Terra bruciata.

Il pomeriggio del 7 Agosto scorso alcuni incendi sono divampati in diverse zone della Sardegna. Il fumo proveniente da Sinnai, in provincia di Cagliari, era ben visibile dalla popolare spiaggia cagliaritana del Poetto; quello scoppiato nella zona di Laconi-Gadoni ha provocato quattro feriti ed ha costretto ad evacuare centinaia di persone da Laconi. Si tratta di incendi dolosi, sulle motivazioni che possano aver animato l’incoscienza e l’idiozia di chi li ha appiccati non m’interessa speculare. M’interessa piuttosto ricordare che con il denaro pubblico investito dallo Stato italiano, tra l’altro col consenso di numerosi parlamentari sardi, per l’acquisto di aerei militari F-35, si sarebbero invece pututi comprare aerei ad uso civile, quei Canadair necessari a spegnere gli incendi che con scadenza regolarmente mortale colpiscono anche e soprattutto la Sardegna. Gli/le stessi/e parlamentari, in occasione degli ultimi roghi che hanno colpito l’isola, sono solo stati capaci di rilasciare dichiarazioni ipocrite atte a mascherare la loro corresponsabilità nell’ intempestività dei soccorsi antincendio. È evidente che a lorsignori/e interessa favorire servitù militari e politiche militariste anzichè far fronte a problemi comuni che riguardano la popolazione del territorio dal quale loro stessi/e provengono. Un fatto da tenere sempre ben presente, un atteggiamento al quale si può rispondere solo facendo terra bruciata intorno agli infami ed ai loro interessi particolari.

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7 Novembre: proteste a Cagliari.

Ieri 7 Novembre ha avuto luogo a Cagliari una grossa manifestazione organizzata dalla cosiddetta Consulta Rivoluzionaria. L’iniziativa, definita dagli organizzatori come “Assemblea generale del Popolo Sardo” e che ha visto la partecipazione di alcune migliaia di persone, è nata dopo mesi di incontri e dibattiti tra le diverse componenti della Consulta. I motivi della protesta sono molteplici e non suoneranno certo nuovi a chi conosce la realtá sarda: gli alti tassi di disoccupazione, ormai cronica, e la chiusura di realtá produttive spesso avviate in modo avventuristico da multinazionali che lasciano dietro di sé persone senza lavoro, danni ambientali e distruzione dell’economia locale spinge molti giovani ad emigrare da una terra che è stata sempre gestita con piglio colonialista dallo stato centrale italiano, grazie anche al supporto della locale classe dirigente. Un’isola che è in parte laboratorio di pratiche repressive e in parte “pattumiera”, da un lato occupata da carceri- anche “speciali”- e da numerose installazioni militari dove si stoccano armamenti nucleari ( La Maddalena) e si sperimenta con i proiettili all’uranio impoverito (Teulada e Quirra), dall’altro cementificata e deturpata per gli interessi dei più ricchi e potenti e a favore del turismo d’élite, una terra alla quale la classe dirigente preferisce elargire qualche briciola di assistenzialismo piuttosto che allentare la morsa delle banche e delle sanguisughe di Equitalia, dove ad essere senza prospettive ed a sentirsi disperati sono tanto gli studenti quanto i pastori, gli agricoltori, i piccoli imprenditori ed artigiani, i lavoratori che rischiano di perdere il loro impiego (come quelli dell’ Alcoa o della Carbosulcis, per citare i due casi più recenti e più noti) e quelli che un impiego lo hanno già perso o non lo trovano affatto. Sono proprio questi soggetti e queste realtá ad aver partecipato alla manifestazione tenutasi sotto il palazzo della Regione Sardegna nella centralissima Via Roma a Cagliari, un’iniziativa preceduta da una serie di misure di sicurezza grottesche messe in atto dalle autoritá evidentemente timorose che l’esasperazione dei/lle partecipanti potesse trasformarsi in concrete esplosioni di rabbia. Come aspetto “coreografico” non si poteva fare a meno di notare alcuni cappi con nodi scorsoi, appesi accanto ai nomi delle istituzioni ritenute maggiormente colpevoli dell’attuale situazione: Regione, Governo centrale, Equitalia, banche, INPS, agenzia delle entrate…

Da sottolineare la forte adesione da parte di organizzazioni indipendentiste, che si rispecchia anche nelle rivendicazioni tese all’autodeterminazione in materia economica dell’isola ed alla valorizzazione della cultura e dell’identitá sarda. Ma sará veramente una soluzione quella dell’indipendenza? Serve a molto avere un proprio Stato con governanti della propria terra che stilano documenti nelle lingue locali quando poi continuano ad esistere disuguaglianze sociali e sfruttamento del lavoro salariato? Ci si può sentire liberi sapendo che comunque il capitale che comanda è quello internazionale e che, se anche così non fosse, il capitale nazionale o locale non è cosa migliore? Queste sono solo alcune delle contraddizioni con le quali la Consulta Rivoluzionaria e chi la appoggia dovranno fare i conti, fermo restando le sacrosante ragioni di fondo che animano l’iniziativa e le potenzialitá insite nelle proposte finora avanzate e nei loro eventuali sviluppi. Tra chi era in piazza c’é chi ha la consapevolezza di rappresentare in qualche modo un’avanguardia, con la convinzione che in molti si uniranno in un futuro prossimo alle lotte. Lo sviluppo degli eventi mostrerà se questi hanno avuto ragione, se finalmente si è innescato un processo di reale ribellione nei confronti di uno stato di cose intollerabile che permane da troppo tempo e quali saranno i frutti di questo processo.

Tre film che fanno riflettere.

Un regalo indirizzato a chiunque avesse voluto esser presente all’iniziativa che ho pubblicizzato nello scorso post ma, per un motivo o per l’altro, non ne ha avuto (e non ne avrá) la possibilità: i tre film in questione, che hanno in comune non solo la presenza come attore protagonista dello straordinario Gian Maria Volontè, ma anche il fatto di essere film per molti aspetti tremendamente attuali, sconosciuti ai più giovani, quasi mai mostrati sui teleschermi. Pellicole che offrono uno spaccato lucido e spietato di alcuni aspetti non solo dell’epoca che raccontano, ma anche della società nella quale viviamo tutt’ora, con i suoi rapporti di forza, stili di vita, esercizi di potere e manipolazioni dell’opinione pubblica, elementi che restano immutati in un sistema che può cambiare in parte forma solo per mantenere inalterata la sostanza. Storie drammatiche, raccontate non senza ironia e sfaccettature grottesche, ma non per questo meno adatte a far riflettere. Buona visione quindi, e soprattutto buona riflessione.

Argentina: crisi economica, lotte ed esperienze di autogestione.

Tre documentari sulla crisi economica che colpì l’Argentina alla fine degli anni ’90 del secolo scorso e sulle lotte dei ceti sociali vittime di tale crisi.

Diario del saccheggio, di Fernando E. Solanas, 2005. Narra le vicende della crisi economica in Argentina fino al Dicembre del 2001, data della caduta del governo di De La Rùa. Un vero e proprio atto di accusa nei confronti del genocidio sociale compiuto da politici, banche e multinazionali, supportato da una mole di informazioni rese però accessibili da un montaggio efficace e da una narrazione semplice e diretta. E, a proposito di “diretta”, a molti sembrerà di viverci dentro, a questo film: le analogie con molti aspetti  dell’attuale situazione italiana si sprecano.

La dignità degli ultimi, di Fernando E. Solanas, 2005. La prosecuzione ideale del documentario precedente (stavolta l’arco di tempo è dal 2001 al 2004), incentrato però maggiormente su storie personali di uomini e donne che hanno deciso di unirsi e resistere alla miseria, ai soprusi ed all’ingiustizia del potere. Toccante ma non stucchevole, a tratti poetico: le storie raccolte da Solanas hanno molto da insegnare e ridanno significato pieno a termini troppo spesso abusati e svuotati quali solidarietà, dignità, umanità e coraggio.

The Take- La Presa, di Avi Lewis (sceneggiatura di Naomi Klein), 2004. Il documentario è incentrato sull’occupazione delle fabbriche dismesse compiuta degli/lle ex operai/e rimasti disoccupati in seguito alla crisi economica ed alla fuga dei padroni. Estremamente formativo: quello che gli anarchici vanno ripetendo da sempre viene messo in pratica negli anni della crisi in Argentina da persone spinte dalla necessità e prive di preparazione teorica, che mettono in pratica principi quali autogestione, azione diretta, democrazia di base, mutuo appoggio, nonostante le difficoltà quotidiane e la reazione del capitale e dei suoi sgherri.