Campagna internazionale contro i campi di concentramento per immigrati in Russia.

Nella Federazione Russa vivono circa 11 milioni di immigrati, perlopiù provenienti da Stati dell’Asia centrale in precedenza appartenenti all’URSS, 3 milioni dei quali sono illegali secondo la legge. Questi immigrati, in particolar modo quelli “illegali”, vivono spesso in condizioni precarie o addirittura disperate, se lavorano vengono impiegati in nero senza alcuna garanzia in cambio di salari bassissimi per svolgere mansioni faticose, pericolose ed in genere non qualificate. Perseguitati dalla legge e spesso guardati con diffidenza e disprezzo dalla popolazione locale, spesso vittime di brutali aggressioni a sfondo xenofobo, oggi devono fare i conti con l’ennesimo provvedimento repressivo messo in atto dall’autoritarismo del governo russo. Il governo ha infatti previsto la costruzione di 83 strutture detentive per immigrati illegali in tutta la Federazione. Nei fatti si tratta attualmente di tendopoli spesso prive di corrente elettrica e con servizi igenici scarsi o assenti, nei quali gli immigrati irregolari vengono portati con la forza e guardati a vista da militari armati, senza poter avere contatti con parenti o amici. Esponenti di organizzazioni per i diritti umani e di partiti d’opposizione al governo parlano di violazioni di diritti umani in campi paragonabili ai vecchi gulag di sovietica memoria. Lo scrittore ed attivista per i diritti umani Oleg Kozyrevha ha recentemente scritto che “Il paradosso di un campo di concentramento per illegali è che lo stesso campo è illegale”. Attalmente, dei 600 immigrati inizialmente detenuti in tendopoli sottoposte a sorveglianza armata alla periferia di Mosca, 200 sarebbero stati trasferiti in altre strutture, mentre una trentina di irregolari uzbeki nei giorni scorsi sono stati rastrellati, picchiati ed infine stipati provvisoriamente in un garage moscovita dalla polizia russa. In ogni caso è probabile che i campi che si stanno costruendo in tutte le 81 regioni della Federazione Russa si riempiano velocemente, riservando alle persone detenute un trattamento disumano come quello dei casi citati sopra.

I/le militanti dell’organizzazione anarchica russa Avtonom lanciano un’appello per una mobilitazione internazionale per il periodo dal 29 Agosto al 3 Settembre contro questi campi di concentramento per immigrati, appellandosi alla solidarietà ed al senso di umanità di chiunque, per chiedere la fine delle politiche razziste del governo russo, la chiusura dei campi di concentramento per immigrati e l’abolizione delle barriere legali per l’impiego di lavoratori in Russia.

Carcere – Polo detentivo sardo, lotte dei prigionieri e solidarietà.

Fonte: Informa-Azione.

Riceviamo e diffondiamo:

Prigioni sarde, lotte, solidarietà e aggiornamenti.
Fine primavera – inizio estate 2013.

In Sardegna sono presenti ben 12 prigioni dislocate in tutta l’isola, per un totale di 2097 prigionieri, a queste se ne aggiungeranno presto altre quattro. Pare che almeno due sostituiranno le strutture storiche di Cagliari e Sassari.
La Sardegna ha una triste tradizione di isola galera, sia intesa come galere vere e proprie sia come allontanamento punitivo, isolamento appunto.
I militari più testardi venivano mandati in punizione nei poligoni e nelle caserme sarde, i fascisti mandavano gli oppositori del regime al confino nei paesini dell’entroterra sardo, i romani mandavano i Patrizi scomodi alla repubblica e poi all’impero a gestire il granaio di Roma, ovvero la Sardegna.
Probabilmente il fatto di essere l’unica vera isola (non me ne vogliano i siciliani, ma per vera isola intendo la vera difficoltà nei collegamenti con la penisola) dello stato italiano, di essere storicamente spopolata e di aver avuto spesso dei caratteri resistenti e ostili a invasori e cambiamenti imposti, ha fatto si che venisse individuata come territorio ideale per alcune attività, tra queste le prigioni.
Nel 2013 siamo ancora perfettamente in linea con i ragionamenti che i romani facevano circa 2000 anni fa. Lo stato Italiano ha infatti deciso, come già detto, di costruire quattro nuove mega carceri, di alta sorveglianza e in due casi anche con i reparti di 41 bis, cioè il carcere duro, l’isolamento. Il motivo di questo investimento secondo le dichiarazioni governative è quello di migliorare le condizioni dei prigionieri, dandogli delle celle più grandi, più luminose, meno umide, queste cose per quanto riguarda le carceri sarde sono un obiettivo abbastanza facile da raggiungere in quanto gli stabili attuali versano in condizioni veramente pessime, sovraffollamento esagerato oltre ogni limite di tollerabilità, impianti idrici e elettrici antiquati, celle malsane, assenza di spazi comuni. Nel carcere di Cagliari, le celle di isolamento sono state riadattate a celle comuni per fronteggiare il problema del sovraffollamento.
Parlando delle nuove costruzioni si nota che hanno tutte almeno uno stesso aspetto, sono fuori dai centri abitati, alcune sostituiranno carceri attualmente nel centro delle città. Non si tratta certo di una scelta casuale, è stato fatto per creare dalla prigione un ulteriore avamposto del controllo dello stato sui territori, per evitare i contatti tra il mondo esterno e il mondo interno e per evitare che delle future ondate di lotte e proteste possano coinvolgere un elemento complesso come quello delle prigioni.

Le inaugurazioni delle nuove carceri dovevano avvenire mesi fa; ritardi nei lavori, problemi e mancati pagamenti hanno rallentato i lavori e continuano a spostarne la data di apertura.
Solo il carcere di Bancali (SS) ha aperto i battenti, proprio pochi giorni fa, la ministra Cancellieri è stata ben lieta di tagliare il nastro e dare il benvenuto ad alcuni prigionieri trasferiti dal carcere di San Sebastiano. In realtà a Bancali da un mesetto c’erano già una trentina di prigionieri di mafia.
Per quanto riguarda Uta invece, i circa 600 posti dovrebbero ospitare prigionieri provenienti da tutta l’Italia, per questo da un pò di tempo si vocifera che la chiusura di Buoncammino verrà perlomeno rimandata, in quanto come già detto la struttra è in sovraffollamento e di certo non sono in diminuzione i reati e conseguentemente i nuovi condannati. E’ notizia freschissima che il nuovo mega carcere non aprirà prima del 2014 per ulteriori ritardi e problemi nei lavori.

E fuori?
Da quando sono stati aperti i cantieri delle nuove carceri non c’è stata nessun tipo o quasi di opposizione al progetto, i numerosi posti di lavoro di mano d’opera locale hanno stroncato sul nascere qualunque tentativo di opposizione, in più la perifericità dei siti non ha di certo favorito chi volesse provare a dire qualcosa, oltre l’informazione non si è mai andati. Gli unici ad aver fatto una protesta sono stati gli operai del cantiere di Uta quando quest’inverno hanno smesso di ricevere lo stipendio, per qualche tempo hanno bloccato i lavori, poi lentamente la situazione è rientrata, ma i lavori continuano ad andare a rilento e l’apertura, come già detto, ad essere posticipata. C’è stata anche un’ondata di “indignazione” capeggiata da politici in cerca di riciclo che criticava l’esagerato numero di carceri in Sardegna, che denunciava il rischio di contagio mafioso in caso di trasferimento di capi cosca e reclamava tutti i posti di lavoro per i sardi, non vale la pena dire altro.

Altro…
Negli ultimi mesi qualcosa ha iniziato a muoversi intorno al carcere di Buoncammino, i parenti stimolati dai volantinaggi e dalle chiacchiere con alcuni compagni e compagne hanno iniziato a capire cosa vorrà dire il trasferimento dei loro cari a Uta, il nuovo carcere dista 25 km da Cagliari, in una zona industriale, puzzolente e non collegata con mezzi pubblici, inoltre a Cagliari è abitudine andare appena al di fuori delle mura e chiacchierare con i prigionieri quando si vuole e per quanto si vuole, quest’ultima cosa in particolare sarà assolutamente impossibile, in quanto il nuovo carcere è stato costruito secondo i paramentri di alta sicurezza, cioè con recinzioni lontane dalle mura, mura così alte che a stento si vedono le celle.
Inoltre i prigionieri nell’ultimo mese si sono mobilitati non poco, la prima protesta è scattata il 28 Maggio giorno del corteo a Parma contro il 41 bis,  i prigionieri hanno iniziato lo sciopero del carrello contro le condizioni disumane e contro il 41 bis, il tutto spiegato e rivendicato in una lettera firmata da decine e decine di carcerati, l’assemblea contro il carcere e la Cassa Antirepressione Sarda hanno organizzato due giorni dopo l’inizio dello sciopero un saluto fuori, c’è stata una buona partecipazione e una buona risposta da dentro.
Nelle settimane successive sono stati fatti dei volantinaggi negli orari di visita dei parenti e il 15 Giugno è stato fatto un secondo saluto, con un pò di musica e microfono aperto, i secondini viste le interazioni della volta precedente hanno ammutolito i prigionieri del lato destro che non hanno così potuto partecipare ai cori e alle chiacchiere per il timore di ritorsioni, allo stesso modo è andata dal lato sinistro anche se qua la maggiore vicinanza ha permesso un minimo di dialogo.
Pochi giorni fa, per la precisione il 9 Luglio sera è iniziata una nuova battitura sul lato destro, i prigionieri dell’ultimo piano si sono barricati nelle celle e hanno dato fuoco a suppellettili vari, il resto del braccio li supportava con la battitura, hanno esposto degli striscioni dalle celle contro le condizioni del carcere e contro l’isolamento, la direzione del carcere ha pensato di staccargli acqua e corrente, dichiarando poi che si è trattato di un blackout.
La risposta della repressione non si è però fatta attendere: tre prigionieri sono stati trasferiti a Lanusei allontanandoli dai loro cari e cercando di isolarli per far si che la protesta venisse soffocata. Un nutrito gruppo di solidali tra compagne e compagni parenti ed amici ha organizzato un presidio di solidarietà il 10 luglio, il giorno successivo, che ha cercato di portare appoggio ad una lotta che non potrà risolversi con i decantati trasferimenti nel maxi carcere di Uta ma che troverà soluzione solo nell’abbattimento della struttura carceraria.

La situazione è in divenire, in quest’ultimo mese e mezzo i prigionieri hanno dimostrato di voler lottare per cambiare qualcosa e di non aver paura delle minacce dei secondini e della direzione, non sappiamo se l’inasprirsi delle ritorsioni (i traferimenti) fermerà la lotta, di sicuro noi cercheremo di star vicino e dar manforte con idee, mezzi e determinazione.

Cassa antirepressione sarda ”

“Strafe. Recht auf Gewalt”: una critica radicale al sistema carcerario.

Buch: Strafe - Recht der Gewalt Circa un anno fa ho ordinato per posta e letto un libricino, scritto in lingua tedesca, il cui argomento trattato- la critica al sistema punitivo e di conseguenza alle carceri- aveva attirato non poco la mia attenzione. Si trattava di una pubblicazione edita da una fondazione di utilità sociale (Gemeinnützig), Stiftung Freie Räume, scritta nell’ambito di un progetto scolastico d’una scuola svizzera e firmata Johannes Bühler, dal titolo “Strafe. Recht auf Gewalt” (“Punizione. Diritto alla violenza”). Al netto di foto e pubblicità ad altre pubblicazioni “d’area”, il libro avrà avuto sì e no 70 pagine, nelle quali però si viene spinti alla riflessione approfondita ed alla critica radicale più di quanto non accadrebbe con la lettura di tomi imperscrutabili- a patto che sul tema in questione ne esistano! Il testo si sviluppa partendo dal presupposto di una critica alla punizione come forma di violenza, di conseguenza attacca alla radice il concetto di punizione, la sua “utilità” sociale, le disuguaglianze sociali che portano alcuni individui a comportarsi in modo nocivo nei confronti di altri membri di una comunità, ma anche i concetti stessi di “reato” e “giustizia” in senso giuridico. In un sistema sociale che riduce al minimo possibile la violenza il sistema punitivo non ha senso, risulta solo dannoso e distruttivo della coesione sociale, crea nuovi problemi invece di risolvere quelli già esistenti: è questo in sostanza ciò che afferma Bühler a conclusione della prima parte del libro (Kritik/Critica), per poi lasciare spazio nella seconda parte (Interviews/Interviste) ad una serie di opinioni differenti e spesso contrastanti, una sorta di dibattito indiretto tra le persone intervistate. A prendere la parola sono avvocati/esse, giudici, detenuti politici ed attivisti anticarcerari con diverse opinioni e posizioni politiche, ciascuno/a espone il proprio punto di vista fornendo al/lla lettore/trice la possibilità di confrontare, riflettere, aggiungere tasselli utili a formare la propria opinione sull’argomento.
A fronte dell’impressione che ho avuto dalla sua lettura non posso far altro che consigliare vivamente questo libro a chiunque capisca abbastanza bene il tedesco (chi volesse approfittarne troverà a questo link il libro in formato pdf), nella speranza che presto anche in lingua italiana vengano scritte e pubblicate opere simili non solo per argomento, ma anche per impostazione.

Nessuno stupore, solo disgusto.

Fonte: Anarchaos.

” Terni – dure cariche degli sbirri contro gli operai

Botte da orbi a Terni. Gli sbirri impazziscono e bastonano pesantemente gli operai. Teste rotte e scontri duri sui binari.

Questa mattina a Terni si è svolto un enorme corteo degli operai delle Acciaierie. La situazione alla Thissen Kroup si è fatta pesante dopo che i padroni – gli assassini della strage di Torino – hanno annunciato la decisione di vendere.

Migliaia di persone si sono messe in marcia da Viale Brin, dove si trova l’ingresso principale dello stabilimento, attraversando il centro cittadino fino alla Prefettura. Ma lì non si sono fermati e si sono diretti verso la stazione, con lo scopo di bloccare i binari.

La polizia a quel punto ha tirato fuori l’armatura e in assetto antisommossa ha fatto cordone per evitare l’ingresso al piazzale davanti alla stazione,

Nonostante la rabbia, gli operai si sono limitati a spingere con forza sugli scudi, la catena di celerini che sotto la spinta di tutto il corteo ha dovuto spezzarsi.

Conquistato il piazzale davanti alla stazione il corteo ha puntato dritto sui binari. E’ stato lì che la polizia, velocemente ricompattatasi davanti all’ingresso della stazione, ha manganelato con una ferocia che raramente si era vista in Umbria. 

La mattanza però non ha fermato la rabbia dei manifestanti, che hanno reagito con la giusta durezza e sono riusciti, comunque, a conquistare i binari. 

Uno sfregio per i tutori dell’ordine, una sconfitta inaudita – che andava vendicata.

E così di punto in bianco, quando la situazione ormai era tornata tranquilla, la nuova carica contro migliaia di persone che si trovavano sui binari.

Teste rotte, gente che inciampa sui sassi, tafferugli pesantissimi. Una carica cieca, tanto che un celerino ha rotto la testa persino al sindaco di Terni. Il quale in questo momento è in ospedale con diversi punti di sutura. Le legnata deve aver rimesso qualche rotella a posto nella capoccia del primo cittadino, il quale, ancora insangunato come un vitello, mentre lo portavano al pronto soccorso, ha espresso commenti di improbabile durezza per uomini come lui: “la classe operaia” – ha detto proprio così! – “ha già difeso la fabbrica dai tedeschi, rischiando di rimanere sotto le bombe, e la difenderà dagli attacchi della polizia”.

 

Che la sbirraglia questa volta abbia pisciato fuori dal vaso lo si nota dalla sterminata colonna di commenti di condanna da parte di personaggi che di solito non perdono occasione per leccare gli scarponi deli robocop. Questa volta invece, onorevoli e senatori piddini, i sindacalisti, persino il tg3 locale, che ha mandato le immagini evidenti dell’aggressione sbirresca, hanno espresso unanima condanna verso il comportamento della polizia.

Dalla corrispondenza di un compagno presente ”

Nota  a margine: ovviamente le forze dell’ordine non solo presentano un’altra versione dei fatti, come al solito ridicola, ma la rafforzano col potere a loro concesso da parte dello Stato che detiene il monopolio della violenza. Prima pestano, a volte ammazzano, poi trovano un capro espiatorio. Sta a vedere che è sempre colpa delle vittime, alle quali a conti fatti non rimane nemmeno l’illusione di una giustizia concessa da quello Stato che, come ormai dovrebbe essere ben chiaro, di regola non condanna i suoi servi e meno che mai se stesso.

Firenze: corteo contro omicidi di Stato e repressione.

Fonte: Morire Contro.

FIRENZE:CORTEO CONTRO GLI OMICIDI DI STATO E DI POLIZIA E CONTRO LA REPRESSIONE
(SABATO 18 MAGGIO, PIAZZA DELLA REPUBBLICA, ORE 14:30)

ASSASSINI! – Tra Gennaio e Febbraio del 2012, due uomini furono assassinati nelle camere di sicurezza della Questura di FirenzeIl primo, Youssef Ahmed Sauri, marocchino, venne prelevato da una pattuglia della polizia intorno alle 8 di sera davanti all’ospedale di Santa Maria Nuova mentre gridava disperatamente “aiuto!”. A un passante che si era messo nel mezzo gli sbirri intimarono di farsi gli affari suoi. Tre ore dopo, gli infermieri ne constatavano il decesso in Questura. Secondo le forze dell’ordine si era impiccato. Il secondo, Rhimi Bassem, tunisino, 26 anni, venne fermato nei pressi della stazione Leopolda. Condotto in Questura, sarebbe morto per un malore. Peccato che i parenti ne abbiano visto la salma martoriata dalle percosse, come documentato persino da una foto del cadavere che aveva ferite al volto e un buco sulla nucaNei mesi successivi, in città, si ebbero alcune proteste. Le comunità marocchina e tunisina scesero in strada al grido di “Basta morti in Questura!”. Anche alcuni anarchici, a più riprese, dissero la loro. Perché era chiaro a tutti che la polizia aveva nuovamente assassinato due di quegli indesiderabili che tutti i giorni gli sbirri fermano, picchiano e rinchiudono. Il 29 Marzo 2012, nei dintorni di Piazza Dalmazia, la Digos, col supporto di tre volanti, tenta di fermare un gruppetto di anarchici mentre protesta contro gli omicidi polizieschi. Dopo un parapiglia ne porta via tre in malo modo. Anche altri compagni, accorsi a manifestare solidarietà sotto la Questura, vengono fermati. La giornata si chiude con tre arrestati per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, due compagne rilasciate con denunce per gli stessi reati e tre compagni colpiti da foglio di via. Una punizione esemplare per chi aveva osato denunciare ciò che era sotto gli occhi di tutti. Come nella vecchia fiaba il re era nudo. Bisognava azzittire il bambino che ne aveva additato le vergognose nudità, con ogni mezzo necessario. Perché gli sbirri possano continuare a fare il loro mestiere di assassini, ripulendo le città dorate da tutti quegli indesiderabili che le infestano  – specie se sono senza soldi e senza documenti. Perché i piani dell’autorità si impongano sempre sulle esigenze della libertà, a qualsiasi costo – morti compresi. Perché lo Stato e il Capitale possano continuare a detenere il monopolio della violenza. Se autopsie compiacenti, giornalisti reticenti e una dura risposta repressiva hanno insabbiato questa vicenda, per noi la questione non è affatto chiusa. Anzi. Il 23 Maggio si apre il processo a 5 compagne e compagni denunciati per aver gridato che la polizia uccide. Non lasciamoli soli, non restiamo in silenzio. Portiamo in strada la rabbia per tutti gli Youssef Sauri e gli Aldo Bianzino, per i Rhimi Bassem e i Giuseppe Uva, per i Marcello Lonzi e i Michele Ferrulli, per i tanti e le tante che ogni giorno muoiono assassinati da mano poliziotta. SOLIDARIETA’ AI 5 PROCESSATI DI PIAZZA DALMAZIASolidarietà ai processati del 15 Ottobre, ai compagni anarchici rinchiusi a Ferrara e a tutti i colpiti dalla repressione delle lotte.
SABATO 11 MAGGIO, AI GIARDINI DEL MEZZETTA (SAN SALVI), DALLE ORE 16, PRESENTAZIONE DEL CORTEO.
GIOVEDI’ 23 MAGGIO, DALLE 9:30, IN CONCOMITANZA CON IL PROCESSO AI COMPAGNI, PRESIDIO A PIAZZA DALMAZIA.

Repressione 15 Ottobre: breve aggiornamento su processi e azioni solidali.

Dei 25 inquisiti per gli scontri occorsi il 15 Ottobre 2011 a Roma, la giudice per le indagini preliminari, lo scorso 4 Aprile, ne ha rinviati a giudizio 18 e ne ha prosciolti 7. Il processo nei confronti dei 18 rinviati a giudizio sulla base di risultanze fotografiche e video e di testimonianze di agenti di polizia e carabinieri avrà inizio presso la 9° Sezione del Tribunale di Roma il prossimo 27 giugno. Intanto non mancano le azioni solidali nei confronti degli inquisiti: oltre ad un presidio di 200 persone svoltosi di fronte al tribunale ed a cortei solidali a Firenze e Genova, l’11 Aprile si terrà nuovamente un presidio di fronte al tribunale di Piazzale Clodio a Roma, sede del riesame sulla posizione di Davide Rosci, attualmente detenuto nel carcere di Viterbo.

Op. Ixodidae: Resoconto processo e dichiarazione dei/lle compagni/e.

Fonte: Informa-Azione.

“La disinfestazione non è riuscita

Il 27 febbraio, il tribunale di Trento ci ha assolto dall’accusa di “associazione sovversiva con finalità di terrorismo”. Il procuratore aveva chiesto dai 3 anni e 4 mesi ai 5 anni, ma il maldestro castello di carte è crollato. Per cui a Massimo è stata revocata la custodia cautelare. Il giorno dopo si sono conclusi i termini anche per l’altra sua custodia cautelare (emessa dal tribunale di Torino per i fatti di Chianocco, cioè la cacciata di una troupe televisiva, il 29 gennaio 2012, da un blocco NO TAV in Valsusa), per cui, dopo sei mesi, ritrova la “libertà” e il suo posto di combattimento… (ah, tanto per cambiare, come molti altri ha il divieto di andare in Valsusa).
Siamo di nuovo assieme grazie alla solidarietà dei tanti compagni, compagne e non solo che sono stati al nostro fianco. A loro la nostra gratitudine e il nostro arrivederci, sulle strade o sui sentieri della rivolta e del mutuo appoggio.
Il nostro pensiero è per i compagni e i fratelli ancora imprigionati.

Di seguito la nostra dichiarazione:

Dichiarazione degli anarchici imputati al tribunale di Trento

Il gioco delle parti su cui si basa la Giustizia di Stato prevede che voi ci accusiate e che noi, a testa bassa, veniamo qui a difenderci. Ma noi non accettiamo le parti, sia perché non riconosciamo lo Stato sia perché il gioco è palesemente truccato.
Se avessimo a che fare con reati specifici e con l’esibizione di cosiddette prove, questo processo non sarebbe nemmeno cominciato. E questo non lo diciamo noi. Lo dicono le carte giudiziarie.
Nella ordinanza di custodia cautelare che trattiene ancora agli arresti domiciliari uno di noi si definiscono “oscure le ragioni addotte dall’accusa, che si limita a semplici considerazioni astratte”.
Nella richiesta di arresti inoltrata dalla Procura si legge: “Deve ritenersi che indizi in ordine alla sussistenza del reato associativo ben possono essere desunti da elementi di prova relativi ai reati-fine, anche quando essi siano stati ritenuti insufficienti allo stesso esercizio dell’azione penale per tali reati”. In termini ancora più chiari: l’associazione “è premessa doverosa per valutare con correttezza e valorizzare quali ‘indizi’ delle circostanze che, diversamente, avrebbero valore ‘neutro’ dal punto di vista probatorio”.
Insomma, senza ricorrere ad una fantomatica associazione di cui la Digos di Trento si è inventata persino l’acronimo (“G.A.I.T.”, “Gruppo Anarchico Insurrezionalista Trentino”), ciò che i PM Amato e Ognibene avrebbero in mano è presto detto: un pugno di mosche. E questo nonostante il mastodontico dispositivo di controllo tecnologico messo in campo: 148.990 contatti telefonici, 10 mila contatti ambientali, 18 mila comunicazioni telematiche, 14 mila dati gps, 92 mila ore di video, 12 mila fotografie.
Gli inquirenti stessi, d’altronde, dicono di non possedere né prove né gravi indizi per determinare chi ha compiuto le azioni anonime di cui siamo accusati; da quelle azioni si desumerebbe l’esistenza di un’organizzazione, di cui noi faremmo parte; la nostra partecipazione si desumerebbe, a sua volta, dalle azioni. E così via, in una sorta di cortocircuito logico.
Siamo un bel grattacapo per i loro teoremi. Il codice definisce l’associazione sovversiva un “legame formalmente distinto dai singoli partecipanti”, cioè un’organizzazione stabile nel tempo, con un’organigramma, dei ruoli ecc. – caratteristiche, queste, inconciliabili con l’informalità, l’orizzontalità e l’affinità che da sempre caratterizzano i nostri rapporti come quelli di tanti altri compagni. E infatti Digos e Procura si lanciano, sfidando la grammatica non meno che la storia, a ipotizzare un’organizzazione “piramidale e gerarchizzata” compatibile, miracolo!, con lo “spontaneismo anarchico”.
I teorici del “G.A.I.T” sono Digos e Procura, non certo noi. Il “G.A.I.T” non esiste di fatto; e questo per il semplice motivo che non può esistere di principio. Un’organizzazione piramidale e gerarchica, con tanto di capi, sottoposti, cassieri e manovali, è la negazione stessa dell’idea, dell’etica e della pratica anarchiche. Simili ruoli e il miserabile mondo che si portano appresso esistono nelle Procure, negli eserciti, nelle istituzioni dello Stato e nella società capitalista, non tra chi di tutto ciò vuole fare tabula rasa. Un’organizzazione nella quale gli individui sono degli intercambiabili strumenti ucciderebbe le nostre idee e i nostri sogni ancora prima che la rivoluzione cominci. Quando parlate di noi, pensate sempre di potervi guardare allo specchio. Ma noi siamo il disordine dei vostri sogni, la negazione vivente del vostro mondo ingiusto, noioso e insensato. Siamo tra quelli che non obbediscono perché si rifiutano di comandare. Siamo tra quelli che in un’aula di tribunale non cambierebbero mai il proprio posto con il vostro.
Il gioco è truccato, abbiamo detto. Non perché questo processo sia più “ingiusto” di tanti altri, ma perché la magistratura non è affatto un’istituzione neutra della società, bensì lo strumento del dominio di una minoranza sul resto della popolazione, degli sfruttatori sugli sfruttati, dei ricchi sui poveri. Un’istituzione fedele nei secoli, come si evince dal nome stesso dato all’operazione poliziesco-giudiziaria nei nostri confronti. Sapete meglio di noi chi usava il termine “zecche” per indicare comunisti, socialisti, anarchici – e a poco è servito il ridicolo latinorum con cui avete mascherato il vostro linguaggio fascista. D’altronde da quell’epoca e da quella scuola viene l’articolo del codice con cui ci avete arrestato (come altri vostri colleghi hanno fatto con migliaia di compagne e di compagni); articolo che la vostra bella democrazia negli ultimi trent’anni non ha fatto altro che aggravare. I dati relativi alle condanne inflitte dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato istituito da Mussolini non coincidono forse con quelli dei processi per “terrorismo”? Eccoci alla parolina magica.
Lo Stato di Portella della Ginestra, di piazza Fontana, di piazza della Loggia, della stazione di Bologna, dell’Italicus, di Ustica ecc. accusa noi di “terrorismo”, cioè di “violenza cieca e indiscriminata il cui fine è conquistare o consolidare il potere politico” (questa era la definizione che si trovava nei dizionari fino agli anni Settanta). Lo Stato dei bombardamenti in Iraq, Kosovo, Afghanistan, Libano, Libia accusa gli anarchici di voler “affermare coattivamente” i propri princìpi. Lo Stato di piazza Alimonda, della Diaz, di Bolzaneto, di Pinelli, Serantini, Lorusso, Cucchi, Aldrovandi, Bianzino, Lonzi, Mastrogiovanni e tanti, troppi altri accusa noi di “intimidire la popolazione”.
Nel mondo reale, che non si vede dai buchi della serratura da cui spiate noi e le nostre lotte, milioni di sfruttati, di poveri, di esclusi sono quotidianamente intimiditi, terrorizzati, avvelenati, uccisi dall’ordine sociale che difendete. Solo in Italia, ogni giorno quattro lavoratori non tornano a casa, e centosessanta persone crepano ogni anno in quelle galere dove ci avete più volte rinchiuso e dove abbiamo incontrato individui solidali e fraterni di sicuro più retti di voi.
Di fronte a questa guerra quotidiana condotta dalla classe proprietaria, vorreste che nessuno se la prendesse con le banche, con le agenzie interinali, con le tecnologie del controllo, con gli strumenti della morte e della devastazione ambientale. La collera è il solo capitale che gli sfruttati abbiano accumulato nella storia. E forse non è lontano il giorno in cui sarà per voi molto difficile attribuire ciò che vi spaventa a un pugno di anarchici; il giorno in cui sarà la popolazione povera e sottomessa a diventare una grande “associazione sovversiva”.
Ma torniamo alle carte. Nella fretta di assecondare il volere del ministro dell’Interno, vi siete decisamente lasciati andare. Accusate due di noi di aver orchestrato e diretto gli scontri del 3 luglio 2011 in Valsusa. Siamo dei NO TAV, e non da ieri, questo è vero. Ma ad assediare il cantiere-fortino del TAV a Chiomonte, il 3 luglio 2011, c’erano quarantamila persone; e non, come avete scritto senza vergogna nelle vostre carte, “circa 500 anarchici”. Curiosamente, la Procura di Torino non ci accusa di alcun reato specifico per tale giornata, mentre per quella di Trento avremmo pianificato tutto noi. Vi farebbe comodo sostituire una popolazione in lotta, che da vent’anni si oppone alla devastazione ad alta velocità della propria terra, con un pugno di “zecche”. Da disinfestare preferibilmente con quel gas CS di cui polizia, carabinieri e finanzieri il 3 luglio hanno sparato 4357 candelotti. Il movimento NO TAV ha già risposto a giornalisti e magistrati “siamo tutti black bloc”, ma l’autonomia e l’orizzontalità di una lotta per la terra, la dignità e la libertà non potete proprio tollerarle.
La Digos si spinge fino a scrivere che i partecipanti ai comitati NO TAV sarebbero, per noi, semplicemente degli “uomini di paglia” e il movimento “un serbatoio di risorse umane da utilizzare”. Non ci sono parole per commentare una simile sfrontatezza. Soltanto gli uomini di Stato e i capitalisti considerano le popolazioni “un serbatoio di risorse umane da utilizzare”, non certo gli anarchici. “Uomini di paglia”, poi, non sono forse i servitori per chi li comanda? Guardate le immagini dei vostri colleghi che alla Diaz hanno massacrato di botte persino delle persone anziane mentre erano sdraiate, e chiedetevi di cosa sono fatti quegli uomini lì.
Tra le vostre falsificazioni e la realtà di una lotta come quella NO TAV, in cui compagne e compagni hanno messo tutto il loro cuore, c’è un abisso – etico, umano, sociale.
Ma la Digos è riuscita ad accusarci perfino di aver strumentalizzato cinicamente la morte di Stefano Frapporti, un muratore di quarantanove anni fermato da due carabinieri in borghese e trovato, cinque ore dopo, morto nella cella numero 5 del carcere di Rovereto. Centinaia di persone – familiari, amici e tanti solidali – hanno manifestato per mesi la propria rabbia in città. Noi siamo già stati condannati per non esserci girati dall’altra parte, mentre l’inchiesta sulla morte di Stefano è stata, come al solito, archiviata. Nelle carte di Questura tutto questo scompare (proprio come sono scomparse le migliaia di persone che si sono battute in Valsusa il 3 luglio 2011): rimangono solo un “piccolo spacciatore” e gli anarchici “strumentalizzatori”. Il circolo “Frapporti-Cabana” nato a pochi metri dal luogo in cui Stefano è stato fermato quel maledetto 21 luglio 2009 è la migliore risposta ai vostri insulti all’intelligenza e alla dignità.
Il vostro spazio-tempo non è il nostro. Mentre siamo qui pensiamo alla gioventù ribelle che combatte nelle strade del Cairo. Pensiamo a quelle donne e a quegli uomini che in Grecia sono insorti per vivere senza lo Stato e senza i padroni. Pensiamo ai ragazzi condannati ad anni di carcere per essersi battuti a Genova nel 2001 e a Roma nel 2011. Pensiamo a quelle donne che in India si sono rivoltate contro la violenza maschilista e poliziesca. Pensiamo a tutte le donne e agli uomini morti nel Mediterraneo perché cercavano un po’ di pane e di libertà. Pensiamo a tutti quelli uccisi dalle vostre bombe. Pensiamo ai ragazzini palestinesi dagli occhi belli e dai cuori grandi. Pensiamo ai nostri compagni e ai nostri fratelli che resistono a testa alta nelle prigioni e nei lager di tutto il mondo. Pensiamo ai quattro compagni arrestati il 1° febbraio in Grecia e torturati dalla polizia. Pensiamo a tutti i ragazzi pestati nelle vostre caserme e nelle vostre galere. Pensiamo agli schiavi salariati nelle fabbriche militarizzate e nei campi di lavoro cinesi. Pensiamo agli animali, ai boschi, alle vallate e alle montagne che i vostri bulldozer e i vostri profitti devastano.
Pensiamo a tutto questo e non vorremmo vergognarci quando qualcuno ci chiederà, un giorno: “Mentre succedeva tutto ciò, voi che facevate?”. Vorremmo poter rispondere: “Abbiamo dato il nostro piccolo contributo con la testa, con il cuore e con le mani”.
Siamo il vostro imprevisto, la variabile non contemplata nei vostri calcoli.
Veniamo da lontano, e abbiamo lo stesso sogno che animava i contadini insorti nel 1525 in Germania: omnia sunt communia – visto che vi piace il latino.
Emettete pure le vostre sentenze. Noi voliamo più in alto.

Trento, ventisette febbraio 2013 ”