Questioni di razza, questioni di classe.

“[…]La società del K-Lager non faceva che portare al parossismo la selezione del mondo esterno, non era un’altra realtà ma soltanto un’esasperazione inaudita dell’ordine di fuori. […] Una costante mi si faceva strada nella mente: come a Frankfurt, anche a Dachau i ricchi, i potenti, non c’erano. Ma se nei campi annessi agli stabilimenti industriali lo si poveva capire – a una fabbrica occorrono lavoratori, non signori – in un K-Lager la cosa era sospetta: non c’erano forse antinazisti nell’alta società europea? O non erano perseguitati?                                                                                                           Gli  stessi ebrei erano quasi tutte creature rastrellate nei ghetti mitteleuropei, una marea d’artigiani, operai, piccolissimi commercianti, qualche pugno d’intellettuali, soprattutto medici, chimici, ingegneri, cioè coloro che disponevano d’un “capitale mentale” (come dicevano i nazisti) che poteva tornar comodo al Terzo Reich. I grossi finanzieri, i veri benestanti erano riparati all’estero. La discriminazione economica era dunque ancora più forte di quella razziale. Non ne era per caso la base? Le vite ebree come ostaggi, come carne da baratto… […]

[…] Abbiamo calcolato che anche tra i triangoli rossi i ceti medi erano una minoranza. Chi cadeva sistematicamente nelle mani della Gestapo erano gli operai, i manovali. Secondo lei, questo succedeva perché di fatto erano molto più numerosi i lavoratori comunisti che non gli intellettuali della stessa fede. Secondo me invece ciò provava comunque che la discriminazione economica prevaleva anche su quella ideologica:         “Scusami Ellen, se pure in tema d’idee i nazisti colpiscono di più gli ignoranti, significa che anche in politica il loro primo metro di giudizio è il denaro, perché ignoranti, si sa, sono i poveri”.                                                                                                                        “Non puoi confondere le cose in questo modo…” replicava la donna prendendo a sbattere un qualche straccio contro il piano di cemento ondulato del lavatoio: “Le idee contano sempre, tanto più contro dei bruti come i nazisti”.                                                     “Altro se contano!” ribattevo io. “Specialmente l’idea che in questo mondo i soldi contano più di tutto”. ”

(Luce d’Eramo, Deviazione, 1979)

Tre film che fanno riflettere.

Un regalo indirizzato a chiunque avesse voluto esser presente all’iniziativa che ho pubblicizzato nello scorso post ma, per un motivo o per l’altro, non ne ha avuto (e non ne avrá) la possibilità: i tre film in questione, che hanno in comune non solo la presenza come attore protagonista dello straordinario Gian Maria Volontè, ma anche il fatto di essere film per molti aspetti tremendamente attuali, sconosciuti ai più giovani, quasi mai mostrati sui teleschermi. Pellicole che offrono uno spaccato lucido e spietato di alcuni aspetti non solo dell’epoca che raccontano, ma anche della società nella quale viviamo tutt’ora, con i suoi rapporti di forza, stili di vita, esercizi di potere e manipolazioni dell’opinione pubblica, elementi che restano immutati in un sistema che può cambiare in parte forma solo per mantenere inalterata la sostanza. Storie drammatiche, raccontate non senza ironia e sfaccettature grottesche, ma non per questo meno adatte a far riflettere. Buona visione quindi, e soprattutto buona riflessione.