Catastroika.

“Catastroika- Privatisation Goes Public” è un documentario greco del 2012, realizzato da Aris Chatzistefanou e Katerina Kitidi, che tratta il tema delle privatizzazioni di servizi pubblici. Prodotto con un budget limitato, ha raggiunto milioni di persone grazie anche alla sua distribuzione su internet attraverso canali gratuiti. L’analisi del documentario mette in relazione crisi economica, ideologia neoliberista, autoritarismo e privatizzazioni, spiegando dinamiche e conseguenze di un processo tutt’ora in corso non solo in Grecia. Quella che potrebbe sembrare a prima vista una presa di posizione in favore del monopolio statale su determinati settori dell’economia si rivela essere (specialmente nella parte finale dell’opera) un’invito ad una maggiore democratizzazione dell’economia in chiave partecipatoria, concetto a mio parere valido e interessante, ma poco sviluppato in questa occasione dagli/lle autori/trici del documentario.  Nella versione che ho deciso di pubblicare qui, è possibile attivare i sottotitoli in diverse lingue selezionando quella preferita cliccando sulla prima icona che si trova in basso a destra nella schermata del video. Buona visione e, come sempre, se vi piace diffondete!

Anti-Flag, “The General Strike”.

Band: Anti-Flag
Album: The General Strike
Year: 2012

Tracklist:

1. Controlled Opposition = 0:00
2. The Neoliberal Anthem = 0:21
3. 1915 = 3:39
4. This is the New Sound = 6:31
5. Bullshit Opportunist = 9:17
6. The Ranks of the Masses Rising =11:52
7. Turn a Blind Eye = 14:21
8. Broken Bones =15:40
9. I Don´t Wanna =18:44
10. Nothing Recedes Like Progress = 21:10
11.Resist = 23:28
12. The Ghost of Alexandria = 24:29

Innanzitutto grazie all’utente che ha postato su YT quest’album. Chi volesse leggere/scaricare i testi, cosa che consiglio vivamente, li può trovare su questa pagina web. La mia opinione su quest’album può essere condensata in 10 lettere: entusiasmo assoluto per la musica, ancor più per i testi. Per quanto riguarda la solita vecchia polemica sul fatto che una band che si dichiara anarchica o comunque “contro il sistema” non dovrebbe mai firmare un contratto con una major discografica, non ho un’opinione netta o definitiva sulla questione, anche se tendenzialmente sono disposto ad accettare la spiegazione fornita da Justin Sane, chitarrista e voce della band, in un’intervista del 2006 al quotidiano inglese The Guardian:

“We’ve been approached by the major labels over the past seven or eight years but we thought we were having an impact where we were. They were never willing to give us complete control. This time they were willing to give us complete control over what we record, the artwork, who we tour with. We won’t be censored. If there was ever a time to take a chance to be heard on a mass scale then this is the time. I feel like we’ve been a voice in the wilderness for too long.”
Che poi, il loro rapporto con una major (RCA Records) è durato solo un paio d’anni e i soldi guadagnati dall’impennata di vendite dei due album pubblicati con tale etichetta sono serviti agli Anti-Flag per fondare un’associazione no-profit (Military Free Zone) contro la propaganda militarista nelle scuole statunitensi tesa al reclutamento nell’esercito degli studenti.

Il vertice NATO di Chicago.

Fonte: Radio Blackout.

Il vertice NATO di Chicago

“Si è appena concluso il vertice NATO di Chicago. I ministri della guerra dei paesi dell’Alleanza hanno discusso dell’agenda dell’Alleanza Atlantica, sempre più candidata al ruolo di gendarme mondiale, con o senza l’egida delle Nazioni Unite. In questa prospettiva la NATO si dà una forma flessibile, multipolare, elastica, a rete, per intervenire mobilitando anche gli eserciti di Paesi che all’Alleanza strettamente intesa non hanno mai aderito, dall’Asia Centrale al Nord Africa, passando per l’Europa dell’Est.
Sempre meno un’alleanza che rappresenta un blocco di nazioni, sempre più la tutrice dell’ordine globale nel 21esimo secolo.
Un’alleanza che sembra corrispondere totalmente alle esigenze della Casa Bianca: condividere costi e responsabilità, ottimizzando i benefici.
Si lancia così la parola d’ordine di “smart defense” con oltre 20 progetti multinazionali.
Su questo ombrello “smart” e multipolare, veglierà lo scudo anti missilistico che – si apprende da Chicago – entro il 2015 sarà in grado di difendere i Paesi e le popolazioni dei 28 alleati dalla minaccia crescente di testate di vicini considerati ostili.
In epoca di crisi a Chicago hanno discusso di come fare la guerra spendendo meno, anche se l’ammiraglio Di Paola, il “tecnico” preposto alla Difesa nel governo Monti ha chiarito senza mezzi termini che prima vengono le esigenze della “sicurezza” poi si può parlare di spesa.
Per quanto riguarda il nostro paese la novità più importante riguarda la base di Sigonella, dove verranno collocati cinque droni e altri 600 militari.
A Chigaco hanno discusso anche di Afganistan, confermando il ritiro delle truppe per il 2012, un ritiro che sancisce la sconfitta degli Stati Uniti e dei loro alleati nel paese asiatico, nonostante 11 anni di guerra e occupazione militare feroce, tra torture, detenzioni extragiudiziali, terrorismo sistematico tra la popolazione.

Mentre era in corso il vertice migliaia di attivisti hanno manifestato a Chicago. Al termine della manifestazione la polizia ha caricato gli attivisti che rifiutavano di allontanarsi. Numerosi i feriti, 47 gli arresti.

Del vertice NATO, della guerra in Afganistan, delle nuove strategie di difesa abbiamo parlato con Stefano del Comitato contro Aviano 2000.”

Ascolta l’intervista direttamente sul sito di Radio Blackout.

Proteste studentesche di massa in Quebec.

È ormai dallo scorso Febbraio che circa 160mila studenti e studentesse protestano nella provincia canadese del Quebec contro l’aumento dellle tasse universitarie proposto dal premier Jean Charest, boicottando le lezioni e inscenando manifestazioni che hanno assunto in parte carattere violento anche a causa della scarsa volontá di aprire trattative sulla sostanza e non sulla forma degli aumenti delle tasse da parte del premier, impegnato a raccogliere consensi in vista della prossima tornata elettorale. Le proteste non si limitano però al tema delle tasse universitarie, ma hanno piuttosto assunto un carattere di contestazione generale nei confronti del governo della regione, soprattutto contro il cosiddetto Plan Nord che prevede ingenti investimenti per lo sviluppo del settore energetico e minerario in un’area di 1,2 milioni di km quadrati nel nord della provincia. Il piano, che promette la creazione di mezzo milione di posti di lavoro, non tiene conto della sostenibilità ambientale, è una potenziale svendita delle risorse del Quebec ed é fonte di corruzione per politici che promettono a potenziali investitori di lucrare sul progetto in cambio di “favori”, come recentemente è saltato fuori da uno scoop giornalistico dell’emittente in lingua francese CBC. Un’altro tema di contestazione è la legge discriminatoria proposta dal ministro federale dell’immigrazione Kenney, che limita l’accesso alla regione per chi non parla inglese o francese. Sia Charest che Kenney sono stati contestati da alcuni studenti mentre tenevano discorsi a porte chiuse sulle proposte in questione, mentre per le strade, oltre alle proteste in forma pacifica, avvenivano scontri tra alcuni studenti e la polizia in assetto antisommossa pronta a usare manganelli, spray al pepe e perfino pallottole di gomma contro il dissenso. Dal canto loro gli studenti hanno reagito con lanci di pietre ed altri oggetti, barricate e con azioni dirette contro veicoli della polizia e simboli del governo e del potere capitalista.

Quebec protests reach rowdy new level (with updates)

Per un report più completo in lingua inglese consiglio di visitare il relativo articolo su Libcom, che contiene aggiornamenti continui nello spazio riservato ai commenti così come numerose foto e video delle proteste.

Angela Davis, “Aboliamo le prigioni?”

 

Angela Davis, “Aboliamo le Prigioni?” (Con un saggio di Guido Caldiron e Paolo Persichetti) , Minimum Fax 2009, ISBN 978-88-7521-201-8

“Angela Davis, la mitica militante degli anni Settanta, è oggi un’intellettuale di fama internazionale che ha focalizzato il suo impegno politico in una delle battaglie per i diritti civili più difficili: abolire il carcere. Un mondo senza prigioni è forse impensabile, anche per chi proclama il suo progressismo. Ma con lucidità scientifica, un’enorme mole di materiale documentario e un instancabile passione ideale, la Davis analizza il sistema «carcerario-industriale» americano – quello per cui due milioni e mezzo di persone sono detenute negli Stati Uniti – e mostra come questa democrazia modello regga le sue basi economiche su una forma di schiavismo morbido: donne abusate e farmacologizzate, manodopera a costo zero per le grandi corporation, neri e ispanici a cui vengono negate istruzione e assistenza sanitaria di base. Aboliamo le prigioni? è una piccola guida di resistenza, che a partire dalla battaglia contro il carcere tuona la sua voce contro tutte le forme di oppressione. E alla fine ci chiama direttamente in causa, per farci diventare consapevoli di come le nostre idee cambieranno veramente soltanto quando saranno cambiati i nostri comportamenti.” (Dalla quarta di copertina del libro).

Quest’ opera della Davis, composta da due scritti ( “Il carcere é obsoleto?” e l’intervista di Eduardo Mendeta “Per una democrazia dell’abolizione” ), tratta un tema complesso e di fondamentale importanza, analizzando il legame negli Stati Uniti tra la nascita delle carceri e la loro attuale esistenza e schiavitù, razzismo, controllo sociale e interessi delle corporations attraverso un linguaggio semplice ma non semplificativo, fornendo al/la lettore/trice un’analisi di rara lucidità sul fenomeno carcerario, sul falso mito della sicurezza e sulle politiche repressive sulle quali si basa la cosiddetta “democrazia”. Oltre i preconcetti ed i falsi miti, analisi storiche e dati alla mano, la Davis mette a nudo la realtà del razzismo, del sessismo, della tortura e delle violenze che sono parte imprescindibile del regime detentivo, chiarendo in modo inequivocabile come l’esistenza delle prigioni sia legata a precisi interessi e politiche del sistema dominante, al concetto di esclusione, all’imperialismo. A conclusione del libro un breve saggio di Guido Caldiron e Paolo Persichetti analizza l’attuale situazione europea e l’origine delle tendenze reazionarie e populiste della “tolleranza zero”  dal punto di vista sociologico e politico.

-Vedi anche: articolo pubblicato sul blog “Attualizzando” da enrico76.

“Clooney e l’Arroganza Yankee”.

Articolo scritto da Giovanni Pili e pubblicato originariamente sul sito “Anarchy in the UK”:

“Chissà se riusciremo a creare una rubrica domenicale titolata “il coglione della settimana”; non dovrebbe essere difficile trovare la materia prima. Solo che a seconda del candidato il sottoscritto potrebbe risentirne a livello di bile.
Il coglione di questa settimana è George Clooney. Devo dire, con sommo dispiacere; George infatti ha una simpatia disarmante. Solo lui poteva occupare l’ambasciata del Sudan a Washington, ignorare i tre avvertimenti della sicurezza e alla fine non essere impallinato dalla stessa, Anzi è stato scortato fuori da militari dello stato ospitante, cioè gli Stati Uniti. Ovvero, nessun militare sudanese ha sfiorato Clooney, il papà ed i suoi amici boyscout. Ma George evidentemente non ha colto la singolarità del suo caso; altamente privilegiato. Becero e coloniale sarebbero le parole giuste. Provate – voi pezzenti – a scavalcare i cancelli del Buckingham Palace, correte poi ad abbracciare le guardie, con in mano dei mazzi di fiori. Scoprite cosa succede dopo il terzo avvertimento.
Le giubbe rosse sono allergiche ai fiori.
Figuriamoci poi cosa sarebbe successo se dei cittadini del Sudan avessero fatto la stessa cosa in una ambasciata americana. Difficilmente la sicurezza avrebbe atteso che la polizia sudanese venisse a prendersi i manifestanti, non prima di essere stati piallati da Chuck Norris, almeno.
Lode all’ambasciatore del Sudan che ha avuto la pazienza di non fare quello che possono permettersi gli americani. Se tutti gli stati sono sovrani, gli USA sono più sovrani degli altri. L’Italia recentemente sta provando ad imitarli, ma non c’è sfida; i pescatori indiani infatti, non vanno in giro sulle funivie ed i Marò non sanno pilotare gli aerei. Al massimo possono ammazzare degli innocenti, ma siccome lo hanno fatto per sbaglio, possono pretendere di sperare nella impunità.
Cose che capitano.
Infine la struggente descrizione di George riguardo la sua esperienza carceraria. Due ore in stato di fermo con rilascio immediato. L’attore ci ha spiegato anche di essere stato trattato umanamente dagli agenti. Ci mancherebbe altro! cosa vuoi che potessero fare? Menare uno che può permettersi di querelarli?
Coglione due volte: Primo perché nelle vicende del Sudan non esiste una parte “buona” che si distingue da una “cattiva”; oltre a mettersi nella scia del becero spirito colonialista in stile “Kony 2012”, dove il bianco pensa di essere destinato a soccorrere il “negro selvaggio”, il quale altrimenti non saprebbe difendersi da solo; secondo perché il rivoluzionario non lo fai dalla mattina alla sera, con la forza dei tuoi soldi, usando le idee degli altri (per altro non capite) come fossero un paio di scarpe di tendenza.
Vi danno fastidio le violenze ai bambini, le guerre, le infibulazioni? Esiste un metodo efficacissimo per aiutare l’Africa: portate il culo fuori dalla loro terra; con lo sfruttamento delle loro risorse; il mercato dei politici locali; le guardie ai cancelli delle vostre filiali, pronti a picchiare e uccidere i sindacalisti; le vostre lattine di Coca Cola e le frattaglie dei McDonald’s.
Lasciateli in pace.”

Copiare non significa rubare.

La recente vicenda dell’arresto dei creatori dei siti Megaupload e Megavideo mi offre la possibilitá di riflettere e scrivere due parole sulla cosiddetta pirateria informatica. Il caso dei creatori e proprietari di Megaupload e Megavideo, che rischiano ora di essere condannati secondo le leggi statunitensi a 50 anni di galera ciascuno, é legato al discorso del copyright, ma non bisogna dimenticare che i siti incriminati avevano scopo di lucro, mentre chi copia materiale protetto dal copyright e/o lo immette in rete per renderlo accessibile ad altri sta solo facendo un lavoro di condivisione. Copiare film, brani musicali, libri elettronici o quant’altro non significa infatti rubare, poiché chi copia non si appropria di un oggetto sottraendolo ad altri, ma lo moltiplica, rendendolo fruibile a piú persone. Sicuramente la condivisione libera e gratuita di qualcosa non piace a chi lucra su tutto, ma d’altra parte, per quanto la cosiddetta “pirateria informatica” sia illegale e nello specifico le creazioni intellettuali siano soggette a rigide norme di copyright, vi é un’altissimo e crescente numero di persone che violano tali leggi. Alle ragioni di queste persone non viene peró dato spazio negli articoli dei vari giornali online che ho avuto modo di leggere nei giorni scorsi, piuttosto viene ribadito che, secondo le accuse mosse a Megaupload, il sito avrebbe portato a perdite superiori ai 500 milioni di dollari a danno dei detentori dei diritti di autore. Perdite? Mancati guadagni, a dire il vero, ma del tutto potenziali: si dá infatti per scontato che chiunque abbia scaricato da Megaupload materiale protetto da copyright avrebbe potuto/dovuto spendere il proprio denaro per un biglietto del cinema o per l’acquisto di un cd o dvd o per un libro stampato su carta.

Un’altra cosa che spesso non viene detta riguardo l’accanita battaglia da parte degli Stati Uniti contro la pirateria informatica é che, con la scusa appunto della violazione di leggi sul copyright, gli USA stanno facendo pressioni affinché anche L’Unione Europea ratifichi l’ ACTA, un prolungamento degli accordi TRIPS sulla protezione della proprietá intellettuale ma anche sull’acquisizione di diritti di proprietá intellettuale (ad esempio su farmaci, organismi viventi e quant’altro). L’ACTA, definito come trattato anticontraffazione e giá ratificato da 22 dei 27 Paesi dell’ UE, non é altro che un modo per rafforzare potere e guadagni delle multinazionali che ingrassano con le leggi sulla proprietá intellettuale, colpendo duramente la libera condivisione senza scopo di lucro e limitando fortemente la libertá giá spesso minacciata sul web, ma anche demandando le querelle legali sul diritto d’autore all’arbitrio dei privati che si ritengono parte lesa senza nemmeno l’intermediazione di organi “imparziali” quali i tribunali, lasciando perfino stimare alla cosiddetta parte lesa l’ammontare dei danni subiti. Contro la ratifica dell’ACTA sono in atto diverse proteste da parte di singoli ed associazioni in diversi Paesi ed esiste una petizione online giá firmata da milioni di persone che chiede che l’accordo non venga ratificato in sede europea.

L’eterno conflitto.

Adbusting "playdate Iran"

Si stanno preparando ad una nuova guerra. Ci stanno preparando ad una nuova guerra. Le armi come sempre ci sono, le strategie militari pure, manca solo il consenso. O Forse c’é giá. L’ Iran é ormai il chiodo fisso delle diverse amministrazioni USA susseguitesi dal 1979 ad oggi: l’Iraq e l’Afghanistan sono giá sul piatto, manca solo l’altro Paese strategico sfuggito al controllo occidentale con la caduta dello sciá. Ed ecco che i massmedia utili ai progetti di regime ripropongono il solito vecchio gioco della creazione di un nemico, giunto al culmine con la patetica e menzognera campagna per la difesa della vita di Sakineh, presentata al pubblico come un’adultera che rischiava la lapidazione in uno Stato in cui regna la barbarie, in realtá condannata per l’omicidio del marito e fatta martire in occidente per gli squallidi obiettivi di uno Stato, gli USA, nel quale nel silenzio piú assordante dei media veniva giustiziata un’altra donna, Teresa Lewis, ritardata mentale accusata di aver ucciso il marito. Due donne, due condanne a morte, due Stati: la differenza sta nel fatto che noi ci troviamo nella sfera di influenza di uno di questi due Stati, che vuole farci apparire la propria barbarie come giustificabile mentre usa la barbarie altrui come strumento per preparare psicologicamente le masse occidentali ad un nuovo conflitto militare. Si manipolano i fatti a proprio piacimento o si inventano di sana pianta storie inverosimili, come quella, simile ad una trama da film hollywoodiano, che ci racconta di narcotrafficanti nordamericani che avrebbero acquistato armi dall’Iran, mentre l’opinione pubblica farebbe bene a ricordare una storia vera di armi vendute dagli USA all’Iran per finanziare bande di massacratori di civili nicaraguegni: il cosidetto Irangate. Ma che importa in fondo dei diritti umani quando questi vengono violati dagli USA o dai suoi alleati? I libici meritano di venire “aiutati” con un’intervento militare ai danni di quello che fino al giorno prima era un prezioso alleato, in Barhein le truppe saudite possono impunemente far strage di civili disarmati senza che nessuna potenza occidentale muova un dito: d’altra parte non si possono perdere i vantaggiosi contratti di multinazionali petrolifere quali la British Petroleum per la trivellazione al largo delle coste libiche, cosí come non si puó permettere che gli abitanti di un Paese strategico e saldamente nelle mani degli alleati degli USA come il Barhein insorgano per un qualsiasi motivo, fosse pure per chiedere il rispetto di quei diritti umani che servono ancora una volta da paravento per preparare l’opinione pubblica occidentale ad una nuova guerra, e cioé alla forma suprema di violazione di qualsiasi diritto umano.

Jeff Monson, uno di noi.

 Jeff Monson ( 17 Gennaio 1971 ) é un campione statunitense di MMA ( mixed martial arts ), ritenuto uno dei migliori combattenti al mondo nella sua disciplina e conosciuto a livello mondiale per i suoi successi sportivi. Ma é anche un anarchico dichiarato, iscritto alla IWW ,sponsorizzato nelle sue attivitá sportive dalla cooperativa editrice AK Press, non ha mai nascosto le sue idee politiche ed ha preso parte a numerose azioni di solidarietá e manifestazioni pubbliche. Il 26 Maggio 2006 Monson prese parte al blocco del porto di Olympia, sua cittá d’origine, per protestare contro la guerra in Iraq: fu uno degli unici due attivisti a non venire arrestato né allontanato dalla polizia, avendo affermato chiaramente “se provate ad arrestarmi opporró resistenza”. Nel Gennaio 2009 Monson venne condannato al pagamento di una grossa multa per aver tracciato sui muri del Washington State Capitol simboli anarchici ed antimilitaristi e le scritte “No War” e “No Poverty”.

Monson ha dichiarato tra le altre cose che “la Costituzione é solo un pezzo di carta” e “voglio l’abolizione delle gerarchie sociali e di tutte le istituzioni che promuovono ineguaglianza e sfruttamento” e ” la nostra economia si basa solo sul consumo, vogliamo sempre piú prodotti a prezzi sempre piú bassi, non ci rendiamo conto che stiamo rapinando ed impoverendo altri Paesi”.