7 Novembre: proteste a Cagliari.

Ieri 7 Novembre ha avuto luogo a Cagliari una grossa manifestazione organizzata dalla cosiddetta Consulta Rivoluzionaria. L’iniziativa, definita dagli organizzatori come “Assemblea generale del Popolo Sardo” e che ha visto la partecipazione di alcune migliaia di persone, è nata dopo mesi di incontri e dibattiti tra le diverse componenti della Consulta. I motivi della protesta sono molteplici e non suoneranno certo nuovi a chi conosce la realtá sarda: gli alti tassi di disoccupazione, ormai cronica, e la chiusura di realtá produttive spesso avviate in modo avventuristico da multinazionali che lasciano dietro di sé persone senza lavoro, danni ambientali e distruzione dell’economia locale spinge molti giovani ad emigrare da una terra che è stata sempre gestita con piglio colonialista dallo stato centrale italiano, grazie anche al supporto della locale classe dirigente. Un’isola che è in parte laboratorio di pratiche repressive e in parte “pattumiera”, da un lato occupata da carceri- anche “speciali”- e da numerose installazioni militari dove si stoccano armamenti nucleari ( La Maddalena) e si sperimenta con i proiettili all’uranio impoverito (Teulada e Quirra), dall’altro cementificata e deturpata per gli interessi dei più ricchi e potenti e a favore del turismo d’élite, una terra alla quale la classe dirigente preferisce elargire qualche briciola di assistenzialismo piuttosto che allentare la morsa delle banche e delle sanguisughe di Equitalia, dove ad essere senza prospettive ed a sentirsi disperati sono tanto gli studenti quanto i pastori, gli agricoltori, i piccoli imprenditori ed artigiani, i lavoratori che rischiano di perdere il loro impiego (come quelli dell’ Alcoa o della Carbosulcis, per citare i due casi più recenti e più noti) e quelli che un impiego lo hanno già perso o non lo trovano affatto. Sono proprio questi soggetti e queste realtá ad aver partecipato alla manifestazione tenutasi sotto il palazzo della Regione Sardegna nella centralissima Via Roma a Cagliari, un’iniziativa preceduta da una serie di misure di sicurezza grottesche messe in atto dalle autoritá evidentemente timorose che l’esasperazione dei/lle partecipanti potesse trasformarsi in concrete esplosioni di rabbia. Come aspetto “coreografico” non si poteva fare a meno di notare alcuni cappi con nodi scorsoi, appesi accanto ai nomi delle istituzioni ritenute maggiormente colpevoli dell’attuale situazione: Regione, Governo centrale, Equitalia, banche, INPS, agenzia delle entrate…

Da sottolineare la forte adesione da parte di organizzazioni indipendentiste, che si rispecchia anche nelle rivendicazioni tese all’autodeterminazione in materia economica dell’isola ed alla valorizzazione della cultura e dell’identitá sarda. Ma sará veramente una soluzione quella dell’indipendenza? Serve a molto avere un proprio Stato con governanti della propria terra che stilano documenti nelle lingue locali quando poi continuano ad esistere disuguaglianze sociali e sfruttamento del lavoro salariato? Ci si può sentire liberi sapendo che comunque il capitale che comanda è quello internazionale e che, se anche così non fosse, il capitale nazionale o locale non è cosa migliore? Queste sono solo alcune delle contraddizioni con le quali la Consulta Rivoluzionaria e chi la appoggia dovranno fare i conti, fermo restando le sacrosante ragioni di fondo che animano l’iniziativa e le potenzialitá insite nelle proposte finora avanzate e nei loro eventuali sviluppi. Tra chi era in piazza c’é chi ha la consapevolezza di rappresentare in qualche modo un’avanguardia, con la convinzione che in molti si uniranno in un futuro prossimo alle lotte. Lo sviluppo degli eventi mostrerà se questi hanno avuto ragione, se finalmente si è innescato un processo di reale ribellione nei confronti di uno stato di cose intollerabile che permane da troppo tempo e quali saranno i frutti di questo processo.