Urupia, una comune libertaria nel Salento.

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Nel pubblicizzare, per così dire, l’interessantissimo incontro-dibattito sulle forme di autogestione e autoorganizzazione che si svolgerà a Roma il 2 Marzo prossimo presso lo Spazio Sociale 100celle, non posso fare a meno di cogliere l’occasione per “presentare” a grandi linee, per chi non ne avesse ancora sentito parlare, l’esperienza della comune libertaria di Urupia in Puglia, così come viene illustrata in un articolo tratto dal sito dello Spazio Sociale 100celle che promuove e ospita l’evento:

” URUPIA :: UNA COMUNE LIBERTARIA NEL SALENTO
Il progetto Urupia nasce all’inizio degli anni novanta dall’incontro tra un gruppo di salentini – all’epoca quasi tutti redattori della rivista Senza Patria – e alcune persone di origine tedesca, “militanti” della sinistra radicale in Germania.

Tre anni di seminari, scambi epistolari, incontri dibattiti, accompagnano un percorso di conoscenza, di chiarificazione degli obiettivi e dei contenuti del progetto, di definizione dei metodi organizzativi, delle prospettive economiche, delle possibilità politiche, ecc.
Il progetto decolla “uffucialmente” nel 1995, con l’acquisto di alcuni fabbricati rurali e di circa 24 ettari di terreno nelle campagne di Francavilla Fontana, nel Salento, a metà strada tra Brindisi e Taranto.
La masseria – così da noi si chiamano i cascinali di campagna – e i terreni vengono acquistati grazie alle (poche) possibilità economiche delle comunarde e a diverse sottoscrizioni, crediti e donazioni di compagne e compagni italiani e tedeschi. La proprietà di questi beni viene intestata all’Associazione Urupia, figura giuridica senza scopo di lucro, creata appositamente per poter sottrarre alla proprietà privata la disponibilità legale dei beni e dei mezzi di produzione della Comune.

La Comune Urupia diviene così realtà: suoi principi costitutivi sono soprattutto l’assenza della proprietà privata e il principio del consenso, ossia l’unanimità delle decisioni.

Questi “punti consensuali” vengono scelti nella convinzione che, in qualsiasi contesto sociale, una vera uguaglianza politica non sia realizzabile senza la base di una uguaglianza economica, e vengono assunti come corollario al desiderio di porre l’individuo, la sua autonomia e la sua felicità a fondamento di qualsiasi sviluppo sociale.
Urupia comincia a “vivere” nella primavera del ’95 con la ristrutturazione dei fabbricati – quasi 2000 metri quadri di strutture murarie coperte – e con la messa a coltura dei terreni della Comune, entrambi da anni in condizioni di avanzato abbandono.
Da allora tutti gli impianti fondamentali sono stati realizzati: acqua, luce, gas, riscaldamento, un impianto pilota di fitodepurazione per le acque di scarico, due impianti solari per la produzione di acqua calda, una fitta rete di tubazioni per l’irrigazione delle colture nelle campagne. Diversi spazi abitativi sono stati ristrutturati, così come molte delle infrastrutture della vita quotidiana: la cucina, i bagni, i magazzini , i forni, diversi laboratori, ricoveri per attrezzi, un campeggio attrezzato per gli ospiti estivi, un locale per lo stoccaggio e la vendita dell’olio, una nuova cantina, un capannone per le attività sociali e culturali…
I terreni sono stati quasi tutti messi a coltura, altri ne sono stati acquistati o presi in gestione: più di 15 ettari di oliveto – prevalentemente plurisecolare, tre ettari e mezzo di vigne, un ettaro di orto, i seminativi, i frutteti, ecc. per un totale di circa 30 ettari. Migliaia di nuove piante sono state messe a dimora.
Qualcuno ha detto che a Urupia si lavora “troppo”: e in realtà, se ci si guarda in giro, e si è stati qui almeno una volta all’inizio, non ci si può sottrarre alla sensazione di un’enorme, fervida, interminabile mole di attività che ha trasformato completamente, in poco più di 10 anni, l’aspetto di questo posto. Ma il lavoro a Urupia non è solo quello sui cantieri o nei campi: migliaia di ore di assemblee hanno impostato la nostra vita e le nostre scelte, regalandoci nello scambio maggiore consapevolezza e maggiore libertà praticamente su tutto: sui nostri limiti e sui nostri sogni, sulla cura dei figli e sull’uso delle auto, sulla guerra nei mille angoli del mondo e sull’allevamento degli animali, sui nostri consumi e sulle risorse del pianeta, sulla repressione politica ed economica e sulle nostre relazioni sociali…

Difficile descrivere oggi, dopo oltre 10 anni di vita, che cos’è la Comune Urupia; difficile dare un’idea, sia pure approssimativa, delle innumerevoli attività – poitiche, sociali, lavorative, economiche – svolte dal 1995 ad oggi dalle centinaia di persone che hanno animato questo laboratorio sociale dell’utopia.

Nelle intenzioni delle comunarde che diedero vita al progetto, la Comune avrebbe dovuto rappresentare la realizzazione pratica di un’utopia libertaria: la possibilità, cioè, di raggiungere un alto livello di autosufficienza economica, di libertà politica e di solidarietà sociale attraverso il lavoro e l’agire collettivo, eliminando ogni forma di gerarchia, sia quelle determinate dalla proprietà che quelle legate al sesso, sia quelle fisiche che quelle intellettuali. Urupia doveva essere un laboratorio quotidiano dell’autogestione che riuscisse a permettere al tempo stesso il massimo sviluppo delle possibilità individuali e la massima negazione delle leggi del mercato, il rispetto delle diversità umane e l’opposizione alle leggi del privilegio e del profitto; la dimostrazione concreta, insomma, della possibilità di un vivere individuale e collettivo che negasse, di per sè, il più possibile, le ingiustizie del sistema dominante.
Quanto di tutto ciò siamo riusciti a realizzare, anche questo è difficile dire, e comunque, forse, non spetta neanche a noi, questo compito. Lontana da noi la presunzione di aver anche solo sfiorato il raggiungimento di simili ideali, viviamo invece quotidianamente la consapevolezza della difficoltà di un percorso di vera autogestione: i continui conflitti tra privato e collettivo, il costante riemergere di comodi meccanismi di delega e di ambigue gerarchie informali, la difficoltà del raggiungimento di una vera uguaglianza tra i sessi e di un rapporto di serena, efficace collaborazione tra uomini e donne, la risucchiante prepotenza delle peggiori leggi dell’economia, sono tutte contraddizioni che stanno lì ad indicarci quanta strada abbiamo ancora da fare, e quanto difficile sia questo percorso.
Contraddizioni alle quali, tuttavia, non abiamo alcuna intenzione di sottrarci, semplicemente rivendicando un ingenuo, quanto ipocrita, immobile “purismo”.
Ciò che è certo è che in questi anni non c’è stata critica – o suggerimento, o consiglio, o obiezione – che, per quanto brutalmente o confusamente espressa, non sia stata da noi seriamente presa in considerazione e discussa. Siamo sempre stati convinti del carattere sperimentale del nostro progetto e abbiamo sempre creduto di dover cercare soprattutto nelle nostre menti e nei nostri cuori le strade di una sincera e reale trasformazione sociale. Così alla fine Urupia potrebbe anche essere vista come un crocevia di esperienze e di idee, come un teatro di sofferenze e di emozioni, di speranze e di amori, di rabbie e di incertezze; una piccola – ma quotidiana, continua – rappresentazione di una personale e collettiva ricerca di quel mondo migliore, più libero e giusto, nel quale sarebbe anche ora che cominciassimo a vivere, noi che ci avveleniamo il sangue per questo schifo di mondo che invece dobbiamo sopportare.”

Movimento anarchico e rivolta sociale in Egitto.

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Non sono spuntati dal nulla i giovani col volto coperto e vestiti di nero che hanno fronteggiato le forze di sicurezza e attaccato i simboli del potere in Egitto durante il secondo anniversario della cosiddetta rivoluzione che riuscì a rovesciare il dittatore Hosni Mubarak. Già durante le lotte di due anni fa gli anarchici, pur rappresentando solo una piccola parte degli oppositori al regime, erano in prima linea negli scontri contro polizia, servizi segreti e picchiatori prezzolati dal governo, usando la tecnica di azione diretta tipica del black bloc. Al contrario di quanto pensano i male informati, il black bloc non è un’organizzazione politica, ma piuttosto una strategia di azione diretta. Ispirandosi agli autonomi italiani e tedeschi degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, gruppi di manifestanti vestiti di nero e col volto coperto (per dare l’impressione di un gruppo compatto e per sfuggire all’identificazione da parte delle forze repressive dello Stato) si organizzano in piccoli gruppi solitamente con l’obiettivo di compiere azioni dirette contro obiettivi simbolici che rappresentano l’oppressione e lo sfruttamento del capitale e dello Stato. La violenza (se di violenza si può parlare) viene indirizzata contro la proprietà, contro oggetti, raramente contro le persone – a volte vi sono scontri con le forze dell’ordine o con estremisti di destra. Salita alla ribalta della cronaca durante le proteste di Seattle contro il vertice del WTO nel 1999 e fortemente influenzata da princìpi anarchici (ma al tempo stesso non condivisa né praticata da tutti/e gli/le anarchici/che), la strategia del black bloc si è diffusa rapidamente in molti Paesi. Anche in Egitto.

È inevitabile che, di fronte all’estrema violenza della repressione governativa esercitata già ai tempi di Mubarak contro qualsiasi forma di opposizione o lotta sociale anche solo pacifica e/o riformista, prima o poi i più audaci e determinati oppositori a qualsiasi forma di oppressione e sfruttamento avrebbero adottato strategie di lotta adatte alle circostanze. Gli anarchici lottarono al fianco dei lavoratori del settore tessile in sciopero a El-Mahalla El-Kubra già nel 2008, poi durante la successiva rivolta del 2011 contro Mubarak. Oggi, di fronte ad un governo che ricorda quello da poco rovesciato a furor di popolo, incapace di risolvere le contraddizioni ed i problemi sociali del Paese, forte di una costituzione approvata con pochi voti e tesa a rafforzare il potere presidenziale, i giovani senza prospettive lavorative, gli ultras delle tifoserie calcistiche già abituati a scontrarsi con le forze di sicurezza, gli sfiduciati e i delusi da qualsiasi governante che vivono sulla propria pelle una situazione intollerabile hanno scelto lo scontro diretto con gli oppressori.

A seguito delle manifestazioni avvenute tra il 20 e il 28 Gennaio in ricordo della rivoluzione iniziata due anni prima e che hanno assunto carattere antigovernativo e in parte confrontativo con le forze repressive, con cortei molto partecipati nelle principali città egiziane,  il governo dei Fratelli Musulmani presieduto da Mohammed Morsi ha dichiarato il giorno 28 lo stato di emergenza in tre città (Port Said, Ismailía e Suez) ed ha promesso di schiacciare con la forza qualsiasi forma di opposizione radicale al suo governo, in particolare chi si organizza nel black bloc. Dal canto loro alcuni rivoluzionari organizzati nel black bloc hanno attaccato e danneggiato sedi del partito di governo nella capitale. Ma non è tanto la forma della protesta quanto le idee di chi protesta ad essere il problema per il potere costituito, come dimostra il recente arresto ad Alessandria di 31 persone (tra cui 5 anarchici del Movimento Socialista Libertario) che presidiavano pacificamente il tribunale durante l’udienza di un processo a carico di agenti di polizia accusati di aver ucciso dei manifestanti durante le rivolte del Gennaio 2011.

Egipto Anarquistas

( Nelle foto: 1-manifestanti organizzati nel black bloc durante le proteste per il secondo anniversario della rivoluzione egiziana; 2- una bandiera anarchica sventola all’interno di una sede del partito Fratelli Musulmani assaltata dai manifestanti).

Per approfondire:

“Repression und Todesdrohungen gegen black bloc- Mursi kürzt Europareise Programm”, pubblicato su Anarchistischer Funke (in tedesco);

“Egipto, un pueblo sediento de libertad. Declarado Estado de Emergencia”, pubblicato su A Las Barricadas (in castigliano);

“Sui rinvii a giudizio di Alessandria”, pubblicato su Anarkismo (in italiano e in altre lingue);

Revolution Black Bloc (pagina facebook del black bloc di Il Cairo);

– Black Blocairo (nuova pagina del Black BloCairo);

– Black Bloc Egypt.

La vera natura della crisi economica.

Qual’è la vera natura della crisi economica attraversata attualmente dal sistema capitalista? Di sicuro molti di voi avranno sentito innumerevoli spiegazioni a riguardo, tesi diverse e spesso contrastanti a seconda di chi le propone, in buona fede o meno. È colpa della natura umana, dell’egoismo e dell’istinto predatorio? Oppure le istituzioni preposte al controllo ed alla regolamentazione del mercato e della finanza non hanno agito come avrebbero dovuto ed ora occorre riformarle per evitare nuovi disastri? Hanno ragione gli economisti keynesiani-trattino-socialdemocratici, quando dicono che lo Stato dovrebbe avere più controllo sull’economia, o i loro avversari neoliberisti, che sostengono che le cause della crisi siano da ricercare nell’intromissione degli Stati in quello che dovrebbe essere un mercato veramente libero e deregolamentato basato interamente sull’iniziativa dei privati? Le radici della crisi risiedono nella cultura e nella mentalitá di questo o quell’altro Paese? A mio parere nessuna di queste spiegazioni può ritenersi soddisfacente, anche se ognuna di esse potrebbe contenere un fondo di veritá. Quello che sfugge ai piú, o che non si vuole ammettere perché significherebbe ammettere il fallimento dell’attuale sistema economico nel suo insieme, è che non solo questa crisi, ma LE crisi economiche sono un fattore ciclico del sistema capitalista. Riscoprire Marx? In effetti l’analisi che l’economista tedesco fece a suo tempo del sistema capitalista è tutt’ora in gran parte valida ed è difficile negare, onestamente, che egli abbia avuto ragione su molte cose- così come, a mio modesto parere, ha avuto torto su altre. Ed è proprio basandosi su un’analisi di tipo marxista che il sociologo britannico esperto di geopolitica David Harvey tenta di spiegare la crisi, come si può vedere nel video animato che trovate qui sotto in italiano. Un’analisi su basi piú solide non l’ho trovata- ma esiste? Intanto capire l’attuale situazione di crisi é anche e soprattutto la condizione essenziale per poter elaborare e proporre soluzioni e risposte ad essa ed al sistema che l’ha generata, rifiutando di subire passivamente un corso degli eventi devastante ed annichilente.

1-10 Agosto: azioni internazionali di propaganda contro la repressione.

La rete per la traduzione per la controinformazione Contra-Info ha recentemente lanciato un appello internazionale per dieci giorni (dal 1 al 10 Agosto) di propaganda contro la repressione. Nell’appello si invitava a mettere in atto azioni propagandistiche tramite graffiti, striscioni, volantinaggi o altro, su temi ritenuti importanti dalle realtà anarchiche per renderli noti nella società e per suscitare dibattiti al di là dei confini statali o linguistici. Di seguito le foto (tutte prese dal sito Contra-Info) di alcuni fra i tanti graffiti, striscioni e manifesti realizzati in diverse città e Paesi per l’occasione.

MALTA

UCRAINA

FRANCIA (vedi anche 1,2,3)

SERBIA

ARGENTINA

PORTOGALLO

GERMANIA

INGHILTERRA

SPAGNA (anche QUI)

CILE (anche QUI)

GRECIA (vedi anche 1,2,3,4,5…)

Massimo Fini, “Il denaro ‘Sterco del demonio'”.

Massimo Fini, “Il denaro ‘Sterco del demonio'”Tascabili Marsilio, 1998 (quarta edizione 2008).

Il libro di Massimo Fini "Il denaro 'Sterco del demonio'"

Massimo Fini é indubbiamente un personaggio difficile da inquadrare nei classici schemi di pensiero o ideologici di “destra” e “sinistra”. Etichettato superficialmente da più parti come “fascista”, in realtà mostra idee poco convenzionali e abbastanza originali, solo in parte frutto di un’eventuale influenza di pensatori dell’estrema destra (vedi il famigerato Julius Evola). Di sicuro, per quanto mi riguarda, mi sento lontano per molti aspetti dal pensiero di Fini, tanto dal suo “elogio della guerra” all’antica o dalla sua difesa del patriarcato o dal suo antimodernismo esasperato e condivisibile solo per alcuni aspetti, quanto dal suo riproporre modelli economici e sociali che si richiamano alla tradizione medioevale europea e che non mettono in discussione concetti quali dominio, gerarchia e autorità. Devo però riconoscere che le sue analisi sono spesso brillanti e per nulla convenzionali, meritevoli di attenzione e, magari, potenziali fonti d’ispirazione come nel caso dell’opera in questione. “Il denaro sterco del demonio” infatti non é solo un’avvincente ricostruzione storica, economica e antropologica su come e quando sia nato il denaro e su come fossero organizzati sistemi economici nei quali la moneta era assente, ma anche e soprattutto una critica devastante e senza mezzi termini al denaro stesso, elevatosi a divinitá dei tempi moderni, una scommessa sul futuro -ovvero sul Nulla. Il denaro condiziona il nostro stile di vita, la nostra esistenza, impedendoci di pensare al presente mentre viviamo in sua funzione ed in funzione di un futuro sempre più lontano ed inafferrabile, ci impone un modello economico, politico e sociale fine a se stesso e non al benessere ed alla felicità dell’umanità, non crea ricchezza reale ma piuttosto sfruttamento. Staccatosi definitivamente col tempo dalla materia, reso ancor più “fantasma” dalle transazioni virtuali, il denaro ha raggiunto la sua perfezione metafisica, ma al tempo stesso si avvicina sempre più alla propria fine, capace solo di riprodurre se stesso teoricamente all’infinito, praticamente fino all’implosione del sistema che ha generato.

Interessante confrontare alcuni concetti chiave sul denaro espressi da Fini in questo suo saggio con le parole pronunciate da David Graeber (alcuni giorni fa ho recensito il suo “Critica della democrazia occidentale”) durante il People’s Economic  Furum nel 2008: