originale relativi ad altrettanti cittadini extracomunitari anch’essi, in attesa dell’espulsione, detenuti illegalmente al commissariato di Opicina. Una pratica consolidata, un vero e proprio sistema che è assai improbabile che abbia avuto per protagonista il solo Baffi, che però per ora rimane l’unico indagato: le vittime del poliziotto sono, per quello che finora è dato sapere, tutti cittadini stranieri. Pronta la presa di posizione dell’ANFP (Associazione Nazionale Funzionari di Polizia) in sostegno del dirigente dell’Ufficio Immigrazione, che fa polemica politica con la magistratura definendosi fortemente perplessa sul sequestro di oggetti personali e di libri operato presso l’ufficio ed il domicilio del funzionario e lamentandosi dell’acquisizione dei soli testi che costituiscono espressione del pensiero di estrema destra, mentre si sarebbe ritenuto di tralasciare quelli che si riferiscono, per contro, all’ideologia di estrema sinistra. Il sodalizio sindacale poliziesco polemizza insinuando: “se il sequestro effettuato mira all’individuazione di elementi utili ai fini delle indagini, appare evidente come la doverosa documentazione del contestuale possesso di testi di entrambe le nature – peraltro assolutamente fisiologico per un funzionario che, come il collega BAFFI, ha prestato servizio presso una Digos – rischi di essere irrimediabilmente compromessa dalla incomprensibile “obliterazione” di elementi di significato opposto rispetto a quelli di pretesa rilevanza.” L’associazione, quindi, cerca di giustificare Baffi buttandola sul suo lavoro presso la Digos. Ora, d’accordo che un “poliziotto che sa fare il suo mestiere” deve essere informato sulle varie ideologie, però forse non è richiesto ad un funzionario di polizia di possedere nel proprio ufficio e nella propria abitazione busti, foto e poster del duce stile altarini e soprattutto una scritta che paragona il suo incarico con l’ufficio epurazione del regime. Visto che il 70% dei funzionari della Polizia di Stato sindacalizzati si riconosce nell’ANFP, quindi nel comunicato sovracitato, pare evidente che il legame tra neofascismo e Polizia di Stato sia molto stretto, o quantomeno lo è nella cultura, al di la della propaganda ingannevole antistatalista e antipoliziesca di alcuni gruppi o partiti fascisti. Che la polizia italiana fosse fascista lo aveva già dichiarato pubblicamente il quotidiano britannico «Guardian» nel luglio del 2008 in un articolo in cui si occupò dei fatti di Genova. Il giornale londinese spiegava alcune pratiche usate sui civili, picchiati senza pietà, in modo sistematico, non per ottenere una confessione ma semplicemente per il gusto sadico di infliggere un dolore. In un’inchiesta di sette pagine intitolata «La sanguinosa battaglia di Genova», il Guardian denunciò: «Questo non è il comportamento di un gruppo di esaltati. Questo è fascismo». Durante i pestaggi alla scuola Diaz e le torture nel carcere di Bolzaneto, racconta il quotidiano britannico, i poliziotti parlavano in modo entusiastico di Mussolini e Pinochet. I loro cellulari avevano suonerie con le tradizionali canzoni del ventennio. E i prigionieri furono costretti a dire più volte «Viva il Duce» o «Un, due, tre, viva Pinochet». Non stiamo parlando di un fascismo messo in atto da dittatori «con gli stivali neri e la bava alla bocca» ma del pragmatismo di politici dalla faccia pulita. «Il risultato però – dice il Guardian – è molto simile. Genova ci insegna che quando lo Stato si sente minacciato, la legge può essere sospesa. Ovunque».
’Gnazio “

Genova 2001, non é finita.

A 11 anni di distanza dal vertice del G8 di Genova ci sono ancora alcune persone con le quali lo Stato ha un conto in sospeso per ciò che avvenne in quei giorni. Non si tratta di quelli/e che vennero massacrati di botte e umiliati dai servitori dello Stato, privati dei più elementari diritti civili che vengono dati per scontati in un qualsiasi Paese ritenuto “democratico”, ancora in attesa di “verità e giustizia”; né si tratta dei colpevoli -esecutori e mandanti- dei pestaggi per le strade, alla scuola Diaz, degli arresti indiscriminati con torture e terrore psicologico a seguito, dell’uccisione di un manifestante e del ferimento grave di molti/e altri/e, dei depistaggi e delle menzogne. Si tratta invece di dieci persone accusate di “devastazione e saccheggio”, dieci capri espiatori che verranno processati in ultimo grado presso la Corte di Cassazione di Roma il prossimo 13 Luglio. Mentre i picchiatori di Stato ed i loro superiori in grado vengono premiati, dieci tra le decine di migliaia di persone che durante le giornate di Genova scesero per strada per opporsi alle politiche della globalizzazione ed alle decisioni prese dai vertici di potere sulla pelle di tutti subendo una repressione che é riduttivo definire brutale rischiano oggi di venir condannate a scontare una pena media di dieci anni di galera ciascuno/a. Questa é la risposta dello Stato alle lotte sociali, questo dovrebbero tenere sempre presente quelli che si appellano allo stesso Stato per avere “giustizia”: ma quale giustizia, quella di chi, nel “migliore” dei casi, sacrifica le pedine per salvare re e regina? Da quando in qua lo Stato processa se stesso? Come si può pretendere che la causa di un problema sia al tempo stesso la sua soluzione? L’unica cosa coerente e logica che rimane da fare é sostenere le ragioni delle lotte di quei giorni riaffermando la veritá dei fatti e la validitá dell’opposizione al dominio, allo sfruttamento ed alla prevaricazione, manifestando la nostra solidarietà agli/lle imputati/e nel modo che ognuno reputa più efficace ed in sintonia con i propri principi.

In queste ultime settimane sono nate due proposte a sostegno dei compagni e delle compagne sotto processo: una petizione ed un’appello per una mobilitazione internazionale di solidarietà. Per saperne di più, per firmare la petizione e per leggere il testo dell’appello alla mobilitazione:

“Campagna 10×100” (contiene il link per accedere alla pagina sulla quale firmare l’appello);

Appello per una mobilitazione internazionale in solidarietà ai condannati per gli scontri di Genova 2001 (anche in inglese e spagnolo).

Basiano. Lavoratori o schiavi?

Fonte: Anarres-info.

“A Basiano, nei pressi di Milano, c’è un magazzino dove vengono lavorate le merci per il supermercato il Gigante.
In questo magazzino, gestito dalla Gartico, una delle società che si occupa servizi di magazzinaggio per conto de “il Gigante”, lavorano circa 120 operai, dipendenti da due cooperative, la Sinergy del gruppo Alma per il facchinaggio e la movimentazione merci, e la ItalTrans che gestisce la sezione trasporti attraverso un’altra cooperativa, la Bergamasca del gruppo CISA.
Un intrico di appalti e subappalti dove vige il caporalato del secondo millennio.

Gli operai di Bergamasca – quasi tutti pakistani – grazie ad un balzello che consente alla cooperativa di pretendere 2.500 euro di quote sociali come compenso per le “perdite” della cooperativa – prendono 400 euro al mese in meno dei colleghi di Alma, dove i lavoratori sono quasi tutti egiziani. Il lavoro per gli uni e per gli altri è lo stesso.
A metà maggio i lavoratori della Bergamasca entrano in sciopero per il salario, e quelli di Alma li appoggiano.

A fine mese la coop Alma disdice l’appalto, lasciando a casa 90 lavoratori, che, nonostante lo preveda la legge, non vengono riassorbiti dall’altra cooperativa, che decide di avvalersi di lavoratori sin allora utilizzati a “chiamata” dai “caporali”. Licenziano decine di operai che lavoravano a 9 euro all’ora per sostituirli con altri, più ricattabili, a soli 6 euro l’ora.

L’8 giugno scatta lo sciopero: i lavoratori di Alma occupano il magazzino, quelli di Bergamasca lo appoggiano. Arriva la polizia, sgombera, carica, picchia: cinque operai finiscono all’ospedale. Da quel giorno scatta un presidio permanente.

Ma il peggio deve ancora venire.
La mattina dell’11 giugno arrivano i pullman dei crumiri accompagnati dalla polizia, i licenziati fanno picchetto davanti ai cancelli. Poi scatta la mattanza: lacrimogeni sparati direttamente sulle gambe, pestaggi durissimi di persone cadute in terra, teste spaccate, gambe fratturate.
Venti operai finiscono all’ospedale, alcuni feriti in modo grave. Tutti e venti verranno arrestati con l’accusa di resistenza aggravata. Nei giorni successivi alla maggior parte vengono attenuate le misure cautelari: qualcuno va ai domiciliari, altri hanno l’obbligo di firma.
Sabato scorso un migliaio di persone hanno manifestato a Milano in solidarietà ai lavoratori di Basiano, vittime di una legislazione che consente il caporalato. Se i lavoratori sono immigrati la loro sorte è ancora peggiore, perché, quando perdono il lavoro, perdono anche il permesso di soggiorno e rischiano l’espulsione.
La condizione dei lavoratori immigrati è ormai, sempre la più, la condizione di tutti i lavoratori, obbligati a contratti precari, senza alcuna garanzia per il futuro. Il ricatto occupazionale spinge ad accettare orari sempre più lunghi e salari sempre più bassi.
Nel nostro paese stanno varando una riforma del lavoro che renderà le nostre vite ancora più difficili e precarie. I padroni potranno licenziare come e quando vorranno.
Alzi la testa, lotti per il salario, la sicurezza sul lavoro, contro il dispotismo di capi e caporali? Di te non c’è più bisogno, vai via!
Si torna indietro e ci dicono che stiamo andando avanti.
Da anni il lavoro è diventato una roulette russa: i lavori precari, malpagati, pericolosi, in nero sono diventati la regola per tutti.
Chi si fa ricco con il lavoro altrui non guarda in faccia nessuno. Chi governa racconta la favola che sfruttati e sfruttatori stanno sulla stessa barca e elargisce continui regali ai padroni.
I padroni si sentono forti e passano all’incasso di quel che resta di garanzie, libertà, salario. Un macello che gronda sangue.
Monti vuole la fine delle lotta di classe, con la resa senza condizioni dei lavoratori. Cgil; Cisl e Uil lo hanno accontentato. I lavoratori, strangolati dalla crisi, dall’aumento di tariffe e dalla riduzione di salari e garanzie saranno disponibili a fare altrettanto?
O decideranno di difendere le loro vite, di lottare contro lo sfruttamento, di costruire un mondo diverso, senza servi né padroni.

Ci vogliono far credere che è impossibile. Mentono.

Cambiare la rotta è possibile. Con l’azione diretta, costruendo spazi politici non statali, moltiplicando le esperienze di autogestione, abbandonando l’illusione elettorale, perché destra e sinistra in questi anni si sono divise su tutto ma non su quello che conta. Hanno attuato lo stesso programma: farci pagare la crisi dei padroni finanziando le imprese e tagliando i servizi.
Facciamola finita con chi ci dice di abbassare sempre la testa, di tirare a campare, di rassegnarsi. Che se ne vadano tutti!
Un mondo di liberi ed eguali è possibile. Tocca a noi costruirlo.!

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torino
corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21
338 6594361 fai_to@inrete.it
http://anarresinfo.noblogs.org

Colpirne dieci per educare tutti.

Il 13 Giugno scorso i carabinieri dei ROS comandati dal generale Giampaolo Ganzer, nell’ambito dell'”Operazione Ardire” ordinata dal famigerato pm di Perugia Manuela Comodi,  hanno perquisito una quarantina di abitazioni di anarchici ed hanno arrestato 10 persone, due delle quali si trovavano già in carcere rispettivamente in Germania e Svizzera. Le accuse mosse agli/lle indagati/e vengono tenute insieme dagli inquisitori dal solito collante, la tesi del “terrorismo internazionale”-stavolta con collegamenti in Grecia… Uno degli aspetti che salta per primo agli occhi in questa grottesca vicenda è il fatto che tre degli indagati siano accusati semplicemente di aver esposto uno striscione e di aver fatto scritte sui muri, in teoria roba da nulla, ma che inserita nel contesto dell’ “associazione sovversiva con finalità di terrorismo” può costare condanne penali pesantissime. Un’altra cosa da tenere in considerazione per capire meglio il contesto nella quale si sta svolgendo quest’operazione repressiva é la storia degli inquisitori di turno, efficacemente riassunta e commentata tra l’altro da questo articolo: http://www.globalproject.info/it/in_movimento/la-notte-dei-ganzer-viventi/11798.

Altretanto importante è l’attuale contesto sociale in Italia (e non solo): di fronte alle misure di austerity messe in atto da un governo tecnico che é diretta espressione dei poteri forti internazionali cresce l’insofferenza nei confronti dello Stato e dei suoi apparati, un’insofferenza che si manifesta spesso in forme confuse e contraddittorie, ma che indubbiamente preoccupa chi detiene il potere e difende l’ordine sociale esistente basato su diseguaglianza e sopraffazione. Gli anarchici non solo sono i capi espiatori di sempre da sacrificare sull’altare della coesione sociale e della fedeltá allo Stato ed ai suoi presunti valori, ma sono anche pericolosi istigatori che, nonostante le differenti proposte che possono avanzare i diversi gruppi o correnti, hanno la potenzialitá di mostrare agli sfruttati ed agli oppressi percorsi di liberazione dal giogo sempre più insopportabile del capitalismo ciclicamente in crisi ed intrinsecamente promotore di diseguaglianza sociale e dello Stato da sempre indifferente agli interessi della gran parte dei suoi cittadini ma che sempre pretende obbedienza e punisce chi non si allinea al pensiero unico dominante. È quindi logico che si vogliano togliere di mezzo i ribelli a prescindere dalle azioni che compiono e dalla loro reale pericolositá per gli apparati di potere: il terrorismo c’entra solo in quanto, come fin troppo spesso accade in questi casi, siamo di fronte alla famosa storia del bue che dà del cornuto all’asino, da una parte lo Stato con i suoi Ganzer e soci, dall’altro chi non vuole essere nè servo nè padrone e aspira ad un mondo radicalmente diverso da quello nel quale viviamo.

Boicottiamoli sempre.

“Scioperate contro la guerra, perché senza di voi nessuna battaglia può essere combattuta! Scioperate contro le granate, i gas, le bombe e tutti gli altri oggetti di morte! Scioperate contro i preparativi di morte e distruzione di milioni di esseri umani! Non siate stupidi ed obbedienti schiavi di un esercito distruttivo! Siate gli eroi di un esercito costruttivo!”

La frase qui sopra è di Helen Keller, che pur essendo diventata cieca e sorda all’età di due anni fu capace in vita sua di vedere e sentire più della maggior parte delle persone ritenute “normali”. Le cosiddette persone “normali”, in Italia, si svegliano alla vigilia del 2 Giugno del 2012 chiedendo che la parata militare organizzata per la Festa della Repubblica venga sospesa in segno di lutto e di rispetto nei confronti delle vittime del sisma che ha colpito l’Emilia-Romagna. Con i soldi che si spenderebbero per le celebrazioni del 2 Giugno (“Troppo tardi, già spesi”, ricorda un ministro dell’attuale governo tecnico), dicono, si potrebbe aiutare la ricostruzione delle zone terremotate. Ma é da quel dì che un pugno di pazzi privi di amor patrio continua a ripetere che il denaro investito nelle spese militari é denaro sottratto ad altri servizi utili alla comunitá, denaro che alimenta una macchina di morte e di oppressione! Questi pazzi anormali dicono che senza gli Stati non ci sarebbero guerre e senza obbedienza cieca, miseria economica e morale e mancanza di senso critico non ci sarebbero eserciti, affermano che le guerre sono necessarie al sistema economico capitalista per la creazione di nuovi mercati e l’approvvigionamento (leggi:rapina) di nuove risorse, ma anche per sottomettere chi si oppone alle smanie di dominio delle superpotenze mondiali. Questi pazzi che non amano la loro Patria più di tutte le altre Patrie, che non salutano la bandiera, che non onorano il Presidente, sono i disertori di sempre, coloro che fomentano l’insubordinazione e invitano all’indisciplina: un tempo sarebbero stati fucilati o sbattuti in galera (non che le due opzioni non siano valide ancora oggi, specialmente la seconda ma ogni tanto anche la prima) per statuire un esempio e mantenere l’ordine. Meno male che viviamo in un mondo di persone normali, altrimenti a qualcuno salterebbe in mente non solo di boicottare la parata militare del 2 Giugno per un fatto di circostanza, ma magari di boicottare l’esercito, la Patria, lo Stato e tutte le strutture che creano diseguaglianza, sfruttamento ed oppressione, ogni dannato giorno dell’anno.

Longsleeve: Abolish Capitalism - Smash The State - For A Free Humanity - For Anarchism

Ricordando Vittorio Arrigoni.

Io non credo nei confini, nelle barriere, nelle bandiere. Credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini e dalle longitudini, alla stessa famiglia, che è la famiglia umana“.

Vittorio Arrigoni può essere ricordato in tanti modi. Su di lui possono venir scritte poesie, articoli, canzoni, si possono far video, opere pittoriche, magari anche monumenti. Per quanto mi riguarda, il modo migliore per ricordarlo, per ricordare la sua vita, non la sua morte, è continuare ad impegnarsi per far conoscere la verità su ciò che subisce la popolazione palestinese a Gaza (e non solo), solidarizzando con gli oppressi, aiutando come si può pur sapendo di non star facendo abbastanza, ma soprattutto continuando a sentire la sofferenza di queste persone come se fosse la nostra- una frase che sembrerà insignificante a chi vive tranquillo e intontito nel proprio piccolo mondo, ma che per me vuol dire tutto.

Per continuare a controinformare, aprendo una breccia nel muro di silenzio innalzato dai complici delle umiliazioni, delle discriminazioni, delle violenze, della negazione di una vita dignitosa perpetrate quotidianamente con un chiaro progetto politico dallo Stato di Israele contro la popolazione palestinese, contro il terrore usato contro chiunque si opponga a tale situazione: restiamo umani, non restiamo in silenzio.

Quelli che seguono sono alcuni documentari informativi che affrontano temi quali le condizioni di vita dei palestinesi nei territori occupati, la repressione e la guerra contro i civili condotta dallo Stato israeliano, ma anche le lotte contro l’oppressione portate avanti anche da cittadini/e israeliani/e che rifiutano di essere complici di tali ingiustizie e atrocitá:

-“Good times. Il muro della vergogna sionista“;

-“Only for one of my two eyes” (sottotitolato in italiano);

-“Jenin, Jenin” (sottotitolato in italiano);

-“Gaza risponde a Roberto Saviano” e “Israele risponde a Roberto Saviano“;

“Shachaf Polakow- Anarchists Against The Wall” (english language).