“Lampedusa in Hamburg”, una lotta per la sopravvivenza.

Dopo il vertice dei 28 capi di Stato europei all’indomani dalla strage di migranti nelle acque di Lampedusa, nulla è cambiato nelle politiche sull’immigrazione della Fortezza Europa. Eppure l’emergenza rimane: dico emergenza, ma non mi riferisco a quella sbandierata dai massmedia integrati nella società dello spettacolo, che citano cifre allarmistiche e casi simbolici  per spaventare l’opinione pubblica con lo spauracchio dell’invasione di migranti da oltremare, ma intendo quella che devono quotidianamente affrontare quelle persone che, una volta sopravvissute a guerre, dittature, carestie ed al viaggio fino alla porte d’Europa, si trovano lasciate a se stesse, impossibilitate ad avere un tetto sulla testa, un lavoro, assistenza sanitaria, garanzie di qualsiasi tipo se non quella di venir costantemente minacciati di rimpatrio. È questa la quotidianità di un gruppo di 300 immigrati africani che oggi si trovano ad Amburgo, fuggiti dalla Libia durante la guerra civile ed i bombardamenti della NATO, approdati a Lampedusa e, una volta finita ufficialmente l’emergenza all’inizio del 2013, spediti con documenti provvisori e 500 Euro in tasca verso un futuro incerto. Approdati ad Amburgo, i trecento scoprono di non avere nessun diritto, nessuna garanzia, nessuna prospettiva. Le istituzioni tedesche vorrebbero identificarli, ma loro si rifiutano, temendo di poter essere rispediti in Italia, palleggiati tra uno Stato e l’altro. D’altra parte questo è quel che prevede il Regolamento Dublino II, i rifugiati possono chiedere asilo solo nel primo Paese europeo sul quale abbiano messo piede al loro arrivo. L’Italia, in questo caso, che si è sbarazzata di loro appena possibile. I 300 rifugiati, costretti inizialmente a vivere per strada e sottoposti a stretta sorveglianza da parte della polizia, hanno però avuto la determinazione di organizzarsi in un gruppo compatto, un’associazione ribattezzata “Lampedusa in Hamburg” , ricevendo l’aiuto da parte della locale chiesa evangelica luterana di St.Pauli, di organizzazioni antirazziste e di altri/e cittadini/e di Amburgo. Una serie di iniziative di solidarietà concreta e di proteste a sostegno dei rifugiati ha avuto e sta avendo luogo ad Amburgo: un’ottantina di membri di “Lampedusa in Hamburg” ha trovato accoglienza e rifugio nella chiesa di St.Pauli, numerose sono state le donazioni di abbigliamento, calzature e generi di prima necessità da parte di privati cittadini, mentre diverse iniziative di lotta si sono svolte nella città portuale. Dopo la prima azione di protesta avvenuta nel municipio di Amburgo a fine Maggio a seguito dello sgombero di una tendopoli situata nei pressi della stazione centrale, alla quale parteciparono circa 60 persone che dispiegarono lo striscione “Non siamo sopravvissuti alla guerra della NATO in Libia per morire nelle strade di Amburgo”, ci sono state altre due consistenti manifestazioni a Giugno ed Agosto, con la partecipazione rispettivamente di 1500 e 2500 persone.

Non sono mancate le intimidazioni poliziesche, le identificazioni di manifestanti ed alcuni arresti, mentre l’amministrazione cittadina ha proibito alla chiesa di St.Pauli di offrire ulteriore accoglienza ai rifugiati, ai quali ha precluso anche l’alloggio in dormitori adibiti al pernottamento dei senzatetto. La stessa settimana in cui centinaia di migranti morivano nel tentativo di raggiungere Lampedusa, la polizia lanciava l'”Operazione Lampedusa”, durante la quale venivano identificati ed arrestati una dozzina di membri di “Lampedusa in Hamburg”. A seguito di questi ed altri arresti operati nei giorni successivi si sono svolte diverse manifestazioni, spesso non autorizzate ma molto partecipate (dalle 800 alle 2000 persone) per denunciare la violenza poliziesca ed il trattamento razzista riservato ai richiedenti asilo. Anche lo storico centro sociale amburghese Rote Flora ha preso posizione a fronte dei controlli arbitrari su base razzista, degli arresti e della politica di terra bruciata operati dalle istituzioni nei confronti dei richiedenti asilo, lanciando un ultimatum all’amministrazione cittadina (“interrompete i controlli razzisti nei confronti dei membri di Lampedusa-in-Hamburg o aspettatevi ripercussioni”) e prendendo parte ad una manifestazione di 2000 persone che ha visto compiere azioni dirette nel quartiere di Sternschanze. Dal momento in cui le istituzioni hanno deciso di perseverare ne loro atteggiamento razzista e repressivo, sono proseguite le iniziative politiche in sostegno dei rifugiati, con cortei, blocchi stradali, biciclettate in stile “Critical Mass”, azioni informative e tentativi di impedire i controlli razzisti. Anche a Rostock si è svolta una manifestazione di solidarietà sotto lo slogan “Refugees Welcome!”, alla quale hanno preso parte 1500 persone. Le iniziative di lotta e sostegno al gruppo Lampedusa-in-Hamburg continuano ancora in questi giorni, finchè ai rifugiati non verrà garantito il diritto a rimanere nella cittá di Amburgo.

(Per altre informazioni e notizie attuali sul caso dei 300 richiedenti asilo del gruppo “Lampedusa in Hamburg” consiglio di visitare il sito http://lampedusa-in-hamburg.tk/)

Una mia considerazione a margine della vicenda: quella del gruppo “Lampedusa in Hamburg” e dei suoi solidali sostenitori è una lotta per la legalizzazione ed il riconoscimento dei diritti di un gruppo specifico. Ciò non significa che si tratti necessariamente di una lotta riformista e di ciò sono consapevoli molti/e dei/lle quali sono parte di questa battaglia. Il loro obiettivo va oltre la volontà di un mero riconoscimento istituzionale dei richiedenti asilo, l’obiettivo finale è quello di un mondo senza Stati né frontiere, nel quale le persone siano libere di spostarsi senza controlli e vessazioni di tipo burocratico e poliziesco. Un mondo nel quale però nessuno/a sia costretto a fuggire dalla terra nella quale è nato/a a causa di condizioni di vita inaccettabili, ma nel quale gli spostamenti nascano da una decisione priva di forzature di sorta. La costruzione di un mondo diverso da quello nel quale viviamo ora inizia anche dal sostegno diretto e immediato alle lotte di chi avanza rivendicazioni tutto sommato minime, cresce spingendo sulle contraddizioni più evidenti del sistema e creando nuova coscienza, fino alla messa in discussione totale del vigente ordine economico, sociale e politico ed alla realizzazione pratica di alternative concrete in chiave libertaria e antiautoritaria.

“Lampedusa, strage di Stato”.

Fonte: Umanità Nova.

” Lampedusa, strage di Stato

 

L’eccidio dei migranti

 

Lampedusa, strage di Stato

Quando i lettori di Umanità Nova leggeranno questo articolo, si sarà già detto e scritto molto sulla strage di immigrati di Lampedusa. Nel momento in cui scriviamo, i corpi recuperati sono 195. Nel ventre del motopeschereccio affondato davanti all’isola dei Conigli, poco più di uno scoglio accanto a Lampedusa, ci sono ancora decine di altri cadaveri.
Per chi si occupa di immigrazione, i fatti di Lampedusa non costituiscono una novità. Da quando, nella concezione di chi ci governa, i flussi migratori sono diventati una questione di ordine pubblico, le tragedie del mare scandiscono una “normalità” alla quale molti si erano praticamente assuefatti. Chi lotta per un miglioramento delle normative vigenti o per una loro radicale revisione, ha sempre posto una questione dirimente: se non fosse così difficile entrare legalmente in Italia (e in Europa), verrebbero meno le condizioni che stanno alla base di questi eventi luttuosi.
La logica proibizionista, d’altra parte, funziona così: un divieto assoluto alimenta la clandestinità e la speculazione affaristica. Basti pensare al proibizionismo degli alcolici negli Stati uniti nel secolo scorso, che fece le immense fortune di mafiosi e gangster; o all’attuale proibizionismo in fatto di consumo di droghe, che consente alla mafia e agli spacciatori di ingrassarsi, alle carceri di riempirsi all’inverosimile, e allo stato di esercitare una sua presunta superiorità morale.
Nel caso dell’immigrazione, ancora più brutalmente, la “merce” proibita sono gli esseri umani. Il proibizionismo imposto alla libera circolazione delle persone serve al capitalismo per garantirsi un serbatoio di manodopera ricattabile e a basso costo; serve agli stati per dare in pasto all’opinione pubblica l’idea che non siamo tutti uguali e che gli stranieri sono potenzialmente pericolosi; serve alle mafie per fare lucrosi affari sui traffici di esseri umani che si affidano ai viaggi della speranza.
La notte tra il 2 e il 3 ottobre scorsi, è successo quello che è successo tante altre volte, al largo di Lampedusa, o di Malta, o a pochi metri dalla battigia di una qualunque spiaggia siciliana. In questo caso, le proporzioni del disastro sono state talmente grandi da suscitare un disagio che, in questi tempi di bulimia informativa ed emotiva, sembrava non esistesse quasi più. Le immagini delle bare allineate, tantissime, tutte uguali, in un hangar dell’aeroporto di Lampedusa, si commentano da sole, e non c’è alcun bisogno di fare retorica, almeno non su queste pagine.
Vale la pena riferire qualcosa a proposito dei soccorsi, all’alba del 3 ottobre, a largo di Lampedusa. Fonti più che attendibili (l’associazione agrigentina Borderline Sicilia) rivela che quando sono arrivati sul posto i mezzi della Guardia costiera, i diportisti che avevano chiamato i soccorsi avevano già salvato 47 persone, tutte vive. Drammatiche le fasi del salvataggio: gli immigrati erano tutti intrisi di gasolio, scivolavano dalle mani dei loro soccorritori, erano sfiniti. Eppure, dall’s.o.s. all’arrivo delle autorità, sono passati almeno tre quarti d’ora. Davvero troppo per un’isola ipermonitorata da chi di dovere, e che si circumnaviga nel giro di un quarto d’ora. Durante le concitate fasi del salvataggio, uno dei diportisti ha chiesto ai militari il trasbordo veloce dalla sua barca al gommone della Guardia costiera fatto apposta per questo tipo di operazioni, ma gli è stato detto di no: «Dobbiamo rispettare i protocolli» ha chiarito – imperturbabile – un uomo in divisa.
Questa risposta, fredda e disumana, riassume perfettamente il senso delle cose. Di fronte a un’umanità in fuga da guerre e miseria, di fronte al bisogno umano di spostarsi e di vivere, si erge una burocrazia insensibile ed estranea. È questa burocrazia che uccide gli immigrati, ancor prima degli episodi singoli che provocano materialmente le tragedie.
Basti pensare che i superstiti del naufragio, appena qualche giorno dopo dal disastro, sono stati inscritti nel registro degli indagati per il reato di immigrazione clandestina. Un atto dovuto, hanno spiegato alla Procura di Agrigento, in virtù della legge Bossi-Fini. Ecco come funziona lo stato, ecco come funzionano le sue leggi. Quelle stesse leggi che innescano paure e ritrosie anche nei lavoratori del mare, i pescatori che, tante volte, incrociando nelle loro rotte le carrette cariche di immigrati, preferiscono lanciare l’allarme guardandosi bene dal prestare alcun tipo di soccorso per non incorrere nell’odiosa accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nel conseguente sequestro del peschereccio, unico e insostituibile strumento di lavoro. 
Non si vuole, qui, né generalizzare né puntare il dito. In moltissime occasioni, infatti, pescatori e diportisti siciliani hanno salvato vite umane senza derogare all’universale e atavica legge del mare che impone il mutuo soccorso al di là di ogni confine. Quello che si sottolinea, in questa sede, è la funzione terroristica delle attuali norme sull’immigrazione e, soprattutto, la maniera terroristica con la quale esse vengono applicate. Persino i trattati internazionali obbligano il salvataggio in mare, e il reato di favoreggiamento è comunque subordinato soltanto a determinate fattispecie, e dovrebbe essere segnalato nel corso degli appositi pattugliamenti predisposti dalle autorità competenti. Invece, questa minaccia viene fatta incombere sulle persone indiscriminatamente, a prescindere dai contesti concreti.
Non sappiamo nemmeno se sia il caso di riferire sulle dichiarazioni degli esponenti politici di tutti gli schieramenti all’indomani della tragedia. Grande dolore, grande commozione, grande indignazione, da destra a sinistra. Perfino il capo dello stato ha suggerito, bontà sua, la necessità di rivedere le norme sull’immigrazione in Italia. Peccato però che si tratti dello stesso Giorgio Napolitano che firmò nel 1998 – insieme a Livia Turco – la prima famigerata legge che istituì i centri di detenzione per immigrati e sulla quale fu impostato l’impianto normativo della Bossi-Fini, che tutti – oggi – criticano da sinistra. Dall’altra parte, gli esponenti di quel che resta del Popolo della Libertà cadono letteralmente dalle nuvole, difendono la Bossi-Fini, e scaricano ogni responsabilità sull’Unione europea che «dovrebbe fare di più, e non dovrebbe lasciarci soli». Quello che non si dice è che la Bossi-Fini risponde a un’esigenza che discende direttamente dalla concezione politica ed economica dei confini che delimitano la “fortezza Europa” di cui tante volte abbiamo parlato. In Italia, queste esigenze di dominio sono state declinate tecnicamente, e cavalcate politicamente, da personaggi dell’ultradestra razzista e fascista, con il contorno di un pressapochismo tutto italiano che rende le cose ancora più intollerabili: nessuna idea di accoglienza, gestione perennemente emergenziale dei fenomeni sociali, miopia politica ai limiti del dilettantismo.
Dopo la strage di Lampedusa è il momento del dolore, senza dubbio. Ma il nostro dolore esiste da moltissimi anni, ed è lo stesso, insopportabile dolore che proviamo tutte le volte che sappiamo di una morte, di una mutilazione, di uno stupro, di una violenza che si producono nel contesto della repressione sugli immigrati.
L’unica certezza, che può alleviare il profondo malessere che ci opprime il cuore, sta nella consapevolezza che questa situazione non può durare all’infinito. Le leggi sull’immigrazione sono così antistoriche e disfunzionali, di fronte agli eventi planetari del tempo in cui viviamo, che – prima o poi – dovranno essere profondamente modificate, se non spazzate via. Noi europei siamo senz’altro più fortunati degli “altri”, ma sono moltissimi i segnali che ci fanno capire quanto poco sia destinata a durare questa nostra “fortuna”. La miseria e l’oppressione che oggi bussano alle nostre porte sotto le spoglie di immigrati e profughi sono, per molti versi, delle lugubri presenze che condizionano già adesso le nostre vite di precari, di sfruttati, di senza futuro.
Ci sono due modi per affrontare la questione. Uno è quello irrazionale, egoistico, razzista: gli “altri” non sono come me, che stiano al loro posto, che muoiano. L’altro è quello razionale, squisitamente umano, antirazzista: gli “altri” sono come me, e sono vittime – come me – di quelli che rendono possibile questo scempio attraverso la politica e l’economia.

Alberto La Via “

Il pericolo Alba Dorata.

La crisi e il “sonno della ragione“.

Tra gli effetti più devastanti della crisi economica che colpisce la Grecia vi è l’ascesa di un movimento neonazista sempre più forte, dotato di un’ampia base di consensi anche attivi da parte di una popolazione stremata che si lascia sedurre e ingannare dalle promesse e dagli slogan xenofobi e populisti di un manipolo di teppisti che ora siede in parlamento e pattuglia le strade alla caccia di “nemici”. Il bersaglio facile è, come spesso accade, lo “straniero” e più in generale il “diverso”, accusato di rubare il lavoro ai greci,di minare le basi dei valori nazionali e di godere di fantomatici privilegi quando un numero sempre più crescente di persone soffre gli effetti delle misure varate dai governi agli ordini della troika BCE-UE-FMI. Questo movimento si chiama Chrysi Avgi (Alba Dorata), partito greco che si richiama esplicitamente all’ideologia nazista e al concetto di “sangue e suolo”. Fondato nel 1985 (e riconosciuto ufficialmente come partito nel 1993) dall’ex paracadutista Nikolaos Michaloliakos, Alba Dorata ha registrato rispettivamente il 6,97 % dei voti (21 seggi) alle elezioni nazionali greche svoltesi il 6 Maggio 2012 e il 6,92% (18 seggi) a quelle del 17 Giugno successivo . La maggior parte dei consensi al partito provengono dai ceti benestanti timorosi di poter perdere i loro privilegi, dagli abitanti di quartieri il cui mancato sviluppo economico suscita sentimenti di rancore nei confronti della classe dirigente e dagli agenti di polizia (si stima che oltre il 50% degli agenti delle forze dell’ordine avrebbe votato per Alba Dorata). Tra i sostenitori di Alba Dorata vi sono anche molti esponenti della scena black metal di ispirazione nazista (NSBM), tra cui musicisti delle bands Der Stürmer, Legion of Doom, Naer Mataron, oltre che i soliti teppisti senza arte nè parte reclutati soprattutto tra le tifoserie calcistiche. La scarsa conoscenza della storia e delle ideologie nazifasciste, della dittatura di Ioannis Metaxas, dell’occupazione italo-tedesca in Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale, della guerra civile greca e della dittatura militare reazionaria dei colonnelli durata fino al 1973 gioca un ruolo importante soprattutto tra i più giovani, attratti dall’avventurismo e dalle presunte buone intenzioni del partito nei confronti dei greci “di sangue puro”.

I temi centrali sui quali questa organizzazione tenta- attualmente con successo- di raccogliere consensi sono l’antieuropeismo e l’opposizione all’immigrazione. Omofobia e antisemitismo (Michaloliakos ha negato pubblicamente la Shoah ed ha elogiato Hitler in alcuni suoi articoli di giornale, in particolare in quello del 1987 dall’inequivocabile titolo “Hitler per 1000 anni”, pubblicato sulla rivista che portava lo stesso nome dell’organizzazione da lui fondata) sono anch’essi parte integrante dell’ideologia del partito, seppure messi momentaneamente in ombra dalla piú intensa attivitá xenofoba/antiimmigratoria. Il populismo di stampo xenofobo dei membri dell’organizzazione si manifesta nelle loro iniziative da un lato “caritatevoli” (ad esempio la donazione di sangue destinato solo “a persone di comprovata origine greca” e la distribuzione gratuita di generi di prima necessità a persone indigenti anch’esse di comprovata origine greca, a sostegno della quale il partito ha anche aperto sedi a New York, Montreal e Melbourne per raccogliere fondi da destinare a quest’ultima attvitá), dall’altro si concretizza in aggressioni contro immigrati, persone di origine straniera e avversari politici. In tal senso basterà citare alcuni episodi saliti di recente alla ribalta della cronaca, vale a dire l’aggressione fisica in diretta televisiva durante un dibattito politico da parte di Ilias Kasidiaris, portavoce del partito neonazista, ai danni di una rappresentante del partito comunista e la distruzione di alcune bancarelle gestite da immigrati presumibilmente privi di licenza in un mercato nella città di Rafina, azione alla quale hanno preso parte attiva i deputati Giorgos Germenis e Panayiotis Iliopoulos. Tra gli avvenimenti di vecchia data che sarebbe opportuno ricordare vi è l’omicidio di due immigrati ed il ferimento di altri sette da parte del militante di Alba Dorata Pantelis Kazakos, che scatenò una sparatoria ne centro di Atene il 22 Ottobre 1999 poichè si sentiva insultato dall’incendio di una bandiera nazionale greca ad opera di tifosi albanesi durante l’incontro di calcio Grecia-Albania svoltosi il 6 Ottobre nella capitale greca. Anche il caso di Antonios Androutsopoulos, membro di spicco dell’organizzazione, colpevole del tentato omicidio di tre studenti di sinistra e latitante dal 1998 al 2005 -presumibilmente grazie ad agganci nell’ambiente delle forze dell’ordine- dovrebbe far riflettere. In particolare le aggressioni nei confronti di “stranieri” e immigrati da parte di picchiatori legati ad Alba Dorata sono all’ordine del giorno. Skordeli Themis, giá candidata del partito alle elezioni amministrative di Atene, e lo stesso Ilias Kasidiaris sono sospettati di aggressioni a sfondo razzista e pertanto sotto processo. Aggressioni che possono rivelarsi mortali, come nel caso dell’immigrato di origine irachena accoltellato a morte da un gruppo di razzisti in motocicletta la notte del 12 Agosto di quest’anno. Il fatto che il governo nel 2010 abbia promulgato una legge che prevede il pagamento di 100 € per ogni denuncia presentata alla polizia non aiuta, così come non aiuta il fatto che in molti casi siano gli stessi agenti di polizia a collaborare con le aggressioni razziste o a coprirle, mentre l’attuale governo conservatore presieduto da Samaras porta avanti una campagna denominata “Xenios Zeus” contro l’immigrazione clandestina che ha finora portato a diverse migliaia di arresti nei confronti di immigrati sprovvisti di documenti in regola, inviati solitamente in centri detentivi al confine con la Turchia in attesa di espulsione, centri detentivi che, come annunciato dal governo ad Aprile, aumenteranno di 30 unità nel 2014. È evidente quindi una convergenza almeno parziale di intenti tra governo e neonazisti nel trattamento dell’immigrazione, ritenuta un problema grave in tempo di crisi. Ovviamente sia i neonazisti che le istituzioni tacciono sul fatto che la manodopera straniera sia stata usata per anni- e viene tuttora usata- per svolgere mansioni faticose, pericolose e generalmente poco appetibili in cambio di un’infima retribuzione e di condizioni lavorative oltremodo pessime, che non possono essere contestate da persone la cui condizione è precaria e legalmente non garantita e le cui necessità immediate sono pressanti. Si tace ovviamente anche sul fatto che la Grecia sia divenuta solo di recente una meta (spesso solo di transito) per gli immigrati e che fino a vent’anni fa era un luogo di emigrazione piuttosto che d’immigrazione: a tale proposito basterà ricordare che Melbourne, la città australiana dove Alba Dorata ha aperto una propria sede, è considerata “la terza cittá della Grecia” visto l’elevato numero di residenti di origine ellenica.

Tra violenza e tentativi di smarcamento.

È evidente che l’ascesa di Alba Dorata crei preoccupazione, anche se solo formale, anche a livello internazionale. Quello che fino a pochi anni fa era solo un piccolo movimento considerato da molti ridicolo ma soprattutto innocuo è oggi un partito molto attivo con una base sociale ed elettorale presumibilmente destinata a crescere. Se da un lato esso prosegue con rinnovata intensitá gli attacchi violenti di stampo razzista e fascista, dall’altro tenta di accreditarsi come movimento serio, in grado di risolvere la complessa situazione di crisi nella quale versa il paese e di alleviare le sofferenze della popolazione con provvedimenti di efficacia immediata, facendo leva sulle paure più irrazionali di una societá attraversata da una crisi non solo economica ma anche sociale e culturale e sbandierando revanchismo nazionale e ostilitá, perlomeno a livello propagandistico, nei confronti dell’Unione Europea e della moneta unica. Da una parte si scatenano pogrom contro gli immigrati seminando terrore e insicurezza, dall’altro si fa presa su concetti securitari organizzando ronde e gruppi di difesa dei cittadini greci contro la presunta minaccia della criminalità straniera; da un lato si fa sfoggio pubblico di atteggiamenti marziali e violenza estetizzata, dall’altro ci si presenta come vittime della diffamazione orchestrata dalla stampa al servizio dei poteri forti e di non meglio precisati interessi stranieri; si palesano legami con l’ideologia nazista, il metaxasismo, il nazionalismo più estremo e si afferma contemporaneamente di non essere un movimento fascista, ma solo un’organizzazione che ha a cuore il destino ed il benessere del popolo greco. Resta da vedere quanto potrà durare questa impostazione apparentemente schizofrenica, ma tipica dei movimenti di ispirazione fascista in bilico tra due tendenze apparentemente inconciliabili, quella militantista e quella in doppiopetto impegnata a rendersi presentabile agli occhi dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. È certo però che il pericolo derivato da Alba Dorata non è solo quello di un suo possibile aumento di peso ed influenza nel parlamento e nelle istituzioni greche, sebbene anche questa prospettiva non andrebbe trascurata né sottovalutata (attualmente alcuni sondaggi indicano i potenziali voti per il partito tra il 9% e il 12%). Il pericolo urgente e concreto che ci si trova ad affrontare è quello di un movimento organizzato, dotato di fondi, strutture, sedi, militanti violenti e consenso crescente tra alcune fasce della popolazione, oltre che appoggiato in forma sia attiva che passiva da elementi delle istituzioni (forze dell’ordine in primis).

La risposta antifascista.

Gli antifascisti greci tentano di contrastare le attivitá dei neonazisti attraverso la propaganda e l’azione diretta, non senza rischi per la propria incolumità personale. Il problema non sono solo gli attacchi da parte di militanti e sostenitori di Alba Dorata, ma anche la repressione poliziesca ai limiti della legalitá stessa. Di questa hanno fatto le spese, cito un caso recente, un totale di circa 40 antifascisti arrestati tra lo scorso 30 Settembre e i giorni successivi ad Atene a seguito di manifestazioni, sfociate in scontri, in solidarietà con un centro culturale tanzanese devastato nei giorni precedenti dai neonazisti. Gli arrestati, una volta rilasciati, hanno dichiarato di aver subito pestaggi, umiliazioni e torture di vario genere da parte di alcuni agenti di polizia protetti dall’omertà degli altri colleghi, che avrebbero anche minacciato di fornire a “quelli di Alba Dorata” le generalitá degli antifascisti vittime della brutalitá poliziesca se questi avessero denunciato pubblicamente la cosa (il fatto è poi stato sì denunciato, ma in forma anonima…). Ciò non impedisce comunque volantinaggi, affissioni, cortei motorizzati  e marce antifasciste, che a volte culminano in confrontazioni fisiche con gli estremisti di destra. Anche la distruzione di sedi di partito di Alba Dorata e il danneggiamento delle proprietà appartenenti a personaggi ad essa legati svolgono un ruolo importante nel campo dell’azione diretta antifascista. Uno dei casi piú emblematici in questo senso è l’attacco del 15 Marzo di quest’anno all’ufficio di Alba Dorata a Patrasso, inaugurato tre giorni prima: un centinaio di antifascisti/e hanno raggiunto in corteo l’ufficio, sono penetrati al suo interno ed hanno gettato dalla finestra materiale propagandistico dato poi alle fiamme, hanno divelto sanitari e spaccato tubature in modo da allagare il locale, hanno vergato scritte sui muri ed hanno danneggiato la struttura muraria a martellate rendendo così l’ufficio completamente inagibile. In altri casi si ricorre ad attacchi incendiari, come quelli dello scorso 12 e 22 Agosto, indirizzati rispettivamente contro l’ufficio di Alba Dorata a Pagrati e contro azienda e veicolo di proprietà di Efstathios Boukouras, candidato del partito. L’attivismo antifascista sembrava aver dato risultati positivi nel Dicembre del 2005, quando Michaloliakos dichiarò sciolta la sua organizzazione a seguito di scontri di strada con gli anarchici; i militanti e i quadri dirigenti di Alba Dorata rimasero però attivi in altri gruppi e il partito riprese ufficialmente le sue attivitá nel Marzo 2007.

Visti i collegamenti internazionali di Alba Dorata e la presenza di suoi militanti a iniziative organizzate da movimenti di estrema destra all’estero, è evidente che il problema non può essere circoscritto alla sola Grecia: quando parliamo di solidarietà internazionale dovremmo ricordare che la lotta che sta avvenendo in Grecia è una lotta che riguarda noi tutti/e, contro un problema, quello dell’estremismo di destra, che non possiamo permetterci il lusso di trascurare. Altrimenti rischiamo di trovarci di fronte agli stessi mostri originati dal “sonno della ragione” di fronte ai quali si trovarono i nostri nonni. Ma anche senza arrivare a tanto è sufficiente pensare al numero stimato di 500 aggressioni di stampo razzista avvenute in Grecia negli ultimi 6 mesi per spingerci a fare tutto ciò che è in nostro potere per supportare la lotta degli/lle antifascisti/e, in Grecia e ovunque ve ne sia bisogno.

Fonti: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11.

Breve report sulla giornata europea di azione anticapitalista del 31 Marzo.

Il 31 Marzo scorso ha avuto luogo la giornata europea di azione anticapitalista con manifestazioni, assemblee e presidi in diverse città europee, oltre che a New York. In Spagna allo sciopero generale del 29 Marzo indetto dalla CNT sono seguite proteste nei giorni successivi che hanno coinvolto numerose città con una partecipazione numerica soddisfacente. La risposta dello Stato si è manifestata in diverse occasioni sotto forma di violenza poliziesca, ad esempio a Barcellona sono stati arrestati 4 o 5 scioperanti . Sul sito ufficiale della CNT è possibile leggere notizie dettagliate sulle giornate di sciopero e lotta nelle diverse città coinvolte, oltre che analisi sulle prospettive della lotta anticapitalista e nello specifico contro la riforma del lavoro in Spagna; a Zagabria, in Croazia, sono scese in piazza diverse centinaia di persone; la manifestazione olandese si è svolta a Utrecht con la partecipazione di circa 250 persone ad un corteo che ha attraversato parte della città; A Vienna (Austria) diverse centinaia di persone hanno partecipato ad una giornata di workshops indetti all’interno della mobilitazione europea anticapitalista; anche a Kiev (Ucraina) si è svolta una manifestazione; in Grecia vi sono stati cortei in diverse città, ma la partecipazione non è stata particolarmente alta rispetto ad altre proteste recenti, ciò potrebbe derivare dal fatto che le organizzazioni anarcosindacaliste non sono particolarmente forti all’interno del panorama anarchico greco; a Francoforte (Germania) ha avuto luogo uno dei cortei più partecipati tra quelli tenutisi il 31 Marzo, ma questo corteo non ha potuto terminare il suo percorso…

… Ma cosa è successo veramente a Francoforte il 31 Marzo?

In breve: a Francoforte circa 6000 persone hanno preso parte alla manifestazione organizzata da diverse sigle anarchiche/antiautoritarie/comuniste extra/antiparlamentari. Poco dopo la partenza del corteo, all’altezza della sede della Banca Centrale Europea protetta da un ingente schieramento di polizia in assetto antisommossa, alcuni manifestanti hanno lanciato fumogeni e petardi  contro l’edificio, mentre poco dopo altri manifestanti attaccavano con una fitta sassaiola la sede di un’agenzia di rating. La polizia, col pretesto di identificare gli/le autori/trici dei danneggiamenti ha bloccato il corteo durante il suo percorso, circondandolo e dividendolo in tre parti, grazie anche al massiccio impiego di spray al pepe e manganellate. I/le manifestanti sono stati bloccati in strada per sei ore senza la possibilità di muoversi mentre la polizia operava arresti in modo arbitrario e negava agli avvocati incaricati dagli organizzatori della manifestazione di avvicinarsi. Alcune centinaia di persone sono comunque riuscite a non farsi intrappolare dalla manovra poliziesca ed hanno compiuto altre azioni dirette danneggiando altre sedi bancarie e simboli capitalisti. Attualmente il coordinamento che ha promosso la manifestazione è impegnato nel supporto legale, si cerca di capire in definitiva  a quante delle circa 460 persone fermate sia stato convalidato l’arresto e con quali accuse, mentre l’amminitsrazione cittadina di Francoforte calcola un milione di € in danni provocati dai “manifestanti violenti”.

Ora un paio di mie considerazioni personali sull’accaduto: la mia critica al comportamento degli/lle attivisti che hanno da subito scatenato la loro rabbia contro i simboli dell’oppressione capitalista è una critica puramente strategica, infatti nei pressi dell’azione vi erano persone in sedia a rotelle, genitori con bambini in passeggino ed in generale altre persone impreparate a dover affrontare la prevedibile reazione poliziesca. Un corteo spesso è il luogo meno adatto per compiere gesti di un certo tipo, a meno che non si voglia inscenare un teatrino ad uso e consumo della stampa e dei tg di regime che non vedono l’ora di poter additare i mostri anarchici o di estrema sinistra rei di aver violato la sacra proprietà privata dei padroni del mondo… In ogni caso, se spaccare le finestre della sede della Banca Centrale Europea è un atto violento mi chiedo come si dovrebbe definire ciò che fa quotidianamente la stessa BCE; la rabbia di chi attacca un simbolo di oppressione e sfruttamento è la rabbia degli oppressi e degli sfruttati che sono costretti a subire quotidianamente sulla propria pelle la precarietà, la disoccupazione, i sacrifici fatti per mantenere a galla sfruttatori e parassiti che vivono nell’agio e ordinano politiche di lacrime e sangue per la classe lavoratrice depredando da sempre interi popoli delle loro risorse, costringendoli alla fame, fomentando guerre, costringendo all’esilio per disperazione chi non può più vivere nella propria terra d’origine, ammazzando queste persone quando tentano di raggiungere l’Europa, incarcerandole se sopravvivono e, se riescono ad ottenere infine la grazia di rimanere nella parte “ricca” del pianeta, costringendole ad una vita di lavoro sottopagato e senza garanzie con la continua minaccia dell’espulsione; violenza è essere costretti alla schiavitù del lavoro salariato, violenza è dover obbedire a leggi fatte da pochi, per pochi, per tenere divisi e controllati i più; violenza è il consumismo, l’emarginazione, l’indifferenza: la violenza è questo sistema con tutti i suoi confini nazionali, i suoi eserciti, le sue polizie, le sue galere, i suoi massacri, le sue belle parole ipocrite incise sulla pelle dei morti viventi che popolano i centri commerciali, i fast food e i cinema multisala mentre cercano di non pensare, di non capire, di tirare avanti ancora un giorno ammazzando il tempo fino alla morte… anche se sono già morti senza saperlo.

Libertà per gli/le arrestati del 31 Marzo a Francoforte! Un giorno le prigioni non saranno più abbastanza per ingabbiare chi si ribella al sistema!

Stoccolma: No Border Camp 2012.

Appello tratto dal sito informa-Azione, tradotto a sual volta dal sito promotore dell’iniziativa ( per maggiori informazioni e per leggere l’ appello in altre lingue visita http://www.noborderstockholm.org/ ):

-Appello alla partecipazione al No Border Camp 2012-

Vi invitiamo al campeggio transnazionale No Border di Stoccolma, che si terrà nell`estate 2012 : una settimana di disobbedienza civile, di discussioni, di filmati e di azioni dirette contro la politica migratoria europea .
Durante gli ultimi 15 anni, i campi No Border sono nati in diverse regioni frontaliere e zone di conflitto situate nel mondo. Vere zone autonome, questi campi hanno accolto il movimento internazionale per l`abolizione di tutti gli stati-nazione della terra.
Questo movimento si inserisce in un’ottica più generale il quale scopo è promuovere un mondo liberato da tutte le forme di oppressione che si basano sulla nazione o sul paese d’origine. Si tratta di interrogarsi e lottare contro un mondo che, a partire dalla nascita, categorizza le persone secondo criteri di nazionaltà, genere, classe e razza. Si creano delle divisioni : fra coloro che sono al di sopra della legge e coloro che non lo sono ; fra coloro che sono custodi dell’autorità e coloro che devono sottomettersi ; fra ciò che si deve fare e ciò che è vietato.
L’esclusione che segue queste categorizzazioni non si limita a dei semplici territori geografici ma la si trova nel cuore stesso di un paese, di una città , tra le persone che la subiscono.

La preservazione dell’ordine sociale capitalista e autoritario é accompagnato dalle seguenti consequenze :
il mantenimento delle guardie di frontiera Frontex all’est e al sud dell’europa , con un budget militare che si avvicinerà presto ai 150 milioni di euro.
L’arresto dei clandestini in collaborazione con i controllori dei trasporti pubblici.
La reclusione dei rifugiati nei CIE (centri di identificazione ed espulsione) per una durata indeterminata e per ragioni sconosciute, aspettando la loro deportazione forzata, la quale in certi casi significa una sorta di omicidio.
Il mantenimento d’installazioni radar da parte delll’agenzia dello sviluppo dell’UE nel deserto libico con lo scopo di « gestire i flussi migatori »
lo sfruttamento dei/delle migranti da parte dei ristoranti e delle discoteche che approffitano delle situazioni instabili e disperate alle quali sono confrontati/e i/le lavotatori/ici, il quale non fa che dividerci ancora di più.
L’impossibilità di far parte di questo « noi » che rappresenta la cittadinanza senza rinnegare se stesso per primo, senza fondersi nella massa, senza diventare una pagina vergine al servizio del capitale.

Sono queste frontiere, queste strutture profondamente radicate che generano un razzismo sistematico, che sono dettagliate nel « programma di Stoccolma ». questo piano quinquennale dell’UE mira a raggruppare le questioni di sicurezza nazionale e internazionale e le questioni d’immigrazione nelle regioni a problema : secondo l’UE, la libertà di circolazione delle popolazioni è una minaccia per la sicurezza degli stati. Il prgramma di Stoccolma -come le frontiere che sono menzionate- non sono legate ad un luogo unico.
La sua ombra ricopre tutt* e fa sorgere delle barriere nel nostro quotidiano, tra coloro che sono influenti e privilegiat* e coloro che non hanno nemmeno il diritto di esistere.

Questa estate, il programma di Stoccolma avrà due anni. È per questo che proponiamo di stanare e attacare i luoghi e le strutture che sono le incarnazioni fisiche di questo programma per l’egemonia totale delle norme bianche. Tutto ciò coinvolge tanto le istituzioni pubbliche quanto le imprese che beneficiano in un modo o in un altro delle deportazioni o della costruzione e della gestione dei centri di detenzione. Questo si applica a tutte le persone che non hanno niente da rinfacciarsi perchè fanno solo « il loro lavoro ».
Organizziamo un campo perchè crediamo in un futuro diverso e desideriamo un mondo che valorizza il ripetto, l’aiuto reciproco e l’amore. Volgiamo riunirci e mettere in comune la nostra creatività per fare l’esperienza di questi nuovi rapporti. Vogliamo dirigere la nostra collera contro queste misure che ci opprimono. Vogliamo un mondo nel quale la compassione e la responsabilità non si limitano solo ad un livello locale ma ad un livello globale. È per questo che invitiamo qualsiasi organizzazione, gruppo, o individu* a partecipare e a contribuire a questo campo, in qualsiasi modo.

Gli ultimi anni hanno dimostrato che la solidarietà internazionale e la lotta contro l’oppressione non erano pronti a scomparire. Chiudete pure la porta, passeremo dalla finestra !