Welcome to the Show: alcune riflessioni sul G20 di Amburgo e sulle proteste contro il summit.

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“A quanto pare ad Amburgo quelli del blocco nero hanno deciso che a Luglio bruceranno le auto senza distinzioni”, racconta un mio amico. Un’altro chiede con una punta d’ironia: “E le biciclette? Ci sono bici che costano più di un’automobile!”. Eravamo sul treno che ci riportava a casa dopo una manifestazione contro un congresso del partito di destra tedesco AfD, ad Aprile. Ci interrogavamo su quanto avesse senso applicare strategie discutibili come la distruzione della proprietà senza distinzioni. “Distruggere l’utilitaria di uno che si alza alle sei del mattino per andare al lavoro non mi pare un gesto rivoluzionario”, dichiaro mentre gli altri annuiscono. “Oltretutto ho la sensazione che sia sempre la stessa storia, uno spettacolo programmato ad uso e consumo del sistema”. Sguardi interrogativi che chiedono un chiarimento. “Non so esattamente cosa accadrà ad Amburgo durante le proteste contro il G20, non credo che finirà come a Genova nel 2001, ma ritengo probabile che sotto alcuni aspetti non ci saranno molte variazioni sul tema. Gli sbirri tenteranno di dividere i buoni dai cattivi, i “cattivi” e quelli che in mezzo a loro si sono mischiati, infiltrati o gente senza arte né parte, sfasceranno un pó di roba, i giornalettisti dei tabloid e della stampa embedded avranno di che scrivere, i politicanti ne approfitteranno per chiedere più polizia e aumentare i controlli, qualche compagno/a verrà arrestato/a e processato/a e per assisterlo/a si dovranno impiegare energie e risorse altrimenti spendibili altrove, si preferirà l’estetica dell’attacco alla proprietà senza distinzione fra quella personale e quella privata a scapito di azioni comunicative che coinvolgano gli sfruttati e gli esclusi dei quartieri amburghesi…”. Al termine del mio monologo tutti ci chiedevamo se sarebbe andata così, se lo spettacolo del G20 sarebbe stato disturbato o se nello spettacolo sarebbero finiti, come io credevo, anche i disturbatori. Al termine degli eventi dei quali si discuteva quel pomeriggio di Aprile non ho una risposta definitiva, ma ho perlomeno la netta sensazione che parte dei miei sospetti si siano avverati. Giovedì 6 Luglio le forze del disordine hanno tentato di dividere i/le manifestanti “pronti all’uso della violenza” da quelli ritenuti pacifici, senza forse immaginare che i/le partecipanti al black bloc si sarebbero frammentati/e scatenando una serie di azioni dirette a macchia di leopardo, mantenendo per ore il controllo di diverse zone della città, impedendo in parte che il summit dei G20 si svolgesse in una città-vetrina come voluto da organizzatori e partecipanti. Divenendo però, come ipotizzavo mesi prima, una parte dello spettacolo a uso e consumo dei massmedia asserviti alle logiche dominanti, delle strutture repressive poliziesche e giudiziarie, dei progetti dei politici a base di giri di vite contro strutture autogestite e promesse di maggiore sicurezza armata. Oltre ad aver lasciato per strada i cocci delle vetrine dei supermercati sfasciati e saccheggiati e le carcasse di decine di automobili bruciate, pezzi di lusso proprietà di persone abbienti così come (danni collaterali?) scassoni vecchi di undici anni appartenenti a quei lavoratori e a quelle lavoratrici che vorremmo dalla nostra parte e che ora sono più lontani/e da noi di quanto probabilmente non lo fossero una settimana fa, i militanti del blocco che ha protestato ad Amburgo sotto lo slogan “Welcome to Hell” sono ora oggetto di caccia all’uomo, alcuni/e già catturati fra le maglie della repressione, altri/e a rischio di fare la stessa fine, in più strumentalizzati dalla campagna elettorale precocemente in corso per il rinnovo del Bundestag. Come al solito fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce, se si voleva attirare l’attenzione lo si è fatto, ma a vantaggio di quelli che vorremmo combattere. Non si dovrebbe dimenticare che le vere decisioni non vengono prese durante le riunioni dei G20, per quanto queste siano una sorta di termometro politico internazionale. D’altra parte è innegabile che il programma di un incontro fra i potenti della Terra in una città-salotto, magari con qualche corteo ammaestrato di finto dissenso riformista tanto per non far sembrare il tutto troppo irreale, è saltato. Le azioni del black bloc hanno dimostrato, ancora una volta, che le forze del disordine di Stato non sono imbattibili e che queste se la prendono volentieri con chi meno sa o può difendersi. A riprova di ciò basta citare le cariche a freddo di Sabato contro manifestanti pacifici/che, avventori/trici di locali e persone potenzialmente “sospette” nei pressi del centro sociale amburghese Rote Flora, che adesso molti politici, soprattutto di centro e di destra, vorrebbero immediatamente sgomberato. Un cerotto da mettere sulla ferita aperta di una città messa sottosopra dagli scontri? Piuttosto l’ennesima scusa per implementare politiche autoritarie, un mediocre specchietto per le allodole per distrarre l’opinione pubblica da contraddizioni e divergenze apparentemente insuperabili allo stato attuale emerse durante il summit fra i  governi dei vari Paesi. Contraddizioni e divergenze, queste sí, che dovrebbero attirare la nostra attenzione e sulle quali dovremmo concentrare la nostra azione.

5 thoughts on “Welcome to the Show: alcune riflessioni sul G20 di Amburgo e sulle proteste contro il summit.

  1. Il capitalismo, un sistema economico che si basa sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e che porta all’estrema conclusione lo sfruttamento di molti ad opera di pochi. Mezzi di produzione, consenso, lavora, lavora! Lavoro-produco-spendo do consenso, valorizzo il consenso, muoio. Questo è il capitalismo che ora non è più solo lavorare per arricchire il padrone, è far parte con corpo e anima in un sistema che divora tutto, anche chi fa a spallate con la vita per seguire la propria coscienza, il proprio ideale, la propria libertà. Una coscienza personale, unica ma al tempo stesso simile ad altre, la coscienza è il percorso da seguire durante la vita, due coscienze diverse avranno due percorsi diversi; unire le diverse coscienze contro si un nemico comune ma per motivi differenti porta solo a tradimenti alle prime difficoltà. La distruzione di un utilitaria di un bravo lavoratore e padre di famiglia può essere un azione fine a se stessa che non serve a niente, sprecata; ma ha un significato, è l’azione di chi incarcerato nella vostra quotidianità e nelle vostre regole si prende una boccata d’ossigeno: un gesto rivoluzionario. L’obbedienza, il realismo, la valorizzazione del consenso ci rendono conformi al sistema, lo scontro in piazza è solo ed unicamente un esercizio di disobbedienza verso il sistema, di consapevolezza della propria rabbia e di analisi verso i veri obbiettivi da colpire: il primo passo verso la lotta al sistema.

  2. Certo, bisogna però porsi un paio di questioni fondamentali: contro chi è indirizzato questo primo passo verso la lotta al sistema? È istintivo o ponderato, frutto di consapevolezza o di rabbia cieca? Ci si può ribellare contro tante cose, in tanti modi. Se questa ribellione è diniego fine a se stesso, condizionamento da branco, sfogo nichilista o colpo di testa isolato, provoca solo danni alla nostra causa o perlomeno non porta a nulla. Certo è meglio commettere errori in buona fede piuttosto che star fermi a guardare o peggio acconsentire, ma se non si scelgono accuratamente strategie ed obiettivi si rischia di provocare più danni che altro, specialmente se nell’errore si persevera. I fatti parlano chiaro, l’esperienza insegna.

  3. L’analisi e la lucidità sono due elementi fondamentali per rendere il più efficace possibile la lotta contro il sistema; ma il movimento antagonista (non voglio entrare nello specifico, quindi l’anarchismo per il momento lo lascio da parte) racchiude tutti quelli che sentono l’oppressione sulla propria pelle (l’oppressione capitalista, non l’oppressione delle istituzioni corrotte e menate varie). In piazza c’è chi è alla sua prima volta, o chi al potere dei militari ha sempre piegato la testa e ora è li, con le sue emozioni e frustrazioni che fa uscire la sua “rabbia cieca”, ma ben venga! L’uomo è governato dalle emozioni e se per l’anarchia la violenza fine a se stessa non porta a nulla, la violenza come sfogo (e non per divertimento) è un canale in cui l’individuo muove i suoi primi passi nel sentiero non convenzionale. L’analisi, la lucidità, il tuo discorso è in gran parte giusto dal mio punto di vista, ma tu sei già passato alla fase successiva, hai già riflettuto sul fatto che distruggere un pandino mi tiene ancorato alla prima fase del processo interiore di crescita. Cosa dovrebbe pensare un individuo che la propria coscienza l’ha portato alla clandestinità, rubando alle banche per sopravvivere, terrorizzando gli aguzzini e sabotando il sistema a tu (tu generico) che ti fai il tuo corteo 2-3 volte l’anno e spacchi i simboli del capitalismo e pensi facendo ciò di lottare contro il sistema? Come dicevo l’oppressione non è più materiale, ma mentale, facciamo ciò che sta bene a loro e qualsiasi tentativo per alzar la testa per me deve essere visto come un gesto rivoluzionario.
    Poi mi chiedo, passa un corteo programmato da mesi e con gente che è incazzata, tu bravo cittadino onesto lavoratore e padre di famiglia cosa fai? Parcheggi la tua macchina per la strada…

  4. La rabbia è legittima, lo sfogo comprensibile. Ma se balliamo al ritmo della musica suonata da chi ci sfrutta e opprime non concludiamo nulla, tutti son buoni ad arrabbiarsi, bisogna però vedere come, quando, contro chi, a favore di cosa… Nel mio post riflettevo anche su chi, come dici tu, va ai cortei per compiere azioni dirette, magari su obiettivi condivisibili e in modo ponderato: dubito ormai che ciò sia davvero utile, salire sul palco dello spettacolo organizzato ad arte dal sistema, mentre il conflitto andrebbe spostato dalle kermesse a uso e consumo di massmedia e illusi che guardano la facciata e non dietro le quinte verso le nostre concrete realtà quotidiane, i luoghi e le situazioni di produzione, consumo, formazione, aggregazione e socializzazione, insomma al centro delle realtà delle nostre vite che vorremmo cambiare. Di sicuro per far ciò ci si deve liberare da quel condizionamento mentale al quale tu fai cenno, ma non si deve confondere un gesto di ribellione con un progetto rivoluzionario. Se il prezzo da pagare per un cambiamento radicale o per un passo deciso intale direzione fossero un paio di auto bruciate, allora che ben venga! La situazione per in questo caso è diversa e tali gesti ci fanno fare passi indietro e non in avanti, fornendo al nemico ulteriori strumenti per colpirci senza che intorno a noi si crei solidarietà da parte di quelle classi e persone che noi vorremmo si emancipassero. La chiusura di Linksunten/Indymedia avvenuta alcuni giorni fa per ordine del ministro degli interni tedesco , le perquisizioni a danno di attivisti a Friburgo e l’accettazione collettiva del resuscitato discorso sulla pericolosità e violenza della sinistra radicale ne sono ulteriori prove.

  5. Per me un gesto può essere sia di ribellione sia rivoluzionario, un gesto di ribellione è un gesto di rabbia fine a se stessa, un gesto di un lavoratore esasperato che cerca lavoro e non trova, un gesto rivoluzionario lo intendo come un gesto (magari lo stesso del primo esempio) anche inutile ma che ha un significato diverso, che vuole raggiungere un determinato obbiettivo. Un gesto di ribellione è il lavoratore che da disoccupato sfoga le sue frustrazioni bruciando il pandino, un gesto rivoluzionario è chi si sente oppresso dal sistema e cerca di attaccarlo (ripeto, ingenuamente) bruciando i suoi prodotti, cioè il pandino. Fare il rivoluzionario non è semplice, perché hai contro tutti, sei solo con le tue emozioni e basta. Il disoccupato è legittimato in qualche modo a bruciare il pandino perché critica “i corrotti”, i personaggi che l’opinione pubblica mette alla gogna; il rivoluzionario critica il sistema, per l’opinione pubblica è un teppista nullafacente da sbattere ai lavori forzati. C’è una questione morale insomma che pesa sulla coscienza del rivoluzionario, per questo dico che “uscire allo scoperto” è una bella cosa, si dice al mondo intero che in questo periodo di crisi io non brucio le auto perché non ho lavoro, ma le brucio perché non voglio una vita da lavoratore salariato. Poi c’è tutto un percorso di crescita interiore al quale facevo riferimento nei post precedenti.
    Un altro punto che non condivido è il timore (giustificato sicuramente) della repressione.
    Io parto dal presupposto che anarchia e capitalismo non possono coesistere e chi vuole proporre o vivere il primo si deve scontrare inevitabilmente col secondo che provvederà a difendersi; che poi la scusa per reprimere siano gli scontri in piazza (che chiamano violenza a pubblico ufficiale) o l’autogestione (che chiamano associazione a delinquere) o la clandestinità (che chiamano rapina a mano armata) o la formazione (che chiamano vilipendio) per lo stato sono solo alcune delle loro possibilità di attacchi strategici.
    Infine la solidarietà che le classi subalterne dovrebbero avere fra di loro e fra i militanti è un discorso che mi lascia sempre quel senso d’illusione, vedi primo post quando ho accennato alla coscienza. Nell’esempio riportato in precedenza il disoccupato e il rivoluzionario possono trovarsi insieme al corteo a bruciare il pandino, salvo poi, trovato un buon impiego per il disoccupato e migliorata la situazione economica generale trovartelo a criticare il lazzarone rivoluzionario che sarà ancora li a combattere il sistema anche in maniera diversa dalla sua prima apparizione al corteo.

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