Chi semina vento raccoglie tempesta.

In questi ultimi giorni ho pensato parecchio a quanto accaduto Domenica a Roma, di fronte a Palazzo Chigi. Stavolta non si tratta del solito suicidio, che ormai non fa quasi più notizia, eppure la disperazione è la stessa che ha spinto finora parecchie persone senza prospettive ad ammazzarsi. Luigi Preiti aveva deciso, Domenica scorsa, di sparare ai politici proprio nel giorno del giuramento del nuovo governo: non riuscendoci, ha sparato a chi i politici li difende. Osservato con lucidità, si tratta di un gesto inutile, per il semplice fatto che ammazzare un rappresentante istituzionale non elimina le istituzioni stesse. Sembrerà strano, ma il mio desiderio è che gli squallidi personaggi che siedono nei palazzi del potere possano campare cent’anni e in salute, a patto che se ne vadano, che perdano potere e privilegi, a patto che nessuno accetti più le stronzate che escono dalle loro bocche e dalle loro penne come fossero perle di saggezza o anche solo pareri di esperti, a patto che nessuno prenda il loro posto. In alternativa, visto il perdurare dello stato di cose, uno finisce per odiare le singole persone oltre che il loro ruolo sociale. È comprensibile, dato che la disperazione non nasce dal nulla ed è logico anche alla luce delle dichiarazioni rilasciate dai vari potenziali bersagli di Prieti dopo l’accaduto. Uno di loro ha detto che “chi semina vento raccoglie tempesta”: vero, spero che costui si sia guardato dento nel pronunciare tali parole. La disperazione nasce non solo da una situazione di disagio economico e dalla mancanza di prospettive, ma anche e soprattutto dal fatto di sentirsi soli. Immagino persone che hanno perso il lavoro (che nella nostra società non è solo una fonte di sostentamento, ma addirittura un valore che ci inculcano fin da bambini, mischiato ad altro pattume vario fatto di patrie, gerarchie, istituzioni, obbedienze, rispetto delle leggi e coesioni in nome di qualcosa), vedono disgregarsi la propria famiglia (altro valore monolitico sul quale si regge il castello di ipocrisia nel quale viviamo), sono oberate dai debiti e magari non hanno nemmeno qualcuno con cui parlare dei propri problemi, delle proprie angosce. Eppure i disperati sono tanti, potrebbero unirsi per cercare soluzioni comuni a problemi comuni, sostenersi a vicenda, creare strutture e reti solidali attraverso le quali far fronte alle loro esigenze concrete, riconoscere l’uno il valore dell’altro a prescindere dalle funzioni sociali e da quello che ci dicono che dovremmo essere… Bei propositi, darei non so cosa per vederli applicati nella realtá quotidiana più di quanto non lo siano ora. Immagino però che quando si è davvero disperati sia difficile pensarla in questo modo, a forza di prendere calci in faccia dalla vita non si diventa persone “migliori”, più empatiche, disposte ad occuparsi costruttivamente dei problemi propri ed altrui. Magari un giorno si prende una pistola e si decide di usarla contro chi viene ritenuto causa di fondo dei propri problemi. Ai politici potranno aumentare la scorta, potranno mettere in giro più telecamere di quante già non ce ne siano, transennare e blindare luoghi ritenuti a rischio, schierare altri militari a difesa dei palazzi del potere, reprimere preventivamente ogni forma di dissenso, ma finchè il sistema economico, sociale e politico continuerà a fabbricare disperati, c’è chi non potrà dormire sonni tranquilli. Lo sanno bene quelli che fingono pubblicamente di sentirsi sollevati dal fatto che quello di Preiti sia stato un gesto isolato. I gesti solitari, isolati, senza speranza né costrutto dei disperati sono quelli che dovrebbero far più paura, soprattutto a chi sa bene cos’ha seminato e cosa, di conseguenza, prima o poi potrebbe trovarsi suo malgrado a dover raccogliere.