La Siria, i “buoni” e i “cattivi”.

Finora ho evitato di trattare su questo blog l’argomento del conflitto in corso in Siria. Ho infatti cercato col trascorrere de tempo di farmi un’idea precisa di ciò che stava accadendo in quel Paese, confrontando la mole di informazioni che ci vengono riversate addosso quotidianamente dai massmedia e sul web, anche da fonti di cosiddetta controinformazione, prima di esprimere un qualsivoglia giudizio. Ora che si parla apertamente di intervento militare da parte degli USA e dei suoi alleati mi sento di esporre brevemente le conclusioni alle quali sono giunto finora.

Nel Dicembre del 2012 ho ricevuto per posta un opuscolo informativo dell’associazione “Adopt a Revolution”, che mi invitava a sostenere economicamente i comitati rivoluzionari siriani. Tali comitati sono nati dal movimento di protesta contro l’attuale governo di Bashar al-Assad, con l’intento di rovesciarlo in modo nonviolento per favorire una rivoluzione democratica -questo il sunto delle informazioni contenute nell’opuscolo, nel quale si parla anche di repressione nei confronti degli/lle attivisti, di escalazione del conflitto e dell’impossibilità di proseguire le lotte antigovernative a viso aperto e senza l’uso delle armi. Si parla anche di un codice di comportamento per il “libero esercito siriano” (nel volantino, in tedesco, “Freie Syrischen Armee”), che numerosi gruppi dell’esercito ribelle si sono impegnati a rispettare per evitare saccheggi ed esecuzioni sommarie, escludendo dal discorso i gruppi combattenti formati da fondamentalisti islamici: nelle intenzioni, questo codice di comportamento servirebbe anche a porre le forze combattenti che lo sottoscrivono sotto controllo civile. A queste informazioni si aggiungono quelle delle quali ero venuto a conoscenza mesi prima, tra cui un comunicato unitario di anarchici russi e siriani  ed un’altro comunicato di un anarchico siriano, entrambi schierati nettamente dalla parte delle forze antigovernative. Ora, il fatto che esistano ribellioni in atto contro un qualsiasi governo (a mio parere meno spazi di libertà e dialogo lascia un governo, più la ribellione è urgente), spinte dalla genuina volontà della popolazione nel voler porre fine a forme di autoritarismo ed oppressione politica e sociale può solo incontrare la mia simpatia ed approvazione. Il problema è che nel caso della Siria la situazione è molto più complessa di quanto si possa pensare.

Innanzitutto la posizione geografica del Paese è fondamentale sullo scacchiere internazionale per gli equilibri del Medio Oriente- e non solo. Conseguenza di ciò, come faceva notare il docente universitario Massimo Ragnedda in un suo vecchio articolo online, è anche una vera e propria guerra psicologica di (dis)informazione: gli Stati che vedrebbero di buon occhio la rimozione dell’attuale governo siriano (USA, Unione Europea, Israele, Turchia, Arabia Saudita) non hanno fatto altro che diffondere informazioni manipolate e di parte sul conflitto in corso, attribuendo i peggiori crimini alle forze governative, presentando i guerriglieri come martiri democratici e la popolazione civile vittima di terrorismo da parte delle forze armate di Assad, raccontandoci di attacchi chimici contro civili, città distrutte e rifugiati. Guarda caso, anche la carta della paura nei confronti di nuove ondate migratorie alle porte della fortezza Europa nel bacino del Mediterraneo è stata giocata senza scrupoli di sorta dai massmedia “occidentali”. D’altro canto, dagli Stati in buoni rapporti con Assad (Russia, Cina, Iran) provengono notizie ben diverse sul conflitto in corso, che mettono ad esempio in dubbio l’uso di armi chimiche da parte delle forze armate governative, attribuendolo piuttosto alle forze ribelli indicate come un coacervo di Alquaedisti che, per destabilizzare la regione e spodestare il governo laico e moderato di Assad, commettono ogni sorta di nefandezza anche contro i civili che non sostengono la loro lotta. Quel che è certo è che l’attuale regime siriano, il cui partito Ba’ath è in carica dal 1963, si regge sul potere dell’esercito e di 14 diversi servizi segreti spesso in concorrenza tra loro, ha una natura nazionalista e militarista e difende sostanzialmente gli interessi e i privilegi della minoranza religiosa degli alawiti (sciiti). È altrettanto chiaro che tra i ribelli, foraggiati opportunisticamente anche da potenze straniere, vi sono milizie armate salafite e wahhabite, ovvero composte da elementi islamici fondamentalisti e reazionari, che non si mettono problemi nel liquidare gli alawiti (e non solo!) nel più brutale dei modi. È questa la triste realtá dei fatti con la quale si deve fare i conti prima di esprimere opinioni affrettate e prendere posizione per l’uno o l’altro fronte. Eppure, tra le forze politiche della cosiddetta sinistra radicale (sic!) c’è chi sembra avere le idee chiare: i partiti stalinisti siriani e quelli europei (almeno in Francia e Belgio) stanno dalla parte del regime di Assad, considerato antiimperialista; i trotzkisti dal canto loro si schierano con i ribelli e vedono i fondamentalisti islamici come possibili alleati. Al di fuori di questo pattume, gli anarchici non sembrano avere idee precise, perchè se da un lato ancora non ne ho sentito uno che supporti in qualche modo il governo siriano, dall’altro non tutti sostengono il fronte antigovernativo, inquinato da interessi esterni e composto da forze troppo eterogenee che spesso hanno nulla a che fare con ideali di libertà, emancipazione e uguaglianza.
Si deve anche prendere atto di un’altra evidenza: il conflitto siriano è un conflitto ancora locare, ma la posta in gioco è a livello mondiale. I diritti umani non valgono una sega per le potenze interessate alla soluzione del conflitto a favore o contro il governo di Assad, queste nel sangue dei poveracci ci intingono il pane da tempi ormai immemori. Ogni mezzo è buono per portare acqua al proprio mulino, ai propri interessi geostrategici. A farne le spese sono coloro i quali in questa guerra crepano come mosche, uccisi dalle armi, siano chimiche o meno, delle truppe governative, o dalle rappresaglie di guerriglieri ben poco interessati a concetti quali democrazia o emancipazione, o quelli che -più fortunati?- si trovano a dover fuggire dal Paese dopo aver perso tutti i loro averi per finire in condizioni disastrose in qualche campo profughi. Il settarismo religioso ed etnico, alimentato soprattutto dagli Stati stranieri interessati a favorire l’una o l’altra fazione (creando divisioni soprattutto all’interno del fronte antigovernativo), precipita il conflitto in una dimensione che non lascia spazio a nessuno spiraglio per gli ideali tanto cari a noi anarchici. Un bel puttanaio, insomma, per dirla in modo tanto brutale quanto chiaro. Un intervento militare (che sembra ormai scontato, proprio quando gli ispettori ONU sono appena arrivati in Siria!) non farebbe altro che porre la parola fine non tanto alla violenza del regime di Assad, che verrebbe sostituita da altra violenza (basti pensare nell’immediato, visto che si parla “solo” di un possibile attacco aereo, al fatto che le bombe intelligenti sganciate dai deficienti non guardano in faccia nessuno, se qualcuno ricorda i bombardamenti NATO ai tempi del conflitto tra Serbia e Kosovo, tanto per fare un esempio, saprà a cosa mi riferisco), quanto a qualsiasi speranza residua di una rivoluzione in Siria. Al suo posto, solo un nuovo Stato devastato, colonizzato e privato della sua sovranità…e non sarebbe l’unico. Ma non finirebbe così, ne sono convinto, perchè l’obiettivo finale delle potenze occidentali e dei loro alleati in Medioriente è l’Iran. E se Russia e Cina assumono per ora un ruolo tutto sommato passivo nella vicenda siriana, non credo che farebbero lo stesso in caso di aggressione al loro alleato chiave mediorientale…

Vola, Carrero Blanco, vola!

C’é chi dice sia stato il primo astronauta spagnolo a salire in orbita, chi lo ricorda come l’atleta che stabilì il record mondiale tuttora imbattuto di salto in alto con l’auto, chi invece ne parla come colui che, stanco di fare l’ammiraglio della marina, si improvvisò aviatore in maniera oltremodo insolita e rocambolesca. A questo punto i/le lettori/trici più attenti e preparati avranno giá capito di chi sto parlando.

A chi pensasse che quanto ho scritto sopra sia crudele o perlomeno di cattivo gusto di fronte alla morte improvvisa e violenta di un essere umano, vorrei ricordare (o raccontare per la prima volta) un paio di cose. Luis Carrero Blanco, ucciso in un attentato dell’ETA il 20 Dicembre 1973 a Madrid, fu tra quegli ufficiali dell’esercito che nel 1934 repressero nel sangue la rivolta dei minatori delle Asturie, gli stessi ufficiali che nel ’36, Francisco Franco in testa, si sollevarono contro la Repubblica Spagnola. Seguace e ammiratore indefesso del dittatore Franco, Carrero Blanco fu uno dei suoi uomini più fedeli, quello che, al culmine di una lunga carriera di boia e persecutore (si dice che assistesse personalmente alle torture inflitte ai detenuti politici durante gli interrogatori), venne nominato dall’ormai anziano caudillo come suo successore, l’unico in grado di mantenere insieme le diverse componenti del franchismo, l’unico capace di dare continuità alla dittatura. Ma ecco che un evento inaspettato, seppure non pone subito fine al fascismo in Spagna, almeno ne fa tremare le fondamenta, che non reggeranno ancora a lungo. Il 20 Dicembre 1973 è un giorno difficile da dimenticare per i/le tanti/e che in Spagna hanno perso i propri cari per mano della repressione governativa, per chi è in galera, per gli operai e gli studenti che organizzavano scioperi e manifestazioni allora proibite e punite in modo durissimo, per quelli costretti alla clandestinità, un giorno nel quale tutte queste persone esultarono, insieme a moltissime altre in giro per il mondo, nel sapere che l’ammiraglio aveva tirato le cuoia.

Sull’ETA ci sarebbe tanto da dire. Non si dovrebbe dimenticare che L’ETA che combattè il franchismo non è necessariamente la stessa che continuò a piazzare autobombe ed ammazzare consiglieri comunali negli anni successivi alla dittatura, considerata anche la scissione che l’organizzazione subì nell’Ottobre del ’74 che vide l’abbandono della lotta armata da parte di molti etarra. Va ricordato che i baschi, senza nulla togliere agli altri abitanti dello Stato chiamato Spagna, sono quelli che durante la guerra civile ed il franchismo hanno sofferto di più: ma ciò giustifica l’uso del terrorismo da parte di alcuni di essi? E dove inizia e dove finisce la pratica terroristica? L’ETA ha certamente compiuto nella sua storia azioni ingiustificabili ed imperdonabili, ma se un gruppo armato piazza una bomba in un centro commerciale, telefona più volte per avvisare del pericolo ma ciò viene ignorato dalle autoritá che, consapevolmente, non evitano la morte di 21 persone ed il ferimento di altre 45, chi dobbiamo chiamare terrorista: solo chi ha piazzato la bomba come gesto dimostrativo, avvisando, oppure anche e soprattutto chi l’ha lasciata esplodere per calcolo politico? Ma soprattutto, si dovrebbe definire terrorismo anche un attentato mirato contro il vice di un dittatore? Ognuno potrà rispondere a queste domande secondo le proprie idee e la propria etica, senza però dimenticare le circostanze e le cause di certi gesti. Per quanto mi riguarda, quando penso al 20 Dicembre di 39 anni fa mi vengono prima di tutto in mente la cittá di Guernica rasa al suolo dai bombardamenti del 1937, le fucilazioni di prigionieri e prigioniere antifascisti che continuavano ancora 10 anni dopo la fine della guerra civile, le condanne a morte eseguite con la garrota, i figli dei rivoluzionari rapiti e adottati da famiglie di provata fede reazionaria e ancora l’ottusità, l’obbedienza, la vigliaccheria, l’indifferenza, i baciapile, il silenzio, squarciato infine da una tremenda esplosione. Un atto liberatorio, in fondo, in un tempo ed in un luogo che non offrivano alternative.

“Remember, remember, the days of December…”

Nel ricordare la morte del giovanissimo Alexis Grigoropoulos, ammazzato a sangue freddo quattro anni fa da due sbirri nel quartiere ateniese di Exarchia, e gli eventi che ne conseguirono, un’insurrezione popolare che durò fino alla vigilia di Natale del 2008, avrei voluto scrivere qualcosa di mio pugno. Mi sarebbe piacuito parlare di un libro, “We are an image from the future”, che raccoglie comunicati, analisi, testimonianze degli eventi successivi alla morte di Alexis. Avrei magari ricordato per l’ennesima volta, visto che il calendario è beffardo e la Storia è costellata di episodi in qualche modo simili, che lo Stato uccide, in qualsiasi luogo e tempo, spesso con motivi e scopi ben precisi, a volte solo perchè ciò è il risultato del monopolio della violenza giustificato dalla presunta incapacitá dell’essere umano di autogestire liberamente i rapporti sociali ed economici secondo il libero accordo tra individui, senza coercizione. Avrei detto tutto ciò in modo più esteso di quanto non abbia fatto ora, ma in fondo a che serve quando la realtá dei fatti è di fronte agli occhi di tutti noi e richiede solo uno sforzo collettivo per essere capita? La gente ha semplicemente paura di riconoscerlo, riconoscere che siamo stati ammaestrati, divisi  in categorie fittizie ed aizzati l’uno contro l’altro, controllati e ingabbiati secolo dopo secolo ed ora abbiamo paura di perdere le nostre certezze, le nostre abitudini, la nostra sicurezza, la prevedibilitá di eventi basati su dinamiche decise da altri, abbiamo paura di saltare nel vuoto creando un mondo diverso da quello nel quale viviamo, senza affidarci a leaders o messia che promettono falsi cambiamenti solo per lasciar tutto come sempre, in un circolo vizioso che non è altro che l’adeguamento dello sfruttamento e dell’oppressione secondo le necessitá del momento. Finchè continueremo ad avere paura di cambiare realmente e radicalmente le cose il futuro sarà sempre e solo una proiezione sbiadita di ciò che potrebbe essere stato se… e non il prodotto delle nostre azioni consapevoli.

Ancora qualcosa a riguardo:

“Siamo Un’Immagine Dal Futuro”.

L’altra Israele.

Nel momento in cui scrivo vige finalmente la tregua, ma le vittime dell’aggressione israeliana nella striscia di Gaza, giunta al suo settimo giorno, sono salite a 164: persone con nomi e cognomi, con le loro vite alle quali è stata posta fine per mano del governo e delle strutture militari di uno Stato che non vuol sentire ragioni e va avanti nel tempo con la sua politica fatta di massacri, razzismo, prepotenza, una politica che nuoce in primo luogo ai palestinesi ma anche, collateralmente, agli stessi cittadini israeliani. Questi ultimi si trovano a dover vivere sotto la costante minaccia di attentati compiuti da persone disperate, alle quali i governi israeliani succedutisi negli anni hanno tolto sempre piú la speranza di una vita dignitosa e di una soluzione equa e pacifica del conflitto. Il terrorismo dello Stato d’Israele non viene perciò appoggiato da tutti/e gli/le israeliani/e: chi si rifiuta di obbedire all’autoritá e di partecipare ai soprusi, alla negazione di diritti elementari ed ai massacri nei confronti della popolazione di Gaza fa parte per ora di una minoranza di persone consapevoli e coraggiose che si spera diventi col tempo sempre più numerosa. Quelle che seguono sono solo alcune tra le tante storie di cittadini/e israeliani/e che hanno voltato le spalle al nazionalismo, al militarismo, al lavaggio del cervello imposto dai dogmi religiosi, all’obbedienza cieca, in nome di altri valori.

Natan Blanc, diciannovenne di Haifa, preferisce la prigione all’arruolamento nell’esercito;

Manifestazione di attivisti/e israeliani nel centro di Tel-Aviv contro l’attacco a Gaza, 15 Novembre;

Sbirri impediscono manifestazione di attivisti/e israeliani a Gerusalemme contro l’attacco a Gaza, 15 Novembre;

Obiettori/trici di coscienza israeliani;

Noam Gur and Alon Gurman refuses to serve in the Israeli military;

Refuseniks and Israeli Soldiers speaks out;

La storia di Jonathan Ben Artzi;

Lettera di un obiettore di coscienza israeliano;

Anarchici contro il muro.

Per i morti di Utoya.

Un’anno fa più un giorno, 69 ragazzi e ragazze venivano uccisi dal fanatismo e dalle idee reazionarie di un individuo che ha raccolto i frutti di anni di propaganda islamofoba e antiimmigratoria, propaganda di idee e concetti ritenuti con indifferenza o addirittura con compiacenza “normali” finché non si traducono negli atti di un personaggio perfettamente lucido ma definito pazzo per comodità degli stessi che smerciano quelle idee e quei concetti. I ragazzi e le ragazze morti ammazzati da Breivik quel 22 Luglio del 2011 mentre partecipavano all’annuale campeggio del Partito Laburista Norvegese li sento lontani da me per le loro idee politiche, ma vicinissimi per il modo in cui sono morti: cancellati dall’odio di chi vuole affermare un modello sociale fondato sull’intolleranza, sull’uniformità culturale e sull’oscurantismo religioso, annientati da chi non si ferma nemmeno di fronte a persone inermi. Il terrore scatenato da Breivik ha radici che attechiscono anche in Paesi definiti progressisti e benestanti, è un terrore che alberga nelle pieghe di una società che non sa fare i conti con i propri conflitti sociali e culturali, con le proprie contraddizioni, con l’intolleranza e l’indifferenza latenti che non dovrebbero lasciare nessuno indifferente e ignorante di fronte all’imminenza della catastrofe.

Anarchico ucciso da neonazisti a Samara (Russia).

Riporto la tragica notizia pubblicata originariamente sul sito in lingua russa Avtonom e riportata, tradotta in italiano, sul sito Anarkismo:

 

“Antifascista anarchico ucciso a Samara, in Russia

I suoi amici ed i suoi familiari hanno bisogno di aiuto!


Lo scorso 9 febbraio alle 6.30 del mattino, nell’area dell’Istituto “FIAN”, un bidello ha trovato il corpo di Nikita Kalin, nato nel 1991. Alle 8:00 è arrivata la polizia che solo alle 11.00 ha avvisato la madre della vittima.Secondo la madre, Nikita avrebbe ricevuto 61 coltellate; inoltre le sue costole presentavano fratture multiple, ed anche la testa presentava ferite. Non gli è stato rubato niente. Attualmente, c’è un sospettato di omicidio in stato di arresto, dato che sui suoi abiti sono state trovate tracce del sangue di Nikita.

E’ evidente che Nikita è stato aggredito da un gruppo; la polizia ha anche detto a sua madre a livello informale che il sospettato è un’attivista nazionalsocialista il quale si rifiuta di fare nomi. Oltre alla brutalità dell’omicidio, va detto che la polizia non ha ancora chiesto alla madre di Nikita o ai suoi amici se sanno chi è l’ultima persona che lo ha incontrato. Per questa ragione, temiamo che ci sarà un tentativo di insabbiare il caso, come spesso succede in Russia. Comunque, il sospettato ha già assunto un avvocato.

Crediamo anche che le attività investigative vengano svolte nell’interesse del sospettato, ed è per questo che è importante dare sostegno ai familiari ed agli amici di Nikita. A questo punto, c’è un’organizzazione per i diritti umani che mette a disposizione un avvocato, ma intanto i fondi sono necessari per il funerale.

Nikita era figlio di una semplice famiglia operaia e non aveva mai nascosto il suo antifascismo e le sue idee anarchiche.

In caso vogliate inviare una donazione agli amici ed alla famiglia di Nikita per le spese del funerale, potete farlo tramite la Croce Nera di Mosca: http://wiki.avtonom.org/en/index.php/Donate

samara.jpg

Nella foto in alto, si vede Nikita durante una riunione locale sulle frodi elettorali, mentre tiene un cartello con scritto “Noi non abbiamo bisogno di nessuna autorità! Libertà o morte! Il nostro candidato è l’autogoverno!”

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.”

Gli atti di violenza compiuti da neonazisti in Russia nei confronti di immigrati, omosessuali, antifascisti ma anche contro giornalisti e avvocati impegnati in processi o indagini sul mondo dell’estremismo di destra sono cresciuti in modo esponenziale negli ultimi anni, per chi fa attivitá politica antifascista è pericoloso non solo girare da soli o disarmati per strada, ma anche semplicemente mostrare il proprio volto scoperto durante iniziative pubbliche o interviste. Un’estratto dall’articolo “Nessuna calma sul fronte orientale” di Mikhail Tsovma, pubblcato sul numero estivo del 2010 di “A-Rivista anarchica” mostra uno spaccato di una realtà inquietante e drammatica alla quale è necessario reagire anche offrendo la nostra solidarietà ai/lle compagni/e antifascisti/e russi/e che rischiano, letteralmente, la propria vita nella lotta:

“Negli ultimi tempi la Russia ha visto crescere un’ondata di violenza razzista dell’ultradestra, per un certo tempo favorita dal governo, che non ha saputo reagire al terrorismo nazista. È in crescita la violenza nazista, soprattutto rivolta contro gli immigrati e la gente di colore, ma anche contro gli antifascisti, gli anarchici e i progressisti. Negli ultimi tempi abbiamo anche assistito all’emergere dalla clandestinità di nazisti, che rappresentano una forza sempre più propensa al terrorismo.
Il 19 gennaio 2009 un noto avvocato, Stanislav Markelov, è stato ucciso con un colpo alla testa in pieno centro di Mosca, ed è stata colpita anche la giornalista Anastasia Baburova, che lo stava accompagnando e che tentava di fermare l’assassino. Il caso è diventato uno scandalo internazionale, perché Markelov era molto noto in quanto difensore di civili ceceni vittime della brutalità della polizia e dell’esercito, come di attivisti e di antifascisti. Era anch’egli un socialista e collaborava attivamente con gli anarchici. La Baburova non era solo una reporter di un giornale dell’opposizione, la Novaya Gazeta, ma era anche impegnata nel movimento anarchico e antifascista. Meno note al pubblico sono le uccisioni di altri attivisti, anarchici e antifascisti avvenute di recente e con modalità simili a quelle dell’assassinio di Markelov e Baburova.

Per un certo tempo la polizia ha finto di non notare il problema o ha sostenuto che c’era una sorta di strana guerra tra due subculture giovanili: gli skinhead nazisti e gli antifascisti. Ma la situazione è sfuggita di mano e alla fine si è dovuta ammettere ufficialmente l’esistenza di un terrorismo nazista in Russia. L’ultimo assassinato è stato un giudice che aveva condannato al carcere alcuni nazisti.
Nel giugno 2004 a San Pietroburgo, Nikolay Girenko, un militante per i diritti civili che aveva testimoniato come esperto contro alcuni aggressori razzisti, è stato assassinato da colpi sparati attraverso la porta della sua abitazione. Nel novembre 2005 Timur Kacharava, un giovane musicista e attivista dell’antifascismo, nel corso di un’azione “Cibo e non Bombe” è morto accoltellato da una dozzina di skinhead nazisti. Nell’aprile 2006, sempre a San Pietroburgo, i nazisti hanno sparato a uno studente senegalese, Samba Lanpsar, attivo in una ONG antirazzista. Nello stesso mese, a Mosca, un militante antifascista, Alexander Ryukhin, mentre si recava a un concerto antifascista, è stato aggredito e ucciso da una banda di nazisti armati di coltelli. In una aggressione simile, nel marzo 2008 a Mosca, ha perso la vita Alexey Krylov. Nel luglio 2007 ad Angarsk, in Siberia, un campo ecologista di protesta contro l’importazione di scorie radioattive in Russia, è stato attaccato da una banda di nazisti che agivano chiaramente per ordine non ufficiale delle autorità locali e della polizia: uno dei manifestanti, Ilya Borodayenko, è stato accoltellato a morte (tre anni dopo il caso non è ancora finito in tribunale, perché le indagini non sono state condotte in modo adeguato). Nell’ottobre 2008 a Mosca Fyodor Filatov, uno skinhead antinazista tra I principali organizzatori della resistenza antifascista, è stato accoltellato davanti all’ingresso del proprio appartamento. Uno altro antifascista moscovita, Ilya Dzhaparidze, attivo tra le tifoserie calcistiche, è stato ammazzato nello stesso modo nel luglio 2009. Nel gennaio 2009 sono caduti come ricordato Stanislav Markelov e Anastasia Baburova. In novembre le pallottole naziste hanno tolto la vita di Ivan Khutorskoy, uno dei leader dell’antifascismo di strada a Mosca.
Sono solo i casi di aggressioni conclusasi con la morte, mentre che ne sono tante che hanno provocato feriti (e ci sono casi di attentati dinamitardi a concerti e ad abitazioni di antifascisti). Secondo il rapporto pubblicato dal Centro Sova, circa il 22 per cento delle aggressioni naziste nel 2009 sono state ai danni di antifascisti. Le modalità degli assassini è la stessa delle uccisioni razziste: aggressioni di gruppo con molteplici coltellate letali o, più di recente, anche con l’uso di armi da fuoco.
Fino a oggi il movimento antifascista ha scelto di non uccidere i nazisti per rappresaglia. È forte una presa di posizione morale, una nobile decisione, ma nessuno può dire per quanto tempo potrà continuare (e ovviamente ci sono già casi di nazisti uccisi: un caso si è verificato a Odessa, in Ucraina, quando un antifascista, per difendersi da un’aggressione di una banda nazista ha accidentalmente ucciso uno degli aggressori. A quanto risulta anche in Ucraina cominciano a esserci problemi per l’aumento della violenza nazista, anche se con dimensioni più ridotte rispetto alla Russia).”