Ricordando Vittorio Arrigoni.

Io non credo nei confini, nelle barriere, nelle bandiere. Credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini e dalle longitudini, alla stessa famiglia, che è la famiglia umana“.

Vittorio Arrigoni può essere ricordato in tanti modi. Su di lui possono venir scritte poesie, articoli, canzoni, si possono far video, opere pittoriche, magari anche monumenti. Per quanto mi riguarda, il modo migliore per ricordarlo, per ricordare la sua vita, non la sua morte, è continuare ad impegnarsi per far conoscere la verità su ciò che subisce la popolazione palestinese a Gaza (e non solo), solidarizzando con gli oppressi, aiutando come si può pur sapendo di non star facendo abbastanza, ma soprattutto continuando a sentire la sofferenza di queste persone come se fosse la nostra- una frase che sembrerà insignificante a chi vive tranquillo e intontito nel proprio piccolo mondo, ma che per me vuol dire tutto.

Per continuare a controinformare, aprendo una breccia nel muro di silenzio innalzato dai complici delle umiliazioni, delle discriminazioni, delle violenze, della negazione di una vita dignitosa perpetrate quotidianamente con un chiaro progetto politico dallo Stato di Israele contro la popolazione palestinese, contro il terrore usato contro chiunque si opponga a tale situazione: restiamo umani, non restiamo in silenzio.

Quelli che seguono sono alcuni documentari informativi che affrontano temi quali le condizioni di vita dei palestinesi nei territori occupati, la repressione e la guerra contro i civili condotta dallo Stato israeliano, ma anche le lotte contro l’oppressione portate avanti anche da cittadini/e israeliani/e che rifiutano di essere complici di tali ingiustizie e atrocitá:

-“Good times. Il muro della vergogna sionista“;

-“Only for one of my two eyes” (sottotitolato in italiano);

-“Jenin, Jenin” (sottotitolato in italiano);

-“Gaza risponde a Roberto Saviano” e “Israele risponde a Roberto Saviano“;

“Shachaf Polakow- Anarchists Against The Wall” (english language).

 

“Clooney e l’Arroganza Yankee”.

Articolo scritto da Giovanni Pili e pubblicato originariamente sul sito “Anarchy in the UK”:

“Chissà se riusciremo a creare una rubrica domenicale titolata “il coglione della settimana”; non dovrebbe essere difficile trovare la materia prima. Solo che a seconda del candidato il sottoscritto potrebbe risentirne a livello di bile.
Il coglione di questa settimana è George Clooney. Devo dire, con sommo dispiacere; George infatti ha una simpatia disarmante. Solo lui poteva occupare l’ambasciata del Sudan a Washington, ignorare i tre avvertimenti della sicurezza e alla fine non essere impallinato dalla stessa, Anzi è stato scortato fuori da militari dello stato ospitante, cioè gli Stati Uniti. Ovvero, nessun militare sudanese ha sfiorato Clooney, il papà ed i suoi amici boyscout. Ma George evidentemente non ha colto la singolarità del suo caso; altamente privilegiato. Becero e coloniale sarebbero le parole giuste. Provate – voi pezzenti – a scavalcare i cancelli del Buckingham Palace, correte poi ad abbracciare le guardie, con in mano dei mazzi di fiori. Scoprite cosa succede dopo il terzo avvertimento.
Le giubbe rosse sono allergiche ai fiori.
Figuriamoci poi cosa sarebbe successo se dei cittadini del Sudan avessero fatto la stessa cosa in una ambasciata americana. Difficilmente la sicurezza avrebbe atteso che la polizia sudanese venisse a prendersi i manifestanti, non prima di essere stati piallati da Chuck Norris, almeno.
Lode all’ambasciatore del Sudan che ha avuto la pazienza di non fare quello che possono permettersi gli americani. Se tutti gli stati sono sovrani, gli USA sono più sovrani degli altri. L’Italia recentemente sta provando ad imitarli, ma non c’è sfida; i pescatori indiani infatti, non vanno in giro sulle funivie ed i Marò non sanno pilotare gli aerei. Al massimo possono ammazzare degli innocenti, ma siccome lo hanno fatto per sbaglio, possono pretendere di sperare nella impunità.
Cose che capitano.
Infine la struggente descrizione di George riguardo la sua esperienza carceraria. Due ore in stato di fermo con rilascio immediato. L’attore ci ha spiegato anche di essere stato trattato umanamente dagli agenti. Ci mancherebbe altro! cosa vuoi che potessero fare? Menare uno che può permettersi di querelarli?
Coglione due volte: Primo perché nelle vicende del Sudan non esiste una parte “buona” che si distingue da una “cattiva”; oltre a mettersi nella scia del becero spirito colonialista in stile “Kony 2012”, dove il bianco pensa di essere destinato a soccorrere il “negro selvaggio”, il quale altrimenti non saprebbe difendersi da solo; secondo perché il rivoluzionario non lo fai dalla mattina alla sera, con la forza dei tuoi soldi, usando le idee degli altri (per altro non capite) come fossero un paio di scarpe di tendenza.
Vi danno fastidio le violenze ai bambini, le guerre, le infibulazioni? Esiste un metodo efficacissimo per aiutare l’Africa: portate il culo fuori dalla loro terra; con lo sfruttamento delle loro risorse; il mercato dei politici locali; le guardie ai cancelli delle vostre filiali, pronti a picchiare e uccidere i sindacalisti; le vostre lattine di Coca Cola e le frattaglie dei McDonald’s.
Lasciateli in pace.”

L’eterno conflitto.

Adbusting "playdate Iran"

Si stanno preparando ad una nuova guerra. Ci stanno preparando ad una nuova guerra. Le armi come sempre ci sono, le strategie militari pure, manca solo il consenso. O Forse c’é giá. L’ Iran é ormai il chiodo fisso delle diverse amministrazioni USA susseguitesi dal 1979 ad oggi: l’Iraq e l’Afghanistan sono giá sul piatto, manca solo l’altro Paese strategico sfuggito al controllo occidentale con la caduta dello sciá. Ed ecco che i massmedia utili ai progetti di regime ripropongono il solito vecchio gioco della creazione di un nemico, giunto al culmine con la patetica e menzognera campagna per la difesa della vita di Sakineh, presentata al pubblico come un’adultera che rischiava la lapidazione in uno Stato in cui regna la barbarie, in realtá condannata per l’omicidio del marito e fatta martire in occidente per gli squallidi obiettivi di uno Stato, gli USA, nel quale nel silenzio piú assordante dei media veniva giustiziata un’altra donna, Teresa Lewis, ritardata mentale accusata di aver ucciso il marito. Due donne, due condanne a morte, due Stati: la differenza sta nel fatto che noi ci troviamo nella sfera di influenza di uno di questi due Stati, che vuole farci apparire la propria barbarie come giustificabile mentre usa la barbarie altrui come strumento per preparare psicologicamente le masse occidentali ad un nuovo conflitto militare. Si manipolano i fatti a proprio piacimento o si inventano di sana pianta storie inverosimili, come quella, simile ad una trama da film hollywoodiano, che ci racconta di narcotrafficanti nordamericani che avrebbero acquistato armi dall’Iran, mentre l’opinione pubblica farebbe bene a ricordare una storia vera di armi vendute dagli USA all’Iran per finanziare bande di massacratori di civili nicaraguegni: il cosidetto Irangate. Ma che importa in fondo dei diritti umani quando questi vengono violati dagli USA o dai suoi alleati? I libici meritano di venire “aiutati” con un’intervento militare ai danni di quello che fino al giorno prima era un prezioso alleato, in Barhein le truppe saudite possono impunemente far strage di civili disarmati senza che nessuna potenza occidentale muova un dito: d’altra parte non si possono perdere i vantaggiosi contratti di multinazionali petrolifere quali la British Petroleum per la trivellazione al largo delle coste libiche, cosí come non si puó permettere che gli abitanti di un Paese strategico e saldamente nelle mani degli alleati degli USA come il Barhein insorgano per un qualsiasi motivo, fosse pure per chiedere il rispetto di quei diritti umani che servono ancora una volta da paravento per preparare l’opinione pubblica occidentale ad una nuova guerra, e cioé alla forma suprema di violazione di qualsiasi diritto umano.